Riscoprire Clive Barker
Trasgredire è più saggio che pregare. Fanne la tua ossessione
(Austin Osman Spare, The Focus Of Life)
Per i primi approcci del pubblico italiano con l’universo di Clive Barker bisogna ringraziare Italia 1 e l’appuntamento in seconda serata con il ciclo della Notte Horror. Erano gli anni Novanta. Qualsiasi adolescente in grado di saper usare un registratore poteva riempire la libreria con VHS di roba come Body Bags di John Carpenter e I Gusti del terrore. In questo ciclo serale apparve per la prima volta la figura di Pinhead, il cenobita con gli spilli in faccia protagonista della saga cult Hellraiser. Clive Barker girò solo il primo film (il suo debutto dietro la macchina da presa), ma collaborò fino al quarto, quando la saga era già scaduta per seguire le logiche degli slasher movie che andavano di moda in quegli anni. Intanto, il franchising sarebbe continuato fino al capitolo dieci, con esiti piuttosto imbarazzanti.
Il successo di Hellraiser aiutò a dare notorietà a uno scrittore che in quegli anni stava ridefinendo i canoni del genere horror e della speculative fiction, tanto da essere inserito nel 2008 con il racconto La collina, le città nell’antologia-manifesto The New Weird curata da Ann e Jeff VanderMeer.
L’irruzione di Clive Barker nel panorama letterario, d’altronde, fu un piccolo terremoto. Hellraiser (tratto dal romanzo breve The Hellbound Heart del 1986, tradotto in Italia come Schiavi dell’inferno dal compianto Tullio Dobner) divenne presto uno dei film più iconici dell’horror anni Ottanta. Ma il suo esordio avviene tra il 1984 e il 1985 con la pubblicazione dei sei Libri di Sangue (Books Of Blood), una raccolta di racconti salutata come l’evento più importante della letteratura horror del tempo. Difficilmente si erano viste storie dell’orrore cariche di tensione sessuale, soggettività devianti, temi politici radicali, rabbia proletaria e ironia dissacrante. Stephen King lo definì «il futuro dell’horror», regalando a Barker un endorsement commerciale potentissimo, che ancora oggi viene riportato su qualsiasi quarta di copertina dello scrittore britannico. La lista degli ammiratori si è accresciuta poi nel tempo: nomi disparati che vanno da Quentin Tarantino, James G. Ballard e China Miéville fino a Genesis P-Orridge e Kentaro Miura.
Psychic UK
I morti hanno vie di comunicazione. Percorrono le ignote distese dietro la nostra vita, animate dal traffico interminabile di anime dipartite, nell’infallibile procedere di treni fantasma, di vagoni di sogno. […]. Siamo tutti libri di sangue; in qualunque punto ci aprano, siamo rossi.
(Clive Barker – Libro di sangue)
Se in Italia molti testi di Barker sono ancora di difficile reperibilità, all’estero negli ultimi vent’anni si sono moltiplicati gli studi accademici sulla sua opera, strappandolo definitivamente dall’etichetta di autore di genere. I suoi libri sono stati analizzati dalla critica letteraria più tradizionale, che ne ha messo in luce le connessioni con la tradizione gotica britannica, il fantasy e l’horror, ma anche da prospettive femministe, marxiste e queer, facendo emergere il background sociopolitico delle sue opere e le riflessioni sulle trasformazioni del corpo che lo inseriscono in modo peculiare nel filone del body-horror reso celebre da David Cronenberg.
I primi tre libri dei Books Of Blood escono nel 1984. Siamo in piena era Thatcher. L’Inghilterra si ritrova divisa sul piano sociale, economico e culturale come mai era successo dal dopoguerra. Mentre in superficie Albione veniva ripulita a suon di manganellate dalle forze considerate improduttive e repressa nelle sue manifestazioni devianti in nome di una morale neovittoriana, l’underground britannico ribolliva di controculture. Il punk si era esaurito nel giro di un paio di anni. Nel frattempo, sul finire dei Settanta, gente come i Throbbing Gristle/Psychic TV, Richard H. Kirk e Stephen Mallinder dei Cabaret Voltaire, e poi dopo Clock DVA, Coil e Current 93, delineavano i contorni della scena industrial e post-industrial, che in parte più avanti si contaminerà coi suoni Acid House e coi primi vagiti della cultura rave. Una scena musicale che andò a formare una sorta di paesaggio psico-sonoro dei lerci sobborghi britannici intenti a lanciare l’ultimo urlo della rivoluzione industriale.
Sul finire degli anni Settanta, in UK si assiste anche a un revival esoterico e in particolare alla riscoperta della magia sexualis. Autori come Aleister Crowley e Austin Osman Spare ricominciano a circolare molto, e diventano un’influenza fortissima sia su questa scena musicale che su autori come lo stesso Clive Barker, interessato fin da giovane all’occultismo.
Tra il 1978 e il 1982, lo scrittore Peter J. Carroll aveva pubblicato due testi fondamentali per la nascita della cosiddetta Chaos Magick: Liber Null e Psychonaut. La Chaos Magick, forse la branca dell’esoterismo moderno a essere penetrata di più in territori mainstream, rielabora molte delle idee dell’occultista britannico Austin Osman Spare, delineando un approccio al pensiero magico incentrato sulla mancanza di rituali codificati, di gerarchie e di una nozione forte di Verità (non a caso verrà considerata una sorta di approccio alla magia che oscilla tra il punk e il postmoderno). Entrambi i testi di Carroll verranno riuniti in un’edizione unica nel 1987 (qui in italiano). Arriviamo così a un anno fondamentale. Il clima che si respirava in superficie in Inghilterra era di restaurazione morale. Nel 1987 Margaret Thatcher viene rieletta per la terza volta. Il suo nuovo mandato si apre con la Clause 28, un articolo, aggiunto al Local Government Act, contro la «promozione dell’omosessualità». In risposta, nel 1988 esce l’antologia a fumetti ARGHH (Artists Against Rampant Government Homophobia), in cui figura ad esempio The Mirror Of Love di Alan Moore.
È dunque in questo contesto che nel 1987 esce nelle sale cinematografiche il già citato Hellraiser. Tra libro e pellicola, Clive Barker sembra condensare alcune traiettorie accennate fin qui: la reazione al conservatorismo sessuale dell’epoca, l’influenza della scena industrial (con la quale – come vedremo – entrerà direttamente in contatto), e poi ancora il già citato Austin Osman Spare, soprattutto per quanto riguarda i temi delle potenzialità del corpo e della sessualità deviata.
Hellraiser gira intorno a un oggetto chiamato La Configurazione del Lamento (o Cubo di Lemarchand). Una sorta di rompicapo in grado di evocare uno strano ordine di esseri chiamati cenobiti, figure a metà tra angeli e demoni dediti a far provare, a colui che ha risolto il Cubo, i particolari «piaceri» del loro mondo. Questo è quanto accade a Frank, un tizio dalla vita dissoluta sempre alla ricerca di nuove esperienze sessuali. Entrato in possesso del Cubo, Frank evoca i cenobiti, i quali lo trasporteranno nel loro abisso splatter-sadomaso. Anni dopo, in quella stessa casa, si trasferiscono il fratello di Frank e Julia, moglie infedele e sessualmente insoddisfatta che in passato ha avuto una storia con lo stesso Frank. In soffitta ci sono ancora i resti di quest’ultimo, riuscito in qualche modo a sfuggire ai cenobiti. Julia lo deve aiutare a trovare un nuovo corpo dandogli letteralmente in pasto delle vittime; cosa che i cenobiti non prenderanno bene.
La pellicola diventerà presto un cult anche grazie a tematiche ed estetiche mai viste nel cinema horror mainstream. I vestiti in pelle e latex dei cenobiti, le catene e gli spilli utilizzati per infliggere piacere/dolore, sembrano usciti direttamente dai club BDSM della New York dei tardi anni Settanta. Inoltre, nel libro si evince chiaramente che questi demoni non sono classificabili come buoni o cattivi; offrono semplicemente un «servizio». L’ambiguità dei mondi paralleli barkeriani è un tratto distintivo di molte delle sue opere. La sua volontà è quella di costruire un anti-horror che rompa con le supposte tendenze conservatrici del genere, in cui il male assume il carattere di un dispositivo disciplinare. In un’intervista intitolata On The Side Of The Demons, Clive Barker ha descritto l’horror tradizionale in termini di una narrativa intrisa «del mito della perfezione borghese». Per lui il lato «oscuro» del proprio Sé e della realtà non va rifuggito (leggi: metaforizzato in boogeymen assassini), ma compreso ed esplorato in chiave emancipatrice.
Ad ogni modo, film e libro presentano molte differenze dovute alle esigenze commerciali della produzione: in Schiavi dell’Inferno i corpi dei cenobiti sono talmente sfigurati da non essere inquadrabili in un genere, mentre nel film sono chiaramente una donna e tre uomini; nel libro, la «resurrezione» di Frank non avviene tramite il contatto tra una goccia di sangue del fratello e i resti del suo corpo, ma tramite dello sperma (a proposito di magia sexualis); sempre nel libro i cenobiti sono capaci di stimolare le terminazioni nervose fino a vette che confondono dolore e piacere: hanno cioè una conoscenza arcana del corpo umano, mentre l’aspetto splatter-gore è meno in evidenza. Inoltre, Pinhead nel film tradisce senza motivo un patto con uno dei personaggi, mostrandosi apertamente (e inutilmente) malefico. Chi conosce i retroscena del film sa bene che la figura di Pinhead è diventata ingombrante a causa del successo avuto negli screen-test sul pubblico. Questo porterà Barker a incentrare anche le graphic novel e i seguiti letterari di Hellraiser su di lui, trasformandolo nell’ennesimo cattivo da slasher movie (ne I Vangeli di sangue del 2015, seguito diretto di Schiavi dell’Inferno, Pinhead arriverà addirittura a scontrarsi direttamente con Satana per la sovranità del’Inferno).
Sappiamo però che nella testa di Clive Barker il secondo e il terzo film sarebbero dovuti essere incentrati sulla figura di Julia Cotton, l’antieroina perfetta per l’idea di horror che aveva Barker stesso: una donna lontana dall’idea di femminilità tradizionale, con una fame sessuale tale da essere disposta a tutto, persino uccidere, pur di poter tornare a letto con il suo amante. Oltre alla decostruzione della femminilità tradizionale, Barker sembra interessato a mettere in questione la possibilità stessa di una definizione rigida di identità sessuale: i supplizi dei cenobiti sul corpo di Frank – personaggio inizialmente rappresentato con caratteri machisti – non appaiono come un mero atto di tortura; sembrano invece (soprattutto nel libro) come una sorta di atto trasformativo, una pratica magico-estatica per far emergere quello che probabilmente è il desiderio conflittuale e recondito di Frank: esplorare la propria sessualità al di fuori della norma. Su questa linea interpretativa si pone Mark Richard Adams, ricercatore in storia della televisione alla Brunell University, nel saggio Clive Barker’s Queer Monsters. Adams aggiunge anche che «l’immaginario sadomaso dei cenobiti evoca i Primitivi Moderni». Così veniva chiamata quella sottocultura interessata alle modificazioni del corpo tramite piercing, sospensioni corporali, branding e così via, alla quale le edizioni RE/Search dedicheranno una monografia nel 1989 a cura di V. Vale e Andrea Juno; non a caso gli stessi che avevano un testo fondamentale sulla scena industrial come l’Industrial Culture Handbook.
La prima intervista che Clive Barker diede per Hellraiser non fu per una rivista di cinema o di letteratura. Tra i primi a contattarlo ci fu invece un magazine chiamato Skin Two, una di quelle produzioni underground dedicata a roba fetish, femdom, kinky, crossdressing e BDSM. L’intervistatrice raccontò a Barker quanto i lettori di Skin Two avessero amato il suo film, soprattutto perché diede «molti spunti per i loro dungeon». Del resto, era dai tempi di Cruising di William Friedkin che certi ambienti non si entusiasmavano così per un film più o meno mainstream. Il che non deve stupire.
Il critico musicale David Keenan, nel suo England Hidden Reverse. A Secret History Of The Esoteric Underground, racconta un aneddoto interessante sulla genesi di Hellraiser/The Hellbound Heart. Nel 1986, uno dei posti principali a Londra dove trovare fumetti rari, roba pulp, horror e weird fiction era il negozio Forbidden Planet di Denmark Street (all’epoca un buco per nerd del genere, poi diventato un megastore gigantesco con sedi anche negli Stati Uniti). Il Forbidden Planet è anche il posto dove Stephen Thrower passava molti dei suoi pomeriggi prima di diventare membro a pieno titolo del gruppo post-industrial Coil. Thrower già all’epoca era un appassionato di horror, passione che si è portato appresso per tutta la vita considerando che negli ultimi anni si è dedicato a monografie su Lucio Fulci e Jesus Franco. Inoltre, era completamente andato fuori di testa per i racconti di Clive Barker, autore consigliatogli – pare – dallo scrittore Ramsey Campbell.
Anche Barker frequentava il Forbidden Planet di tanto in tanto. Un giorno Thrower lo riconosce tra gli scaffali del negozio. Per rompere il ghiaccio, gli si avvicina congratulandosi con lui, e raccontandogli quanto lo avesse impressionato il racconto Pig’s Blood Blues (Mai dire maiale nella versione italiana, contenuto nel primo volume dei Libri di sangue). Si tratta di una storia carica di elementi sessuali e allusioni pedoerotiche ambientata in un riformatorio giovanile, in realtà sede di uno strano culto. Praticamente un Suspiria con le guardie al posto delle streghe, e – letteralmente – un suino al posto di Helena Markos.
Per Thrower, l’autore dei Books Of Blood non è solo uno scrittore di riferimento con cui è riuscito a fare amicizia. Clive Barker diventa una specie di guida/mentore: parlano di pornografia, in particolare gay-oriented (Barker farà pubblicamente coming out solo negli anni Novanta, pur non avendo mai nascosto i suoi gusti sessuali), argomenti macabri e, ovviamente, horror. Tra un drink e una chiacchierata, Thrower un giorno gli fa sentire Scatology, l’album d’esordio dei Coil. Per Barker è una folgorazione, in particolare per due tracce: «Cathedral In Flames» e «The Sewage Worker’s Birthday Party». Nella sua testa, quello era il sound perfetto per il tipo di storie che stava scrivendo. Così diventa amicone anche degli altri due Coil, i più celebri John Balance e Peter «Sleazy» Christopherson. In particolare, in quest’ultimo trova un degno interlocutore per quanto riguarda perversioni e stranezze varie.
Sleazy ha una formazione artistica più che musicale. Aveva partecipato all’ultimo anno di vita del gruppo di performance art COUM Transmissions di Genesis P-Orridge, Cosey Fanni Tutti e Chris Carter, con cui poi formerà i Throbbing Gristle. Genesis lo definiva un «tattico […], la testa della grafica e del design». Ma anche uno a cui rivolgersi per una «lunga seduta d’analisi sulla natura essenziale di quello che stavamo facendo». Anche per Barker diventa qualcosa di simile. Gli fa vedere le bozze di Schiavi dell’Inferno e gli parla dell’idea di dirigere lui stesso la trasposizione cinematografica. Passano nottate a guardare magazine di arte e pornografia, a parlare di occultismo (in quel periodo Barker – come racconta lui stesso nella biografia The Dark Fantastic – aveva avuto diversi scambi con praticanti dell’occulto in giro per l’Inghilterra e gli Stati Uniti). Tra le varie cose, Clive Barker era interessato soprattutto all’enorme collezione di Sleazy di riviste sulla cultura dei piercing, come PFIQ (Piercing Fans International Quarterly): qui scopre un universo fatto di piercing ai genitali, scarificazioni e «scritture» sul corpo di ogni tipo. Roba che all’epoca circolava ancora pochissimo persino nell’underground.
Ad ogni modo, l’immaginario dei Cenobiti era nato. «Non c’era nulla di così weird e perverso che Clive non avrebbe trovato interessante», avrebbe dichiarato più avanti Stephen Thrower. A questo punto il passo è inevitabile: Barker chiede ai Coil di scrivere la colonna sonora di Hellraiser. I Coil se ne escono con un piccolo capolavoro (che uscirà in seguito come LP sotto il nome The Unreleased Themes From Hellraiser), ma la New Line decide che è troppo poco commerciale e sceglie l’aziendalista Christopher Young. La materia di scambio per far star buono Barker sembra che siano stati più soldi per gli effetti speciali.
In origine, secondo quanto raccontano sia Thrower che Balance, il film avrebbe dovuto avere un appeal molto più avanguardistico e disturbante: dopo l’incontro con i Coil, infatti, Barker pare avesse rivisto lo screenplay. Ma di questo progetto originario non se sarebbe saputo mai nulla. Il risultato finale dopo il compromesso con la New Line, cioè il film che tutti conoscono, probabilmente è una via di mezzo tra la versione estrema originaria di Barker e le esigenze commerciali della produzione. Fine del sogno.
Il tema della mostruosità nei libri e nei film di Clive Barker ha sempre qualcosa di inquietante e affascinante insieme. I mostri non sono tanto parte del male, quanto uno scarto dalla norma, una possibilità di essere. Un concetto espresso anche fin troppo didascalicamente nel suo romanzo Cabal, dove Midian, la città sotterranea dei mostri minacciata dallo psicanalista psichedelico Philip K. Decker, è praticamente un’utopica società queer, una comunità alternativa di reietti, minoranze e oppressi.
Nei mondi di Barker, la trasgressione è sempre lo strumento che apre uno spazio di possibilità nella configurazione del presente. Il rapporto dei personaggi con i mostri si rivela un viaggio interiore, una ricerca delle potenzialità del proprio corpo e del proprio sé rispetto ai codici comportamentali e sociali imposti dal Potere. Le storie di Clive Barker sono fondamentalmente un inno alla devianza. Che si tratti di Chaos Magick, scena industrial, narrativa o cinema, tutti gli inglesi con il cervello infestato dal buio di questo particolare decennio sembrano avere un punto fermo in comune: una rivolta contro l’ipostatizzazione di concetti come Natura, Verità, Realtà e Ordine, oltre a un interesse per le modificazioni del corpo come pratica estatico-emancipativa.
Abissi urbani e freak eterocosmici
Come in una tragedia perfetta, la cui eleganza strutturale va perduta per coloro che soffrono in essa, la geometria ideale di Spector Street era visibile solo dall’alto. Camminando nei suoi cupi canyon, passando lungo i suoi corridoi sudici da un grigio rettangolo di cemento armato a un altro, c’era ben poco che potesse sedurre l’occhio o stimolare l’immaginazione.
(Clive Barker, Il Proibito)
Alcune delle storie di Clive Barker sono tra i primi esempi di horror che usa come elemento chiave l’aspetto urbano in cui si muovono i personaggi, caratteristica che sarà poi dell’urban fantasy di China Miéville e di alcuni racconti di Thomas Ligotti (un altro scrittore horror che avrà a che fare con la scena industrial, collaborando con David Tibet dei Current 93).
Uno dei racconti più apprezzati di Clive Barker è The Forbidden (Il Proibito nella versione italiana contenuto nel quinto volume dei Libri di Sangue). Il personaggio principale è una ricercatrice che sta scrivendo una tesi di dottorato dal titolo «Graffiti: La semiotica della disperazione urbana». Questo la spinge verso lo Spector Street Estate, un complesso edilizio inquietante e fatiscente, in cui poter studiare i graffiti che riempiono le pareti. Le cose prendono una brutta piega quando si imbatterà in alcune scritte che gli abitanti del posto riconducono a un’oscura leggenda urbana. Il racconto divenne un film di successo nel 1992, il celebre Candyman.
Ormai una costante nella produzione barkeriana, la pellicola presenta differenze sostanziali con il racconto. In The Forbidden la figura di Candyman – nel film centrale fin dall’inizio – non compare quasi mai. L’orrore viene evocato dal complesso edilizio e dalle dinamiche sociali che hanno portato lo Spector Street Estate a diventare un abisso urbano. Il film è ambientato addirittura a Chicago; eppure l’ambientazione inglese originaria non era casuale. Un tempo, all’incirca negli anni Cinquanta e Sessanta, i sobborghi britannici erano stati il fiore all’occhiello del modernismo inglese in architettura: gli slum vittoriani lasciavano il posto ai palazzoni avanguardistici di cemento, i cosiddetti Tower Block. Per rispondere alla crisi abitativa del dopoguerra, Londra si sviluppava sempre di più verso l’alto. Soprattutto all’epoca, questi progetti apparivano come una sorta di neourbanismo futuristico (si pensi anche all’esplosione delle new town come Milton Keynes). Le buone intenzioni dell’housing sociale, però, si scontrarono con la bassa qualità delle costruzioni prima (l’incidente di Ronan Point nel 1968 sarà uno spartiacque), e con la marginalizzazione delle periferie negli anni Ottanta poi. Il risultato: squallore, lerciume, alienazione. Elementi ricorrenti infatti in molte distopie ambientate in terra britannica come Arancia Meccanica di Stanley Kubrick o il videoclip di Come To Daddy di Aphex Twin.
Le dimensioni nascoste di Clive Barker debordano senza soluzioni di continuità nel quotidiano, non c’è nessuna «casa» a cui fare ritorno.
La produzione di Clive Barker ha spaziato tra narrativa, cinema, illustrazioni e teatro. E in tutto questo materiale una costante è sempre stata l’ossessione per le dimensioni parallele e lo sconfinamento tra mondi che gli deriva dalla passione adolescenziale per la weird fiction. Nel dopoguerra, nelle case della working class inglese come quella di Clive Barker non era raro trovare antologie horror come The Pan Books Of Horror Stories di Herbert Van Thal. Questo tipo di racconti e atmosfere riempiranno la tv britannica degli anni settanta, vera e propria culla dell’immaginario weird britannico. Gli autori televisivi di quel periodo erano persone imbevute di cultura psichedelica, formatesi con i libri di Arthur Machen, Algernon Blackwood, H.P. Lovecraft e William Burroughs. Il risultato fu portare nella tv pubblica un tocco acido e inquietante, riscontrabile non solo in alcune fiction dell’epoca (A Ghost Story Of Christmas, Dead Of Night, Beasts, per fare alcuni nomi), ma anche dai Public Information Film commissionati dallo Stato a scopi pedagogici.
Un background che emerge anche nei suoi romanzi dark fantasy come Weaveworld (Il mondo in un tappeto) e Imajica (Imagica), dove la rigida separazione tra mondo quotidiano e mondo secondario, tipica dell’high fantasy, svanisce. I personaggi principali – sempre composti da everymen e soggettività devianti – non si trovano mai ad affrontare un’odissea personale nel caratteristico secundary world tolkeniano. Le dimensioni nascoste di Barker debordano senza soluzioni di continuità nel quotidiano, non c’è nessuna «casa» a cui fare ritorno, elemento che lo avvicina alla fantascienza postmoderna della La trilogia dello Sprawl di William Gibson. Questi sconfinamenti danno vita a narrazioni temporalmente non lineari che, soprattutto in Gibson, sembrano ricalcare lo zapping della fruizione televisiva. Il focus non è tanto l’elevazione morale dei protagonisti, quanto l’emergere di modi di vita possibili.
Oggi Clive Barker è un autore che, almeno fuori dall’Italia, ha raggiunto un posto di rilievo nel mainstream. Basti pensare che tra i suoi ultimi impegni ci sono due serie tv: una basata sui racconti dei Libri di Sangue e un’altra su Nightbreed. Eppure nel nucleo profondo della sua mente creativa risuonano le controculture che hanno animato i sotterranei dell’Inghilterra più repellente e freak del dopoguerra. Trentacinque anni di scrittura all’insegna del più famoso tra gli aforismi spaeriani: The more chaotic I am, the more complete I am.