Zizek on Virus

Insistere sulla responsabilità individuale ci distoglie dalla questione su come cambiare l’intero sistema sociale ed economico. Un estratto dal libro «in divenire» di Slavoj Zizek sul coronavirus

Pubblichiamo un estratto da Virus, l’ebook (in continuo aggiornamento) di Slavoj Žižek pubblicato in Italia da Ponte alle Grazie, ringraziando l’editore e la traduttrice Valentina Salvati per la disponibilità. 

In questi giorni mi sorprendo talvolta a desiderare di contrarre il virus – cesserebbe almeno questa incertezza sfibrante… L’acuirsi dello stato d’ansia trova un chiaro riscontro nel mio rapporto con il sonno. Suppergiù fino a una settimana fa, attendevo impaziente la sera: finalmente, posso rifugiarmi nel sonno e scordare le paure del giorno… Ora mi succede quasi il contrario: temo il sonno, perché in sogno mi assalgono gli incubi e mi risveglio di soprassalto in preda al panico – gli incubi riguardano la realtà che mi attende. 

Quale realtà? (Devo questa riflessione ad Alenka Zupančič). In questi giorni ci dicono spesso che ci vogliono cambiamenti sociali radicali se vogliamo davvero fronteggiare le conseguenze dell’epidemia in corso (io stesso mi annovero fra quanti diffondono questo mantra) – ma i cambiamenti radicali si stanno già verificando. L’epidemia di coronavirus ci pone dinnanzi a qualcosa che ritenevamo impossibile: che un fenomeno del genere potesse irrompere nella vita di ogni giorno, mai l’avremmo potuto immaginare – il mondo che conoscevamo ha smesso di girare, interi Paesi sono nell’isolamento totale, molti di noi sono al confino nelle proprie abitazioni (ma che ne è di quanti nemmeno possono permettersi questa minima misura precauzionale?), a fare i conti con un futuro incerto su cui, seppure la maggior parte di noi la scampasse, già incombe una crisi economica di proporzioni colossali… Questo significa che dovremmo reagire facendo l’impossibile – quanto sembra impossibile all’interno delle coordinate dell’ordine mondiale esistente. L’impossibile è successo, il nostro mondo si è fermato, e l’impossibile andrà fatto per evitare il peggio, che poi sarebbe – cosa? 

Non penso che la minaccia più grande sia la regressione a un puro stato di barbarie, alla violenza efferata per la sopravvivenza con tanto di disordini pubblici, linciaggi dettati dal panico ecc. (per quanto, se consideriamo il possibile collasso del servizio sanitario e di altre prestazioni pubbliche, non lo si possa escludere). Più che un’autentica barbarie temo la barbarie dal volto umano – spietate misure per la sopravvivenza messe in atto con rammarico e persino affettuoso riguardo, ma legittimate dalle opinioni degli esperti. A un occhio attento non sarà sfuggito come è cambiato il tono con cui si rivolgono ai cittadini coloro che sono al potere: non provano solo a proiettare un’immagine di calma e fiducia, ma regolarmente annunciano anche pronostici catastrofici: qui rischiamo che ci vogliano altri due anni prima che la pandemia faccia il suo corso e a quel punto il virus avrà ormai infettato il 60-70% della popolazione mondiale, mietendo milioni di vittime… Insomma, il messaggio che intendono trasmettere è che dovremo ridimensionare la premessa su cui si fonda la nostra etica sociale: la cura di chi è vecchio e debole. (L’Italia ha già annunciato che, dovessero peggiorare le cose, si lasceranno morire gli ultraottantenni e chi è affetto da gravi patologie). Andrebbe osservato che accettare questa logica della «sopravvivenza del più forte» viola persino il principio fondamentale dell’etica militare che vuole che, dopo una battaglia, si soccorrano per primi gli uomini gravemente feriti, persino se la possibilità di salvarli è minima. (Eppure, a ben considerare, non dovremmo sorprenderci: gli ospedali già adottano questa stessa logica con i pazienti oncologici). Per evitare malintesi, mi limito a proporre una visione realista – andrebbero programmate cure farmacologiche per accompagnare a una morte indolore i malati terminali, affinché gli si risparmino sofferenze ingiustificate. Nondimeno, anziché lesinare, bisognerebbe anzitutto aiutare in maniera incondizionata, a prescindere dai costi, quanti hanno bisogno di cure, perché possano sopravvivere. 

Con il dovuto rispetto, mi permetto di dissentire, quindi, da Giorgio Agamben che interpreta la crisi in atto come un segno che «la nostra società non crede più in nulla se non nella nuda vita. È evidente che gli italiani sono disposti a sacrificare praticamente tutto, le condizioni normali di vita, i rapporti sociali, il lavoro, perfino le amicizie, gli affetti e le convinzioni religiose e politiche al pericolo di ammalarsi. La nuda vita – e la paura di perderla – non è qualcosa che unisce gli uomini, ma li acceca e separa». 

Le cose sono molto più ambigue: li unisce eccome – mantenere la distanza fisica è anche una forma di rispetto verso l’altro perché anche io potrei essere un portatore del virus. I miei figli ora mi evitano per il timore di contagiarmi (quello che per loro è un malanno passeggero per me può risultare mortale). 

Negli ultimi giorni, ci hanno ripetuto più e più volte che ciascuno di noi è responsabile in prima persona e deve attenersi alle nuove regole. I mezzi d’informazione abbondano di storie sulle condotte errate che hanno messo in pericolo lo stesso trasgressore e altre persone (un uomo è entrato in un negozio e ha iniziato a tossire ecc.) – in questa situazione si ripresenta lo stesso problema che investe l’ecologia, quando i mezzi d’informazione sottolineano di continuo la responsabilità personale di ognuno (avete riciclato i vecchi giornali ecc.?). Questa insistenza sulla responsabilità individuale, per quanto necessaria, finisce per operare come un’ideologia se vi si ricorre per distogliere l’attenzione dalla grande questione, ovvero come cambiare l’intero sistema sociale ed economico. La battaglia contro il coronavirus può darsi soltanto se è accompagnata dalla battaglia contro le mistificazioni ideologiche, per di più inserendosi nella più ampia lotta ambientalista. Come ha detto Kate Jones, la trasmissione della malattia dagli animali agli umani è 

«il prezzo nascosto per lo sviluppo economico dell’umanità. Di umani ce ne sono davvero tanti, in ogni ambiente. Andiamo in luoghi in gran parte incontaminati e ci esponiamo in misura crescente. Creiamo habitat in cui i virus si trasmettono più facilmente, e poi ci sorprendiamo di ritrovarcene di nuovi».

Allora non è sufficiente rabberciare una qualche specie di assistenza sanitaria per gli umani, anche della natura bisognerebbe tener conto – i virus aggrediscono anche piante che rappresentano una fonte primaria di cibo, come le patate, il grano, le olive. Dobbiamo sempre tenere a mente il quadro globale del mondo che abitiamo, con tutti i paradossi che implica. Ad esempio, fa piacere sapere che l’isolamento per contenere il coronavirus, in Cina, ha salvato più vite di quante non ne abbia stroncate lo stesso virus (se si crede alle statistiche ufficiali sul numero dei morti): 

«Marshall Burke, economista dell’ambiente e delle risorse naturali, spiega che è stata dimostrata l’esistenza di un nesso fra la cattiva qualità dell’aria e le morti premature correlate alla respirazione di quell’aria. “In quest’ottica” ha detto, “una domanda spontanea – e singolare, è innegabile – è se il numero di vite salvate dalla riduzione dell’inquinamento, seguita al dissesto economico causato dall’epidemia di COVID-19, superi la quantità dei morti a causa del virus”. “Persino basandoci su ipotesi prudenti, ritengo che la risposta sia un sì risoluto”. A soli due mesi dalla diminuzione dei livelli di inquinamento, secondo l’economista, si sarebbe salvata la vita di 4000 bambini al di sotto dei cinque anni e di 73.000 adulti oltre i settant’anni, solo in Cina.»

Siamo intrappolati in una triplice crisi: sanitaria (l’epidemia), economica (un colpo durissimo indipendentemente dall’esito dell’epidemia), e in più (da non sottovalutare) relativa alla salute mentale – sono venute meno le coordinate essenziali del mondo della vita di milioni e milioni di persone, e tutto sarà condizionato dal cambiamento a cui assistiamo, dal prendere un volo per andare in vacanza ai contatti fisici abituali. Occorre imparare a pensare rinunciando alle coordinate del mercato azionario, del profitto, e trovare semplicemente un modo diverso di produrre e allocare le risorse necessarie. Ad esempio, se le autorità scoprono che un’azienda tiene da parte milioni di mascherine sanitarie, in attesa del momento più conveniente per venderle, non c’è negoziazione che tenga – le maschere andrebbero requisite all’istante. 

Quando, un paio di settimane fa, ho usato la parola «comunismo», sono stato deriso, ma ora «Trump annuncia il progetto di assumere il controllo delle aziende private» – si poteva immaginare un titolo del genere anche solo una settimana fa?

Secondo i mezzi d’informazione, Trump avrebbe offerto un miliardo di dollari alla CureVac, una società biofarmaceutica di Tubinga, per accaparrarsi un vaccino «solo per gli Stati Uniti». Il ministro della Sanità tedesco, Jens Spahn, ha detto che l’acquisizione della CureVac da parte dell’amministrazione Trump è «fuori questione»: la CureVac brevetta vaccini «per tutto il mondo, non per singoli Paesi». Siamo di fronte a un caso esemplare della lotta fra barbarie e civiltà. Ma lo stesso Trump ha dovuto appellarsi al Defense Production Act che permetterebbe al governo di garantire che il settore privato incrementi la produzione di forniture sanitarie di emergenza: «Trump annuncia il progetto di assumere il controllo delle aziende private. Il presidente degli Stati Uniti ha detto che farà appello a una disposizione federale che permette al governo di amministrare il settore privato per fronteggiare la pandemia, secondo quanto riportato dall’Associated Press. Trump si è dichiarato disposto a firmare una legge che, “nel caso ce ne fosse bisogno”, gli conferirebbe l’autorità di dirigere la produzione industriale nazionale».

Quando, un paio di settimane fa, ho usato la parola «comunismo», sono stato deriso, ma ora «Trump annuncia il progetto di assumere il controllo delle aziende private» – si poteva immaginare un titolo del genere anche solo una settimana fa? E siamo solo al principio – molte altre misure analoghe seguiranno, per di più sarà necessaria l’auto-organizzazione delle comunità su scala locale se il sistema sanitario a gestione statale verrà sottoposto a sforzi eccessivi. Non è sufficiente isolarsi e sopravvivere – perché qualcuno di noi possa farlo, devono continuare a funzionare i servizi pubblici elementari: la corrente elettrica, il cibo, le forniture sanitarie… (Presto avremo bisogno di un elenco di quanti, ormai guariti, saranno immuni almeno per un determinato periodo, in modo da coinvolgerli in compiti urgenti di utilità pubblica). Non è una visione comunista utopica, è un comunismo imposto dalle esigenze della nuda sopravvivenza. Si tratta purtroppo di una variante del «comunismo di guerra», come vengono chiamati i provvedimenti presi dall’Unione Sovietica a partire dal 1918. 

Alcune iniziative progressiste, le può prendere soltanto un conservatore con le giuste credenziali di intransigenza e patriottismo: chi, se non de Gaulle, avrebbe potuto proclamare l’indipendenza dell’Algeria, chi, se non Nixon, avrebbe potuto riallacciare le relazioni con la Cina – in entrambi i casi, se ci avesse provato un presidente progressista, lo avrebbero accusato all’istante di tradire gli interessi della nazione ecc. Qualcosa di analogo non è forse ravvisabile nelle restrizioni che Trump intende imporre alle imprese private costringendole a produrre beni necessari alla battaglia contro l’epidemia di coronavirus? Ci avesse provato Obama, non c’è dubbio che i populisti di destra si sarebbero scagliati contro di lui accusandolo di usare l’emergenza sanitaria come una scusa per introdurre il comunismo negli Stati Uniti. Come si suol dire, in tempo di crisi siamo tutti socialisti – persino Trump pondera l’adozione di una forma di reddito di base universale, un assegno di mille dollari per ogni cittadino adulto. Verranno spesi mille miliardi contravvenendo a ogni legge del mercato – ma come, dove, per chi? Questo socialismo imposto si configurerà forse come il socialismo dei ricchi (si ricordi il salvataggio delle banche nel 2008 quando milioni di persone comuni perdevano i piccoli risparmi)? L’epidemia finirà per diventare l’ennesimo capitolo della storia lunga e triste del «capitalismo dei disastri», come l’ha chiamato Naomi Klein, oppure ne scaturirà un nuovo ordine mondiale (più modesto, forse, ma anche più equilibrato)? 

Che dovrà cambiare il sistema sociale ed economico ormai è sulla bocca di tutti – ma, come ha notato Thomas Piketty in un articolo sul Nouvel Observateur, quel che davvero importa è come dovremmo cambiarlo, in quale direzione, quali sono le misure necessarie. Fra le tante banalità che circolano, c’è questa: dato che ora ci ritroviamo tutti quanti in questa crisi, dovremmo scordarci la politica e adoperarci insieme solo per la nostra salvezza. Questa banalità è falsa: la politica vera è necessaria ora – le decisioni riguardo alla solidarietà ecc. sono di natura eminentemente politica. 

L’ebook di Virus viene continuamente aggiornato con tutti i nuovi interventi dell’autore sull’argomento; il lettore potrà riscaricare gratuitamente le edizioni successive a quella acquistata.