Anarcoccultismo!
Pubblichiamo un estratto da Anarcoccultismo di Erica Lagalisse, appena pubblicato da D, ringraziando l’editore e il traduttore Enrico Monacelli per la disponibilità.

Una descrizione eretica dell’Illuminismo Radicale
I manuali di storia dell’anarchismo moderno individuano i suoi precursori nei movimenti eretici (per esempio: gli Anabattisti, i Ranters e i Diggers) che, fra la fine del periodo feudale e la nascita dell’ordine capitalista, mettevano insieme in maniera articolata le critiche alle autorità della Chiesa, alle enclosures della proprietà privata e al lavoro coercitivo. Questi movimenti rivendicavano spesso una proprietà comune fra cristiani preferendo, per esempio, la «grazia» al «lavoro», anche se la forma e il contenuto di questi movimenti sociali eretici erano diversi rispetto ai movimenti millenaristi cristiani che li hanno preceduti. I movimenti millenaristi erano spinti da individui carismatici o eventi esplosivi, mentre i movimenti eretici avevano strutture organizzative ben definite e programmi concreti volti al cambiamento sociale. Gli eretici aspiravano a una radicale democratizzazione della vita sociale reinterpretando la tradizione religiosa in opposizione agli interessi della Chiesa istituzionalizzata e, più in generale, dell’ordine costituito, sviluppando una rete di scuole e luoghi sicuri così vasta che più di uno storico l’ha definita «la prima “internazionale proletaria”». Perché gli storici dell’anarchia non hanno difficoltà a riconoscere come precursori dell’anarchia questi movimenti del passato ma, non appena si parla dell’anarchismo moderno, i movimenti religiosi radicali vengono derubricati come anacronistici, se non addirittura antagonisti, rispetto all’anarchismo?
Il passaggio dai movimenti millenaristi spontanei a quelli eretici organizzati e, successivamente, all’«internazionale proletaria» vera e propria è il frutto della disseminazione di idee provenienti da diverse dottrine mistiche che iniziarono a circolare in Europa durante le Crociate. La filosofia platonica, la geometria pitagorica, la matematica islamica come l’algebra, i testi mistici ebraici e i trattati ermetici furono riscoperti nella Spagna musulmana, e vennero tradotti in latino in quel periodo. È noto che la ricomposizione creativa di questi materiali teorici inaugurò il Rinascimento e successivamente l’Illuminismo; meno noto è come l’unione di questi elementi portò alla formazione, dal basso, di nuovi progetti egualitari. Ad esempio, la filosofia ermetica spesso non viene citata tra le fonti storiche della sinistra moderna, nonostante sia una corrente di pensiero fondamentale proprio per la nascita della politica di sinistra. Per questo, sarà meglio affrontare l’argomento del Rinascimento magico prima di approcciare ai temi dell’Illuminismo e dell’Illuminismo radicale.
L’Hermetica, o Corpus Hermeticum, è una collezione di testi scritti fra il primo e il secondo secolo dopo Cristo; nel Rinascimento si riteneva che fosse opera di Ermete Trismegisto («Ermes il tre volte grande») grazie al quale sarebbero state diffuse le conoscenze mistiche dell’antico Egitto. Alla civiltà egiziana veniva attribuito un valore «originario» e, per questo motivo, era considerata in un certo senso «superiore» – per esempio, la credenza comune voleva che fosse la cultura da cui si formò la filosofia greca – cosa che portò a considerare la scoperta di questi testi come un avvenimento particolarmente importante. Quando nel 1460 un monaco giunse a Firenze dalla Macedonia, portando con sé alcuni testi ermetici, Cosimo de’ Medici ordinò al suo traduttore di interrompere il lavoro sui dialoghi platonici e di concentrarsi su questi nuovi testi.
La tradizione ermetica descrive un universo uniforme in cui l’essere umano contiene in sé un microcosmo (come in alto, così in basso) e dove il tempo cosmico è scandito da una pulsazione di emanazione e ritorno. Il cosmo ermetico è organizzato in maniera gerarchica attraverso biforcazioni (diadi) e triforcazioni (triadi) simmetriche, diacroniche e sincroniche, ma è attraversato e unificato ovunque da una rete di «corrispondenze» e forze – chiamate alternativamente «energia» o «luce»; nel tempo, tutto resta intimamente collegato – «Tutto è Uno!». Significativo è il fatto che gli esseri umani partecipino alla rigenerazione dell’unità cosmica – la presa di coscienza di questo nostro ruolo divino è un passo fondamentale per realizzare questa armonia. Dio e la creazione, dunque, divengono una cosa sola, con l’inevitabile conseguenza logica che il nostro potere creativo – incluso quello intellettuale – è divino. La potenza creatrice della Parola (il Logos) è preso come esempio perfetto, spesso nominato in maniera intercambiabile assieme al sole, «secondo dio» e demiurgo. La creazione divina inizia nella Parola luminosa, e l’uomo, nel suo microcosmo può allo stesso modo creare. Chiaramente, l’iniziato deve prima liberarsi delle false dottrine per poter ricevere la «vera sapienza»; in ogni dato momento, solo pochi sono pronti a divenire iniziati. Lo stesso Ermete confida di «nascondere il significato delle parole» a chi non è pronto.
Il Corpus Hermeticum si rivelò duttile e venne utilizzato come fonte di ispirazione per un gran numero di opere. La sua precisa geometria metafisica, che apparve insieme all’algebra, gli Elementi di geometria di Euclide e il teorema di Pitagora, formò un composto in grado di lasciarsi utilizzare a fondo nella creazione di forme e concetti di stampo matematico. La matematica divenne l’architettura segreta del cosmo, una verità indistruttibile e fondamentale, e il disvelamento di questi segreti permise modi di costruire e creare fino ad allora mai immaginati – generando le cattedrali con le loro volte e il calcolo aritmetico, per esempio. Una gran varietà di dottrine mistiche iniziò a proliferare non appena tale amalgama reagì con le filosofie della natura preesistenti, e tra queste l’alchimia è solo la più nota fra le tante. La logica ermetica può essere rivenuta anche in un gran numero di altre dottrine eclettiche che si svilupparono in questo periodo, come il gioachimismo, il misticismo eckahartiano, il paracelsismo, la matematica di John Dee, l’arte lulliana, il vitalismo, il rosacrocianesimo (seguito dallo spiritualismo, il mesmerismo, eccetera), tutte unite nell’individuare segrete corrispondenze cosmiche e una geometria sacra. Frances Yates racconta come gli elementi della metafisica ermetica trovino spazio, per esempio, nella magia naturalis e nel culto del sole di Marsilio Ficino (1433 – 1499), nella cabala cristiana di Pico della Mirandola (1463 – 1494), nella filosofia occulta di Cornelio Agrippa (1486 – 1535) e nelle metafisiche di molte figure del Rinascimento e dell’Illuminismo, incluso, fra gli altri, Giordano Bruno (1548 – 1600), che creò una complessa mathesis.

La mathesis di Bruno era, proprio come le numerologie di Pico, Agrippa e altri prima di loro, ampiamente influenzata dal simbolismo numerico pitagoreo unito a varie forme di computazione cabalistica. Ma queste teorie, e i sistemi più autoreferenziali della matematica usata nelle scienze contemporanee, non sono mutualmente esclusivi – lo stesso Pitagora sviluppò il suo famoso teorema geometrico attraverso le esplorazioni mistiche. Niccolò Copernico (1473 – 1543), colui che sviluppò la teoria eliocentrica e che spesso viene citato come uno dei pionieri della rivoluzione scientifica, citò spesso Ermete Trismegisto nelle sue opere: la centralità che la visione del mondo rinascimentale assegnava al sole potrebbe aver spinto Copernico a indirizzare in quella direzione i suoi calcoli, trovando in Ermete una legittimazione delle sue scoperte. Robert Fludd (1547 – 1650), che tentò di sviluppare delle corrispondenze numeriche all’interno di diagrammi mistici, e Réné Descartes (1596 – 1650), che creò il calcolo cartesiano (incluso il sistema di assi x e y usato tutt’ora nel calcolo) erano colleghi e lavoravano nella stessa tradizione culturale, anche se le loro avventure intellettuali li portarono in due direzioni diverse. Johannes Kepler (1571 – 1630), le cui leggi eliocentriche del moto dei pianeti furono essenziali per la formulazione delle tesi newtoniane sulla gravitazione, ebbe discussioni minuziose con Robert Fludd nelle quali veniva citato il Corpus Hermeticum in dettaglio. Successivamente, nello stesso secolo, il calcolo divenne il caput mortuum nella ricerca alchemica di Newton (1642 – 1726) nei suoi tentativi per creare la Pietra Filosofale (o forse per la sua ricerca), cristallizzata nella sua teoria della cosmogonia eterea ermetica espressa nel linguaggio scientifico. Il vocabolario concettuale della sua fisica (come ad esempio nei termini «attrazione» e «repulsione») era tratto dal pensatore ermetico Jakob Böhme, che incontrò attraverso l’opera del famoso alchimista Henry More.
Chiaramente, le opere di Descartes e Newton sono il risultato di molteplici processi storici contingenti. Non possono essere attribuite alla sola influenza della filosofia ermetica; nondimeno, oltre alle connessioni descritte qui sopra, anche la coevoluzione del pensiero ermetico e della mnemotecnica classica hanno avuto una forte influenza con lo sviluppo del calcolo e con quello che poco più avanti divenne il «metodo scientifico».
In breve, nel periodo classico della storia greca e romana, la mnemotecnica era un metodo usato dai retori: un individuo avrebbe dovuto creare nella propria mente un’architettura (naturale o realizzata dall’uomo) formata da diversi ambienti ed elementi, per poi associare i vari punti di un discorso alle immagini mentali legate alle diverse parti di uno spazio architettonico. È chiaro che le parole potevano essere ricordate più facilmente se legate a delle immagini, e le immagini più facili da ricordare sono quelle straordinarie, personificate e che implicano un’azione o un accostamento sconosciuto. Come sottolinea Yates, nella tradizione aristotelica la mnemotecnica era un semplice strumento (il fatto che l’immagine scelta avesse qualche correlazione significativa con le parole era totalmente accidentale), mentre in quella platonica le immagini memorizzate dovevano esprimere una realtà trascendente. Nel Medioevo, la mnemotecnica era usata per ricordare i vizi e le virtù (cristiane – i concetti spirituali dovevano essere associate ad immagini «emozionanti»), mentre nel Rinascimento la filosofia ermetica influenzò un numero crescente di applicazioni neoplatoniche: la mnemotecnica avrebbe donato una memoria divina di sapienza universale – i talismani di Ficino avrebbero portato sul piano terreno delle intuizioni di natura celesti, proprio come le statue che gli egizi infondevano di potere cosmico. Ogni individuo avrebbe potuto, nell’opera di Fludd, di Bruno e di molti altri, «ricordare» la sapienza divina contenuta in lui proprio perché in egli vi è un microcosmo di origine divina. Le immagini archetipiche esistono in un confuso stato caotico, ma le tecniche mnemoniche, se propriamente ispirate, potevano restituirgli un proprio ordine e, in questo modo, ridare all’uomo il suo potere divino aggiuntivo.
Gli impulsi sistematizzanti della mnemotecnica classica divennero dunque associati alla memorizzazione (o alla canalizzazione) di verità universali, e, in ultima istanza, alla deduzione del sapere. Raimondo Lullo (1235 – 1316), che creò un sistema di ruote concentriche che ospitavano orbite di alfabeti (questa particolare ars combinandi era in principio influenzata dal cabalismo), era interessato alla memorizzazione di processi dinamici e introdusse per la prima volta il movimento all’interno nella mnemotecnica, mentre Giordano Bruno unì la mnemotecnica classica al Lullismo, collocando delle immagini su delle ruote concentriche.
Nello stesso periodo, Descartes avanzò la tesi che «da immagini di cose non prive di connessione si ricavino immagini nuove e comuni fra loro». Esponendo il suo metodo in una lettera del 1619, proponeva di andare oltre l’Ars Brevis di Lullo per creare una scienza che risolvesse ogni problema quantitativo. Nell’introduzione alla sua enciclopedia, Leibniz (1646 – 1716) ci avvisa che «qui si troverà una scienza generale, una nuova logica, un nuovo metodo, un Ars reminescendi o Mnemonica, un’Ars characteristica o Simbolica, un’Ars combinatoria o Lulliana, una Cabala del Saggio, una Magia Naturalis: in breve, qui, come in un oceano, saranno contenute tutte le scienze».
Infine, Leibniz usò i numeri al posto delle immagini usate da Bruno e, in questo modo, utilizzò i principi dell’Ars combinatoria per fondare il suo calcolo.
Non solo non è vero che durante l’illuminismo la «magia» subì un processo di screditamento, ma al contrario iniziò a essere sempre più accettata, se non addirittura considerata degna di riverenza.
I principi di ordine e di composizione della mnemotecnica classica si trasformarono gradualmente in una logica di classificazione e in forme sempre più complesse di algebra. Il concetto di «diagramma ad albero», usato in topologia, è un sistema mnemonico che utilizza dei «luoghi», e la notazione alfabetica scientifica, in molti casi, sostituisce i «luoghi» della mnemotecnica classica.
L’unificazione delle scienze è essa stessa un’operazione ispirata ad una concezione della realtà che la immagina come un’unità vivente. Il piano cartesiano utilizza assi verticali e orizzontali che indicano ordini diversi, la cui combinazione forma una sintesi semantica, proprio come accadeva precedentemente nel teatro della memoria di Giulio Camillo (1480-1544). La più grande innovazione di Descartes fu quella di trasformare l’uso qualitativo dei numeri in un uso quantitativo: resta immutato il fatto che conoscendo due fattori (il valore x e/o il valore y e/o la relazione fra i due) se ne può trovare un terzo. In breve, quando venne tradotta in un simbolismo matematico, la ricerca di «cose attraverso le immagini» causò la scoperta di una nuova notazione che rese possibili nuovi tipi di calcolo. Ancora più significativo è il fatto che la notazione matematica (le immagini) iniziò ad essere usata soprattutto per concetti relazionali (ad esempio le derivate dx/dy).
Ho riportato questi rapidi appunti semplicemente per sottolineare come il «disincanto», spesso evocato quando si parla di illuminismo, non sia che un mito. Non solo non è vero che durante l’illuminismo la «magia» subì un processo di screditamento, ma al contrario iniziò a essere sempre più accettata, se non addirittura considerata degna di riverenza, essendo legata ai progressi della matematica e di altre discipline affini che potevano essere sfruttate per applicazioni pratiche. Mentre nel Medioevo la volontà umana di «modificare» il mondo (invece di confrontarsi con esso con spirito puramente contemplativo) era attribuita a un’ispirazione demoniaca, nella tradizione ermetica rinascimentale il desiderio umano di manipolare la realtà venne elevato quasi a dogma cristiano. A posteriori, gli storici europei si sono divertiti a classificare certe forme di manipolazione del mondo come «magiche» e altre come «scientifiche», ma questa distinzione è anacronistica. Vi è una continuità diretta tra ogni attività che coinvolge l’uso dei numeri nelle più alte sfere della magia religiosa e l’uso dei numeri nella sfera che Tommaso Campanella chiamava, facendo riferimento alla meccanica delle pulegge, «magia artificiale reale». Se gli osservatori contemporanei tendono a separare il calcolo dalla «magia» è perché, in retrospettiva, abbiamo definito la «magia» come un’attività inutile, infondata e moralmente sbagliata.
A questo punto, possiamo iniziare a prendere in considerazione le questioni di genere legate alla «sfera pubblica» e, più in generale, alla modificazione del mondo. Dopotutto, mentre la «magia» acquisiva rispettabilità in alcuni ambienti, le donne venivano accusate di essere streghe proprio perché praticavano una qualche forma di «magia», fatto da cui possiamo dedurre che il pericolo non era legato tanto alla «magia» in sé, quanto al genere della persona che la praticava. Mentre le manipolazioni del mondo praticate dagli uomini erano considerate legittime, manipolazioni equivalenti, ma praticate dalle donne, venivano tacciate sempre più spesso di eresia. Come Barbara Ehrenreich e Deirdre English hanno sottolineato prima di altri nella loro analisi femminista sull’inquisizione, le «streghe», di norma, erano semplici guaritrici, sagge od ostetriche – delle empiriste che avevano coltivato una profonda conoscenza dell’anatomia umana, delle droghe e delle erbe, mentre gli uomini che saranno poi ricordati come i «padri della scienza» erano ancora alla ricerca di un modo per trasformare il piombo in oro. Più che una persecuzione contro la «magia», nel senso più ampio del termine, la caccia alle streghe era una lotta di classe basata sul genere in cui un’élite maschile espropriò con la forza il campo, concettuale e pratico, della guarigione a delle contadine; come ci spiega il Malleus Maleficarum, «se una donna osa offrire cure senza aver studiato è una strega, e per questo deve morire».
Ehrenreich e English hanno dunque anticipato il lavoro, molto amato negli ultimi anni, di Silvia Federici, filosofa incuneata nella tradizione Marxista che ricostruisce il fenomeno della caccia alle streghe come forma di «accumulazione primitiva»: proprio come la terra, l’aria e l’acqua devono prima essere privatizzati per diventare «risorse» affinché il sistema capitalista possa trarre profitto dalla merce che viene prodotta dal loro sfruttamento, così le donne vennero privatizzate attraverso la caccia alle streghe, costrette e ridotte a dei meri corpi. La persecuzione della magia fra le «streghe» della classe contadina era in altre parole una forma di controllo disciplinare studiato attorno alle donne dei ceti meno abbienti e volta a rinforzare la logica della proprietà privata, del lavoro salariato e della trasformazione delle donne in (ri)produttrici di forza lavoro. Anche se un mito molto diffuso sostiene che la caccia alle streghe ebbe il sostegno dei contadini, rei di non essere ancora stati istruiti alla «razionalità», in realtà questo fu un progetto organizzato in maniera mirata dalla Chiesa e dagli Stati europei che si avviavano verso la modernità. Infatti, ci vollero molti decenni di propaganda prima di riuscire a istituire una solida complicità tra inquisitori e le classi popolari. Ovviamente, la diffusione del panico, orchestrata dalle autorità che istigarono la caccia alle streghe, si concentrò ossessivamente sull’infanticidio; questo fu abbastanza logico, essendo vero che i saperi tradizionali trasmessi dalle donne erano spesso legati alla maternità e alla contraccezione, una forma di «magia» usata con profitto già al tempo, dato che i più poveri tra i contadini, espropriati dai terreni comuni tramite le enclosures, non potevano più permettersi troppe bocche da sfamare. Ma d’altro canto, il terrore scatenato dal crollo demografico (che rappresenta forza lavoro, al netto delle maggiori risorse necessarie) e dall’autonomia riproduttiva delle donne delle classi meno abbienti fu ciò che di fatto distinse le «streghe» dai «maghi rinascimentali», su cui i demonologi chiudevano con piacere un occhio. Dopotutto, le attività diaboliche delle streghe infanticide provenivano spesso dai testi e dal repertorio dell’Alta Magia.
L’Illuminismo dell’IWA
A metà del XIX secolo, molti membri di diverse società massoniche cominciarono a rendersi conto che gli obiettivi della lotta proletaria coincidevano con i loro. Dopotutto, l’uso delle organizzazioni massoniche come copertura per le attività rivoluzionarie era ormai prassi consolidata e l’intero apparato di riti, costumi e iconografie della massoneria simboleggiava in modo esplicito i valori di uguaglianza, solidarietà, vita e lavoro.
Pierre-Joseph Proudhon, massone vissuto negli anni in cui si andava formando l’International Workingmen’s Association (o IWA, conosciuta anche come Prima Internazionale, NdR), scrisse che «Il Dio massonico non è Sostanza, Causa, Anima, Monade, Creatore, Padre, Logos, Amore, Paraclito, Redentore […], Dio è la personificazione dell’equilibrio universale». Ai tempi di Proudhon, le logge britanniche iniziarono ad ammettere un numero sempre più alto di proletari tra i suoi membri – in particolare, lavoratori abili e alfabetizzati – supportandone le istanze, tanto che al primo incontro preparatorio dell’IWA, che si tenne il 5 agosto 1862, troviamo anche Karl Marx come ospite della Free Masons Tavern. Molti dei presenti erano «massoni socialisti», epiteto all’epoca affibbiato ai membri delle piccole logge fondate a Londra dai repubblicani francesi in esilio in Gran Bretagna tra il 1850 e il 1858, e che coinvolgeva membri di diverse nazionalità – queste logge erano soprannominate «memfite», come il luogo di sepoltura sacro agli egizi. Gli obiettivi immediati del programma memfita erano due: la lotta alle barbarie dell’ignoranza attraverso l’educazione e aiutare il proletariato nella loro lotta per l’emancipazione per mezzo delle associazioni di mutuo soccorso proudhoniane. Tra i membri delle logge memfite troviamo anche Louis Blanc (in particolare, nella Loge des Philadelphes), assieme ad almeno altri sette fondatori dell’IWA. A Ginevra, inoltre, l’ala locale dell’IWA era spesso chiamata «Tempio Unico», dato che riuniva l’omonima loggia massonica. Molti fra i contemporanei osservarono che l’IWA era così scarsamente attrezzata che, se non fosse stato per l’aiuto dei massoni socialisti, non sarebbero mai riusciti a organizzare il loro primo incontro, il 28 settembre 1864, che segnò l’atto fondativo dell’organizzazione.
Il simbolismo comunista e quello anarchico, come la stella rossa e la «A» cerchiata, risalgono a questo periodo e hanno origini massoniche. La stella, che ha un’enorme carica di significati esoterici tanto nella tradizione Ermetica quanto in quella Pitagorica, venne adottata dai massoni nel XVIII secolo (anche se alcuni sostengono che bisogna tornare addirittura al XVII) per indicare il secondo grado della loro associazione – il grado di Compagno (Compañero e Camarade, secondo varie fonti). Tra i socialisti, fu usata per la prima volta dai membri delle logge memfite e poi dell’IWA. Per quanto riguarda l’A cerchiata, le prime versioni, come lo stemma della sezione locale spagnola dell’IWA usato nel tardo ‘800, sono chiaramente composte dalla bussola, la riga e il compasso dell’iconografia massonica. L’unica innovazione è che la bussola e la riga sono disposte in modo da formare la lettera «A» all’interno di un cerchio.
Nel tempo, questi simboli hanno sviluppato significati completamente inediti – molti anarchici, nel XXI secolo, non sanno che la stella usata da comunisti, anarchici e zapatisti proviene direttamente dal pentacolo pagano. Gli attivisti spesso non riconoscono la perfezione geometrica della cosmogonia o della mnemotecnica geometrica di Giordano Bruno nemmeno quando questa è evidente, né si rendono conto che esiste un legame genealogico tra la celebrazione del Giorno di Maggio (neo)pagano e la celebrazione del Primo Maggio. Oggi, la marcia del Primo Maggio per i più rappresenta la commemorazione del massacro di Haymarket (1886), eppure non è una coincidenza che molte insurrezioni esplosero a Chicago proprio quel giorno, dato che i rivoluzionari onoravano il Giorno di Maggio fin da prima della fondazione degli Illuminati. Nel XIX secolo, queste associazioni simboliche erano, al contrario, ben note ai soggetti coinvolti, e l’adozione di tali simbolismi rifletteva quanto essi fossero in risonanza con la spiritualità dell’eredità che stavano raccogliendo. Anche Bakunin, pur rifiutando il Dio della sua infanzia russo-ortodossa, propose un rivoluzionarismo panteista. In una lettera a sua sorella (1836), scrisse: «Lasciate pure che la religione possa diventare la fondamenta e l’attualità delle vostre vite e delle vostre azioni, ma fate in modo che essa sia la pura e limpida religione della ragione divina e dell’amore divino […]. Se lascerete brillare in noi la religione e la vita interiore, diventeremo consapevoli della nostra forza, poiché sentiremo che Dio è dentro ognuno di noi, quello stesso Dio creatore di un nuovo mondo, un mondo di assoluta libertà e di assoluto amore […]. Questo è il nostro obiettivo».

Bakunin è decisamente più conosciuto, tra gli anarchici di oggi, per il rovesciamento del famoso aforisma di Voltaire – «Se Dio fosse esistito davvero, sarebbe stato necessario abolirlo». Eppure, per tutto il XIX secolo, le uniche due persone coinvolte negli ambienti rivoluzionari che mal sopportavano questo tipo di misticismo furono Marx ed Engels. Le farneticazioni di Proudhon su Dio come Equilibrio Universale erano proprio il genere di cose che Marx ed Engels non tolleravano, e a cui si opponevano con il loro «socialismo scientifico» – «I francesi rifiutano la filosofia e perpetuano la religione, trascinandosela con loro nel nuovo stato di cose». Bakunin e Marx differivano in questo e molti altri punti, fra cui il ruolo dello Stato, il più noto punto di divergenza tra i due filosofi. Marx considerava la dittatura del proletariato un momento necessario nella sua dialettica storica, Bakunin sposava invece l’idea di un’organizzazione rivoluzionaria segreta che «aiutasse il popolo a raggiungere l’autodeterminazione, senza la minima interferenza di qualsiasi tipo di dominazione, seppur temporanea o transitoria». Bakunin scrisse anche di vedere l’«unica salvezza in una rivoluzione anarchica diretta da una forza collettiva segreta», l’unica forma di potere che avrebbe tollerato, «poiché è l’unica compatibile con la spontaneità e l’energia del movimento rivoluzionario». «Dobbiamo dirigere le persone come condottieri invisibili, non per mezzo di un qualsiasi potere visibile, ma piuttosto attraverso una dittatura senza ostentazione, senza titoli, senza diritti ufficiali, che non avendo l’apparenza del potere sarà quindi più potente».
Il potere dittatoriale di questa organizzazione segreta rappresenta un paradosso solo se non riconosciamo la lunga tradizione e la cosmologia all’interno della quale Bakunin era immerso. La rivoluzione può essere «immanente» nel popolo, ma la guida di uomini illuminati che lavorano in modo «occulto» era necessario per dirigerli nella giusta direzione. I membri della sua Confraternita Internazionale dovevano agire «come parafulmini, per elettrificare con l’elettricità l’intera rivoluzione», e così garantire «che questo movimento e questa organizzazione non fossero mai state in grado di costituire una qualsiasi autorità».


