Quale morale per la tecnosfera

Il dominio dell’algoritmo conduce all’entropia: e allora come reagire all’uso amorale delle tecnologie computazionali?

Pubblichiamo un estratto da Il primato delle tecnologie. Guida per una nuova iperumanità, a cura di Carlo Bordoni, ringraziando l’editore Mimesis per la disponibilità.

Con lo sviluppo della cosiddetta «intelligenza artificiale», e in particolare dei veicoli a guida autonoma e del loro «comportamento» in caso di incidente, alcuni si interrogano sulla possibilità di inserire prescrizioni «morali» in prodotti automatici e robotici. Ma cosa significa essere morale? È la capacità di saper distinguere, in assoluto, il bene (o il buono) dal male (o dal cattivo).

Perché «in assoluto»? Perché significa indipendentemente da qualsiasi interesse particolare, cioè in una scala all’infinito che comprende tuttoholon.

Che cos’è il tutto? Non è l’universo nella sua totalità, ma la località macrocosmica che costituisce il luogo e l’ethos del vivente; un macrocosmo di cui il vivente noetico che noi siamo – l’autore assieme ai lettori di questo articolo – è responsabile in coscienza, avendo il dovere di decidere del suo futuro e, con esso, di quello di tutto il vivente. 

Tuttavia, una decisione di questo genere deve essere considerata:

– da un lato, come una biforcazione, attraverso la quale il vivente è in grado di evolversi per differire sempre e nuovamente, ossia altrimenti, il predominio della seconda legge della termodinamica. 

– dall’altro, come tale biforcazione possa avvenire solo in via deliberativa attraverso l’attuazione di un’attività noetica, di un pensiero che si prende cura di ciò che pensa [pense] – e in tal senso, lo assiste [panse].

Una tale concezione dell’essere morale è stata sviluppata da Arnold Toynbee a partire dal lavoro di Vladimir Vernadsky.

(Qui è necessaria una precisazione: situarsi al di là del bene e del male significa: al di là della loro opposizione, e non cancellare la loro differenza, che è una différance – la différance noetica tra bene e male. Ho sviluppato questo aspetto in Qu’appelle-t-on panser? 1. L’immense regression, 2018).

L’essere amorale, benché si tratti di un umano, è considerabile come inumano. Un essere umano può sempre essere anche inumano, è ciò che ho cercato di far capire parlando, più che dell’essere umano, dell’essere-non-inumano – sempre in grado di diventare un essere-inumano. 

Se è vero che ciò che viene chiamato «essere umano» è soprattutto un essere-artificialmente-organizzato, e se è vero che ogni artificio è principalmente un pharmakon, allora l’essere «umano» è primordialmente un essere-non-inumano, cioè un essere farmacologico, poiché sempre suscettibile di rivelarsi come essere-inumano – dove il bene o il buono si rivelano essere il male o il cattivo. Qui il verbo essere, legato all’aggettivo sostantivabile «umano», significa innanzitutto non essere inumano e quindi poterlo essere e dunque poter non essere (umano). Parliamo dell’essere non-inumano per indicare ciò che l’umanità dovrebbe essere, ma che non è.

Essendo il più inquietante (il deinoteron di Antigone, 333) perché costituito dalla possibilità dell’hybris, l’essere non-inumano sopravvive ora, in questo «presente» dove nulla sembra in grado di presentarsi, in un essere-immondo che non fa epoca, dove diventa di conseguenza inumano e dove nulla si presenta in altro modo, se non nella forma e nella probabilità del peggio.

Venticinque anni prima della pubblicazione del Warning to Humanity del 13 novembre 2017, già da un anno e mezzo, dicendo «presto sarà troppo tardi» (e tutti pensano: «Ma non è già troppo tardi?»), con lo stesso titolo era stato firmato un avvertimento di questo genere da parte di 1.525 scienziati. Da allora non è successo nulla che permetta di sperare – a eccezione del recupero dello strato di ozono, per effetto di una decisione internazionale.

Abbiamo compreso il significato? No, non l’abbiamo capito. E questo perché è impossibile: comprenderlo renderebbe qualsiasi altra preoccupazione irrimediabilmente impercettibile e vana. Comprenderlo significherebbe andare incontro alla vanità in quanto tale, cosa che è possibile sperare solo al di là della propria morte, cosa che sembrava meritare cura e attenzione in assoluto e non sarà distrutta fino alla fine dei tempi. 

Ciò che affermo qui può essere più che tragico. È così che l’essere non-inumano compie un passo verso ciò che sta irreversibilmente al di là del tragico stesso: nell’immondo come possibilità imminente della fine del mondo.

Se l’intesa è effettivamente ciò che proviene dall’intendimento [entendement], cioè dalla comprensione (così come la parola francese entendement, che connota anche l’intesa nel senso dell’accordo, mentre in inglese è understanding, ciò che sta sotto, e che i tedeschi chiamano Verstand), qualcosa qui supera l’intendimento: questo qualcosa richiama la ragione in quanto non è solubile nell’intelletto [entendement].

È un’inquietudine cosmica che convoca la ragione al di là di ciò che l’intelletto [entendement] vuole e può intendere, ed è impressionante intendere gli Avvertimenti del 1992 e del 2017, che riecheggiano il coro di Antigone, con una sorta di Warning to Mortality – dato che per Sofocle l’umanità rappresenta la comunità dei mortali. Questo deinoteron ci ricorda in un senso che non è più solo quello di una tragedia che si sarebbe rappresentata, ad esempio, a Epidauro, il cui anfiteatro è molto vicino al tempio di Asclepio, il dio del pharmakon nell’antica Grecia – e la cui tragica struttura spinge Nietzsche a riconsiderare tutta la storia del pensiero occidentale da questo punto di vista dimenticato e represso.

In questo teatro, che nel XX secolo è diventato un cinema, superando il tragico e passando per la Kulturindustrie, ogni fatto, ogni factum, come fatum dei mortali, cioè degli esseri esosomatici, è il fatto stesso di un facere sempre fazioso, artificiale, arbitrario, proveniente da una violenza: da un deinon preso in un processo di esosomatizzazione sfuggito a chi lo gestisce.

Il deinon dell’esosomatizzazione significa che l’essere esosomatico è sempre capace di hybris, esposto in questo al fatale, al fatum di questo factum, il fatto dei mortali che colpisce e stupisce Alfred Lotka nel 1945. Proprio nel momento in cui si evidenziano le conseguenze inumane della guerra sulla forma di vita non-inumana, come già previsto in un testo pubblicato nel 1922 (Contribution to the Energetics of Evolution), dopo la prima guerra mondiale. Nello stesso momento in cui Paul Valéry meditava sulla mortalità delle civiltà in preda della crisi dello spirito. Nel 1945 Lotka avanza la tesi di una specifica evoluzione esosomatica dell’uomo, che da sola rende immaginabile una tale potenza distruttiva e richiede di riconsiderare le condizioni della forma di vita esosomatica.

«La moralità apparve nella biosfera nello stesso momento della coscienza. Insieme, la coscienza e la moralità costituiscono una modalità di esistenza – la modalità spirituale – che non era precedentemente rappresentata nella biosfera»

Su questo teatro, che è diventato un cinema, annunciato nel Libro VII de La Repubblica, e che finalmente sarà tele-visto – scatenando l’hybris distruttiva del Welt e degli Umwelten come questa teleologia delle tele-tecnologie, al pari dei reality televisivi che hanno generato il Presidente Donald Trump – da questa tele-visione, ora combinata con l’intelligenza artificiale reticolare, di cui Twitter è diventata la piattaforma, il deinon, come violenza di portata cosmica che abita il deinotaton, si proietta ormai sulla scena della località biosferica nella sua interezza. Attraverso le reti esosferiche e folgoranti di ciò che forma il Gestell [impianto] terrestre nell’immensità del cosmos, all’interno dello stesso sistema solare a sua volta localizzato e datato nell’immensità dell’universo. 

Una folgorazione che rappresenta un’escatologia – in questo universo che si riconosce sulla Terra dal 1929 sempre in continua espansione, cioè in divenire e in via di «raffreddamento». Questa località terrestre costituisce nel cosmo un microcosmo relativo al macrocosmo, che è lo stesso sistema solare. Fu chiamato biosfera da Vladimir Vernadsky nel 1926. A oggi la biosfera è l’unica località dell’universo a noi nota in cui si trovi la vita – endosomatica o esosomatica. La località biosferica è un macrocosmo dal punto di vista delle specie viventi unicellulari e pluricellulari. Il cosmico è dunque ciò che costituisce i luoghi (topoi), da cui si dipartono punti di vista relativi ad altri punti di vista, che a loro volta sono costituiti su diverse scale.

La fine del mondo è sempre intesa in due sensi non semplicemente opposti, ma bipolarizzati: il mondo può scomparire, come fine del mondo, e deve trovare un fine (una finalità «protenzionale» = prossima) che differisca questa fine. Tale è oggi (cioè dopo la seconda legge della termodinamica) il contenuto di ogni reale considerazione della finalità, cioè della moralità – e la questione della causalità finale dal punto di vista esosomatico, tanto che, nella località terrestre, dove si è formata la biosfera quattro miliardi di anni fa, è apparso da due, tre o quattro milioni di anni, ciò che avrebbe portato a quello che nell’antica Grecia e nella sua lingua si chiama noesis: il pensare

Arnold Toynbee suggerisce che dobbiamo pensare alla noesis come attributo di una coscienza morale primordiale e come cura (panser) di una tendenza irriducibile del pensiero (come «coscienza») a corrompersi – una tendenza e una controtendenza che costituirebbero la morale come funzione della biosfera: «Un essere cosciente può essere perverso mentre un essere non cosciente non può esserlo… Un essere cosciente può essere virtuoso pur essendo in grado di essere perverso… La moralità apparve nella biosfera nello stesso momento della coscienza. Insieme, la coscienza e la moralità costituiscono una modalità di esistenza – la modalità spirituale – che non era precedentemente rappresentata nella biosfera» (Il racconto dell’uomo, 1976).

Cosa significa qui «spirituale»? Significa noetico. Queste osservazioni richiedono una nuova genealogia della morale di cui ho tentato di delineare i contorni in Qu’appelle-t-on panser? 1. L’immense régression (2018).

È un linguaggio (coscienza, morale) che sembra obsoleto. Eppure riteniamo che Toynbee, che leggiamo assieme a Nietzsche, Vernadsky, Canguilhem, Leroi-Gourhan e Lotka, rinnova notevolmente questo linguaggio: cerca di imparare la morale da un punto di vista cosmico, come specifico di un’età della biosfera, costituendo così una località (sulla Terra) in una località più ampia (il sistema solare), in una determinata età della biosfera, che sarebbe apparsa con gli ominidi, che Toynbee situa «Attorno ai venti o venticinque milioni di anni fa».

Questo linguaggio non è più obsoleto se coniugato con quello di Lotka che collega la comparsa di ominidi alla produzione di organi esosomatici. Con la specie umana, scrive Lotka, «L’evoluzione… ha seguito un percorso completamente nuovo. Invece di un lento adattamento della struttura anatomica e della funzione fisiologica nella successione di generazioni per selezione naturale [sopravvivenza selettiva], si è ottenuto un maggiore adattamento attraverso uno sviluppo incomparabilmente più rapido di ausili artificiali [artificial aids] del nostro apparato recettore-effettuatore nativo, in un processo che potrebbe essere chiamato evoluzione esosomatica». (Elements of Mathematical Biology, 1956).

Il gioco altamente variabile a seconda della specie dei rapporti tra recettori ed effettuatori è costituito da un anello senso-motorio invariabile ed endosomatico, che forma il circuito descritto e disegnato da Jakob von Uexküll nel 1934.

Con l’evoluzione esosomatica, tuttavia, il ciclo senso-motorio diventa cosmico attraverso ciò che Paul Klee cerca di pensare e curare allo stesso tempo come «Via non ottica e dinamica di partecipazione cosmica» e come «via non ottica di comune radicamento terrestre» (Teoria della forma e della figurazione, 1970).

Questa via non ottica, che non è nemmeno chimica (come nel caso dell’acido butirrico che innesca il riflesso irriflesso della zecca tramite il suo recettore), è esosomatica – e perciò diventa ora esosferica – e, di conseguenza, questa via è sempre compromessa e perversa, in quanto l’organo esosomatico è sempre un pharmakon

Che questo pharmakon richieda un’attenzione è quanto sembra essere la preoccupazione primaria dell’essere esosomatico, quando l’esosomatizzazione diventa ipomnestica in senso stretto (nel senso di homo sapiens sapiens, come Georges Bataille chiama, da Huizinga, l’homo ludens – cioè durante il Paleolitico superiore.) La noesi si verifica qui come ciò che permette la formazione di loop esosomatici che formano spirali attraverso il cui intreccio si forma quello che ho chiamato altrove circuiti di transindividuazione.

Sempre provvisori, tali circuiti sono anche cumulativi, cioè storici in un senso che non fa più parte della Storia Naturale, costituiscono pansements, cioè terapie. L’essere non umano deve prendersi cura di se stesso e del suo mondo coltivando la dimensione con cui sperimenta la differenza locale e precaria del suo microcosmo e del suo macrocosmo, come si manifesta e mantiene localmente e sporadicamente il sentimento dell’insieme – dell’«assoluto».

Con quello che ora si chiama Antropocene, l’essere non-inumano ha perso il significato di questa prova: è diventato indifferente, immondo e inumano. Questa è l’«era della post-verità».

Questa indifférance è una denoetizzazione causata dalla proletarizzazione generalizzata. È questo stato di fatto senza diritto e profondamente demoralizzato che si manifesta e tenta di designare quella che oggi viene chiamata l’era della post-verità. Che un tale destino sia possibile, e che sia possibile considerarlo, e quindi promettere un’altra fine del mondo – una nuova finalità che rifarebbe mondo – è ciò che può essere concepito e realizzato se non a condizione di riconsiderare completamente questo destino dal punto di vista esosomatico. È solo in questa prospettiva che la questione di una moralità macchinica può avere senso – e a partire dal fatto che tutta la morale tende a imporsi automaticamente, cioè macchinicamente, formando un ordine negantropico che deve però essere sempre in grado di diramarsi anti-antropicamente. La «morale» può così essere codificata e sterilizzata, mentre l’etica che non lo può mai, torna a fecondarla.

Quando ci chiediamo come un veicolo autonomo possa essere programmato in modo intelligente in caso di incidente, essendo questa intelligenza una facoltà morale (parte di quella che Kant chiamava la facoltà di desiderare), mettiamo, come si dice, il carro davanti ai buoi: è solo perché il tutto è considerato come tale, cioè in modo assoluto, e situando così nell’assoluto (cioè nel diritto) le parti al suo interno, e non solo di fatto, essendo il fatto la possibilità di calcolo, è solo così che è possibile mettere in discussione la macchina morale sulla base della nostra stessa moralità, dunque senza scaricare la nostra responsabilità di fronte all’imminente fine del mondo.

La considerazione di Toynbee per la morale deve essere intesa come la considerazione di Vernadsky per la biochimica nella biosfera – la sottile pellicola che ha gradualmente coperto la litosfera sotto l’atmosfera negli ultimi quattro miliardi di anni.

Per Vernadsky, la vita sulla scala della biosfera deve prima di tutto essere concepita come un processo chimico specifico: la geochimica è, rispetto alla scala della biosfera, una biochimica che produce molecole non esistenti altrove nell’universo. Questa produzione è il risultato della radiazione solare che fornisce l’energia biochimica di una trasformazione della materia esposta al bombardamento fotonico, che Schröndinger descriverà diciotto anni dopo la pubblicazione de La Biosfera come entropia negativa.

Credo che le prospettive che Toynbee cerca di introdurre da questo punto di vista biosferico siano imbarazzanti per il loro linguaggio in apparenza desueto, se non vengono considerate dal punto di vista esosomatico aperto da Lotka: così considerato, quello che Toynbee chiama il «modo spirituale di vita nella biosfera» diventa funzionale. L’evoluzione esosomatica è infatti ciò che richiede una capacità di decidere nell’accelerazione dell’evoluzione artificiale – e in un eterno equilibrio tra l’uno e l’altro – quello che Paul Klee ci dà a panser come lo schizzo di una spirale.

Questo equilibrio è quello che ho chiamato intermittenza noetica. Il pensare, reso possibile dall’intelletto (dalla comprensione guidata e ispirata dalla ragione, dalle spirali della ragione, e come unità di ciò che viene chiamato anche spirito), e come panser (guarigione della tossicità esosomatica), è la capacità (dunamis) che, tra i viventi, caratterizza l’anima che si definisce essa stessa noetica.

Per Aristotele, il vivente nel suo insieme è formato da anime vegetative, sensibili e noetiche. La facoltà (energeia) caratteristica delle anime noetiche, come passaggio all’atto di questo dunamis, è l’osservazione, il teorema, cioè la considerazione di ciò che viene dato da pensare e quindi da panser (guarire) – cioè da decidere – all’intelletto, che, guidato dalla ragione, apprende teoricamente ciò che considera. 

Una tale necessità di panser (guarire) teoricamente è ciò che viene dato a panser come tale nel teatro che istituisce la polis greca. Questa è anche la funzione della ragione nella località biosferica, e nel senso che Whitehead dà alle parole funzione e ragione: la ragione è ciò che cura [panse] la biosfera nella sua interezza e nella totalità del cosmo. Questa è anche la sfida dell’espressionismo di Klee. È già la sfida della dialettica trascendentale nella Critica della ragion pura.

Tutti sanno che a partire dal Rinascimento c’è stata un’inversione del punto di vista della biosfera per coloro che teorizzano la situazione nel cosmo – il quale, attraverso questa stessa inversione, diventerà l’universo: è la rivoluzione copernicana. Iniziata nel 1511, riporta l’osservatore nel cosmo e nel posto che occupa nel sistema solare, decentrandolo. È da questo decentramento che si rende necessaria una critica della ragion pura teorica e pratica. In questo decentramento e nella dialettica trascendentale che ne deriva inizialmente si situa la necessità di biforcare dentro e davanti all’improbabile, e come o… o…

Questo decentramento si realizza speculativamente, cioè attraverso la capacità dell’intelletto di estrapolare, con la ragione e dai dati osservabili, le loro cause e quindi le loro caratteristiche materiali, efficienti, formali e finali. Così nel 1755 il giovane Kant, in seguito ai formalismi newtoniani basati sulla gravitazione, si trovò a teorizzare la galassia nella quale si trova il sistema solare, già considerato duecentocinquant’anni prima da Copernico. Un Kant speculativo, a partire da dati e teorie che producono un senso, che medita sull’esistenza delle galassie chiamate «universi insulari».

Questa speculazione, basata sull’osservazione sviluppata dopo Copernico e con Galileo, ha acquisito strumenti d’osservazione che hanno profondamente modificato la natura dei dati ricevuti dall’intuizione attraverso la comprensione. Se Democrito e Anassagora avevano già anticipato in via speculativa l’insieme stellare della Via Lattea, è solo con Galileo che questa congettura viene osservata positivamente e confermata grazie al suo telescopio. 

Benché sia evidente il carattere strumentale del telescopio astronomico di Galileo, e ammesso dalla nascita della scienza moderna, che fa dell’esperienza strumentale e dello strumento teoricamente formalizzato la condizione della scientificità stessa, c’è stato sempre bisogno di condizioni strumentali del pensiero in generale – cioè della noesi, così come la concepivano i greci. Il totem, la cui funzione Émile Durkheim cercò di scoprire nelle società australiane nel 1912, è quindi una funzione strumentale costitutiva di ciò che l’antropologo chiama di conseguenza totemismo. Questa condizione storica, protostorica o preistorica della formazione del pensiero ha come correlativo la condizione genetica della formazione dell’anima noetica, oggi chiamata apparato psichico. Il che suppone, ad esempio, secondo Donald Winnicott, che l’oggetto transizionale apra uno spazio di transizione, dove nel cosmo si formano microcosmi e macrocosmi.

La costituzione noetica del vivente è apparsa tre o quattro milioni di anni fa; è ciò che ha spinto Teilhard de Chardin a definire la noosfera nel 1922. Senza tornare su questo concetto, di grande interesse per Vernadsky, Leroi-Gourhan, e probabilmente anche per Lotka, è necessario stabilire perché, così come la biosfera implica una biodiversità endosomatica, la noodiversità di una singolarità plurale è richiesta dal divenire esosomatico ed exosferico della biosfera, diventando così «noosfera» – mentre senza essere curato [pansé], può solo implodere nell’Antropocene divenuto Gestell esosferico e assolutamente amorale, perché assolutamente entropico, a causa del suo funzionamento divenuto totalmente computazionale.

La noosfera esosomatica e farmacologica, avendo ormai imposto la sua legge su tutta la biosfera, si è in qualche modo universificata, diminuendo la sua diversificazione, e questo, nel corso dell’Antropocene, circondando la sua atmosfera con satelliti su scala stratosferica o su scala geostazionaria. Questa noosfera, quindi, è soggetta al potere di iper-controllo che questi strumenti d’osservazione, misurazione e intervento esercitano sul divenire macro-cosmico della biosfera nel cosmo: essa è completamente de-noetizzata, cioè proletarizzata, e infine dis-integrata e mantenuta metastabile solo dalla violenza e dalla minaccia – e tutto ciò non può durare.

Così l’im-mondializzazione genera l’aspettativa di una re-diversificazione capace di significare in una di-mensione micro-macro-cosmica: per (ri)fare segni a un altrove nell’era Antropocene, diventando così l’era Negantropocene al suo interno – e non solo su Marte, sulla Luna o «altrove», come credono i transumanisti fuggiaschi. Questa era già l’ultima sfida de La Terra non si muove (Husserl). È anche la questione di ciò che chiamiamo un’economia negantropica, o economia contributiva, quale promessa di una internazione a venire oltre l’Entropocene.

Il destino più che tragico è provocato da un abuso incommensurabile e amorale delle tecnologie computazionali messe al servizio della liquidazione delle differenze e delle singolarità.

Distruggendo la biodiversità, essenziale per la biosfera, e quindi per la durata della stessa noosfera, la noesi instrumentata dalle tecnologie di misurazione e d’osservazione computazionale ha liquidato la propria noodiversità attraverso lo stesso processo. Di conseguenza si è disintegrata. Questo destino più che tragico sta rovinando il pianeta in mille modi, prima di tutto imponendo una guerra economica mondiale che affama e spinge miliardi di esseri non-inumani alla disperazione o alla rabbia – regredendo a miliardi verso l’inumano. Questa rabbia è stata recentemente mobilitata in Francia attraverso il cosiddetto movimento dei gilet gialli, replicato in vari luoghi della tecnosfera. 

Il destino più che tragico è provocato da un abuso incommensurabile e amorale delle tecnologie computazionali messe al servizio della liquidazione delle differenze e delle singolarità. Ha portato a un discredito generalizzato – come il disprezzo per la scienza, per la conoscenza in generale, per l’azione politica e la difesa del diritto, e come il crollo della solvibilità e del credito delle istituzioni bancarie e fiduciarie, ben oltre i soli Stati e le organizzazioni internazionali, e infine come una demoralizzazione generalizzata che accompagna una proletarizzazione altrettanto generalizzata.

In fondo ha semplicemente liquidato l’esperienza del vero, che fino a pochi decenni fa si presentava come l’esperienza fondante di ogni possibile futuro, ovunque nel mondo. Ora, questa situazione di sfiducia e discredito ha portato, alla testa della più grande potenza mai formatasi nella storia, un personaggio che si è imposto nell’immaginario dei miserabili attraverso la telerealtà aumentata dei social. Il presidente Donald Trump è il presidente dell’era post-veridica.

Gli alternative facts ne sono una conseguenza. Ma sarebbe molto sommario e disastroso lasciar perdere. Questo è quanto afferma Bruno Latour nel suo modo sempre singolare in Tracciare la rotta.

L’unica affermazione morale che sia veramente morale, cioè assoluta, è questa: non ci sarà nessun terzo avvertimento. E per far fronte a questo obbligo di una forza senza precedenti, dobbiamo considerare la noosfera dove la funzione morale si afferma come ciò che si è costituito nella biosfera, dopo la comparsa degli organi esosomatici. Questi hanno subito stadi di sviluppo che devono essere specificati dal punto di vista della noogenesi. Essi costituiscono quelle che ho definito in La technique et le temps le ritenzioni terziarie, inscrivendo nella storia della vita una biforcazione epifilogenetica. 

Nel Paleolitico superiore, l’esosomatizzazione inizia la fase di grammatizzazione, che genera ritenzioni terziarie ipomnestiche, ossia che danno accesso ai contenuti mentali e che si svilupperanno sempre più rapidamente a partire dal Neolitico – come i sistemi di scrittura e di calcolo. Negli ultimi tre secoli, la grammatizzazione ha preso una nuova direzione: quella del macchinismo industriale, con cui diventa fautrice di un’automazione prima meccanica, poi elettrica, poi elettronica e opto-elettronica, e presto nanometrica – lo smartphone è diventato il primo terminale d’entrata e d’uscita accoppiato con l’infrastruttura satellitare che è la condizione esosferica di questa reticolazione, e che coinvolge la metà della popolazione di esseri non-inumani della biosfera – dando forma concreta a ciò che Heidegger ha anticipato con il nome di Gestell, che è stata chiamata Antropocene da Paul Crutzen a Città del Messico. Non si tratta di attendere un terzo avvertimento, più chiaro di quello del 13 novembre 2017. Si tratta di avviare un’interpretazione dinamica e attiva degli Avvertimenti che si sono succeduti dopo il Vertice di Rio, in vista di una nuova prospettiva, di significare il superamento di quella negazione che si impone solo come impossibilità di sentire ciò che dicono gli Avvertimenti, finché la funzione della ragione non sarà in grado di trarne una biforcazione proiettiva.

La questione delle macchine morali contemporanee, quelle che porteranno a una grammatizzazione della morale, cioè alla sua realizzazione automatica basata su iscrizioni apprese soprattutto come informazioni calcolabili e gestibili da un certo calcolo, deve essere intesa prima di tutto come questione del divenire macchina della biosfera, cioè della tecnosfera, che ora la circonda e la racchiude in un’esosfera, dove l’Antropocene diventa l’Entropocene, e dove tutto è destinato a scomparire proprio a causa della macchinizzazione di ogni decisione, cioè dell’eliminazione di ogni decisione attraverso l’imposizione di sistemi chiusi – nel senso di von Bertalanffy – che sono i sistemi dell’Intelligenza Artificiale reticolare, come mostra John L. Pfaltz in Entropy in Social Networks (2012).

Per riassumere e concludere: la moralità e ciò che vi si accompagna, senza essere riducibile a essa, ma come sua condizione, e in un certo senso come la sua ombra, cioè l’etica, che qui intendiamo come ethos, nel senso che vi regni aidos e dike, la questione della moralità e dell’etica, quindi, deve prevalere lì, deve essere intesa oggi come:

– funzioni noetiche della biosfera che diventa tecnosfera da più di 3 milioni di anni, essendo l’Antropocene la realizzazione antropica di questo divenire,

– questa noesi etico-morale, essendo essa stessa una funzione della ragione,

– la funzione della ragione essendo quella di operare biforcazioni negantropiche nel divenire antropico che conduce al nulla.

La moralità non cessa di cambiare nel corso del tempo, sia perché condizionata dal doppio raddoppiamento epocale (derivante dall’esosomatizzazione), sia perché i legami e gli obblighi (in senso bergsoniano) si trovano ogni volta trasformati e delegati agli artefatti. Questa delega può essere totale, grammatizzata nella sua interezza, cioè automatizzata in quanto calcolata?

Dico grammatizzata perché la morale costituita da ogni epoca di mortalità nel corso delle epoche formate dal doppio raddoppiamento epocale è codificata, e nelle società occidentali è scritta in modo più o meno formalizzato, in un rapporto più o meno stretto con la codificazione del diritto. 

Tuttavia, come il diritto non esaurisce la giustizia, la morale non esaurisce l’etica, essendo la Sittlichkeit nel senso di Hegel la loro unità. Ora questo traboccamento della morale attraverso l’etica e quello del diritto attraverso la giustizia – questi traboccamenti che sono loro inerenti – sono negantropici: costituiscono un processo ermeneutico, che deve essere ogni volta rilanciato nel cuore stesso del diritto e della morale affinché essi non si trasformino farmacologicamente nei loro opposti, e non si mettano al servizio della dominazione creando obblighi automatici e indebiti.

Bernard Stiegler è un filosofo francese. Fondatore del gruppo di ricerca Ars industrialis, dal 2006 dirige l’Istituto di ricerca e innovazione del Centro Pompidou a Parigi. Tra i suoi libri pubblicati in italiano: La società automatica 1. Il futuro del lavoro (Meltemi 2019) e Reincantare il mondo. Il valore spirito contro il populismo industriale (Orthotes 2012).