Niente è vero, tutto è permesso
In vista di Interregno, il festival su «futuro, tecnologie e utopia» che si tiene a Roma dal 20 al 22 ottobre, proseguiamo con la nostra serie di interventi sui temi al centro della rassegna. Se già nella prima testimonianza siamo tornati alle origini del cyberpunk italiano grazie a un’esperienza come Decoder, il collettivo-rivista milanese torna anche in questo estratto da Flussi sotterranei: una microstoria di iperstizione e resistenza esoterica, un testo di Edmund Berger che cerca di ricostruire la genesi del pensiero accelerazionista a partire da alcuni precedenti in ambito artistico, politico e controculturale a cavallo tra cultura (proto)cyber e occultismo acido. Il testo completo è stato pubblicato da Obsolete Capitalism/Rizosfera nella collana I forti dell’avvenire, e potete scaricarlo gratuitamente qui. Ringraziamo Obsolete Capitalism per la disponibilità.
«Ma quale via rivoluzionaria, ce n’è forse una? Ritirarsi dal mercato mondiale, come consiglia Samir Amin ai paesi del Terzo Mondo, in un curioso rinnovamento della “soluzione economica” fascista? Oppure andare in senso contrario? Cioè andare ancora più lontano nel movimento di mercato, della decodificazione e della deterritorializzazione?» (Deleuze e Guattari, L’anti-Edipo, 1972)
[…] Queste ruminazioni sono la base teorica dell’accelerazionismo. Una pubblicazione che divide come l’#Accelerate Manifesto ha guadagnato una rapida popolarità, mentre le prime tracce di accelerazionismo generate negli anni Novanta da Sadie Plant e dalla Cybernetics Culture Research Unit (CCRU) di Nick Land continuano a innescare accese reazioni a causa della loro apparente celebrazione delle più oscure compulsioni del capitalismo. Deleuze e Guattari avevano osservato che sotto i «flussi di decodificazione» del capitalismo, «il desiderio stesso diventa l’istinto di morte che trasporta i semi di una nuova vita». Nick Land fece interagire questa riflessione deleuziana con l’idea, espressa da Lyotard, che il capitalismo esiste a causa degli impulsi libidinali umani; accelerare il capitalismo sarebbe allora un processo naturale di accelerazione della compulsione umana verso la propria morte. Il traguardo di Nick Land, più appropriatamente, è un sistema tecnologizzato di mercato in fuga dalle sue componenti umane, considerate superate.
Il «nuovo accelerazionismo» è invece un’invocazione, sotto molti aspetti, di alto modernismo. Le sue aperture sottili verso un’organizzazione gerarchica sono in netto contrasto con l’ethos reticolare, distribuito e orizzontale dell’attuale epoca postmoderna […]. Oltre a questo, abbiamo le allusioni ad una padronanza di sé aumentata dalla tecnologia che evoca, in un qualche modo, il proto-fascismo del Futurismo italiano. A differenza dei futuristi, e della priorità da loro conferita a velocità e guerra in quanto fattori sociali, i neoaccelerazionisti citano esempi quali il progetto cileno Cybersyn come precedente storico del proprio progetto (Cybersyn fu probabilmente l’ultimo programma socialista della modernità prima della nascita del neoliberismo).
Il nuovo accelerazionismo rompe con la variante landiana annullando la retorica di impulsi tanatotropici e fiero apocalittismo […]. Nel nuovo accelerazionismo, infatti, l’umanesimo e il discorso della «gestione di sistema» prendono il posto dell’antiumanesimo e degli impulsi oscuri e anarchici. Nick Land e la CCRU avevano febbrilmente prodotto testi in cui mescolando il cyberpunk, la fantascienza, l’horror lovecraftiano, la musica elettronica e un distorto post-strutturalismo francese, si generava un’irrazionalità sistemica che appariva più caotica dei movimenti filosofici che li hanno preceduti. Il nuovo accelerazionismo, invece, prevede una società organizzata attraverso principi di razionalità, competenza matematica e generosa collaborazione tra l’uomo e le macchine intelligenti. […]
Tuttavia, attraverso la rimozione degli eccessi frenetici di Nick Land, il nuovo accelerazionismo si perde qualcosa di fondamentale […]. Questa è la forza concettuale della «iperstizione», un «elemento della cultura effettiva che si rende reale»: in altre parole, la capacità della finzione di manifestarsi nel mondo fisico. L’iperstizione era indicativa dell’intensificazione di Nick Land della teoria del caos con la magia del caos. Proprio come l’iperstizione guardava ai modi in cui l’irrealtà potrebbe dislocare la continuità con la realtà, la magia del caos sottolinea la natura soggettiva della percezione, e la plasticità dell’ideologia può essere manipolata e riconfigurata. Un esempio che Nick Land dà di questo paradigma cangiante è l’utilizzo che William Gibson effettua del termine «cyberspace» nel romanzo Neuromante. Nel cyberpunk classico, il cyberspazio è un «non-spazio» digitale, un’allucinazione consensuale in cui gli utenti si possono collegare, per poi surfare attraverso i flussi di dati di un aziendalismo in fuga accelerata. Per la CCRU, il cyberspazio di Gibson ha contribuito a formare la fisionomia di Internet così come la conosciamo oggi […].
Land descrive il capitalismo come una forza «estremamente sensibile all’iperstizione, dove la fiducia funge da tonico effettivo, e inversamente». Ciò è particolarmente vero per i mercati finanziari, dove notizie e interpretazioni estemporanee e non verificate possono dare forma a movimenti speculativi, influenzando così l’intero sistema monetario. Di questo web quasi fittizio la finanza ha fatto una casa, utilizzando le fluttuazioni degli strumenti finanziari per trasformare investimenti ad alto rischio in profitti. […] Ciò rivela esattamente le dimensioni iperstizionali dei mercati: «L’iperstizione» afferma Land «è un circuito di feedback positivo che include la cultura come componente. Può essere definita come la scienza sperimentale delle profezie che si autoavverano».
Il discorso della retroazione positiva (positive-feedback), accanto all’uso di tecnologie informatiche avanzate negli spazi negoziali (trading floors) che vanno dalla connettività globale del mercato elettronico alle «scatole nere» dell’high-frequency trading, mostra il debito del capitalismo neoliberista nei confronti del boom delle scienze dell’informazione nate durante e dopo la seconda guerra mondiale, quelle che Philip Mirowski ha definito le «scienze cyborg»: la cibernetica, la teoria della comunicazione, la teoria dei giochi, ecc. […] Mirowski, citando Herbert Simon, descrive il movimento di questi costrutti scientifici nell’economia come «scienze dell’artificiale», rilevando la crescente incapacità – e forse il crollo totale – della distinzione tra il reale e le simulazioni della realtà costruite attraverso modelli matematici. […]
Fino a che punto, nel sistema orizzontale e verticale del neoliberismo e dell’ipercircolazione monetaria sotto forma di codice digitale, la distinzione tra capitalismo e mercati offre delle alternative? E fino a che punto l’accelerazionismo non si oppone al neoliberismo, ma al contrario sostiene la logica del capitalismo fornendo una torsione fantascientifica all’ideologia conservatrice? Alcuni teorici (Deleuze e Guattari, Tiqqun) hanno osservato l’importanza del concetto di velocità nelle pratiche di resistenza, mentre altri (Virilio, Bifo, Tiqqun) hanno enfatizzato la decelerazione; nel frattempo, ognuno di questi si trova a disagio nella falsa distinzione tra l’alternativa del neoliberismo dilagante e della socialdemocrazia liberale pro-Stato che, entrambe, dominano l’immaginario attuale. Tiziana Terranova scrive che «la nozione di un modo di esistenza post-capitalistica deve diventare credibile», una dichiarazione che indica il divenire-reale di alternative immaginative e che ci riconduce nuovamente allo spettro dell’iperstizione. Nel dibattito sulla tendenza accelerazionista, proprio l’iperstizione – assieme ai suoi progenitori storici – può avere molto da insegnarci, se non altro per il suo utilizzo di cose che sembrano irrazionali, assurde e antiscientifiche come arma contro la razionalità del nostro globo neoliberista.
Nonostante gran parte della logica razionalizzata del neoliberismo derivi dalle «scienze cyborg», da questo quadro vengono annullate le proposte più nomadi e deterritorializzate che si muovono appunto nella direzione opposta. Il libro The Cybernetic Brain di Andrew Pickering predispone una cartografia all’intersezione della teoria cibernetica con l’esoterismo, e vi inserisce gli artisti, i rivoluzionari e i mistici che si dilettano in questo ibrido come contrappunto a coloro che invece hanno portato le scienze informatiche nei mondi del complesso industriale, della gestione aziendale e dell’economia. Al centro della sua storia è il neuropsicologo William Grey Walter, il cui libro del 1953 The Living Brain tradisce un profondo fascino per «ciò che si potrebbero chiamare stati alterati e strane rappresentazioni: sogni, visioni, sinestesia, allucinazione, trance ipnotica, percezione extrasensoriale, il raggiungimento del Nirvana, incluse le particolari abilità dei maestri di yoga orientali e dei fachiri… rappresentazioni bizzarre quali la sospensione del respiro, l’accelerazione del battito cardiaco e la tolleranza del dolore intenso». Tra i cibernetici, Gray Walter non era solo; Pickering descrive queste elucubrazioni come l’inizio di un discorso sulle tecnologie dell’«io non-moderno», un paradigma ontologico di performatività che è al di fuori della tradizionale linearità dello sviluppo storico.
Influenzati dal libro di Walter furono gli scrittori beat William S. Burroughs e Brion Gysin (i due avrebbero tentato di replicare le esperienze mistiche descritte nel libro con la loro Dream Machine). Più importante è tuttavia il fatto che Burroughs è intimamente legato all’iperstizione di Land e della CCRU. [Nel caso di Burroughs] la decostruzione dei confini tra realtà e finzione emerge dalla costante creazione di realtà contemporanee che irradiano dal Controllo. Nel Pasto nudo, l’archetipo del Controllo si trova nel Dr. Benway, un «manipolatore e coordinatore di sistemi simbolici, un esperto delle varie fasi di interrogatorio, lavaggio del cervello e controllo». Questo Controllo emerge dalle scienze, siano esse tecnologiche, matematiche o linguistiche (andrebbe notato come nel neoliberismo ognuna di queste sia diventata indivisibile l’una dall’altra e dal mercato stesso). Nei lavori successivi, il Controllo è legato a quello che Burroughs chiama il «virus del linguaggio», il concetto per cui le parole e i linguaggi operano in modo virale, spostandosi da ospite a ospite, infettando ognuno e così facendo determinando i parametri sui quali l’ospite visualizza la realtà.
Mark Hansen sostiene che gran parte di questa posizione derivi dalla teoria dell’informazione, osservando come nel libro Nova Express la parola virus sia descritta nei termini del proprio «contenuto informativo» diffuso attraverso l’utilizzo di tecnologie di comunicazione. Altri hanno notato il rapporto tra gli scritti di Burroughs e quelli del celebre occultista Aleister Crowley, che ha prefigurato l’iperstizione spiegando il complicato rapporto tra realtà e finzione, e i modi in cui il linguaggio stesso sia una forza magica in grado di trasformare le nostre percezioni del mondo. Per Crowley questo paradigma è stato il risultato di una conformità schiacciante generata da forme prevalenti di consapevolezza di gruppo (fiducia nel progresso, guerra, ideologie politiche e religiose e concorrenza) da contrastare con la massima anarchica «Fa’ ciò che vuoi sarà tutta la tua Legge». Nel libro Strade morte Burroughs raffigura un rivoluzionario anti-Controllo nelle sembianze di Hassan i Sabbah, leader storico degli Hashshashin persiani (gli Assassini). Burroughs attribuisce all’eroe del romanzo, Hassan i Sabbah, la frase «Nulla è vero, tutto è permesso» basata sulla Legge di Crowley. […]
La visione rivoluzionaria di Burroughs viene elaborata all’interno della tecnica del cut-up, un metodo per tagliare e ricollegare insieme i testi affinché rivelino nuovi processi e nuovi significati, con l’obiettivo esplicito di riorganizzare la realtà. […] Burroughs e Gysin furono chiari fin dall’inizio su come le radici del cut-up fossero nelle avanguardie storiche, tracciando le sue origini in Lautréamont (il quale aveva esaltato le virtù del plagio nel suo Les Chants de Maldoror), e in Tristan Tzara, dadaista, la cui poesia Per fare una poesia dadaista (1920) comprendeva istruzioni sul taglio di articoli di giornale e sull’estrazione di parole a caso da un cappello. Burroughs e Gysin indirizzarono ulteriormente l’attenzione verso la storia della letteratura con il cut-up personale degli scritti di Arthur Rimbaud, poeta francese che Nick Land avrebbe rappresentato come l’oscuro attrattore dell’accelerazionismo; citando Georges Bataille: «La poesia conduce dal noto all’ignoto».
Ognuna di queste figure e movimenti d’arte ha mantenuto, insieme alla loro propensione a favorire una rivoluzione estetica, legami netti con il mondo dell’occulto. I temi occulti circolano attraverso Les Chants de Maldoror accanto al flusso di coscienza protosurrealista e alle appropriazioni da testi scientifici, mentre la poesia di Rimbaud è ricca di riferimenti all’alchimia e agli stati alterati raggiunti attraverso la sperimentazione ottenuta tramite lo «sconvolgimento dei sensi» (uno dei mentori di Rimbaud è stato Charles Bretagne, un noto libertino e occultista). Lautréamont e Rimbaud, a loro volta, hanno avuto un forte impatto sull’estetica caotica di Dada. […]
Lautréamont, Rimbaud e Dada: ognuno di loro sarebbe stato distillato e rielaborato non solo da Burroughs e Gysin, ma anche dall’Internazionale Situazionista, un altro gruppo eterogeneo che ha dissolto i confini tra estetica e politica […] Vale la pena riflettere sulle analogie tra le loro teorie sulle società consumiste e le convinzioni di Burroughs riguardanti il Controllo. Proprio come la nostra realtà-finzione è fondata sulla manipolazione della parola stessa, i situazionisti hanno rappresentato la vita quotidiana racchiusa all’interno dello «Spettacolo» […] Nella Società dello spettacolo, Guy Debord illustra il ruolo del linguaggio nell’evoluzione dello Spettacolo: «Il linguaggio dello spettacolo è costituito da segni della produzione regnante che sono nello stesso tempo la finalità ultima di questa produzione». […] Proprio come il Controllo di Burroughs opera attraverso le tecnologie di comunicazione, è lungo questi stessi sentieri che lo Spettacolo dei situazionisti si propaga: «Ciò che collega gli spettatori non è che il rapporto irreversibile col centro stesso che mantiene il loro isolamento». Infine, così come Burroughs aveva collegato il Controllo alla Teoria dell’Informazione, così i situazionisti hanno utilizzato per lo Spettacolo un linguaggio simile […]
Se esistono sorprendenti somiglianze tra i due discorsi, i modi rivoluzionari promossi da Burroughs e dai situazionisti possono essere considerati ancora più vicini. Richiamandosi direttamente a Lautréamont, molti dei primi testi situazionisti si sono concentrati sul détournement, la sovversione poetica di testi e immagini, sottratti e plagiati dalle loro fonti originarie. La pratica è analoga alla tecnica del cut-up; se la parola e l’immagine aiutano il singolare messaggio dello Spettacolo, allora la dissezione e riorganizzazione di questi assetti può rivelare nuovi significati: «l’impatto principale di un détournement è direttamente correlato al ricordo conscio o semiconscio dei contesti originali degli elementi». Il détorunement è completamente nonsense: «meno efficace è, più si avvicina a una risposta razionale». Ancora più importante, la messa nera viene citata come un détournement per eccellenza, evocando forse l’interesse dei situazionisti per le sette eretiche millenarie. Il détournement divenne poi, in maniera più esplicitamente politica, la «costruzione di situazioni», vale a dire uno spazio temporaneo e collettivo nella vita quotidiana dove le regole e le surcodifiche dello Spettacolo possono essere rovesciate. Le «situazioni» costituivano aperture in questa società, e con la loro proliferazione e massa critica avrebbero potuto far nascere un nuovo mondo: una democrazia diretta invece del liberalismo, un’economia del dono in luogo del capitalismo, e la sperimentazione in forma libera anziché lo Spettacolo. […]
La «situazione» è simile al carnevale narrato da Mikhail Bakhtin, una festa di sovversione che dirotta il contenuto delle organizzazioni di potere e le trasforma dentro e fuori. Bakhtin ha preannunciato le tesi situazioniste scrivendo che il carnevale «non è uno spettacolo a cui le persone assistono; ci vivono dentro e tutti partecipano perché è l’idea stessa che li lega insieme». In un collegamento iperstizionale, l’analisi del carnevale di Bakhtin gira attorno a Rabelais, che nel Gargantua e Pantagruel ha parodiato la vita monastica con i suoi scritti sulla mitica Abbazia di Thelema, la cui unica regola di condotta recita: «Fa’ ciò che vuoi». Questa era, naturalmente, la massima di Aleister Crowley nel suo sistema filosofico chiamato appunto Thelema.
Tenuto conto di tutte queste impollinazioni incrociate, non sorprende che esista un legame tra Burroughs e i situazionisti. Il collegamento è Alexander Trocchi, un artista la cui carriera oscilla tra i beat americani e i militanti francesi. Trocchi concepì una metodologia di situazioni che chiamava Sigma, «un processo senza inizio né fine, senza soggetto né scopo … qualcosa di esperito nel vissuto della vita quotidiana». Sigma somigliava notevolmente agli obiettivi della magia del Caos, descritta da Genesis P. Orridge come un «processo di sperimentazione individuale e collettiva senza risposte finite, dogmi o verità inconfutabili» in grado di «interrompere il Controllo a tutti i livelli». […] Debord avrebbe espulso Trocchi dall’Internazionale Situazionista; Burroughs, però, osservò che i Situazionisti potevano essere «un ottimo sbocco per i pezzi brevi che sto scrivendo adesso». Questi scritti comprendevano anche il manuale poi intitolato La rivoluzione Elettronica, dove la tecnica di cut-up è estesa all’intreccio e alla riproduzione di registrazioni su nastro. Burroughs qui ha speculato sulla fomentazione del dissenso attraverso il suono, per esempio giocando sulle registrazioni audio di una rivolta per generare altra rivolta: un approccio iperstizionale per trasformare la finzione in realtà.
Gli autonomi usavano le tecniche dadaiste del collage, prendendo personaggi dai giornali, tagliando le immagini, mescolandole e incollandole alla pagina, poi fotografando e stampando tutto. La loro letture erano meno noiose di quelle dei loro predecessori. Stavano leggendo non tanto Marx e Lenin, ma William Burroughs e Roland Barthes. Era l’Autonomia italiana degli anni Settanta: il suo era un atteggiamento punkeggiante e DIY, che adottò la politica del desiderio di Deleuze e Guattari per reindirizzare il marxismo verso qualcosa di gran lunga più esperienziale rispetto alla politica stalinista dell’epoca. Accanto v’era una sensibilità estetica che fu raggiunta grazie a un confronto serrato con la storia delle avanguardie e la teoria post-situazionista. Le stazioni radiofoniche autonome come Radio Alice e le pubblicazioni sotterranee come A/Traverso hanno usato la tecnica del cut-up come parte di una strategia “Mao-Dada”: solo Spettacoli e Simulazioni avrebbero potuto annullare gli Spettacoli e le Simulazioni. Prefigurando l’iperstizione, A/Traverso produsse nel 1977 un testo con il titolo Informazioni false producono eventi veri. […]
Sotto il regime di leggi di emergenza stabilito in Italia alla fine degli anni Settanta, una grande parte dell’Autonomia fu spedita in prigione o costretta all’esilio, lasciando la sua eredità di teorie e di pratiche a una vasta rete di punk radicali, squatter anarchici e centri sociali. Uno di questi «centri antagonisti» post-Autonomia fu il collettivo milanese Decoder, noto per aver introdotto un certo tipo di cyberpunk politicizzato in Europa e per aver tradotto testi della rivista e casa editrice RE/Search di San Francisco. Il collettivo (e rivista) Decoder trasse il proprio nome da Decoder, un film tedesco del 1984 prodotto da Klaus Maeck, con un cast di luminari della cultura underground e apparizioni di Burroughs e Genesis P. Orridge […] Lo stesso film Decoder gira attorno alle idee di Burroughs, presentando il cut-up delle registrazioni su nastro come mezzo di rivolta contro l’aziendalismo distopico. In una sequenza importante di Decoder, questi nastri vengono utilizzati per incitare disordini; il regista utilizzò le riprese originali delle proteste contro il presidente Reagan durante la sua visita in Germania. Come racconta Maeck, il loro intento era quello di fornire le registrazioni ai contestatori, ma furono battuti sul tempo: «Siamo rimasti molto sorpresi dal fatto che la nostra sceneggiatura è diventata vera ancora prima di iniziare… c’erano effettivamente dei nastri diffusi, distribuiti da circoli politici, con l’istruzione di fare ulteriori copie… e ha funzionato!»
[In Italia] il collettivo Decoder divenne ben presto intrecciato con la rete d’avanguardia devota al «neoismo», un’eclettica anti-ideologia che febbrilmente campionava cyberpunk, cultura industriale, Dada, Fluxus, Mail Art, situazionismo, magia del Caos, Discordianesimo e anarchismo, con particolare attenzione al plagio e al détournement. Come l’Autonomia Italiana, il neoismo è fissato nel continuum protoiperstizionale grazie alla sua adesione al credo che «l’informazione produrrà eventi reali». La cultura della Rete utilizzerà la tattica del «nome aperto» (Monty Cantsin, Karen Eliot e Luther Blissett, ecc.), vale a dire nomi aperti all’appropriazione di artisti e rivoluzionari in tutta Europa e in America, per condurre azioni e interventi liberi dai vincoli delle singole soggettività. Luther Blissett è stato il più prominente, soprattutto nei circoli italiani post-autonomisti, e si è mescolato con le strategie dei media tattici per escludere e confondere simultaneamente il Controllo. Questi nomi aperti sono stati poi connessi a gruppi aperti, vale a dire non-organizzazioni prive di struttura e in grado di essere indirizzate in qualsiasi direzione da coloro che hanno distribuito il moniker: tra questi, l’Associazione Astronauti Autonomi (AAA), la London Psychogeographical Association e il Workshop per l’architettura non lineare. Le dimensioni politiche di questi collettivi aperti derivano dall’opera di George Sorel, che nel 1907 aveva sottolineato il ruolo che il mito svolge nel mobilitare le masse alla rivolta contro ogni Ordine di volta in volta costituito. Questa iperstizione arriva sotto forma di mitopoiesi, e dopo l’integrazione dell’avanguardia in queste dimensioni politiche assume la forma di «mitopoetica». […]
Luther Blissett e l’AAA si intrecciarono con il movimento antiglobalizzazione emerso dopo la rivolta zapatista in Chiapas; le Tute Bianche furono un altro «mito aperto» che si è integrato nei circuiti internazionali dei Carnevali Contro il Capitale (che mantiene il proprio lignaggio risalente ai situazionisti e all’Autonomia) partecipando alle famose proteste del 2001 contro il vertice del G8 a Genova. Ma se alcuni segmenti si avvicinarono direttamente al mondo politico, altri elementi, vicini a Stewart Home, vennero reindirizzati nell’esoterico.
Home, dopo aver organizzato una serie di festival dedicati al plagiarismo e lanciato scioperi generali contro la produzione artistica, fondò nel 1994 la Neoist Alliance come un «ordine occulto» (completo di testi sempre più ermetici e cospiratori) che costruisce una visione mitica del mondo dove le forze oscure guidate dalla massoneria incarnano la potenza della borghesia. In un testo intitolato Marx, Cristo e Satana uniti nella lotta, Dada e il Situazionismo sono riallocati in un lignaggio sotterraneo occulto guidato da «capi segreti … basati in Tibet»: un riferimento agli scritti di Crowley e alla Teosofia. Altrove, l’Alleanza afferma che «il Futurismo, Dada e il Surrealismo emersero nel preciso momento in cui Aleister Crowley stava [creando] l’Alta Magia così come la conosciamo oggi».
Oggi organizzazioni come il Nanopolitics Group di Londra hanno continuato la tradizione di miscelare l’attivismo anticapitalista con la mistica. Con l’obiettivo di creare una «micropolitica del corpo», il gruppo si diletta in terapia collettiva, sciamanesimo e correnti esoteriche come antidoto alla surcodificazione di movimento e soggettività sotto il neoliberismo. Rimangono lontani dal continuum mitopoetico, basandosi infatti sulla schizoanalisi di Deleuze e Guattari, pur rilevando che questi concetti tendono molto da vicino alla logica interna del neoliberismo: la politica del desiderio è presente all’interno del funzionamento dell’Ordine contemporaneo per massimizzare l’estrazione del plusvalore. Anche cose come lo sciamanesimo, animismo, e altri filoni di cultura esoterica raggiungono la loro mercificazione nell’industria new age; Andrew Pickering osserva che l’interesse dei primi cibernetici per il «sé non-moderno» ha posto le basi per la spiritualità postmoderna. Nel suo tono farsesco, l’Alleanza Neoista ha collegato la new age, questi «ciarlatani senza vergogna», al fatto che i «maggiori occultisti contemporanei si trovano tra la classe dirigente mondiale».
La natura iperstizionale del neoliberismo si presenta sotto la bandiera della razionalità, come indicato dal debito intellettuale provenienta dalla teoria dell’informazione, dalle scienze dure e dalle infinite applicazioni dell’innovazione tecnologica; ma è nel momento in cui questa razionalità viene applicata che emerge dualmente l’irrazionale: la disoccupazione cronica, l’aumento incontrollato della massa monetaria, il degrado ambientale, la corruzione politica e le crisi sistemiche lo rivelano in pieno. Che le teorie del caos, della complessità e della non linearità indichino le responsabilità dei mercati elettronici significa che il contesto tradizionale di «razionalità» è irrilevante. La domanda diventa allora se le forze dell’irrazionalità si contrappongono al neoliberismo oppure semplicemente riflettono le sue operazioni, come capita con l’accelerazionismo.
Il fatto è che l’irrazionale, l’occulto e il mistico, hanno una forte influenza, in gran parte non riconosciuta, sul mondo attuale. Questo breve e preciso profilo ha toccato le varie insorgenze culturali e politiche che si sono sovrapposte all’occultismo, più o meno direttamente. […] La differenza tra iperstizione-in quanto-Controllo, e iperstizione-in quanto-Mutazione, si trova nella relazione di ciascuno con le nozioni formali di razionalità. L’affermazione del neoliberismo-in quanto-Realtà ottiene, nonostante le sue esigenze di speculazione e immaterialità, una legittimità attraverso l’appropriazione della ragione stessa; la mitopoetica, al contrario, elude le nozioni della ragione in modo specifico attraverso l’accelerazione di ciò che a prima vista è irrazionale, e attraverso la perpetuazione dell’apertura a qualsiasi partecipante o movimento, indipendentemente dal luogo geografica o dalla posizione storica. Le organizzazioni del Controllo certamente si perpetuano, ma ciò succede a causa di specifiche modulazioni dell’individuo causate da una successione di barriere che equivalgono alla definizione di parametri su ciò che una soggettività o un corpo può fare. La mitopoetica invece permette un processo di soggettivazione grazie a principi di autonomia. Con la sufficiente intensità, può irrompere nel «reale», utilizzando in primis la funzionalità chiave dello Spettacolo: i media.
Proseguendo, l’iperstizione è configurata dalla CCRU come una forza-presenza che dall’esterno cortocircuita il binario ragione/sragione e colloca il mito della razionalità nella spazzatura; qualsiasi anello di retroazione iperstizionale deve contenere un «richiamo dei Grandi Antichi», un cenno alle entità cosmiche inconoscibili che si trovano nelle storie di H.P. Lovecraft. Nella nostra attualità, la stranezza dell’ignoto si presenta nelle scoperte scientifiche rese possibili dalle tecnologie informatiche d’avanguardia: le vaste scale temporali, esistenti oltre la comprensione umana, dei movimenti di strati geologici o le fluttuazioni a livello cosmologico. Questa riorganizzazione della nostra percezione temporale è abbinata nel mondo del capitalismo alle scatole nere dei gestori finanziari dell’high-frequency trading – manipolatori del mercato finanziario liberato dalla gestione umana – che operano molto più velocemente rispetto alle loro controparti umane in ogni forma di negoziazione. Quindi le cosiddette dimensioni occulte della iperstizione rivelano che i giochi dei «media» sono veramente un aspetto reale di una forza più potente: quella di una tecnologia avanzata di comunicazione che lancia il tempo e lo spazio in biforcazioni schizoidi che rivelano, ironicamente, il crollo della stessa relazione oppositiva tra «razionale» e «irrazionale». […]
Se l’iperstizione deve essere utilizzata, che sia allora pragmatica, progettata con un orizzonte in vista e un’espressione che vada oltre i semplici giochi.
Potremmo infine invocare le affermazioni di Tiqqun sul «Partito Immaginario», «l’insieme eterogeneo di rumori che proliferano sotto l’Impero, senza tuttavia invertire il suo equilibrio instabile, senza modificare il suo stato…». Per Tiqqun, l’Impero è il sistema globalizzato di Controllo, neoliberismo saldato a dispotiche fabbriche biopolitiche; il Partito Immaginario è costituito da quegli «elementi che sono impossibili da assimilare» nel sistema. Il loro elenco di elementi non assimilati si avvicina alle esperienze limite invocate dalle avanguardie e dagli occultisti («Violenza, eccesso, delirio, follia caratterizzano gli elementi eterogenei a vari livelli»). Essi rendono il Partito Immaginario simile al rumore descritto dai teorici dell’informazione: le forze entropiche che decompongono oppure ostacolano la trasmissione e la decodifica corretta di un messaggio.
Nella prima ondata di cibernetica e studi di comunicazione, il rumore è stato presentato come l’Altro, un avversario da tenere a bada; a favore della consapevolezza dell’informazione completa nell’ambiente tattico da ottenere, il rumore deve essere mantenuto al minimo e reso gestibile. Il rumore è una forza negativa all’interno di un sistema controllato, proprio come il Partito Immaginario è l’Impero in negativo. […]
Il rumore non è emblematico della distruzione; è una sorta di genesi negativa, un momento improbabile della creazione. Gregory Bateson ha sostenuto che «Tutto ciò che non è informazione, non ridondanza, non forma e non restrizione, è rumore, l’unica fonte possibile di nuovi modelli». Il rumore è l’imprevedibile, il relè di comunicazione mutante e l’anello retroattivo di informazione in quanto intrusione dall’esterno. Anche Michel Serres si avvicina al rumore in questa chiave: «…l’ordine e la ripetizione piatta sono in prossimità della morte. Il rumore nutre un nuovo ordine. L’organizzazione, la vita e il pensiero intelligente vivono tra l’ordine e il rumore, tra disordine e perfetta armonia». Il rumore non deve che puntare verso le tesi di auto-organizzazione spontanea, il divenire ordine del flusso; questa è la filosofia dei sistemi e della differenza, dove l’escluso si unisce con l’insieme più grande che ha capacità di trasformazione. Serres lo lega al parassita, quella creatura che trasforma le leggi della proprietà creando mezzi di sussistenza tramite qualcosa che si mantiene in comune. Si intromette nella linearità esistenziale dell’ospite come il rumore nel canale di comunicazione; è udito, in un modo o nell’altro, e interrompendo la linearità apre al mondo esterno come alla trasformazione. Questa è la svolta nascosta nei vacuoli di non-comunicazione di Deleuze e nel Partito Immaginario di Tiqqun: spezzare i circuiti di comunicazione, sia attraverso una «non-comunicazione» strategica, sia attraverso i clamori di coloro che si muovono sotto gli scambi deliranti dell’Impero. Il rumore di Serres è la voce dei subalterni, degli esclusi e dei marginali, ed è attraverso i principi identificati nell’informazione che essi fanno ascoltare la propria voce, entrano dentro – e cambiano – l’equilibrio stabile a cui si oppongono.
Con le sue doppie radici nelle avanguardie storiche e nella postmoderna magia del Caos, l’iperstizione mantiene le connessioni con i movimenti rivoluzionari per cui entrambi vedono il mondo così com’è, avvolto nelle ideologie e nelle mistificazioni, e sperimentano selvaggiamente per stabilire una realtà immaginata. Non possiamo, però, cadere vittime di cieche mistificazioni, poiché la mistificazione e l’alterità sono la promessa che l’attuale sistema ci offre. Il capitalismo, come gioco del desiderio accoppiato con i dominii tecnologici che cambiano perennemente, incarna il divenire reale di forme inesistenti; cattura i poteri dell’immaginazione per alimentare i cicli di consumo e di produzione. Quale delirio o intossicazione può offrire il mito della rivoluzione che il capitale non sia già disposto a fornire, almeno a coloro che vivono nel cosiddetto mondo sviluppato? Questo è il pericolo profondo che si corre quando l’esplosione libidinale dell’essere-contro diventa un fine in sé e il dissenso diventa il semplice acquisto di carnevali temporanei. La scommessa è alta, su una scala sociale, economica, ecologica e soggettiva; se l’iperstizione deve essere utilizzata, che sia allora pragmatica, progettata con un orizzonte in vista e un’espressione che vada oltre i semplici giochi. Anziché catalogare, leggiamo questi testi come ricerca di nuovi strumenti e armi.