Dizionario per lo Chthulucene
Chthulucene è il titolo dell’edizione italiana di Staying with the Trouble, l’ultimo libro della filosofa statunitense Donna Haraway. In occasione della sua pubblicazione all’interno della collana Not di NERO, ecco a voi un piccolo prontuario di lessico harawayiano per generare parentele simpoietiche e respons-abili!
Altri significativi: gli agenti di senso multiplo ed eteroglosso con i quali coevolviamo e conviviamo in relazioni contingenti e vulnerabili. Si diventa significativi reciprocamente.
Animali non umani: usati come specchi o strumenti per contrapporre il corpo naturale al corpo sociale e giustificare i processi di umanizzazione/animalizzazione escludente della civiltà occidentale. Ma gli animali non sono trasparenti, sono densi, resistono e tradiscono le rappresentazioni e i ventriloquismi dell’Umano che presta loro voce e corpo. Gli animali sono altri significativi e significanti. Nel complesso animal-industriale, sono prodotti naturalculturali che vivono vite cyborg forzate senza mai godere dell’incontro liberatorio con la macchina.
Articolazione: articolare è significare, aprirsi al rischio di connessioni eterogenee. Corpi e linguaggio sono articolati, somigliano a vermi e insettoidi attraversati da giunzioni e cuciture, pieghe ed evaginazioni, non sono mai omogenei, lisci e sferici come gli animali di Platone. La natura è articolata al massimo grado, e il linguaggio verbale è solo uno dei modi possibili dell’articolazione.
C³I: le tecnologie della comunicazione e le biotecnologie traducono il mondo in un problema di codifica grazie al passaggio dei flussi di informazione ai confini dei corpi, secondo una logica cibernetica basata su comando+controllo+comunicazione+intelligence. L’interruzione della comunicazione è una minaccia per la codifica.
Chiedersi: per chi? Per cosa? Da dove? Avevo dimenticato? Non sapevo? Non mi interessava?
Chthulucene: l’era nella quale viviamo, dal nome del ragno californiano Pimoa Cthulu, e non da quello del mostro di H.P. Lovecraft, con un’acca in più che rompe l’unità dell’essere singolare come un metaplasmo. Antropocene è una definizione chiusa in sé e incapace di rendere conto della complessità eterogenea del mondo. Al contrario, Chthulucene richiama le concatenazioni fra umano, altro da umano e humus, e la generatività rischiosa dei processi simpoietici. Lo Chthulucene è adesso, ma è anche uno spazio-tempo costantemente diffratto: tempo della respons-abilità, non della speranza.
Compost: siamo compost, non postumani. Abitiamo le humusità, non le umanità. Solo adottando un approccio compostista possiamo assistere alla definitiva decomposizione dell’umano elevato sopra il corpo della natura. Compost è il mondeggiare, il farsi comune del mondo [worlding]. Non tutti portano la stessa storia e lo stesso peso nel compost, c’è chi è più respons-abile di altri in questo incessante lavoro di composizione-decomposizione. Le Comunità del Compost sono aperte e ospitali, coltivano parentele queer, realizzano il Comune. Compost è il contrario di accumulazione.
Con-divenire: non c’è divenire, ma solo con-divenire in zone di contatto e in intra-azioni che materializzano il mondo, come in un arazzo dai pattern cangianti. Il con-divenire è serpentino.
Confini: come cyborg, siamo creature di confine. I confini sono particolarmente controllati, ma anche piacevolmente trafficati. Abitare i confini è una pratica rischiosa. I confini sono soglie per il proliferare delle differenze.
Corpi: nodi generativi material-semiotici, entità collettive che problematizzano la nozione di individualità e di organismo. Il sapere ha un ruolo attivo nella produzione dei corpi, che non esistono mai come presenze in/mediate. I corpi non terminano all’epidermide, la loro integrità non è sacra, la loro «natura» è interfacciale. Essi non nascono, si fanno. Nei circuiti del tecnobiopotere, i corpi come sistemi cibernetici si caratterizzano per i loro confini comunicanti piuttosto che per la loro integrità. Per questo, sono soggetti a forme più capillari e pervasive di controllo, ma la loro apertura relazionale è anche la loro forza vitale. I corpi sono marcati (sessualizzati, razzializzati, animalizzati). I corpi sono simpoietici: Our bodies, (not just) ourselves.
Cura: le questioni di fatto, le questioni di valore e le questioni di cura sono tra loro collegate. Gaia non si cura particolarmente dell’esistenza umana, anzi mette in crisi le nostre priorità. La cura è non-mimetica: è generare parentele [kin] attraverso pratiche attente [kind, agg.] e non speciste [kind, sost.]. Necessità e ragioni sufficienti che non possono in alcun modo prescindere dalle pratiche di cura. Cura è rispetto e respons-abilità.
Cyborg: si pone nel mezzo e segna una via d’uscita dai dualismi. Emerge dai cedimenti di confine tra organico e macchinico, umano e animale, materiale e informazionale. È un assemblaggio auto-differente le cui parti non formano mai un tutto omogeneo. Nel capitalismo postfordista, il cyborg assume la variabilità e la mobilità dei flussi informazionali. Il cyborg è illegittimo e non-innocente, non ha origine né telos, non crede nella salvazione. Tuttavia, ha sempre una storia. Il cyborg è un modello operativo, riguarda il fare, non l’essere. La sua è una politica dell’affinità, mai identitaria: il femminismo-cyborg non si richiama ad alcuna matrice unitaria né mira ad alcuna costruzione totalizzante.
Diffrazione: fenomeno ottico che descrive il comportamento delle onde quando incontrano un ostacolo. Nell’ottica quantistica confronta il comportamento di onde e particelle e il loro entanglement (vedi l’esperimento della doppia fenditura). La diffrazione è essa stessa un fenomeno entangled, perché ciò che si osserva non prescinde dall’atto e dagli apparati di osservazione: nella diffrazione non esiste dunque esteriorità assoluta. Usata come figurazione e metodologia, evidenzia i grovigli performativi di realtà e rappresentazione, sostituendo l’approccio analogico della rappresentazione tradizionale. Potente antidoto ai dualismi, la diffrazione interferisce con l’identità per fare la differenza nel mondo, su un piano epistemologico, etico e ontologico allo stesso tempo.
DNA: il codice dei codici per il feticista del gene che elude la complessità della vita nella leggibilità dell’informazione. Anche i geni sono oggetti di consenso prodotti da pratiche specifiche, sebbene i feticisti del gene ritengano questi beni la fonte del loro stesso valore, queste astrazioni le entità concrete che rappresentano (la fallacia della concretezza malposta). Genes R Us: attraverso i geni ci rappresentiamo come prodotti che si autopossiedono. Mappare e archiviare: il sequenziamento del genoma umano è il trionfo del neo-umanesimo tecnologico, che rimuove l’ultima barriera fra rappresentazione e realtà, originale e copia. Il feticismo dei geni è un fondamentalismo.
Estinzione: è provocata dall’estrattivismo sfrenato che trasforma ogni corpo in risorsa. Richiede un approccio simpoietico, non indulgente né consolatorio, ma nemmeno apocalittico. I disastri dell’estinzione sollecitano pratiche dal basso di lutto, memoria, cura, e volontà di reinventare forme di vivere e morire condiviso. Creare per non disperare.
Eteroglossia: non il sogno di un linguaggio comune, ma un linguaggio infedele, una forma di politica culturale radicale.
Femminismo: non segue la logica dell’appropriazione, dell’incorporazione, dell’identificazione essenzialista. È socialista, radicale, materialista, della differenza, critico, speculativo [FS], decostruttivo, anticoloniale, indigeno, antiumanista, multiculturale, trans-specie, transnazionale, situato, antirazzista, intersezionale, queer. Cyber-, xeno-, tecno-, eco-, geo- femminismi. La teoria femminista è una politica della contestazione, un discorso-coyote portatore di capovolgimento e trasformazione.
Figurazione: nel solco della semiotica cristiana e della retorica aristotelica, le figurazioni non riflettono il reale per via analogica o mimetica, ma interferiscono con la realtà, la contaminano e la dislocano. Le figurazioni non sono mai complete né statiche, ma possono essere adeguate. Se i posizionamenti (topoi) radicano la conoscenza, le figurazioni (trópoi) la dislocano, creando legami materiali-semiotici inscindibili. Le figurazioni non sono figurali né necessariamente figurative, ma sono immagini performative che possono essere abitate. Le figurazioni sono sempre radicate in realtà vissute che performano in con-figurazioni mutevoli. Esse girano [turn], ma non ritornano [re-turn] mai allo stesso modo. La loro temporalità è implosa e intermittente, non lineare o progressiva.
FS: Fatto Scientifico, Fanta-Scienza, Fabula Speculativa, Femminismo Speculativo, Figure Stringa convergono nella ricerca femminista dell’oggettività. Fatti e favole hanno bisogno gli uni degli altri, nel campo della tecnoscienza.
Gioco della matassa [Cat’s cradle game]: o ripiglino, gioco in cui si creano nodi e figure di filo dai pattern sempre più complessi via via che la mano del giocatore successivo «ripiglia» la matassa. È un gioco che richiede collaborazione. L’idea alla base è quella di ricevere e passare senza trattenere, una pratica per pensare e per fare allo stesso tempo, che presso i nativi americani Navajo, per esempio, è adoperata per ripristinare le maglie dell’armonia universale. La figurazione del gioco della matassa descrive la co-costituzione delle specie, ma anche l’intessersi del femminismo antirazzista e multiculturale della tecnoscienza nella materialità dell’esistenza. Al gioco della matassa non si vince.
In/appropriato: frutto di gravidanze mostruose, la differenza degli altri in/appropriati non è appropriata, né mai interamente appropriabile, perché non originaria. Gli altri in/appropriati vivono in una relazionalità decostruttiva, ai confini di corpi problematici e inaspettati, al di fuori delle tassonomie.
Intra-azione: I soggetti e gli oggetti, la cultura e la natura, si co-costituiscono in intra-azioni.
Macchine: le macchine non ci dominano né noi dominiamo le macchine, perché le macchine sono un aspetto della nostra incarnazione. Dunque, sia la tecnolatria che la tecnofobia sono insensate. Noi siamo respons-abili delle macchine. Il corpo femminista può trarre piacere dall’incontro intimo, prostetico, affettivo con le macchine.
Materialità: la natura è una fantasia materializzata da un soggetto che resta invisibile. Ma non esiste materia che non sia «informata», dunque significante, né materia che non divenga [mattering]. Il materialismo dello Chthulucene è un materialismo sensibile e simanimagenico, connettivo e affettivo.
Mostri: sono contro natura perché la natura è un assemblaggio mostruoso. Sono anche creature molto promettenti: bestioline, oloenti, cyborg, cefalopodi, Ichtyostega, Mixotricha Paradoxa, Euprymna Scholopes, Vibrio fischeri, Oncotopo™, FemaleMan©, vampiro, salamandra, Camille, Medusa, Potnia Theròn, Pimoa cthulhu, Gaia. Non possiamo parlare di mostri senza lasciare arrivare il mostruoso e lasciarci andare al mostruoso: è ora di fare un giro nel ventre del mostro. La teratologia è teratotropìa. I mostri sono, ovviamente, in/appropriati.
Naturalculturale: la natura e la cultura sono sempre una questione di composizione. Nelle specificità della storia, natura e cultura s’intrecciano senza priorità né fondazione, tartarughe che poggiano su altre tartarughe ad infinitum.
Non-innocenza: la conoscenza non è mai innocente ed è sempre contestabile. Essere non-innocenti significa rendere conto dei propri posizionamenti, ma anche rifiutare la logica vittimizzante dell’oppressore. I cyborg non sono innocenti: non sono nati nell’Eden e non possono dunque averne nostalgia.
Ottica: è una politica del posizionamento. Esistono solo specifiche possibilità visuali. Comprendere come gli strumenti ottici e le relazioni di potere mediano i punti di vista posizionati è fondamentale per la politica femminista della collocazione. Osservatori, osservati e apparati di osservazioni sono uniti in configurazioni contingenti. Il potere generativo delle pratiche visuali emerge nella diffrazione.
Parentela: la politica identitaria è la politica del sesso riproduttivo, ma ciò di cui abbiamo bisogno è la rigenerazione, non la riproduzione. I legami di sangue sono sanguinosi, e la pace si potrà raggiungere solo quando l’umanità si formerà al di sotto o al di là dei legami di parentela «naturale». Uscire dai territori della produzione e della riproduzione significa formare alleanze non familistiche e non speciste [oddkin] estranee alla logica del sangue e della somiglianza, alla genealogia e all’ereditarietà, e invece basate su forme di cura e genitorialità «surrogata». Creare alleanze, non bambini.
Politica: divenire e rendere respons-abili, radicare, interferire, mondeggiare insieme.
Queer: non dedito alla riproduzione di alcun tipo, ma a una politica affermativa del sensibile. Fuori topos, nel trópos. La comunità delle specie compagne.
Relazionalità: l’essere è relazionalità, la relazionalità è interspecie.
Respons-abilità: la capacità di rispondere all’altro, ma anche di rendere l’altro capace di rispondere. La reciprocità delle risposte esiste solo fuori dalla nominazione: le relazioni richiedono risposte, l’identità no. La respons-abilità è virale, è distribuita, è storica. Non esistono formule stabilite per risposte sempre uguali.
Rispetto: si possono rispettare [re-spicere] le specie compagne solo disimparando la specie, dunque ri-vedendo radicalmente la rappresentazione. Rispetto è vedere insieme all’altro senza pretendere di essere né l’Uno, né l’Altro. Con ri-guardo, l’altro può rimanere in/appropriato, non identificato in categorie. Rispettare è prestare attenzione, accogliere, ospitare nella polis delle specie compagne. Incontro aptico invece che ottico.
Saperi situati: il sapere riguarda sempre qualcosa invece che qualcos’altro; solo da una prospettiva parziale e dal basso si può raggiungere una visione obbiettiva (relativismo sociologico, non epistemologico, empirismo critico, non costruzionismo radicale). Oggettività femminista significa saperi situati, senza un punto di vista femminista unico. Il contrario della trascendenza disincarnata della verità universale.
Sesso/genere: il primo non sta al secondo come la natura alla cultura, nessuno dei due può esistere senza l’altro. Sia il sesso che il genere sono prodotti come oggetti di conoscenza per giustificare l’evoluzione dell’Umano come categoria non marcata e disincarnata, distanziare l’animalità, essenzializzare il lavoro riproduttivo femminile e legittimare l’origine «naturale» della famiglia eterosessuale.
Simpoiesi: simpoietiche sono le configurazioni condivise che, superando il principio di autosufficienza dei sistemi viventi, pongono alla base dell’evoluzione processi trasversali di organizzazione emergente, aperti all’alterità, osservabili già a livello microbiologico. Negli oloenti (termine che sostituisce quello di unità viventi), non ha neppure più senso definire separatamente ospite e simbionte.
Sistema immunitario: il sistema immunitario è servito a definire il sé e l’altro, il normale e il patologico, attraverso metafore belliche: i virus sono invasori, il sé va difeso come una fortezza. Se però l’identità è pensata come permeabile, il sistema immunitario diventa un insieme di specificità condivise, che è ovunque e da nessuna parte.
Specie: è un ossimoro che vorrebbe fissare in una rappresentazione unitaria il con-divenire di categorie indecidibili. L’ontologia delle specie è relazionale. L’identificazione di una specie (dal lt. spicere) è frutto di un’operazione in prima istanza visiva, che fissa le differenze e ne scongiura l’ibridazione – come nel caso delle specie invasive, specie che sono definite come essenzialmente tali perché forzatamente slegate dalle relazioni. La biopolitica è la gestione dei corpi suddivisi in specie. Le specie compagne (lt: cum panis) siedono alla tavola comune del vivere e del morire. Per essere specie compagne bisogna essere almeno in due, nella parola e nella carne.
Tecnobiopotere: la vita come insieme di forze produttive e riproduttive è colonizzata e messa al lavoro nei circuiti del tecnobiopotere, dove informatica, biologia ed economia si integrano dal piano biomolecolare a quello transnazionale. Ma demonizzare la tecnologia non serve, bisogna sviluppare forme di relazione critica rispetto alle pratiche di produzione di conoscenza e alle forme di soggettivazione dominanti, e sprigionare il potenziale liberatorio delle tecnologie.
Tecnoscienza: pratica creativa e ricombinante. Le fibre della tecnoscienza penetrano profondamente nei tessuti del mondo e producono abiti stravaganti per l’incontro promiscuo di scienza e tecnologia, natura e cultura, soggetti e oggetti. Una moltitudine eterogenea di attori sociali, umani e non, si costruisce e implode nelle circolazioni sociotecniche della tecnoscienza, con le quali interferiscono le testimoni modeste coi loro resoconti, credibili perché situati. La tecnoscienza è come una cipolla, che strato dopo strato può essere sottoposta a interpretazione critica – non si arriva a un nucleo, esistono soltanto gli strati. La tecnoscienza femminista si occupa della tecnoscienza in generale, ma non si possono fare affermazioni di valore generale se non da punti di vista particolari e parziali.
Tentacoli: presi nei grovigli di una realtà che ha più tentacoli di una piovra, diveniamo capaci di sentire (lt. tentare) la configurazione eterogenea del mondo. Gli esseri tentacolati si attaccano, si annodano, s’intrecciano, si sciolgono e s’ingarbugliano. Tentacolare è una vita vissuta sulle linee di differenza piuttosto che sui punti e sulle sfere dei corpi autopoietici chiusi nella loro rotonda autosufficienza.
Tessitura: pratica cyberfemminista che infiltra la reticolarità strategica delle multinazionali. Le specie compagne s’intrecciano come i fili di seta, multipli e resistenti, estrusi dall’addome della femmina-ragno.
Testimoni modeste: protestano per gli animali rinchiusi nella pompa ad aria di Boyle e così vengono allontanate dal teatro della tecnoscienza. Perché le testimoni modeste non sono silenziose né trasparenti, coltivano l’autoriflessività, e si aggirano sospettose e preoccupate minacciando di svelare che i fatti sono sempre fatti, in laboratorio. Nel tempo libero, le testimoni modeste giocano a ripiglino.
Trouble: dal latino turbulare, corrispondente al sostantivo turbula, diminutivo di turba, o «piccola folla disordinata». Indica la densità turbolenta del presente, l’ontologia aggrovigliata dei processi simpoietici, l’opacità fangosa e ctonia di una conoscenza che materializza, addirittura sotterra, la trasparenza della luce. Stare nel torbido significa restare ingarbugliati, tutt’altro che fuori dai guai.
Uccidere: le ecologie della morte nelle quali abitiamo non ci consentono di vivere del tutto al di fuori dell’uccidere, in una condizione di innocenza. Ma nessuna vita può essere resa sterminabile in quanto tale. Uccidere respons-abilmente significa essere capaci di addurre le ragioni dell’uccidere senza mai avere una ragione sufficiente per farlo. Così si può coltivare la vita senza essere pro-life, ma anche imparare meglio a morire, invece che a lasciar morire o forzare a vivere (spesso soltanto per far morire dopo, come nel caso degli animali d’allevamento).