Un altro anno nella timeline sbagliata

Il 2019 sarà ancora peggio del 2018 (garantito). Siamo dunque precipitati in un’assurda realtà parallela? No: è solo che «il vecchio muore e il nuovo non può nascere»

Il 2018 si è appena concluso, e da qualche giorno i nostri feed sono costellati di  meme riassuntivi dell’anno appena trascorso e propedeutici a quello che verrà. Ormai è un genere: la gif di un tizio (probabilmente russo) che si getta giù dallo scivolo di un parco acquatico, solo che l’acqua non c’è, e a ogni sobbalzo e ogni culata compaiono i vari anni: 2016, 2017, 2018… e poi quando si schianta di faccia nella piscina vuota, ecco il 2019. Oppure, il classico meme «you vs the guy she told you not to worry about» dove tu sei il 2018 e l’altro tizio è l’anno che verrà. Insomma, per farla breve, qualsiasi versione immagine + testo dei sentimenti espressi in questo tweet dal fondatore di Conflict News (e quindi di una delle persone che segue più da vicino i vari piccoli passi verso l’assurdo del nostro mondo):

Cosa accomuna tutti questi meme, da dove escono fuori, come mai ormai ci siamo abituati alla loro presenza?

A mio avviso ci sono due questioni da considerare. La prima è che il modo in cui guardiamo al futuro è cambiato radicalmente dalla Grande crisi economica di dieci anni fa: l’ottimismo che prima permeava la nostra società, quella fiducia nel fatto che il domani sarebbe stato senza dubbio meglio di oggi e che la storia si sviluppasse in modo lineare verso il progresso, è venuto a mancare. Non è un caso che la crisi economica e questa crisi di fiducia siano avvenute insieme – come ricorda lo storico Yuval Noah Harari nell’acclamato Sapiens, l’ottimismo e la fiducia vanno di pari passo con lo sviluppo del capitalismo, anzi ne sono una condizione necessaria.

La seconda questione, collegata alla prima: su quest’ottimismo e su questa fiducia era basata tutta la nostra visione del mondo. Fino alla Grande crisi, la società capitalista occidentale viveva con un potentissimo bias di percezione – lo stesso che la giornalista inglese Rose George, in un reportage dal principale ospedale di traumatologia di Londra contenuto nel suo libro Nine Pints, attribuisce agli abitanti delle grandi metropoli: la convinzione che a lei, proprio a lei, non potesse mai accadere nulla di male.

Ecco cosa ci è successo, dunque: venuta meno la certezza che la storia sia la marcia del progresso, non siamo più sicuri che gli orrori del passato non possano tornare indietro a tormentarci e che non possano nascerne di nuovi. Tutto è privo di senso e il mondo è caos. È questo che ci diciamo l’un l’altro con i nostri meme di inizio anno, con i post sulle «10 cose più assurde successe nel 2018» e gli altri modi in cui ripercorriamo i 12 mesi appena trascorsi sottolineandone i punti che ci fanno più strano, che ci causano più inquietudine.

Durante l’anno vediamo un evento alla volta, ma alla fine dell’anno, quando li mettiamo uno dietro l’altro, ce ne accorgiamo e ce lo diciamo: il 2018 è stato un anno assurdo e terribile, ancora più assurdo e terribile di quelli che lo hanno preceduto, e il 2019 probabilmente sarà ancora peggio. E facciamo meme e scriviamo post divertenti per esorcizzare, per dirci che «fino a qui tutto bene», nascondendoci dietro un’ironia che è un dispositivo di protezione per difenderci mentre ammettiamo che abbiamo paura. E dentro di noi ci chiediamo: «come siamo finiti in questo casino?»

Roditori nell’acceleratore di particelle del CERN

Una delle domande più frequenti che mi capita di sentire sull’attualità – dove per attualità ormai si intende l’assurdo casino che ci sta di fronte ogni giorno – è quella su quale sia stato il punto esatto in cui quel casino è iniziato. Dov’è che tutto è andato storto? Dev’essercene uno, perché solo pochi anni fa (vi ricordate?) eravamo qui a discutere delle gaffe di Renzi con l’inglese e della riforma sanitaria di Obama. Dov’è che il mondo ha cominciato a diventare quel palcoscenico assurdo e brutale che conosciamo oggi?

Anche in questo caso, in genere mi sembra che si cerchi una risposta a queste domande stando sempre dietro a un paravento di ironia – come se nessuno fosse disposto a prendere sul serio l’assurdo per non dover ammettere che è tragicamente reale. O almeno, questa è l’impressione che mi lasciano le diverse «teorie del complotto» sul tema.

La più famosa probabilmente è quella del cosiddetto «effetto Mandela»: all’inizio degli anni Dieci, la signora americana Fiona Broome ha scoperto che Nelson Mandela non era morto in carcere negli anni Ottanta come ricordava e – cosa importante – che lei non era la sola a ricordarsi la sua morte, anzi che moltissime persone erano convinte di averne visto i funerali in televisione. A partire da questo patrimonio di false memorie condivise, Broome ha elaborato una teoria: dev’esserci per forza un universo parallelo in cui Mandela è davvero morto in carcere, e un certo punto qualcosa è andato storto e quell’universo si è mischiato al nostro.

Ma quando è successo? Ce lo dice un’altra teoria che parte da una constatazione: la prima cosa veramente assurda a diventare realtà negli ultimi anni è stata l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Ergo, sicuramente le cose sono andate storte prima di quell’evento, non dopo. Ed ecco allora un tentativo di dare una data (o due) al momento in cui tutto è andato a rotoli: aprile o settembre 2016.

Il 28 aprile 2016, l’acceleratore di particelle del CERN – quell’enorme anello sotto le Alpi svizzere che per gli scienziati apriva «una nuova era nell’esplorazione dei segreti della natura» – si è spento improvvisamente. I tecnici andati a controllare hanno scoperto i resti carbonizzati di una donnola rimasta fulminata mentre masticava un cavo di alimentazione da 66kV. Nel settembre 2016 è successo di nuovo, con una faina e la stessa identica dinamica. Due mesi dopo, nel novembre 2016, Donald Trump ha vinto le elezioni americane. Solo una coincidenza? Può darsi.

Ma può darsi anche di no. E può darsi che a questi guasti (o agli esperimenti condotti al CERN, non è chiaro e non importa nemmeno tanto) dobbiamo quegli eventi identificati dalla signora Broome: lo slittamento del nostro universo su una timeline «sbagliata» – una linea temporale in cui accadono cose assurde con frequenza giornaliera, in cui un personaggio che dovrebbe fare i reality show fa il presidente degli Stati Uniti, in Brasile governa un fascista e il ministro dell’Interno italiano posta foto di gatti su Facebook.

Ovviamente non c’è alcuna base scientifica per questa teoria. È davvero il caso di specificarlo? Sì, se l’ha smentito persino un portavoce dello stesso CERN intervistato dalla CNBC. «Le ricerche del CERN catturano l’immaginazione di un sacco di gente e per questo compare in un sacco di libri e film di fantascienza, in tutto il mondo. Sono opere di finzione ispirate dalle nostre ricerche, create per stupire il lettore o lo spettatore, e non devono essere confuse con le vere ricerche scientifiche.»

La timeline sbagliata

Come dicevo, queste idee sono sempre avanzate con una certa ironia, ma è l’ironia con cui si legge l’oroscopo – razionalmente sai che non vuol dire niente e che i movimenti delle stelle e dei pianeti non hanno alcun influsso sulla tua vita, ma una parte di te comunque spera che Paolo Fox ti dica che avrai una settimana fortunata. Come dire che Dio non esiste ma tanto vale farsi dare l’estrema unzione sul letto di morte perché non si sa mai.

Quest’atteggiamento fa sì che ciò che di «ironico» dovrebbe esserci nell’idea della «Bad Timeline» o «Darkest Timeline» – come questo modo di vedere la realtà ha finito per essere chiamato – non sia per nulla ironico. È piuttosto un esorcismo che nasconde un profondo disagio esistenziale. Sappiamo che non è stato qualche esperimento del CERN venuto male o interrotto da qualche roditore a spostare il nostro universo su una timeline «sbagliata», ma vorremmo che fosse così per avere una spiegazione e qualcuno a cui dare la colpa.

Il problema di questi discorsi non è tanto che sono pura metafisica – che identificano il problema ma delegano la ricerca della causa a una specie di versione moderna del pensiero magico, con la scienza che prende il posto della magia. Mancano proprio il bersaglio iniziale: se proprio vogliamo parlare di timeline non dobbiamo considerarla «sbagliata». La timeline non è «sbagliata». Non è impazzita, si è corretta. A essere sbagliato è stato tutto il periodo precedente.

È vero, negli ultimi anni in Occidente sono saltati i paradigmi politici, le regole delle convivenza civile, i valori condivisi fondativi della nostra società – talmente introiettati che ci sembra stia crollando la società stessa. Al loro posto, vediamo riemergere i fantasmi di incubi che pensavamo di aver sconfitto per sempre – il nazionalismo, il razzismo, il fascismo. Ma guardando l’attualità senza teorie del complotto e senza fare ricorso al pensiero magico, non dovrebbe venirci in mente la donnola fulminata dentro l’acceleratore di particelle del CERN. Dovrebbe venirci in mente Gramsci. Dovrebbero venirci in mente quei «fenomeni morbosi» di cui parlava lui nel 1930, quando chiuso nel carcere fascista di Turi contemplava il mondo nel suo avviarsi spedito verso la seconda guerra mondiale. «La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati» scriveva.

Tutti i tweet sul CERN e i roditori morti e la timeline sbagliata e Donald Trump sono tentativi di riscrivere oggi quella frase. Non per niente il cadavere della faina che morendo ha bloccato l’acceleratore di particelle è finito impagliato in un museo.

La timeline giusta

«La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.» Sappiamo cos’è morto: l’ordine sociale che conoscevamo, l’articolazione democratico-progressista del liberalismo che (almeno per noi occidentali) è stata la confortevole bambagia in cui abbiamo vissuto negli ultimi decenni cullati da USA e NATO.

Fino allo scoppio della Grande crisi, quel mondo – o meglio, quell’ordinamento – si vedeva in trionfo: la fine della guerra fredda (vinta dai «buoni»), il potere del libero mercato e della democrazia che aveva sconfitto il suo ultimo grande rivale e si preparava a dominare su tutto il pianeta, per sempre. La breve fase della guerra al terrorismo, con la rinnovata estensione globale della giurisdizione americana, stava lì a ricordarci che era stato raggiunto il massimo stadio di centralizzazione politica in un impero universale su un pianeta che da quel momento in poi avrebbe vissuto un tempo regolato dai cicli del consumo e dell’obsolescenza programmata al posto delle fasi lunari e delle stagioni. La storia che andava dritta verso la sua fine.

Solo che anche questa convinzione era una forma di pensiero magico. Complice la luna di miele con l’ordine liberale, un pensiero non ci ha nemmeno sfiorato: che tutto questo riassestamento globale avesse poco o nulla a che fare con l’ordinamento democratico-progressista del mondo in cui vivevamo – e che anzi quest’ultimo non era una caratteristica intrinseca ma, semmai, uno strano ibrido partorito proprio da quell’enorme lotta di classe che era stata la guerra fredda. Che dunque quello che ci sembrava lo stato di natura non era la regola ma l’eccezione, e che non poteva durare.

La storia degli ultimi 25 anni è la storia del livellamento e della cancellazione di quell’eccezione. Negli ultimi 25 anni abbiamo assistito all’incessante erosione di tutte quelle cose che ritenevamo essere caratteristiche dell’ordine naturale in Occidente, come ad esempio il welfare state o i diritti dei lavoratori, proprio perché erano i figli ormai inutili di un periodo storico concluso. Negli ultimi 10, invece, siamo entrati in una fase – quella in cui vediamo emergere le forme politiche adatte a regolamentare la loro cancellazione.

Alcuni esempi, per capire cosa intendo. Primo: Jair Bolsonaro, il nuovo presidente fascista ex militare del Brasile. Bolsonaro ci fa paura come qualcosa di nuovo che ci ricorda qualcosa di vecchio, come il nuovo volto del fascismo. In realtà non è che una riedizione di un fantasma ben noto nel suo paese: la dittatura militare che han governato il Brasile fino al 1985 –praticamente l’altroieri. La parentesi democratica in Brasile è durata 35 anni: era forse la norma?

E ancora: Donald Trump, andato al potere coi voti dell’alt-right e dei bianchi incazzati, in paranoia, col mito della Rhodesia. Anche lui ci sembra qualcosa di nuovo, un populismo fascisteggiante che ha preso il controllo dell’unica superpotenza mondiale, ma dietro le maschera di cerone c’è solo la personificazione del solito, americanissimo regime di white supremacy, del paese i cui primi presidenti sono stati tutti proprietari di schiavi della Virginia, in cui l’apartheid era ancora in vigore negli anni Sessanta.

Ma guardiamoci in casa: poche settimane fa a Guazzora, in provincia di Alessandria, militanti di CasaPound sono intervenuti per stroncare lo sciopero dei braccianti di un’azienda agricola che reclamavano da mesi il pagamento degli stipendi. Il caso è passato praticamente sotto silenzio sui media nazionali, esattamente come meno di un secolo fa le camicie nere attaccavano le organizzazioni dei lavoratori nell’indifferenza e impunità delle istituzioni del regno d’Italia. Anche qui, è chiaro che la «repubblica democratica» in cui abbiamo vissuto dal 1946 a oggi è stata solo una parentesi, non la norma.

 

Buon 2019

Insomma, sarebbe bastato guardare la storia per accorgerci di come quella fede granitica fosse priva di fondamenta e, in definitiva, tenuta in piedi soltanto dall’entusiasmo – dalla fiducia, dall’ottimismo. E ora che quell’ottimismo e quella fiducia si sono dissolte, che quell’edificio è crollato, ci chiediamo: com’è possibile? Cos’è andato storto? Cerchiamo una risposta ma ha già risposto Gramsci: è andato storto che «il vecchio muore e il nuovo non può nascere».

Quindi, sappiamo cos’è morto. Cos’è che non può nascere e ci tiene bloccati in questo interregno, di cui l’anno appena iniziato farà sicuramente parte? Ancora una volta è la storia a venirci in aiuto con le sue ripetizioni.

Sappiamo quando è stato scritto quel famoso aforisma di Gramsci e cosa successe dopo, dinamiche straordinariamente simili a quelle che stiamo vivendo ora: l’ascesa dei fascismi come ideologia per reindirizzare le masse del primo mondo, terrorizzate all’idea che l’ordine mondiale garante dei loro privilegi possa finire, verso il socialsciovinismo; e poi, una terribile guerra per ricolonizzare intere parti del pianeta – perché è così che bisogna interpretare, con Losurdo, la seconda guerra mondiale e l’aggressione all’est Europa della Germania e alla Cina del Giappone.

Il vecchio ordine moriva; il nuovo, quello nato dalla rivoluzione d’ottobre, faticava a nascere: si cercava di strangolarlo in culla con l’intervento imperialista durante la guerra civile russa o le squadracce fasciste incaricate di distruggere le organizzazioni dei lavoratori. Se alla fine quel periodo di violenza senza precedenti nella storia umana ha potuto avere fine e partorire una forma di ordine che, seppure in modo precario e a prezzo di una grandissima e continua lotta di classe, ha presieduto per circa 70 anni a mastodontici processi emancipazione è stato perché alla fine, tra grandi sacrifici, il nuovo è stato partorito.

Quel parto ha avuto due conseguenze dirette: da una parte l’avvio di un enorme processo che ha portato alla fine dell’ordine coloniale e ha messo il secondo e il terzo mondo in marcia verso la fine del divario che li separa dall’Occidente fin dal momento della scoperta dell’America (un processo il cui completamento segnerebbe la conclusione di una lunghissima epoca storica). Dall’altra – e questa è la conseguenza che ci riguarda direttamente – la costruzione di quella che fino a pochi anni fa è stata la nostra realtà. La stessa che oggi rimpiangiamo vedendo quello che ci succede intorno, il metro di paragone con cui giudichiamo l’assurdità degli eventi che si verificano di giorno in giorno.

L’assurdo che vediamo oggi è quindi proprio la cancellazione del frutto di quel parto e proprio il fatto che ci sembra assurdo vuol dire che siamo ancora all’inizio del processo, perché abbiamo ancora in mente il termine di paragone. Come ha scritto Bifo, «un lungo periodo di violenza, guerra e demenza ci aspetta» – ed è senz’altro vero. Anzi, si potrebbe anche essere più radicali: ci aspettano violenza, guerra e demenza non come periodo eccezionale ma elevate a sistema, rese una «nuova normalità», un ritorno allo stato di natura. E se le vedremo sorgere non è perché la nostra timeline è impazzita come ci dicono le teorie metafisiche che creiamo per confortarci, ma perché si è corretta ed è tornata normale.

Qualche settimana fa, parlando della sua intenzione di riformare l’Unione Europea dall’interno, Salvini ha scritto che dialogherà con Angela Merkel per creare «un nuovo asse Roma-Berlino». Ho visto un meme con uno screenshot del suo tweet e, sotto, un ritratto di Stalin. Il bottom text era una frase ironica sull’aspettare il momento l’Armata Rossa entrerà di nuovo a Berlino. Il problema è che stavolta non c’è nessuna Unione Sovietica in grado di venire a salvarci.

Buona fortuna a tutti, buon 2019.