Osama Bin Climate Change

Storie del XXI secolo: cosa lega l’11 settembre alla compagnia di idrocarburi più inquinante al mondo

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«Il XXI secolo inizia l’11 settembre 2001» è una frase sensata. Il XXI secolo è iniziato l’11 settembre perché quel giorno la variante saudita della Grande Accelerazione, quello che in Italia chiamiamo boom economico, ha seminato una delle ossessioni (culturali, sociopolitiche, psicologiche) degli ultimi vent’anni. Che sarebbe lo scontro tra «Occidente» e «Islam», presupposti – con somma stupidità – come monoliti.

Anche il 13 novembre 2015 è una delle date di cui ci serviremo per ricordare questi decenni. L’ossessione torna periodicamente ad appestarci, noi bianchi e bianche spesso di famiglie cattoliche. Bataclan, Comptoir Voltaire, Le Petit Cambodge: ricordo che quella sera di quattro anni fa le mie prime reazioni furono tutto tranne che lucide; l’avevo vissuta e la ricordo come una questione personale – erano passati pochi anni da quando frequentavo quelle strade, nel semestre passato a Parigi. 

Comunque: una newsletter, soprattutto una newsletter concentrata sull’emergenza climatica, non è lo spazio adatto per picchettare una ricostruzione del jihadismo negli anni Dieci, e lo sarebbe ancora meno se partissi dagli anni Cinquanta dell’ultimo secolo, come fa Le altissime torri, un saggio di Lawrence Wright (in Italia per Adelphi, traduzione di Giovanni Ferrara degli Uberti). Eppure gli anni Cinquanta mi tornano spesso in mente; sono appunto gli anni dell’Accelerazione, dopotutto oltre il 75% delle emissioni di CO2 nell’atmosfera si è verificato tra il 1945 e oggi, e gli abitanti delle città sono passati da 700 milioni a 3 miliardi e mezzo. 

In quegli anni le strutture economiche e sociali avevano una strana qualità plastica, le forme che prendevano si sarebbero sclerotizzate e mostrificate con il passare del tempo. Le classi sociali certo non sparivano ma si ricalibravano, le infrastrutture collegavano i centri alle periferie delle nazioni, si costruiva di tutto, ovunque. 

Scrive Lawrence Wright che la Grande Depressione di fine anni Venti (come passerà alla storia, la nostra? la «Crisi del 2008»? Ho visto che ora la tempesta che ha devastato le foreste venete viene chiamata Vaia –  battezziamo i traumi quando siamo a distanza di sicurezza) aveva mutilato anche l’economia del Regno di Abd al-Aziz, che si sarebbe unito pro forma soltanto nel 1932.

Accettando il disperato invito del re, Karl Twitchell, un geologo americano, era giunto in Arabia nell’aprile di quell’anno per fare ricerche miranti a trovare acqua e oro. Non trovò né una né l’altro, ma ritenne che poteva forse esserci del petrolio.

È dall’incontro tra un re e un geologo che nasce l’Arabian American Oil Company (cioè l’Aramco), che nasce l’Arabia Saudita per come la conosciamo, la guerra fredda tra Arabia Saudita e Iran, Al-Qaeda e Condoleeza Rice e Michael Moore, e la rete tragicomica dei rapporti tra l’Italia e il Regno e gli altri paesi, dall’omicidio Kashoggi alle finali di Coppa Italia.

«Sono stato allevato come un operaio, e mi piace lavorare e vivere insieme con gli operai», disse Mohammed bin Awad bin Laden. Il padre di Osama venne assunto dall’Aramco come muratore e iniziò ad arricchirsi come il suo committente, tanto e presto, grazie a progetti che erano troppo modesti per essere gestiti direttamente da Aramco e Bechtel, una multinazionale americana specializzata nelle grandi opere. Dopo pochi anni fonda la Società Mohammed Bin Laden e viene notato dal ministro delle Finanze. Ed è così, costruendo una rampa che permettesse ad Abdullah bin Suleiman di raggiungere in auto la sua camera da letto, che Bin Laden entra negli appalti della famiglia reale, costruisce il primo edificio in cemento di Riyad e diventa ministro onorario dei Lavori Pubblici.

A metà degli anni Cinquanta in Arabia Saudita non esistono le strade. Le prime inizia a costruirle la Società Mohammed Bin Laden (poi Saudi Binladin Group), che si diversificherà in Binladen Kaiser (progettazione e costruzione), Binladen Emco (blocchi prefabbricati per moschee, ospedali, stadi ecc), Bin Laden Telecommunications Company e altre società miste.

Morto re Abd al-Aziz, il figlio Saud «dominato da una vera e propria frenesia edificatoria» appalta al gruppo Bin Laden la costruzione di «palazzi, università, oleodotti, aeroporti»; il padre di Osama insomma costruisce il Novecento nella penisola arabica. Nel 1954 Riyad diventa la capitale e Bin Laden progetta la sede del governo, delle ambasciate e delle autostrade che servono a una capitale.

Nel 1957 nasce Osama Bin Laden.

La Grande Accelerazione ha preso l’Arabia Saudita e l’ha stravolta; la famiglia Bin Laden, il padre di Osama, ha incanalato le energie della trasformazione, costruendo la spina dorsale del Regno.

È in quegli anni che al Saudi Binladin Group viene assegnato l’appalto per ristrutturare il centro del pianeta, il cubo costruito da Adamo e ricostruito da Abramo insieme al figlio Ismaele, progenitore degli arabi, lo spazio nero che assorbe tutte le preghiere musulmane. L’ammodernamento della Kaaba, e della Grande Moschea della Mecca che la circonda, prenderà vent’anni di lavoro, per un costo totale di oltre 18.000.000.000 di dollari.

La Grande Accelerazione ha preso l’Arabia Saudita e l’ha stravolta; la famiglia Bin Laden, il padre di Osama, ha incanalato le energie della trasformazione, costruendo la spina dorsale del Regno; un salto nel vuoto che ha stordito il paese e ha contribuito all’esasperarsi delle contraddizioni, alla diffusione di un radicalismo religioso da cui è disceso lo scontro – riassumendo e semplificando – tra Islam preindustriale e progressista. Ci sono degli esempi che nella loro brevità inchiodano questo conflitto, a volte anche lirici, si trovano nell’Afghanistan degli anni Ottanta, invaso dall’Unione Sovietica.

Abdullah Azam, una classica figura jihadista che univa al suo carisma una devozione profonda e un fervore irriducibile, attraverso la preghiera e la poesia arruolava i suoi «guerrieri santi» (= mujahidin):

Dipingeva gli afghani come i rappresentanti dell’umanità originaria: (…) in questa guerra i credenti erano aiutati dalle mani invisibili degli angeli. Azzam raccontò di elicotteri russi intrappolati con semplici corde, e affermò che stormi di uccelli funzionavano come un sistema radar di allarme precoce, levandosi in volo quando gli aviogetti sovietici erano ancora al di là dell’orizzonte.

Nell’elogio del poverismo afghano l’incrocio tra la tecnologica sovietica e la natura preumana si apre al realismo magico jihadista:

Quando un diletto mujahid spirava, l’ambulanza si riempiva di un ronzio d’api e di un cinguettio di uccelli, anche se si trovava nel deserto afghano nel cuore della notte. Dissepolti un anno dopo la loro morte, i corpi dei martiri odoravano tuttora di fresco, e il sangue continuava a spillare. Il cielo e la natura mano alleati nello scacciare gli invasori senza Dio. Angeli a cavallo si tuffavano nella battaglia, e le bombe venivano intercettate da uccelli che correvano davanti ai jet per formare una volta protettiva al di sopra dei guerrieri.

Mosso dalle parole di Azzam, che venera, Osama Bin Laden diventa lo sponsor dei cosiddetti Afghani d’Arabia, poco più di tremila giovani spesso senza famiglia o prospettive, alienati e radicalizzati nello scarto tra speranze e opportunità, com’era già successo in altre zone del mondo e come tornerà a succedere.

Tra elemosina, preghiera perpetua e digiuni settimanali alcune pagine della biografia di Bin Laden sembrano ricalcare quelle dei santi medievali. La sua venerazione per Azzam è ricambiata dallo sceicco, che non ha mai conosciuto qualcuno dalle abitudini così monastiche, neanche tra i manovali giordani, dice. Per anni Bin Laden è stato un miliardario che viveva in una grotta, dormiva per terra, mangiava riso e agnello nelle giornate buone. A proposito di grotte: a metà anni Ottanta, cercando un nascondiglio per raccogliere gli armamenti da distribuire tra i comandanti afghani, viene individuato il fianco settentrionale di una catena montuosa vicina al passo Khyber, si chiama Tora Bora (= polvere nera). Bin Laden ne allarga le caverne con i caterpillar ereditati dal padre, le macchine che hanno costruito l’Arabia Saudita, e da quelle caverne condannerà a morte gli Stati Uniti.

Tra il 2016 e il 2018, un barile ogni otto al giorno pompati globalmente proveniva dalle raffinerie di Aramco.

E tutto questo, con quali soldi? Con i soldi degli angeli, volati dall’edilizia saudita sponsorizzata Aramco. La stessa Saudi Aramco che negli ultimi cinquant’anni ha pompato 60 miliardi di tonnellate di CO2 nell’atmosfera: quasi il 5% delle emissioni di anidride carbonica degli ultimi 50 anni è sua responsabilità. È la compagnia di idrocarburi più inquinante al mondo.

Tra l’ultima MEDUSA e quella che stai leggendo c’è stata una novità: Saudi Aramco ha annunciato che tra novembre e dicembre si quoterà in borsa, in quella che viene già definita la «IPO del secolo» (sarà valutata più di Shell BP, Google, Walmart e Netflix insieme). Patrick Collinson del Guardian riassume così la notizia: «per il modo in cui funziona l’industria dell’asset management, virtualmente ogni dipendente privato con uno schema pensionistico lo vedrà riempirsi, nei prossimi mesi e anni, di azioni Aramco – che gli piaccia o no». Storie del XXI secolo per come lo conosciamo.