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L’opzione nucleare
La variante Omicron gli sta bene come un vestitino nuovo ai torvi vecchi bianchi che hanno voluto tenersi per sé tutte le fialette. Così il virus ha circolato liberamente nelle zone in cui la privatizzazione del sapere bio-tecnico rende inaccessibile il vaccino. E il virus è tornato più vispo che mai. Non tanto cattivo, però, a quanto pare: la variante Omicron è piccola piccola come il nome suggerisce, e non fa molto male; anche se tutto il sistema dei media ha ripreso a suonare la grancassa del terrore sanitario, anche se si sono bloccati i viaggi da molti paesi a molti paesi, in due settimane pare che questa variante circoli veloce, ma non ammazzi molti umani sul pianeta.
In compenso molti umani si ammazzano fra loro.
Alla High School di Oakland il quindicenne Ethan Crumbley ha ucciso a fucilate quattro suoi colleghi adolescenti. E Thomas Massie, membro del Congresso americano ha pubblicato una foto dell’intera famiglia con l’albero di Natale. Tutti i sette biondi grassocci familiari (moglie e figli) sorridono felici e imbracciano mitragliatrici e fucili di precisione. Il rappresentante del Kentucky ha commentato con la spiritosa scritta “Santa, bring ammo!”: Babbo Natale, portaci delle munizioni.
Il Presidente di quel popolo armato fino ai denti minaccia la Russia dell’opzione nucleare (i giornali la chiamano così) che consiste nell’escludere la Russia da SWIFT, codice di accesso al sistema finanziario internazionale. Timidamente l’Europa si accoda e sussurra: la Russia pagherà care le conseguenze di un’invasione dell’Ucraina.
Non so se Putin ha intenzione di mandare le truppe a Kiev durante il prossimo inverno. So che possiede il rubinetto del gas e potrebbe chiuderlo lasciando l’Europa al gelo, così vediamo come va a finire.
Il generale Budanov, capo dell’intelligence ucraina, ha dichiarato che le forze armate ucraine possono resistere non più di un’ora a una possibile invasione russa. Di conseguenza chiede all’Occidente di intervenire mandando armi e uomini ad appoggiare la democrazia contro la tirannia putiniana. “Non abbiamo risorse militari sufficienti a respingere un attacco della Russia se non abbiamo il sostegno di forze occidentali.”
Il mondo libero è dunque chiamato a difendere il nazionalismo ucraino, e Biden si trova di fronte a un dilemma pazzesco: dopo la disfatta afghana, dopo l’abbandono dei collaboratori lasciati nelle mani dei talebani, può l’Occidente lasciare solo l’alleato ucraino, dopo averlo spinto a sfidare lo Zarismo Restaurato?
Poiché spesso l’aggressività è un modo per contrastare la depressione, l’Occidente sta reagendo alla disfatta afghana con una nuova promessa di guerra, e questa volta non si tratta di mezze misure: forniture di armi ai nazisti ucraini, boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino, opzione nuclear-finanziaria contro Mosca. “Opzione nucleare” è una metafora, ma di metafora in metafora l’opzione nucleare comincia a far capolino sulla scena del secolo in un senso assai poco metaforico.
Dove cominciò la barbarie naziliberista
L’11 settembre del 1973, mentre un ciclo di lotte operaie e anticoloniali scuoteva il mondo nell’onda lunga del 1968, il colpo di stato del generale Pinochet contro il presidente socialista Salvador Allende, eletto dalla maggioranza dei cileni, inaugurò la barbarie naziliberista: l’eredità di Hitler e Mussolini si saldava con la filosofia della competizione assoluta e della selezione naturale propagandata dai nuovi economisti della scuola di Chicago.
Nell’evoluzione naturale il più forte, il più adatto all’ambiente è destinato a vincere, a costo della sottomissione o dello sterminio dei più deboli. Negli anni Settanta del Novecento, Darwin venne riproposto come teorico dell’evoluzione sociale, un passaggio che parve inconfutabile, ma che implicava una naturalizzazione della cultura umana che non appartiene al darwinismo e che cancella l’originalità stessa dell’esperienza che definiamo “umana”: specificità extranaturale del linguaggio, dell’estetica, dell’etica e dello stesso erotismo, inteso come eccesso (cioè come godimento dell’extranaturale).
Il social-darwinismo trascurava il carattere propriamente umano del linguaggio, della storia e dell’economia, e proponeva la legge della giungla come principio universale.
Dal 1973 la peste naziliberale si è diffusa nel mondo, sostenuta dalla potenza tecnica delle nuove tecnologie, dalla potenza militare degli Stati Uniti, e dalla potenza ideologica della sociobiologia.
Non si capisce nulla della trasformazione politica dell’ultimo quarantennio se non si coglie l’elemento specificamente nazista, specificamente hitleriano, che sta al cuore dell’evoluzione politica ed economica dell’occidente dal 1973 in poi: restaurare il dominio assoluto dell’impresa messo in questione dall’autonomia operaia, e restaurare la supremazia bianca sul mondo in cui la supremazia bianca era messa in questione dai movimenti anticolonialisti. Per realizzare questo duplice programma, l’Occidente scatenò un’offensiva economica che ha provocato un impoverimento delle condizioni di vita del proletariato mondiale, un dimezzamento del salario operaio e un’accelerazione mortifera del ritmo produttivo ed estrattivo.
E al tempo stesso scatenò un’offensiva ideologica di tipo razzista e nazista che giunge a piena maturità dopo il 2016, conquistando progressivamente l’intero Occidente.
Su questo sfondo si staglia oggi la vittoria di Boric, il candidato che tenta di rappresentare il movimento degli studenti, delle donne e dei lavoratori cileni. Una vittoria che è solo un fragile inizio, perché Boric non avrà la maggioranza nel parlamento, perché le forze armate e i carabineros sono quelli che hanno forgiato Pinochet. Ma che pur nella sua debolezza politica, può cambiare la percezione del futuro in maniera decisiva.
Là dove la barbarie naziliberista è cominciata, là essa può finire, se la Costituente saprà elaborare il principio della prevalenza dell’interesse pubblico nei servizi sociali, nella scuola, nella sanità, e se sapremo dare al processo costituente cileno un rilievo simbolico esemplare.
All’inizio del processo costituente, all’origine della vittoria di Boric, c’è stata la rivolta disperata ed extrapolitica dell’ottobre 2019. In tutti gli angoli del mondo dobbiamo saperlo: la tragedia che il capitalismo ha portato nelle nostre vite si può interrompere solo se sappiamo andare oltre la resistenza, se sappiamo mettere in moto processi di sottrazione massiccia alla logica dell’economia, se sappiamo fare della depressione una leva per lo scardinamento del ritmo produttivo e dell’ordine politico.
Mi permetto di sospettare che due anni di campagna di terrore ininterrotto, pur avendo forse salvato dieci milioni di vecchi bianchi, ammazzeranno cento milioni di giovani nei prossimi dieci anni.
In un incubo
Nel frattempo il terrore sanitario si intensifica. Moderna e Pfizer si sono già fatti avanti promettendo che in poco tempo possono produrre un vaccino per Omicron. Purtroppo (per loro) il virus è così piccolino che non ammazza quasi nessuno, ma forse Pfizer e Moderna possono convincere gli stati a finanziargli una nuova ricerca del tutto inutile, come inutili sono le innumerevoli ore televisive piene solo di iniezioni iniezioni e iniezioni.
Non vorrei che si pensasse che sono un no vax. Dio me ne scampi, sarei privato del diritto di andare al ristorante, di salire su un treno, di andare a lavorare, e fra un po’ anche di uscire di casa.
Non sono no vax, e penso che il vaccino sia utile per ridurre il pericolo virale. Ciononostante, penso che la terza dose sia il segno di un egoismo torvo dei vecchi bianchi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha preso posizione sul tema, dicendo che invece di super-vaccinare il mondo ricco sarebbe opportuno vaccinare il sud del mondo per evitare che il virus circoli variando a suo piacimento. Ma chi se ne frega dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: Pfizer e Moderna vogliono vendere a chi ha i soldi, e che il virus continui pure a circolare tra quelli che soldi non ne hanno. Se poi il virus ritorna mutato, tanto meglio: per Pfizer e Moderna la bonanza non finirà mai.
Pur non essendo no vax, mi permetto di sospettare che due anni di campagna di terrore ininterrotto, pur avendo forse salvato dieci milioni di vecchi bianchi, ammazzeranno cento milioni di giovani nei prossimi dieci anni. In tutto il mondo si parla di un aumento impressionante dei suicidi, e gli effetti psicosociali sul lungo periodo possono rivelarsi assai più gravi degli effetti immediati della pandemia.
Ai vecchi bianchi importa che i profitti crescano, e poco gliene importa che la prolungata campagna di terrore e distanziamento agisca come una sorta di bomba a tempo nella psiche collettiva. Abbiamo così creato le condizioni per una catastrofe psichica i cui effetti si dispiegheranno nel tempo colpendo i giovanissimi che si stanno affacciando alla vita affettiva come in un incubo.
Resistere bisogna ma non basta
Nel frattempo, l’aggressione ultraliberista si fa sempre più feroce: diseguaglianze in crescita vertiginosa, precarietà del lavoro sempre più estesa.
Occorre allora resistere?
La resistenza è necessaria, insopprimibile come l’istinto di conservazione della nuda sopravvivenza. La resistenza può talvolta bloccare progetti infami di liquidazione della vita sociale, ma in generale non fa che rallentare l’aggressione, posticipare l’esecuzione. La società è condannata a morte dalla ferocia delle classi proprietarie che la pandemia ha reso fameliche.
C’è modo di resistere?
Gli operai di GKN e di Whirlpool resistono. Lo sciopero generale del 16 dicembre convocato da CGIL e UIL è riuscito con l’80% di adesione tra i metalmeccanici.
Ma il governo più spudoratamente padronale di tutti i tempi se ne fotte di uno sciopero puramente dimostrativo. Nei giorni dopo lo sciopero, la risposta padronal-governativa è stata tracotante: il decreto anti-delocalizzazioni diventa un emendamento alla manovra che permette alle aziende straniere di delocalizzare pagando una piccola penale.
Il mandato del governo Draghi è distruggere definitivamente la solidarietà sociale, aumentare i profitti, permettere alle aziende globali di licenziare senza preavviso e sostituire i dipendenti con il lavoro precario.
Occorre rendere il conflitto quotidiano, occorre interrompere il flusso dello sfruttamento in tutti i modi, perché solo la forza può fermare la forza degli schiavisti del governo Draghi. Ma la forza della società è fiaccata dalla pandemia e dalla depressione.
La resistenza può rallentare la devastazione naziliberale, non può fermarla. Il ceto proprietario dispone di un ceto politico asservito, ignorante, miserabile. L’alternativa politica è diventata impensabile.
La resistenza è necessaria, ma fragile.
Il compito intellettuale del tempo presente non è capire come resistere, ma come interpretare la tendenza, e come rovesciarla. La tendenza è il collasso sociale, ambientale e geopolitico. Nessuno può arrestarlo. Dobbiamo accompagnare la tendenza, accompagnare il collasso, e trovare il punto in cui dal collasso un nuovo orizzonte si rivela.
Il virus ha scatenato il caos che ora si propaga alla geopolitica, all’ambiente e naturalmente alla vita sociale. Dobbiamo correre lungo la dinamica del caos, perché nell’abisso che il caos spalanca si trova il varco verso forme di sopravvivenza extra-sistemica, e di comunità autonoma.
La sola cosa che possiamo fare è prepararci al caos immaginando linee di fuga.
Il collasso psicotico della mente occidentale
L’ordine geopolitico si disgrega in modo accelerato, e i pericoli di guerra si moltiplicano. Precipita la catastrofe climatica, sfuggita al governo politico. Di conseguenza si estende il fronte della migrazione e si intensifica il genocidio dei migranti da parte dell’agonizzante super-armato potere bianco. Muri alle frontiere orientali d’Europa, filo spinato e cani lupo per difendere dai disperati la nostra criminale civiltà. L’Unione europea è sempre più simile all’Europa del 1941.
Il collasso psicotico della mente occidentale sta portando al collasso geopolitico globale. Dopo la disfatta afghana, la reazione degli Stati Uniti ha tutte le caratteristiche di una crisi di panico. L’organismo senescente dell’Occidente percepisce l’approssimarsi di una depressione psichica di proporzioni pandemiche, e per sfuggire al gorgo depressivo mette in scena una commedia isterica che rischia di concludersi in una tragedia colossale.
Nella prima settimana di dicembre, la crisi ucraina si è trasformata in uno show down aggressivo da una parte e dall’altra.
Putin ha ribadito che l’alleanza militare dell’Ucraina con l’Occidente è una linea rossa da non valicare, perciò non ritirerà le truppe schierate alla frontiera (174.000 uomini) fin quando non avrà la certezza che la NATO non dispiegherà uomini o armi al suo confine. Biden promette di reagire in caso di invasione, ma dopo Kabul nessuno può fidarsi degli americani.
E proprio per questo Biden non può cedere.
Solo in termini psicopatologici possiamo decifrare questa dinamica geopolitica. La disfatta afghana ha fatto precipitare la percezione di un declino ineluttabile, la prospettiva di una depressione epidemica, e ora la mente occidentale reagisce con una psicosi panica che potrebbe preludere a un atto suicidario.
Nulla può interrompere la dinamica di questo incrocio di deliri paranoici, la sola cosa che possiamo fare è prepararci al caos immaginando linee di fuga.
La psicodeflazione e le alternative di soggettivazione
Se questo è il panorama geopolitico tendenziale, quali notizie giungono dalla sfera della soggettività sociale? Quale effetto imprime la pandemia sulle attese di mondo, sullo psichismo sociale, sull’immaginazione di futuro?
La prolungata campagna di terrore mediatico, il distanziamento sociale, l’interiorizzazione della paura hanno creato le condizioni di una disabitudine al contatto, di una sensibilizzazione fobica al corpo del vicino e prima di tutto alle labbra. L’erotismo si paralizza, sgretolando il piacere della socialità.
Il trattamento sanitario obbligatorio imposto all’intero corpo sociale ha creato condizioni di guerra civile biopolitica, una violazione sistemica dell’habeas corpus. Da qui dobbiamo partire per capire e ridefinire le nostre categorie politiche e terapeutiche.
Nella deriva pandemica io vedo diffondersi un’onda psicodeflattiva: sgonfiamento dell’energia psichica, rallentamento dell’immaginazione, quasi paralisi del corpo collettivo. Ma in questo abbassamento del ritmo, in questa paura del contatto che il virus ha provocato, diverse linee di fuga si stanno delineando.
Da tempo la maggioranza dei popoli ha cominciato a seguire una linea di fuga fascista: aggressività identitaria per reagire alla depressione incombente.
Si tratta di trovare una linea di fuga autonoma, e questa passa per la via psico(schizo)analitica dell’elaborazione collettiva della sofferenza mentale.
Ciò di cui vi è urgente bisogno è un movimento di riattivazione dell’erotismo collettivo, di rimodellazione delle attese di mondo. Che vita sappiamo immaginare nei tempi del collasso psicotico dell’Occidente?
Il denaro non può rianimare una società permeata dalla depressione, e percorsa da ondate di panico e di furia demente.
Economia e psicosi depressiva
Seguo con attenzione le opinioni che Paul Krugman espone sul New York Times, perché lo considero uno degli economisti più lungimiranti e onesti. Ma è un economista, e i limiti epistemologici del suo sapere gli impediscono di vedere quello che sta succedendo. Pare infatti che per un economista tutto debba essere spiegato in termini di economia: le fluttuazioni del mercato, lo scendere e il salire del salario, l’inflazione, il tasso di interesse. Tutte cose importanti, per carità.
Per una famiglia di lavoratori conta molto che il salario aumenti e che la sua capacità di acquisto sia stabile. Ma se l’analisi del mondo in cui viviamo si riduce a valori quantificabili economicamente, corriamo il rischio di non capire l’essenziale dei processi in corso. Prendo ad esempio l’articolo che Krugman ha pubblicato sul New York Times di qualche giorno fa. Lo spunto sono due ricerche del Bureau of Labor Statistics, i cui risultati sorprendono Krugman spingendolo a farsi delle domande cui non riesce a trovare risposta. Krugman parte affermando che il panorama economico americano appare molto buono, anzi sembra che, dopo la contrazione del 2020, ci si trovi di fronte alla migliore ripresa economica da decenni.
Eppure, da quel che si evince leggendo i risultati delle ricerche, sembra che i consumatori si sentano molto abbattuti, e questa percezione negativa dell’economia finisce per pesare sulle preferenze elettorali per il presidente Biden. Capisco benissimo che Krugman, appassionato difensore del Partito Democratico e sostenitore di Biden, si rammarichi del fatto che la performance del suo presidente sia stata finora disastrosa sia in politica estera (disfatta di Kabul, provocazione insensata contro la Cina, e adesso contro la Russia), sia nella realizzazione del suo megapiano finanziario che è stato dimezzato e ha perso per strada quasi tutti gli obiettivi di carattere sociale (gratuità dell’educazione prima di tutto).
Ma l’economia va bene, dice Krugman; l’occupazione è salita a livelli pre-lockdown, la macchina della crescita va a pieno ritmo, i consumi energetici sono risaliti (provocando tornado e preparando nuovi incendi).
Ma allora, si chiede Krugman: “Hanno ragione i consumatori? Dobbiamo dire che questa economia è cattiva, nonostante i dati che dimostrano che è molto buona? E se in effetti non si tratta di un’economia cattiva, perché la maggioranza dice il contrario?”
Bella domanda. Perché i lavoratori americani, che dovrebbero rallegrarsi per l’enorme aumento dei profitti e per i minuscoli aumenti anche dei loro salari, continuano a tenere il muso, a essere nervosi e scontenti?
Krugman prova a darsi una risposta con gli strumenti di cui dispone: “i prezzi che aumentano hanno certamente eroso gli aumenti salariali, anche se il reddito personale pro capite è ancora al disopra dei suoi livelli pre pandemici. Ho l’impressione che l’inflazione abbia un carattere corrosivo sulla fiducia anche quando i salari stanno salendo, perché crea la percezione che le cose siano fuori controllo”.
L’inflazione, ecco trovata una causa economica dell’ansietà. Ma davvero pensa Krugman che i consumatori (che poi non sono consumatori, ma esseri umani con una vita che non si riduce a incassare denaro ed a spenderlo) siano di cattivo umore perché pare che l’inflazione stia rifacendo capolino?
In un lampo di intelligenza trans-economica, il Krugman scopre che si ottengono risposte diverse quando si chiede alla gente: “come stai?” piuttosto che “come va l’economia”. Ma poi il povero Krugman non riesce a sviluppare questa intuizione, e torna a tormentarsi sulla bontà dell’economia nonostante un poco di prevedibile inflazione. Ed eccolo sbottare in un grido di disperazione: “In poche parole il giudizio pesantemente negativo sull’economia è in contrasto con ogni altro indicatore che si possa pensare [economico naturalmente, NdT]. Allora, cosa sta succedendo? È importante mantenere la prospettiva. Questa è un’economia veramente molto buona anche se c’è qualche problema. Non permettete ai predicatori di sventura di dirvi che non è così”.
Ora, qual è il punto che il povero Krugman non riesce a vedere? Il punto è, in my humble opinion, che l’esperienza degli ultimi anni e particolarmente l’esperienza del virus, della paura, della morte, ha permesso alla gente di pensare alla vita in termini che non si risolvono nella sicurezza del posto di lavoro (che peraltro è del tutto aleatoria).
Il vecchio adagio “it’s the economy, stupid” andrebbe riscritto: “it’s the psychology, stupid.” Il collasso psicotico neutralizza la forza dell’economia. Molti si sono chiesti: perché dedicare tutta la vita al lavoro mal pagato (o anche pagato abbastanza) quando quel lavoro non ha senso, ti deprime, ti svuota e ti allontana dagli altri? Perché vivere in condizioni di umiliazione permanente?
Molti se ne sono andati: quattro milioni e mezzo di lavoratori americani hanno abbandonato il loro lavoro. Hanno rassegnato le dimissioni.
Molti invece si sono intruppati nelle orde di Trump e dei predicatori evangelici.
Molti hanno preso Fentanil e Oxicontin fino a morire di overdose. Alcuni prendono la mitragliatrice del padre e vanno a scuola ad ammazzare mezza dozzina dei loro colleghi.
Tutto questo sfugge decisamente alla scienza economica di Krugman, ammesso che di scienza si tratti. Ma il divenire del mondo, in my humble opinion, si svolgerà lungo le linee prodotte dal collasso mentale piuttosto che lungo le linee dell’economia. Di fronte alla morte, al panico e alla depressione, il denaro perde la sua potenza.
Se ne accorgeranno presto gli illuminati piloti automatici formatisi alla Goldmann Sachs. Credono che il denaro possa tutto, ma sbagliano.
Il denaro non può rianimare una società permeata dalla depressione, e percorsa da ondate di panico e di furia demente.
Il denaro non può vincere contro la rassegnazione organizzata, perché rassegnarsi all’impotenza della volontà politica permette l’attivazione di una sensibilità apocalittica, e perciò egualitaria e frugale.
Solo da questa sensibilità all’apocalisse potrà riemergere la capacità di immaginare che ora è paralizzata.