I mostri della memoria
Pierfrancesco Orsini, detto Vicino, trascorse i suoi primi venticinque anni di vita tra Roma, Firenze e Venezia, per poi spostarsi e, dopo qualche tempo, stabilirsi definitivamente a Bomarzo, un piccolo paese in provincia di Viterbo. Nel 1550 avvia i lavori di quello che diventerà uno dei luoghi di riferimento del simbolismo ermetico italiano, il Parco dei Mostri, anche detto Sacro Bosco o Villa delle Meraviglie. Su quel luogo si contrappongono ancora a distanza di secoli dall’edificazione le più fantasiose teorie sulla sua funzione; ma anche più semplicemente sull’attribuzione del coordinamento del progetto complessivo, da alcuni addirittura erroneamente affibbiato a Michelangelo Buonarroti. Dubbi sorgono anche su tesi che sembrerebbero più evidenti e scontate, come ad esempio il fatto che il parco fosse ipoteticamente dedicato alla moglie scomparsa di Vicino Orsini, come prova del suo amore.
A essere sicuro che non ci siano prove che attestino che Vicino Orsini abbia dedicato il Parco dei Mostri a sua moglie è Antonio Rocca. Autore di Bomarzo. Guida al Sacro Bosco, Rocca è museologo e storico dell’arte, nonché uno dei maggiori studiosi del Parco, e proprio per questo è stato scelto per fare da guida e far addentrare i visitatori nei meandri simbolici di un luogo tanto misterioso coloro che parteciperanno a Una Cosa Mostruosa, progetto nato da un’idea di Vittoria de Franchis che è riuscita nell’impresa ardua di organizzare un concerto all’interno del Bosco. A rievocare gli spiriti inizialmente suggeriti da Vicino Orsini vi saranno le musiche arcaiche di Spencer Clark e Francesco Cavaliere, i quali presenteranno in anteprima mondiale il nuovo Trickster Blade, seconda fatica del loro progetto Etrusca 3D. A completare il rito iniziatico di Una Cosa Mostruosa vi è poi M3MORY 3D, una variazione del gioco Memory con diciannove immagini realizzate dall’artista Giulio Scalisi.
Inutile dire che l’evento è piuttosto invitante, ma per non farci mancare niente abbiamo deciso di fare qualche domanda sia all’ideatrice del progetto Vittoria de Franchis che agli artisti coinvolti.
Not: Vittoria, parlaci di come è nato questo progetto.
Vittoria de Franchis: Una Cosa Mostruosa nasce da una serie di sincronicità che penso risalgono all’età Etrusca. Ho delle memorie vivide di momenti all’imbrunire a decifrare un fegato insieme ad un altro haruspex con le orecchie pennute. Questo sogno fa parte di una serie onirica in cui vi è anche il Sacro Bosco. Ho da sempre il desiderio di organizzare un concerto in quella mappa simbolica peperina, è un posto in cui sono tornata decine e decine di volte e ho provato a portare tutti i miei amici nel corso degli anni (ho una casa lì da sempre). Bomarzo ti investe di presenza vulcanica e rigenera. In particolare l’anno scorso, durante il lockdown, ho passato a Bomarzo un mese da sola, parlando con tutte le persone con le quali potevo parlare e nel mentre ho fatto un altro sogno-visualizzazione di riuscire a trasformare Bomarzo, nel corso del tempo, in un luogo di sperimentazione artistica e scambi interdisciplinari. Lì è nata la Cosa Mostruosa, da un uovo di malachite e lava. Un giorno ho chiamato Francesco e gli ho detto che avrei provato a chiamare il Sacro Bosco e a proporgli il progetto (che già esisteva da un paio di anni) il quale ha alla sua radice un’esplorazione della parola mostro e la sua duplice etimologia (portento e svelare).
Perché proprio Spencer Clark, Francesco Cavaliere, Antonio Rocca e Giulio Scalisi?
VdF: Etrusca 3D è sempre stata al centro di Una Cosa Mostruosa. Ho sviluppato negli ultimi anni un bellissimo rapporto con Francesco e l’idea di realizzare un progetto al Sacro Bosco è in qualche modo sempre stata legata a lui. Il Bosco è un simulacrum di molteplici narrazioni mitiche, simboliche, religiose, eretiche, tutte narrazioni fantastiche che si intersecano e ti ammaliano. Così sento anche sia il lavoro di Francesco e Spencer come Etrusca 3D, uno specchio che riflette ma anche traspare e anche rivela, una mappa narrante nella quale è in atto un processo cosmogonico. Invece Antonio Rocca è il guru del Sacro Bosco, anche lui ha quella potenza insita di svelare i segreti attraverso la parola. Antonio è tra i più grandi esperti della Tuscia Rinascimentale e in particolare del Sacro Bosco, al quale ha dato una chiave di lettura illuminante a seguito di decenni di speculazioni di vario genere. Al centro della sua interpretazione vi è il Theatro della Memoria di Giulio Camillo, un trattato di mnemotecnica della prima metà del XVI Secolo. Questo elemento è stato per me di una forza incredibile, in quanto i progetti ai quali lavoro hanno sempre al loro fulcro una spazializzazione della narrazione, la parola in quanto topografia, in quanto agente che dà forma ad uno spazio nel quale trasformare ed immaginare.
Così è anche l’idea del Theatro, una spazializzazione della memoria attraverso quarantadue immagini mnemoniche. Antonio terrà una speciale visita guidata prima del concerto, portando i partecipanti (che a quel punto saranno diventati degli iniziati ermetici) attraverso i quattro livelli del Bosco fino al Tempio, davanti al quale si terrà la performance di Etrusca 3D. La collaborazione con Giulio è anche quella frutto di una visione, ho sempre pensato a lui si dall’inizio come artista che avrebbe potuto reinterpretare un immaginario così complesso come quello del Sacro Bosco e trasporlo nel contemporaneo, ispirandosi al progetto originario ma anche creando qualcosa di completamente nuovo. Il 3D è uno degli elementi portanti di questo progetto, declinato a livello sonoro, narrativo e visivo. Giulio ha questa capacità assoluta di dare forma a dei mondi satellite caratterizzati da elementi e simboli condivisi, proveniente dalla cultura dei mass media. Questi cosmi artificiali, come la narrazione e il suono, ci permettono di interpretare la nostra identità collettiva attraverso combinazioni diverse, illuminanti. Così, come l’esercizio di Giulio Camillo per il suo progetto del Theatro della Memoria, anche Giulio Scalisi (c’è questa interessante coincidenza di nome) ha creato delle immagini mnemoniche le quali ci permettono da un lato di ricordare una storia passata ma anche presente e futura.
Francesco, quali sono state le tappe che dal noise ti hanno fatto arrivare a presentare un disco a Bomarzo?
Francesco Cavaliere: Non saprei: sai, quando abbiamo registrato Etrusca 3d in studio ad Anversa mi ricordo che c’erano dei poster di Bomarzo. Probabilmente un souvenir che Spencer e Amy si erano presi dalla loro visita al parco lo stesso anno. D’altronde poi il noise ti porta a suonare ovunque, no? Non c’è un luogo più nobile di un altro. Insomma, non vedo nessun tipo di scalata… poi, oh, quella delle cose astratte che non si vedono, quelle che non puoi calcolare e da un momento all’altro dici “eccoci”. Credo sia capitato un po’ in questo modo, nessuna magia. Cose: brutte o belle.
Hai fatto un disco a nome Sea Urchin sugli egizi (Tahtib Tehbat) e con Spencer hai un progetto chiamato sugli etruschi. Da cosa nasce questa passione per la storia?
FC: Allora, facciamo un attimo ordine. Sea Urchin è un gruppo composto da me e Leila Hassan e il disco Tahtib non è sugli egizi ma dedicato al nonno di Leila, Baba Ali. Uomo che praticava il Tahtib, un’arte marziale che in sintesi si sviluppa tra passi di danza e movimenti con il bastone, una sorta di combattimento/danza sviluppatosi in Nord Africa. Nel disco non ci sono faraoni, dèi, ecc… Etrusca 3D è un gruppo che gioca con la storia e con l’immaginario contemporaneo che una società come quella degli Etruschi può far scaturire. Un po’ come il nome di un ristorante o una struttura balneare in Etruria. Una cosa tipo “Spiaggia Libera Etrusca”, o “A cena dagli Etruschi”, o “i lampi degli etruschi negli spaghetti allo scoglio”… Perciò, sì storia, ma anche slogan deteriorati che ancora puoi intravedere nelle strade italiane o nei plastici dello stivale in California o chissà dove.
Giulio, nella tua produzione ci sembra ci sia un forte interesse nei confronti della temporalità. Questo progetto, per il quale, da un’idea di Vittoria de Franchis realizzi questo gioco, può essere considerato come un modo di cortocircuitare la temporalità. Anche il tuo gioco riarticola un’idea di temporalità: come tutti i giochi presenta una narrazione che può essere rimescolata continuamente. Potresti approfondire questo aspetto?
Giulio Scalisi: L’aspetto della temporalità per me si lega a quello dell’animazione, cioè, dell’immagine in movimento. Nel momento in cui un soggetto cambia (posa, forma, colore, ecc.) nel tempo esso prende vita. È questa potenzialità di dar vita alle immagini nel tempo che mi affascina principalmente. Nel caso del progetto M3MORY 3D, ci sono due aspetti che io penso si leghino alla questione: quello dello svelamento e quello della memoria. Di come un’immagine ci appare durante un percorso, ed esiste di fronte a noi solo nel momento in cui essa viene svelata, per poi, inesorabilmente, scomparire; e di come le immagini, quando pregne di significato, una volta scomparse, si spostano nella nostra mente e si intrecciano con altre memorie e creano collegamenti.
Hai elaborato delle immagini partendo da diciannove descrizioni di Vittoria delle statue presenti nel bosco. Tali statue erano state fatte sviluppare da Vicino Orsini, il quale aveva preso spunto dal classico del Cinquecento L’idea del theatro di Giulio Camillo. Quanto è importante per te la capacità di processare e rielaborare idee e suggestioni del passato per creare mondi satelliti completamente differenti e nuovi?
GS: La trovo fondamentale e necessaria alla mia pratica. Nel mio caso l’intuizione del lavoro arriva spesso spontaneamente, poi il suo sviluppo lo ottengo sempre prendendo ispirazione da quello che c’è stato prima di me. Da artista a volte penso che l’attuale cultura visiva ci abbia reso dei moodboard ambulanti, e che spesso leghiamo con gli altri in base alla compatibilità dei rispettivi immaginari. Quindi nel momento in cui Vittoria mi ha proposto questo lavoro, e mi ha mandato le descrizioni delle diciannove statue del parco, ho riflettuto sul significato di ogni mostro e ho cercato di sintetizzare delle immagini che potessero evocare un messaggio equivalente sfruttando una tensione fra un immaginario collettivo contemporaneo e la mia personale sensibilità. Le reinterpretazioni delle statue mi sono poi venute spontaneamente senza mai guardare le originali, ma prendendo ispirazione dalla memoria che avevo di varie fonti: Neon Genesis Evangelion, Bloodborne, Memphis, Bob Wilson ecc…
Tutti gli elementi del progetto Una cosa mostruosa sono legati da un filo rosso che potrebbe essere individuato nella tridimensionalità: suono, narrazione, immagine. Una cosa che sembra sia possibile ritrovare anche nella tua produzione…
GS: La tridimensionalità, in maniera specifica l’illusione di una volumetria, può essere una strategia interessante per dare più concretezza a qualcosa di astratto, immaginario o fantastico. Nel caso delle immagini di M3MORY 3D, inizialmente alcuni mostri erano sospesi in un limbo e per qualche motivo funzionavano meno, apparivano meno reali. Solamente nel momento in cui abbiamo inserito gli oggetti in uno scenario in cui avevano la possibilità di “mettere i piedi a terra” e proiettare delle ombre con il proprio corpo esse ci apparivano reali. In inglese si usa il termine “grounded in reality”, nel caso del mio lavoro si parla di una realtà diversa, immaginaria, surreale, che, penso, trovi una sua coerenza anche attraverso questi stratagemmi tecnici.
Nel Rinascimento inizia a emergere l’idea di valorizzare maggiormente l’immagine rispetto alla tradizione del logos, che sin dall’antichità aveva invece dominato la cultura occidentale. Tu hai molto riflettuto sul valore delle immagini e sulla loro potenza di creare un immaginario. Che cosa rappresenta per te l’immagine? Che rapporto ha questo elemento con Una Cosa Mostruosa?
GS: Vedo l’immagine come una mediazione, uno specchio verso qualcos’altro, una eterotopia. È sostanzialmente un mezzo, e per me, in una cultura visuale così satura e, a volte, autoreferenziale, forse è più interessante capire come viene usato questo mezzo, rispetto al contenuto vero e proprio dell’immagine. Nel contesto di M3MORY 3D si faceva riferimento a una cultura visuale legata alla necessità dell’immagine di permanere nella memoria. Partendo da questa necessità ho cercato di progettare le statue condensandole di significati che potessero rimanere impressi nella mente di un osservatore contemporaneo.
Spencer, come è nato e come ha preso forma un disco come Trickster Blade?
Spencer Clark: Trickster Blade è la ricerca, mia e di Francesco, di un modo ulteriore di comunicare con la civiltà etrusca per mezzo degli dèi. In Trickster Blade, più che recitando i loro nomi, Francesco li evoca con la prosa.
Quale è stata la tua reazione quando hai saputo dell’opportunità di presentare Trickster Blade dal vivo a Bomarzo? Quando ti abbiamo intervistato, qualche tempo fa, hai parlato con grande entusiasmo del Rinascimento italiano, e in particolare del Parco dei Mostri di Bomarzo.
SC: Quando sei intensamente alla ricerca del mondo, il mondo torna indietro a cercare te. La concentrazione di passione pagana in Italia è estremamente alta, e credo che questo sia dovuto in parte a Giordano Bruno, Giovanni Pico della Mirandola e Marsilio Ficino. Soprattutto questi ultimi due erano particolarmente coinvolti nei riti pagani del neoplatonismo cristiano, e penso che vi fosse grande passione nel modo in cui, durante il primo Rinascimento, i pensatori e coloro che praticavano la magia potevano esprimersi liberamente per mezzo dei loro mecenati, ossia i proprietari dei castelli, come la famiglia d’Este. Per cui penso che, nel momento in cui ti documenti un minimo da fonti accademiche, ma poi ti mantieni libero di sperimentare e di mettere in atto i riti che ti permettono di conversare con gli dèi, allora possa aver luogo un progresso per l’umanità. Mi sembra che, come in passato, anche oggi, in Europa, l’Italia e gli italiani siano capaci di entusiasmarsi per molte cose, senza esaurirsi nel pragmatismo o in questioni politiche. Per questo ripongo grandi speranze nella nuova arte dall’Italia, così come in quella del passato. Penso che il prossimo Etrusca 3D debba aver luogo presso la Rocca Meli Lupi, a Parma, dove si trovano le grottesche più fantastiche della Terra.
Il titolo del nuovo album, Trickster Blade, è un richiamo alla figura mitologica del trickster?
SC: Il Trickster dal film Brainscan – Il gioco della morte, la cui band preferita sono i Pitchshifter, sfoggia un taglio di capelli mohawk che, da un punto di vista formale, è paragonabile ai copricapi etruschi. Inoltre, il Trickster fa il suo ingresso nel nostro mondo uscendo da un televisore: io e Francesco riteniamo che quello che stiamo facendo sia riportare in vita la civiltà etrusca attraverso la TV. Non intesa come la televisione in senso letterale, chiaramente, ma nel senso di un’attività moderna che avviene in questo reame. Per noi 3D è ciò che esce dalla TV, ma è anche l’atto di contattare gli dèi e di riportarli sulla terra così da integrarli nel nostro attuale mondo: questo è un processo mentale 3D. Il trickster, ovviamente da un punto di vista storico, è la sostanza che mette in comunicazione gli umani con un altro mondo. È un demone e un’entità in entrambi i mondi. Io e Francesco siamo grandi fan di Brainscan e Dark Forces (aka Harlequin), in quanto entrambi sono film moderni che mettono in scena le azioni del trickster, figura necessaria per accedere ai mondi passati, e agli altri mondi in generale.
E che ne è di quel tuo progetto sulle fontane di Roma?
SC: Continuano a gorgogliare per me.