Non Human Riot, 1977-2020

Stiamo assistendo a una rivolta innescata da non umani: è possibile che da qui si possano riscrivere le regole del nostro rapporto con l’altro da noi?

Cospirare vuol dire respirare insieme e di questo siamo accusati, vogliono toglierci il respiro perché abbiamo rifiutato di respirare isolatamente, nel proprio asfissiante luogo di lavoro, nel proprio rapporto individualmente familiare, nella propria casa atomizzante.
1977

Io resto a casa.
2020

La rivoluzione e la rivolta sono due strategie distinte, da un  punto di vista storico-concettuale, cronologico e strategico. Secondo Joshua Clover la rivolta è un tipo particolare di conflittualità sociale che mette in un rapporto antagonistico due gruppi sociali. Di base si tratta di un conflitto attorno al possesso o a controllo di una proprietà. Il legame fra i gruppi in conflitto è costituito da un valore, e, all’interno di un’economia di mercato, dal prezzo. La rivolta mira alla riequilibrazione dei prezzi e dei valori. Nel Medioevo e nel Rinascimento europeo le rivolte prendono la forma di lotte per l’abbassamento dei prezzi del grano. Ma in questo caso il grano, il pane e quindi il nutrimento sono i significanti di un significato più astratto: il giudizio di valutazione sul valore della vita umana. 

Un tipo di strategia diversa è quella dello sciopero: in questo caso si ha un luogo – la fabbrica, una richiesta specifica – l’aumento del salario e il miglioramento delle condizioni lavorative e un tipo sociale – l’operaio industriale che vende se stesso e il suo tempo come merci. 

La rivoluzione, invece, è interpretabile in vari modi: come l’unificazione delle istanze corporative di rivendicazione, come un mito, come una forma di organizzazione del tempo che segue una rivolta prolungata e come secolarizzazione dell’escatologia cristiana. Secondo Laclau e Mouffe nel corso della storia del marxismo ottocentesco e novecentesco si è sempre più raffinata l’idea che la rivoluzione non sia un evento destinale, ovvero che non si tratti di una semplice combinazione meccanica di alcuni fattori economico-sociali, ma che questa debba essere costruita attraverso l’organizzazione di un’egemonia culturale. In questa prospettiva post-marxista, la manifestazione storica di un vero Evento Rivoluzionario, è esclusa. La società è troppo frammentata e inerte perché si possa sviluppare un cambiamento radicale di ogni istituzione. Quello che ci è concesso di sperare è solamente una lotta continua per l’armonizzazione delle forze in gioco. 

È noto che il concetto di rivoluzione, prima di spostarsi nella sfera dell’azione politica, fosse una nozione astronomica, descrittiva del movimento di un corpo celeste attorno ad una centro gravitazionale. Si trattava quindi della descrizione di una regolarità fisica, la previsione delle traiettorie dello spostamento dei corpi celesti. Esiste un’altra nozione che ha subito una mutazione semantica: quella di catastrofe. Per Aristotele il termine ha una chiara funzione narratologica: indica l’esito imprevisto e (di norma) luttuoso di una tragedia. Catastrofe significa anche «atto violento, imprevisto», non più legato alla sfera del discorso poetico, ma in riferimento alla sorte individuale o collettiva. 

Catastrofi e sollevamenti

Il Terremoto di Lisbona del 1755, con la sua estensione di dieci milioni di chilometri e il suo effetto devastante sulla popolazione e sulle costruzioni umane, ha segnato un momento di cambiamento epistemico nella relazione fra pensiero e catastrofe. L’idea che i rapporti fra le varie gerarchie del cosmo conosciuto fossero armonici si dissolve. Filosofi come Kant e Voltaire giungono alla conclusione che non vi è armonia sulla terra, e che il male che l’umanità subisce non è di origine divina, e non redimibile.  

Terremoti, inondazioni, pestilenze e carestie non sono l’effetto dell’azione di demoni non umani, come i cavalieri dell’Apocalisse, ma rientrano nella crudele e gelida concatenazione di causa-effetto, nella fisica così come nella geologia. 

Nel catalogo della mostra Soulèvement-Uprisings lo storico dell’arte/filosofo francese Georges Didi-Huberman connette l’irruzione improvvisa di una rivolta al lutto. Ogni riduzione della nostra potenza di agire, della nostra libertà, della nostra dignità e della nostra autodeterminazione lascia una traccia dentro la nostra anima. I torti si accumulano, individualmente e collettivamente, perfino a livello epigenetico e neurologico. Le sconfitte e le umiliazioni, afferma il Realismo Capitalista, sono semplicemente errori individuali. Le sconfitte e le umiliazioni, controbatte la fiamma della rivolta, sono ferite inflitte da un nemico che ha un volto e un nome. L’aspetto diacronico e sincronico di una rivolta fanno sì che ciò che era oscuro, complesso e inintellegibile diventi di colpo semplicissimo. Ci ricordiamo dei torti che ci ha preceduto ha subito e li leghiamo alla nostra lotta. Ci accorgiamo che il danno che noi subiamo è diffuso, e ci riscopriamo compagni e compagne nel lutto. 

Il fuoco, le rivolte e i virus si diffondono per contagio, trasformando specie eterogenee in un comune denominatore omogeneo.

Agni il distruttore

Questa fase di nigredo collettiva conferisce ai nostri sensi, così come a quelli del malato di melanconia, una dote profetica, in grado di prevedere lo svolgersi drammatico di una sequenza di eventi. «Io vedo chiaro / d’una chiarezza allucinante» (Majakovskij). La nostra albedo non è però una superstiziosa mantica dei signa temporis, ma la glaciale consapevolezza della possibilità razionale della nostra stessa estinzione. La rubedo assume per noi il significato politico della fiamma di Agni il distruttore, il dio induista del fuoco e del sacrificio. Evocato da Elias Canetti in Massa e Potere, il dio Agni è lo strumento della rivolta, perché opera annichilendo le barriere che separano gli enti. Il fuoco è l’arma del sabotaggio, perché elimina il surplus, ed erode i confini delle proprietà e delle merci. Rendendo ogni cosa cenere, il fuoco rende possibile il passaggio alla rubedo, la comunione assoluta delle cose. 

Il fuoco, le rivolte e i virus si diffondono per contagio, trasformando specie eterogenee in un comune denominatore omogeneo. 

Demoni e contagi

La componente non umana delle catastrofi è materia di speculazione demonologica. I demoni della tradizione occultistica medievale sono spiriti sottili ed aerei. Lo stesso Satana, in origine il dio babilonese Pazuzu, vive nel vento occidentale, e governa le locuste e le carestie. Parlare di contagio memetico o di epidemiologia delle rappresentazioni significa parlare di demoni, non umani e virus. 

Nel 1632, a Loudun, piccolo comune della Nuova Aquitania, nel bel mezzo di un’epidemia di peste, una monaca orsolina dichiara di aver visto un demone, una sfera nera che si aggira nel convento, portando follia e blasfemia. Il contagio mentale si diffonde, ed altre sorelle confermano la visione della monaca; in seguito, un curato viene accusato di aver compiuto un patto demoniaco. Costui viene processato in modo spettacolare da un tribunale ecclesiastico e i gesuiti sfruttano questo evento di contagio mentale per imbastire una strategia di comunicazione controriformista e antiprotestante. Trasformano gli esorcismi in spettacoli pubblici e ritualizzano un evento di psicosi collettiva in uno strumento di persuasione collettiva. 

Nel novembre del 1793, anno secondo dalla Rivoluzione Francese, viene inaugurata una Festa della ragione, nella quale agli antichi culti religiosi viene sostituita una venerazione della filosofia e della Libertà. Tuttavia l’effige della ragione ha ancora il volto di Atena, divinità non umana della sapienza. Non è così facile sbarazzarsi di dèi e demoni: ancora oggi, milioni di fedeli indù e musulmani si radunano presso le festività di Kumbh Mela e di Arbaeen, per purificarsi e per rendere tributo ai loro dei. Nel recente Vivere con gli dèi, il direttore del British Museum, Neil MacGregor, traccia una storia culturale della materializzazione delle forze non umane. Statue, amuleti, pitture, pellegrinaggi e templi costituiscono ancora, per milioni di fedeli, il segno materiale di uno o più referenti non umani, che agiscono concretamente vegliando, punendo o intensificando la vita delle persone. Il processo di purificazione delle entità non umane, come la rivoluzione, non è mai completabile.

Non possiamo mai emendarci completamente dall’agency dei non umani, dalla loro ingerenza nelle nostre vite. Gli eventi catastrofici, di carattere fisico, meteorologico o sociale funzionano come degli attrattori per le forze non umane. Così, nel corso della rivoluzione haitiana del 1791, l’unificazione religiosa degli schiavi in una cerimonia voodoo precede lo sviluppo della lotta politica. Nei cosiddetti swing riotsdel 1830, in Inghilterra, i contadini che lottano contro l’automazione del loro lavoro resa possibile dall’introduzione delle trebbiatrici, inviano a loro padroni delle lettere di intimidazione firmate Captain Swing, un’entità collettiva come Ned Ludd, che simboleggiava l’unificazione e la mitologizzazione di un insieme di torti subiti.  

Non Human Agency

Potremmo definire grossolanamente la categoria di «premodernità» come quel tipo particolare di ontologia nella quale l’agency dei non umani ha il potere di causare effetti nella sfera fisica, sociale e culturale. Diverso è il modello del materialismo storico, dell’ermetismo, e dell’esistenzialismo, nei quali solo l’umanità – la specie homo – è capace di plasmare il mondo e la sua essenza, perché, a differenza degli altri esseri viventi e non viventi, non è schiacciata dalle leggi naturali. 

In Humankind Tim Morton si interroga sul rapporto fra marxismo, ecologia e teoria dell’agency. Ad un certo punto del testo si può trovare una frase che recita: «bellezza significa essere infestati [haunted] da un’altra entità». Criticando le idee di Evento, Azione e Natura, Morton afferma che l’epoca dell’Antropocene richiede uno sforzo strategico e immaginativo alla nostra specie. Così come per MacGregor l’intera storia dell’umanità è infestata da déi e demoni, per Morton l’esistenza di una specie è sempre attraversata da contratti extra-specifici. La distinzione fra agire ed essere agiti, fra alienazione e rivolta diventa sfumata, e le categorie centrali della praxis diventano la spettralità e il contagio. 

Rileggendo le pagine di Morton dedicate alle modalità di comprensione ed alle strategie di azione politica all’interno della rete delle relazioni biologiche e chimiche che l’Antropocene rende sempre più visibili, mi sono ricordato di un’opera d’arte molto disturbante che avevo visto cinque anni fa alla Biennale di Venezia. L’opera si chiamava My Epidemic (Small Bad Blood Opera), curata da Lili Reynaud Dewar, e presentava dei grandi pannelli colorati che contrapponevano delle frasi poetiche e politiche su temi controversi riguardanti quella che sbrigativamente potremmo chiamare «biopolitica». In particolare, una serie di frasi mettevano in contrapposizione la voce di una persona che aveva contratto il virus dell’HIV e praticava sesso penetrativo non protetto con quelle di un ipotetico pubblico che denunciava l’immoralità di un tale gesto. La voce recitava questi versi: «Cosi sono venut_, silenziosamente, per incontrare questo gruppo dei gruppi, questa società profilattica, di un secolo melanconico, di un secolo moralistico […] Sono venut_ da sol_, non protett_, sono venut_ apert_ per incontrarvi […] Sono la mente oscura che non riuscite a vedere, Noi siamo molt_ e quando ci mescoliamo, quando entriamo in fusione, quando veniamo, non siamo nomi, siamo un unico, movente, anonimo corpo, siamo molt_ siamo una specie porosa». A questo dichiarazione, la società rispondeva: «Assieme siamo al sicuro, costituiamo una soffice, ampia membrana protettiva, una mente protettiva, contro le paure e contro i fluidi».

Quello che cinque anni fa non sapevo è che la voce che proclama la volontà di infettare il prossimo sta menzionando il bugchasing, ovvero, la pratica di intrattenere rapporti sessuali con persone che hanno contratto l’HIV per essere infettate. Le ragioni che stanno dietro a questo gesto autolesionistico sono molte, e non è questa la sede per discuterne. Quello che mi premeva sottolineare è che la voce narrante sembra connotare il gesto dell’infezione di una sorta di superiore intimità, precarietà e comunità dei corpi. Per quanto non registrata nel DSM, esiste nella letteratura psicologica una particolare parafilia legata all’attrazione sessuale ed affettiva per il contagio, la sindrome di Samo. Tecnicamente si tratta di una patofilia (attrazione per la sofferenza) e di una nosofilia (attrazione per la malattia). Stiamo parlando di una patologia, e quindi di un comportamento e di un desiderio aberrante, che caratterizza delle condotte e delle pulsioni individuali. Eppure, se metto a confronto le frasi disturbanti di My epidemic con alcuni passaggi di Humankind di Morton, o con Making It with Death di Nick Land, trovo un comune sostrato, che, per mancanza di altri termini, potrei chiamare xenofilia. Non si tratta di una semplice pulsione di morte, anche se ha certamente degli aspetti in comune con la caratterizzazione freudiana, è qualcosa di diverso: una fascinazione per il contagio, un desiderio di infezione. 

Tutta la recente ondata di theory che tratta questioni biologiche ed ecologiche, e lo sviluppo di un certo pensiero dell’inumano, anti-naturalista, vorrebbe pensare e praticare una rottura con lo human security system. Morton chiama «agrilogistica» quel complesso ontologico che ha portato la nostra specie a stabilire delle barriere immunitarie contro l’invasione delle specie non umane. Specie che, per un altro verso, incarcerava, uccideva o sfruttava. 

Il libro chiave di questi mesi di epidemia è Spillover di David Quammen, uno studio dettagliato degli agenti patogeni di origine zoonotica, e delle varie cause socio-economiche che governano la diffusione di virus i cui portatori sono specie selvatiche con le quali l’uomo entra in contatto a seguito di ondate progressive di antropizzazione di biomi precedentemente incontaminati. 

Dicevo che l’aspetto inquietante della sovrapposizione delle pagine di Humankind di Morton con il monologo nosofilico di My epidemic diventa ancora più pregnante nell’ascoltare le dichiarazioni di immunolog_, rianimatori e rianimatrici ed in generale del personale medico. Quando Morton afferma che la nostra relazione con i non umani deve superare la logica politica della distinzione schmittiana fra amico e nemico, dice qualcosa che, a livello etico e psicologico, sembra inaccettabile in questi giorni. D’altro canto, ancora nel 2002, nell’analisi del paradigma immunitario, Roberto Esposito usava le armi della critica filosofica per demistificare l’affinità del lessico immunologic con quello bellico. 

La solidarietà con la non umanità dei virus, con il loro potere di distruggere la vita e i legami sociali, di rendere deboli le menti, di far scoppiare i mercati finanziari, di bloccare la produzione, appare, in questo momento, la trasgressione più stupida e odiosa. 

Nel 1977 si diceva «cospirare vuol dire respirare assieme», oggi l’asfissia è un prodotto dello stare assieme.

1977-2020

Abbiamo sempre pensato che le rivolte fossero un effetto dell’agire collettivo degli umani, un destino, poi una lotta continua. Ora è chiaro che i non umani hanno un ruolo nelle rivolte, in questo caso quello di esacerbare le contraddizioni e di rendere visibile, cristallina, l’ideologia. Il nostro ’77 potrebbe essere il 2020. Afferma Žižek nel suo libro ongoing sul Coronavirus

«[…] l’aspetto centrale su cui riflettere è il triste fatto che occorre una catastrofe perché impariamo a ripensare le più elementari caratteristiche della società in cui viviamo […] Non sfuggirà la suprema ironia del fatto che quello che ci ha uniti e ci ha spinto alla solidarietà globale trova espressione nell’ambito della vita quotidiana nelle prescrizioni che vietano contatti ravvicinati con gli altri o impongono addirittura l’auto-isolamento».

In altre parole, l’agency non umana del virus, situata nello stesso slot strutturale e cognitivo dei poteri demoniaci e dell’intervento punitivo divino, opera come acceleratore temporale e come una sostanza nootropa che rende più efficiente la nostra comprensione delle contraddizioni ecologiche, lavorative e sociologiche. 

Nel 1977 si diceva «cospirare vuol dire respirare assieme», oggi l’asfissia è un prodotto dello stare assieme. Nel 1977 i corpi ricoprivano gli spazi pubblici, oggi le città sono deserte, a parte i medici, le guardie e il lavoro. Il ‘77 è stato una festa orgiastica, un saturnalia, oggi balliamo una danse macabre. Nel ‘77 si espropriavano i supermercati, oggi si sta in fila a un metro l’un_ dall’altr_.

Quello a cui stiamo assistendo in queste settimane di quarantena, è forse una «mutazione della composizione molecolare dell’organismo sociale», per usare le parole di Bifo. Stanno cambiando i sogni, le forme di vita, l’organizzazione del lavoro, le paure e le prospettive. Tuttavia, ci sono delle forze che vorrebbero resistere a questa mutazione, con armi antiche, forse ancora efficaci, anch’esse esasperate dalla mutazione. 

Ci sono molteplici cause che hanno condotto alla diffusione dell’epidemia in Italia: la volontà di replica dei virus, le specie che li ospitano, il contatto con la nostra specie, l’antropizzazione, l’inserimento di specie sempre più selvagge nei wet markets di Wuhan, la rete dei voli internazionali, l’inquinamento della pianura padana, gli errori di valutazione sulle misure contenitive, i tagli alla spesa pubblica nel settore medico, i tagli alla ricerca medica, e, infine, il famigerato contatto sociale. Può sembrare un paradosso, ma quando Diego Fusaro è invitato a parlare di guerra batteriologica degli americani e di natura artificiale del virus (no, non lo metto il link), ha colto, in maniera complottista ed errata, la struttura culturale del contagio. In altri termini: è vero che la diffusione del virus ha un’origine antropica, anche se è falso che questo sia stato un fenomeno volontario. O, per meglio dire, è falso attribuire una causazione essenzialista, cioè identificare un colpevole con un volto ed un’intenzionalità precisa. 

Per questo l’idea dell’agency spettrale di Morton risulta così inquietante e disturbante, perché ci mette nella condizioni di approfondire l’aspetto etico della solidarietà con i non umani. L’imperativo «io resto a casa» implica un dovere di cura nei confronti di una rete di parentele prossime, della cittadinanza e degli operatori e delle operatrici del settore medico. Ma come possiamo quantificare il grado di cura che in questo momento abbiamo nei confronti dei non umani? Stiamo parlando degli animali domestici, delle specie selvagge, di dei e demoni, dei virus? Possiamo aver cura di ciò che non percepiamo, non capiamo e che ci è ostile? 

Le varie reazioni di rabbia nei confronti di chi trasgredisce il decreto governativo si fermano all’ultimo anello della causalità dell’epidemia, quello prossimale e visibile. Tuttavia la rabbia è reale, e si accumula, come l’insieme dei torti e dei lutti che stiamo subendo, come il panico. Sono questa rabbia e questo panico, uniti alla volontà di accelerare i tempi e produrre una rottura radicale che fanno sì che molte persone si trovino ad esprimere le loro sensazioni, le loro interpretazioni e la loro solidarietà con gli altri. Una rivolta innescata da non umani, che potrebbe riscrivere le regole dei rapporti fra umani e i non umani.