Terrore bianco
Il 15 marzo Brenton Tarrant è entrato in una moschea a Christchurch, in Nuova Zelanda, armato con un fucile d’assalto e ha ammazzato una cinquantina di persone a sangue freddo riprendendo tutto in diretta in un video che è esattamente la versione vera di un videogioco FPS. Così facendo è andato a inserirsi (lui e i suoi complici) in una tradizione che comprende Anders Breivik e Dylan Roof come il loro quasi-emule nostrano Luca Traini – in modo ben consapevole, a partire dai nomi che ha scritto sui caricatori e sul fucile che ha usato per la strage.
L’aspetto della vicenda che più ha inquietato l’opinione pubblica e dominato le cronache è la sua dimensione socio-culturale, le sue contaminazioni con la cultura pop. Il video in diretta che sembra un videogioco, appunto, ma anche il «manifesto» dello stragista pieno di meta-ironia (ad esempio, Tarrant dice di essersi radicalizzato con il videogioco Spyro il Drago: sta prendendo in giro la paranoia sul legame tra videogiochi e violenza, e la stampa che riporterà quel dettaglio come vero) e la citazione allo youtuber Pewdiepie prima di iniziare a sparare.
Tutto questo è certamente inquietante. Ma non tanto perché un terrorista abbia riferimenti culturali più moderni delle rune e dei saluti romani di Traini o della Rhodesia di Dylan Roof, quanto perché questi riferimenti culturali sono alcuni dei cardini della cultura contemporanea. E il fatto che questa cultura sia stata adottata così pesantemente da un terrorista ci inquieta perché ci dice che il terrorista non fa parte di qualche gruppo politico marginale altro – come potrebbe essere nel caso di un neonazista con la svastica tatuata.
Pewdiepie, Spyro il Drago, i videogiochi FPS, la meta-ironia: tutte cose che conosciamo, che piacciono a noi o a gente come noi sono ora canone per chi compie massacri su basi etniche. In breve: il canone occidentale contemporaneo è diventato il canone degli stragisti dell’estrema destra suprematista.
C’è ovviamente un filo rosso che lega Tarrant a Breivik (che considera un modello e con cui ha detto di essere entrato in contatto) Roof e Traini: è quella che in un articolo dello scorso settembre sempre su Not, ho chiamato «paranoia rhodesiana» – facendo riferimento all’ossessione per la Rhodesia di Dylan Roof. È una paranoia razziale, esemplificata dal focus costante sui tassi di natalità nel manifesto di Tarrant; è un senso d’accerchiamento provato dai suprematisti bianchi che stimola un razzismo da stato d’assedio.
Non è il razzismo fiero dei fascismi storici, che percepivano la loro vittoria come inevitabile in virtù di una superiorità economica, tecnologica e militare che sanciva la superiorità razziale. È un razzismo terrorizzato, di chi vede la sua posizione farsi sempre più precaria perché percepisce il venire a mancare dei suoi mezzi materiali di dominio.
Cosa che sta effettivamente accadendo. La radice della paranoia rhodesiana, così come delle bufale affini che tanto piacciono all’estrema destra mondiale quali la sostituzione etnica, il genocidio bianco e il piano Kalergi non è un fenomeno mentale ma un evento molto concreto e di lunga durata: la cosiddetta Grande Convergenza – ossia quel processo storico che, cominciato con la decolonizzazione, la porta finalmente davvero a compimento interrompendo la secolare egemonia occidentale sul resto del mondo, fondata su una disparità materiale di sviluppo e risalente all’età del colonialismo.
Per l’herrenvolk bianco che tra la sua identità dal dominio globale, la perdita del dominio è la perdita dell’identità. La sua sostituzione in posizione egemone è una sostituzione etnica, un genocidio bianco, un complotto delle razze inferiori e delle loro quinte colonne per scalzarlo dal suo trono. Ecco allora esplodere la violenza suprematista: in epoca coloniale era a scopo offensivo, per affermare il dominio; oggi è a scopo difensivo, per difenderlo.
È una logica che la maggior parte di noi – intendo noi bianchi di fronte a qualcosa come la strage di Christchurch rimaniamo sconvolti – facciamo fatica a comprendere. Ma per Tarrant e quelli come lui è chiarissima. Così com’è chiara a chi ha legami con i popoli che quella violenza suprematista l’hanno già storicamente subita. In questo senso uno degli appunti più interessanti che ho letto su Christchurch è quello fatto da una ragazza di origine indigena neozelandese: la violenza di Tarrant è normalissima, è una delle fondamenta ideologiche su cui Australia e Nuova Zelanda sono state costruite. Ed è precisamente perché la maggior parte di noi non la capisce che la violenza viene utilizzata come propaganda – nel caso di Tarrant ad attirare l’attenzione sul suo manifesto, fargli pubblicità, far sì che venisse letto da altri potenziali stragisti ancora da radicalizzare.
Stragi come quella di Christchurch non sono mai dei tentativi di risolvere il «problema», di spezzare lo stato d’assedio in cui è costretta la razza bianca. Gli stessi autori ne sono coscienti. Lo scopo è diffondere quello stesso senso di accerchiamento, quella paranoia rhodesiana, a tutti i membri della razza bianca. Farci capire. Parlano di scatenare una guerra razziale ma in realtà sanno di essere ancora alla fase di reclutamento. Per questo Spyro il Drago, Pewdiepie, l’ironia: adottando i canoni culturali contemporanei, cercano di far indossare a forza una camicia nera e degli anfibi a tutta la società occidentale.
Persone come Breivik, Roof e Tarrant non sono dei pazzi invasati, ma delle figure che personificano una reazione a un processo storico. Un processo che semplicemente loro sono i primi a percepire in tutta la sua grandezza, per cui reagiscono in un modo che ci spaventa e disgusta, ma che per loro è assolutamente appropriato.
Proprio perché sono dei precursori dobbiamo chiederci: chi verrà dopo di loro? Una risposta, spaventosa, è: l’elevazione della loro violenza a sistema. Dato che la violenza suprematista che esprimono non è un’anomalia ma la normalità storica, dato che il processo di erosione del dominio occidentale è effettivamente in corso e versioni appena meno violente delle loro idee stanno già entrando nel mainstream politico, è uno scenario plausibile. Tarrant ha scritto che tra 27 anni uscirà dal carcere e sarà celebrato come Nelson Mandela, che fu anche lui accusato di terrorismo.
Anche l’opera di reclutamento che è il vero scopo di queste stragi va in questa direzione. Diffondere il senso d’assedio e la paranoia rhodesiana, costringere la comunità bianca, l’Occidente, la borghesia mondiale a compattarsi e a difendere la sua posizione di privilegio con la stessa violenza che ha dispiegato nel corso della storia per conquistarsela.
Inevitabilmente, non sarà un processo pacifico. Non è un caso se l’ispiratore di Tarrant, Breivik, a Utoya ha preso di mira la nuova generazione del Partito Laburista. Non è un caso se la contrapposizione politica tra sinistra e destra nei paesi occidentali si sta trasformando in contrapposizione nazionalisti/anti-nazionalisti, o se Salvini e i suoi ci chiamano «buonisti anti-italiani». Siamo al preludio di una guerra civile interna alla comunità bianca del centro imperialista, con l’obiettivo di espellerne le quinte colonne.
La violenza suprematista esercitata dall’Occidente sul resto del mondo ha bisogno, come all’epoca coloniale, della collaborazione del fronte interno. Per far ciò le società vanno rimodellate in senso organico: in questo senso sono da interpretare la rinazionalizzazione delle masse, la costruzione di blocchi di consenso monolitici, l’emergere di fenomeni politici come la democrazia autoritaria, il populismo trumpiano e persino il revival rossobruno. In questo senso Tarrant cita Spyro il Drago: il terrorista non è altro da noi, è uno di noi, siamo noi. Ci chiede di accettarlo e passare dalla sua parte oppure essere considerati nemici.
Breivik, Roof e Tarrant non sono dei pazzi invasati, ma dei precursori. Sono effettivamente ciò che sentono di rappresentare: Roof era davvero «l’ultimo rhodesiano». Pare che Hegel, vedendo passare Napoleone dopo la battaglia di Jena, abbia detto di aver visto «lo spirito del mondo a cavallo». Il video della strage di Christchurch ci ha fatto la stessa impressione. Lo spirito del mondo in un first person shooting.