Potere ai timidi

Sulle orme dell’Introfada, una (silenziosa) chiamata alle armi rivolta agli introversi, agli appartenenti allo spettro autistico, ai timidi, ai reclusi e a tutte le vittime della dittatura degli estroversi

Prima di essere un brillante e graffiante esempio di speculative fiction, Introfada, di Hamja Ahsan (Shy Radicals nella versione originale del 2017, pubblicato in italiano per Add nella traduzione di Piernicola D’Ortona), è innanzitutto un manifesto: una «chiamata alle armi» rivolta agli introversi, agli appartenenti allo spettro autistico, ai timidi, ai reclusi, a tutti i reietti e agli esiliati (volontari o meno) dal palcoscenico estroverso del mondo. Lo stesso termine «mondo», d’altronde, è il prodotto di una secolare cultura di matrice estroversa. Nel pensiero occidentale moderno e proto-moderno, il mondo è ciò che è pulito, ordinato e ammirevole, ma anche ciò che è illuminato e rischiarato dal sole, posto dinanzi a tutti, in totale visibilità. Una tradizione filosofica legata all’universalismo dei bisogni, dei desideri e delle forme di vita, ma anche all’apparire e all’«essere-nel-mondo» come sinonimi di esistenza ‒ in opposizione al pensiero introverso, intimista ed essenzialista che aveva connotato buona parte della filosofia greca e della scolastica medievale (elaborazioni nelle quali l’accademia, il giardino, l’eremo e il monastero hanno rappresentato dei veri e propri nodi di resistenza politica ed esistenziale). 

Non c’è da meravigliarsi che il concetto di mondo sia stato accompagnato, attraverso tutta la modernità, da quello di ek-stasis, ossia di «fuoriuscita» della coscienza dall’involucro corporeo; involucro che, a sua volta, dipenderebbe fondamentalmente ‒ nelle sue più recondite funzioni ‒ da tale tendenza all’apertura e all’avventura. Non vi è pensiero senza percezione, non vi è riconoscimento di sé senza che vi sia incontro con l’altro, né vi può essere mondo senza che tali elementi si intreccino e sovrappongano tra loro, dando luogo a un processo di individuazione. 

Uscire da sé, uscire di casa o dalla propria cameretta, per divenire compiutamente umani, per esistere a tutti gli effetti; l’esistenza (nell’apertura) precede l’essenza (nella sua chiusura). Tale determinazione filosofica, ma anche artistica e politica, ha dominato ‒ anche in virtù della sua estrema immediatezza, nonché della stretta affinità con la prosocialità umana ‒ ogni forma di vita occidentale, finendo per essere veicolata (come l’alcool o la peste) in Asia, in Africa e nelle Americhe, attraverso le invasioni colonialiste. Tali invasioni, d’altra parte, non sarebbero state neppure immaginabili in assenza di una configurazione «espansiva» della realtà: il mondo ‒ occidentale ed estroverso ‒ si espande, DEVE essere espanso, al fine di abbracciare quanti più individui possibile, a costo di violare la volontà e le fragilità di questi ultimi. 

Vogliamo «fare del mondo il nostro angoletto».

Non è forse questa anche la regola fondamentale dell’accumulazione capitalista, con le sue PR, i consigli di amministrazione, le vedette e l’imprenditoria in quanto esibizione di un sé vorace, vincente, alla moda e in costante aggiornamento? E non si tratta anche, in fin dei conti, dell’obiettivo limite della ricerca tecnologica? La creazione di un’intelligenza artificiale che simuli l’essere umano o, meglio, l’estaticità, l’espansività, la flessibilità, la mondanità e la proprietà di linguaggio di un’umanità astratta, modellata sull’universale estroverso. (HAL9000: il pensatore stoico, l’osservatore silenzioso e riflessivo, il cosmonauta introverso che ispira soggezione, diffidenza e sospetto).

L’introfada è, di conseguenza, una lotta senza esclusione di colpi, una guerra totale diretta contro il mondo, mossa in nome di un universale concreto e incarnato, quello introverso ‒ nel quale confluisce la miriade di soggettività che vanno a comporre lo stato (tanto ideale quanto geopoliticamente materiale) dell’Aspergistan. Un separatismo feroce, volto alla costruzione di un luogo tranquillo e silenzioso, un posto sicuro nel quale poter trovare accoglienza e rifugio (e nel quale, va da sé, anche gli appartenenti allo spettro autistico, gli individui afflitti da disabilità uditive o da disturbo bipolare, possano coltivare i propri tempi, i propri spazi e le proprie relazioni). Vogliamo «fare del mondo il nostro angoletto».

Come afferma Dominic Fox (autore di Cold World, opera incentrata sul potenziale militante della depressione e dell’emarginazione): «Shy Radicals si dispiega in accordo con gli echi di un sé invisibile, sfidando apertamente le convenzioni dell’autopromozione estroversa, esattamente nella misura in cui tale sé possa essere infine riconosciuto e ascoltato. L’ho letto ritrovando me stesso tra le pagine, con un senso di attonita identificazione ‒ con risentimento, ma anche con una sorta di gioia furibonda».

Il limite estremo dell’introfada è la distruzione del mondo, del fondamento teorico-pratico sul quale il capitalismo e il patriarcato ‒ fenomeni estroversi, fatti di individui «alpha» e «beta», discorsi tenuti da un pulpito e competizioni pubbliche seguite da umiliazioni rituali ‒ si sono trionfalmente innalzati. Per raggiungere questo obiettivo, ispirati dalla proliferazione di gruppi, cellule e organizzazioni introverse in ogni dove, ci siamo risolti a fondare la Cellula Romana Introversi&Asperger.

La copertina dell’edizione italiana di Introfada, progetto grafico di Federico Antonini

Critica del suprematismo estroverso negli ambienti militanti

La ragion d’essere della costituzione di cellule di Militanti Introversi ‒ quale quella che ci accingiamo a fondare, nell’ombra e nel silenzio ‒ è, pertanto, da ricercare nella totale «egemonia» che il suprematismo estroverso ha imposto all’interno degli ambienti della «militanza politica»; eventualità che ci fa avvertire la necessità, anche in veste di mera provocazione, di proporre un separatismo radicale.

Vi capiamo, sia ben chiaro: niente riesce a far aggregare i neurotipici come far partire della musica e ballare dimenticando tutto ‒ né mai ci sogneremmo di mettere in discussione le forme con cui soggettività e minoranze (specialmente quelle non eterosessuali e cisgenere) si «empowerano». Ma non vorremmo che alla fine, come quasi sempre accade, le forme aggregative diventino il mezzo attraverso cui gli alpha delle comunità si distinguono dai beta. Ad oggi, per una soggettività nello spettro autistico, la parte mainstream di un Pride (al netto della questione del recupero effettuato dal rainbow capitalism), può rivelarsi un’esperienza costantemente sul filo del meltdown ‒ trattandosi, nè più nè meno, di una discoteca semovente. Per questo motivo vogliamo offrire uno spazio sicuro, silenzioso e calmo per tutt* coloro i quali ‒ lesbiche, gay, bisessuali, uomini e donne trans ‒ non rientrano nel novero dei neurotipici alpha. 

Val la pena notare che, ad oggi, sul piano prettamente statistico, il gruppo degli appartenenti allo spettro autistico, tra tutti i gruppi basati su caratteristiche non direttamente afferenti al campo della sessualità e dell’identità di genere, sia quello con la più elevata percentuale di persone che si identificano come non etero e/o non cisgenere. È ora che anche ess* possano usufruire di una narrazione diversa da quella dei chiassosi e sudati club berlinesi. Lo stesso vale anche per le persone dello spettro asessuale, affinché non siano più escluse – persino sul piano discorsivo – da una sex positivity che finisce per celebrare unicamente una sessualità orgiastica (necessariamente estroversa), e che mutila ogni forma di intimità di tutti coloro i quali si ritrovano più a loro agio a farsi i grattini con il proprio «significant other» nel buio delle loro camerette. Siamo stufi, noi introvers*, di dover ingurgitare alcool e pasticche ai vostri rave, per farci piacere a tutti i costi la musica «appalla» e per costringerci a ballare forzosamente.

Se ci inoltriamo al di là dell’ambito del divertimento, poi, le cose non sembrano andar meglio: cortei ed assemblee in cui detta la linea «quello che se impara a parlà» (guarda caso quasi sempre maschio, eterosessuale, cisgenere… ed estroverso), netta divisione tra alpha e beta, spintonamenti continui per mettersi in mostra e compiacere il capetto di turno.

Dinanzi a tutto ciò si è reso necessario segnare una linea netta, fondando cellule introverse che costruiscano una «ferrovia sotterranea» verso la Repubblica dell’Aspergistan, per salvare i nostri fratelli e le nostre sorelle.

E lasciare deserte le vostre assemblee.

Una testimonianza di militanza introversa

In conclusione a questo testo ci sentiamo in dovere di allegare la seguente lettera anonima (scritta chissà quando e chissà in quale buia cameretta) pervenutaci tramite i potenti flussi dell’infosfera timida:

«Recentemente ho letto Introfada, un libro che mi ha stupito per una ragione che potrebbe apparire strano sia causa di stupore: parla di me, un maschio bianco sensibile e timido. Mi ha colpito però perchè Hamja Ahsan non parla di quello che sento in quanto timido in una perenne e costitutiva relazione con un Altro migliore, non manchevole, più degno. Non tratta quello che vivo in rapporto a come dovrei viverlo per stare “meglio”. Che poi meglio per chi? 

Sono tre mesi che ho smesso di bere: non che fosse per me un grande problema morale farlo eh! Non ho smesso né per la salute (prima dico addio all’esistenza estroversa di questo mondo e meglio è per tutti) né per i soldi; l’ho fatto invece perché sono stanco. Stanco di dover trovare un mezzo forzoso per poter sostenere una socialità che non mi provoca altro che disagio. Stanco di sentire continuamente di essere meno degli estroversi, di dover annaspare in interazioni vacue e di facciata per colmare un vuoto d’immagine. E tutto questo per cosa? Per far finta di non essere quello che sono: un timido. Per accettare supinamente il fatto sociale che un timido per stare “bene” in questo mondo estroverso dovrebbe o non essere timido o quanto meno alterarsi per mascherare la propria indole. Ma cosa volete da me? Perché mi assillate? Perché dovrei piegarmi a una socialità basata sulle vostre regole? Che mi include a costo di pormi sul gradino più basso della vostra piramide sociale? Tenetevela tutta per voi questa gerarchia carissimi estroversi, io non ci tengo più ad accalcarmi per i vostri avanzi, per le vostre briciole (o braciole? forse tutte e due visto che quest’ultime tendono a essere popolate da un’assortita umanità estroversa. Chi non annovera tra i propri peggiori incubi quelle pasquette in cui si ritrovava a strafogarsi di cibo e alcol, facendo finta di ridere ed essere partecipi a quei rituali suprematisti).

Il vostro è un ricatto bello e buono e dopo la lettura di Introfada non ho più alcun motivo per accettarlo. Ho capito che non sono solo, c’è un’enorme quantità di timidi come me. Ho capito di essere oppresso (proprio io? Bianco? Maschio? Occidentale? Ebbene sì!) come lo sono gli altri timidi. E non abbiamo altro strumento per stare bene nel mondo che creare le nostre condizioni per una socialità libera dai vincoli imposti dagli estroversi: libera dal mettersi in mostra, libera dal rumore, dalle luci accecanti, dagli spazi soffocanti, libera da limitazioni che non hanno niente di naturale e sono invece il frutto maturo di un mondo forgiato a immagine e somiglianza degli estroversi.»

Chissà che fine ha fatto, il poveretto… In questo stesso momento, magari, starà partecipando a un noiosissimo aperitivo (per carità! A partecipazione assolutamente «volontaria») con i colleghi di lavoro; o forse sarà stato trascinato a una partita serale di calcetto, di quelle alle quali «non sei mai venuto manco ‘na vorta, mamma mia che pesaculo»; o peggio ancora.

È tempo di insorgere contro la barbarie e la falsa coscienza estroversa. Introversi di tutto il mondo, unitevi ‒ quieti, e con discrezione ‒ cospirate, reclamate il vostro angoletto. Non avete null’altro da perdere che le vostre uscite obbligatorie, e null’altro da fare se non sovvertire, in modo silenzioso ma deciso, un mondo che vi sottopone costantemente ai suoi spazi stretti, rumorosi, accecanti: in una parola, invivibili.