Salviamo il pianeta, estinguiamoci

Breve storia del Movimento per l’estinzione volontaria, la cui missione è smettere di procreare e liberare il pianeta dal fardello del genere umano

Pubblichiamo un estratto dal nuovo libro di Graziano Graziani Catalogo delle religioni nuovissime, in uscita per Quodlibet, ringraziando autore ed editore per la disponibilità.

Graziano Graziani, Catalogo delle religioni nuovissime, Quodlibet 2018

Secondo Yuval Noah Harari – che nel suo saggio Sapiens traccia una breve storia del pensiero umano – non è davvero possibile operare una distinzione netta e logicamente valida tra le religioni e una qualunque filosofia teleologica. Non è l’idea di un dio creatore a fare la differenza, perché ascriviamo senza alcuna esitazione il taoismo e il confucianesimo al campo della religione, mentre releghiamo il Comunismo tra le dottrine politiche, nonostante in certe sue formulazioni abbia un’idea deterministica della storia e nonostante siano esistiti movimenti religiosi che, al pari del marxismo, escludono qualunque trascendenza della condizione umana. Considerando il discorso religioso da questa prospettiva, non si poteva non inserire in questo campionario di religioni contemporanee il Movimento per l’estinzione volontaria.

Il VHEMT nasce nel 1991 in America a opera di Les U. Knight il quale, tuttavia, si definisce semplice portavoce del Movimento, rifiutando l’idea di un fondatore, poiché esso si rifà a un’idea molto più antica. La sigla – che si scrive «vhemt» ma si legge «vehement», veemente – è un acronimo ricavato dalla denominazione inglese Voluntary Human Extinction Movement. Il credo del vhemt è presto detto: visti i continui disastri ambientali causati dall’attività degli uomini, la migliore difesa del pianeta è l’estinzione volontaria del genere umano. Questo non vuol dire che chi aderisce al Movimento, il quale peraltro ha dimensione internazionale, auspichi un suicidio di massa o un ipotetico pogrom che l’umanità dovrebbe compiere contro se stessa. Tutt’altro. Il Movimento predica il volontariato e l’attenzione verso il prossimo. Semplicemente, ritiene che in questo momento storico sia meglio smettere di fare figli, poiché la Terra non è in grado di sostenere il numero eccessivo di uomini e le loro attività, che impattano sul pianeta in un modo che mai prima d’ora era stato così compromettente per l’equilibrio della biosfera. E di conseguenza chiede ai suoi adepti di rinunciare volontariamente a procreare o, nel caso siano già genitori, di non concepire altri figli.

Sul sito internet del Movimento, attivo dal 1996 e disponibile in quindici lingue, si possono trovare tutta una serie di riferimenti grafici e teorici. Ad esempio la vignetta di Nina Paley, che esemplifica lo spirito del VHEMT, dove si vede la sagoma di un uomo invisibile o, più propriamente, «assente», a braccetto con un dinosauro sorridente: l’estinzione realizzata! Ben più complesso è il testo di presentazione del Movimento, articolato in una serie di domande e risposte che servono a fare chiarezza sulle reali nalità degli estinzionisti. Perché, a causa di questa posizione radicale, chi aderisce al VHEMT spesso si sente rivolgere accuse di nichilismo, misantropia o addirittura sadismo. «Non siamo un gruppo di disadattati maltusiani misantropi e asociali che provano un piacere morboso ogni volta che qualche disastro colpisce gli umani», si legge. «Non potrebbe esserci nulla di più distante dalla realtà. L’estinzione umana volontaria è piuttosto l’alternativa umanitaria ai disastri che colpiscono la gente. Non insistiamo sul modo in cui la specie umana si è dimostrata un parassita avido e amorale su un pianeta che era in buona salute. Una negatività di quel genere non offre soluzioni per gli orrori inesorabili che l’attività umana sta provocando. Piuttosto, il Movimento propone un’alternativa incoraggiante alla distruzione impietosa e completa dell’ecologia della Terra». L’alternativa è, per l’appunto, invertire la rotta della dominazione dell’homo sapiens, che si traduce nell’estinzione di un numero impressionante di specie animali e vegetali. Come a dire: meglio sacrificare una specie sola, quella più letale, che comprometterne migliaia.

La tesi dell’homo sapiens come «specie killer» non è priva di fondamento scientifico. Lo stesso Yuval Noah Harari ricostruisce le tappe dell’estinzione dei grandi mammiferi preistorici che, guarda caso, coincidono con la diffusione dell’homo sapiens nel loro habitat. Già nella preistoria, dove arriva l’uomo, decine se non centinaia di specie animali cessano di esistere. E in tempi recenti le cose non vanno certo meglio. Nessuno sa con esattezza quante specie si estinguano in un anno, ma c’è chi azzarda che tra animali e vegetali la cifra si aggiri sulle cinquanta specie ogni giorno. Secondo il WWF la velocità di estinzione è cento volte superiore che in passato e ben il 23 percento dei mammiferi, oltre al 12 percento degli uccelli, sarebbe a un passo dall’estinzione. Senza considerare, ovviamente, tutte le specie sconosciute che pure subiscono un processo simile.

Ma a voler essere realisti, quante possibilità ci sono che la gente aderisca in massa a una visione così radicale? Gli estinzionisti non sono, alla fine, portatori di un pensiero che si riduce a una pura speculazione filosofica? Per i seguaci del VHEMT la questione è mal posta. La scelta di smettere di procreare è moralmente giusta e quindi va perseguita di per sé. Ogni singola persona che decide di smettere volontariamente di mettere al mondo dei figli, dunque, compie un importante passo in avanti. L’azione morale dell’estinzione non riguarda soltanto i vivi, ma anche le persone che potrebbero nascere. «Il futuro non sarà più com’è stato nora», affermano gli estinzionisti con un curioso gioco di tempi verbali; considerando il massacro che l’uomo sta perpetrando contro il pianeta, non «condannare alla vita» un nuovo nato è già di per sé un’azione morale. Può sembrare una considerazione estrema, ma se pensiamo che di fronte alla pericolosità del climate change il presidente Donald Trump ha preferito comunque ritirare gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi (e che il suo ministero dell’ambiente raccomanda di non utilizzare mai l’espressione «cambiamento climatico», da sostituire con il concetto meno sistemico di «situazione climaticamente estrema») si può almeno concordare sul fatto che tale presa di posizione non poggia su problemi astratti, ma drammaticamente concreti.

Le origini del Movimento affondano le loro radici nella naturale presenza di amore e di logica che, comunque sia, alberga nell’essere umano: è il nostro senso di giustizia a suggerirci che l’estinzione è la scelta più responsabile da compiere.

La teoria dell’estinzione volontaria come atto morale, secondo i suoi propugnatori, non fa altro che sistematizzare un pensiero che accompagna l’uomo fin dai primi segnali del potere distruttore dell’umanità stessa. L’estinzione dei grandi mammiferi della preistoria cacciati dall’uomo deve aver provocato disappunto in una parte dell’umanità, così come la desertificazione della Mezzaluna fertile o, in epoca odierna, i grandi sconvolgimenti e disastri naturali. In ogni epoca qualcuno tra i sapiens si è reso conto che il pianeta sarebbe stato molto meglio senza di noi. Il VHEMT, allora, non fa che rendere esplicito questo sentimento. E i suoi sostenitori asseriscono che le origini del Movimento affondano le loro radici nella naturale presenza di amore e di logica che, comunque sia, alberga nell’essere umano: è il nostro senso di giustizia a suggerirci che l’estinzione è la scelta più responsabile da compiere.

A suo modo la teoria dell’estinzione volontaria si interseca con una corrente di pensiero attiva fin dagli anni Settanta, l’«Ipotesi Gaia». Elaborata dallo scienziato e ambientalista inglese James Lovelock, l’Ipotesi Gaia immagina il pianeta Terra come un unico sistema vivente, dove gli elementi si mantengono adatti alla vita proprio grazie all’azione degli organismi viventi, animali e vegetali, e ai feedback innescati da tale azione. Gaia non è altro che il «pianeta vivente», e il suo nome è preso in prestito dalla mitologia greca, che immaginava una divinità che rappresenta l’intero pianeta: Gea o, appunto, Gaia. Nel corso degli anni questa teoria, che in parte è stata accolta dalla comunità scientifica e in parte criticata, è stata rielaborata molte volte anche in contesti non scientifci, come le filosofie New Age. Ha dato spunto anche a molte opere di fiction, come il manga di Hayao Miyazaki Nausicaa della valle del vento, dove una foresta tossica, frutto di un disastro che ha riportato l’umanità all’epoca delle case sugli alberi, guadagna sempre più spazio ma nasconde al suo interno una natura incontaminata, pronta a prendere piede una volta estinto tutto ciò che c’è al suo esterno, e cioè la realtà contaminata, di cui fa parte la stessa umanità. Per qualcuno, insomma, Gaia avrebbe in sé gli anticorpi per liberarsi dell’agente tossico che è diventata l’umanità. Dal punto di vista di chi predica l’estinzione volontaria, uno di questi anticorpi sarebbe la coscienza dell’uomo che sceglie di sua sponte di smettere di procreare.

Il Movimento ha elaborato un suo motto che, secondo il portavoce Les U. Knight, porta inscritta in sé la filosofia di chi sceglie di aderire. «Che si possa noi vivere a lungo e poi morire tutti fino all’estinzione», recita il motto, e ogni suo elemento sintetizza un principio morale:

  1. Libertà di scelta – «che si possa» (è un desiderio, non un ordine).
  2. Unità tra gli uomini – «noi» (comprende tutti, non solo gli altri).
  3. Pace e giustizia – «vivere» (è quel che abbiamo diritto di fare fino al momento della nostra morte).
  4. Buona salute e sicurezza sociale – «a lungo» (il più a lungo possibile, che non è poi così tanto).
  5. Longevità ed estinzione umana – «e poi» (unione).
  6. Dignità nella morte – «morire tutti» (vivere bene significa anche morire bene).
  7. Rispetto per tutte le forme di vita – « no all’estinzione» (descrive il nostro ruolo in natura).

Come tutte le scuole di pensiero, anche il VHEMT è caratterizzato da sottogruppi che hanno una loro personale Weltanschauung – anche perché il Movimento per l’estinzione volontaria non impone ai suoi adepti nessun rito, codice o norma di comportamento che non sia l’astenersi dal fare figli. Un gruppo minoritario, ad esempio, interrogandosi su come traghettare l’idea di estinzione volontaria dalla speculazione accademica allo spazio della realtà pratica, ha ragionato attorno alla possibile introduzione della pratica di sterilizzazione obbligatoria, suscitando un vespaio di polemiche. La tesi a sostegno faceva notare che la rinuncia al diritto alla riproduzione era da preferire all’esercizio dell’ignoranza con cui tale diritto viene solitamente applicato. La maggioranza del VHEMT, tuttavia, è fortemente contraria a questa ipotesi, poiché non rispetta la libera scelta e si avvale di una metodologia dittatoriale. Chiunque aderisca al Movimento per l’estinzione volontaria deve farlo, per l’appunto, volontariamente.

Un’altra critica mossa al VHEMT è l’uso dell’umorismo con cui chi aderisce al Movimento tratta il tema dell’estinzione. A questa obiezione gli estinzionisti rispondono che la morte degli uomini e l’estinzione delle specie animali e vegetali sono un dramma, su cui c’è ben poco da ridere. Tuttavia la condizione della vita sulla Terra è già di per sé deprimente e senza uscita: trattarla senza umorismo vorrebbe dire renderla ancora più deprimente. Volete un esempio di questo approccio? Basta guardare cosa rispondono i volontari del VHEMT quando gli si domanda se pensano davvero di riuscire, prima o poi, nei loro intenti: «Noi […] siamo realistici. Sappiamo che non vedremo mai il giorno nel quale non ci saranno esseri umani sul pianeta. Il nostro è un obiettivo a lungo termine».

Graziano Graziani è tra i conduttori di Fahrenheit (Radio 3), ha realizzato documentari e programmi per Rai 5 e collabora con Lo Straniero, Il Tascabile e Minima&Moralia. Scrive di teatro contemporaneo e ha pubblicato il romanzo Esperia (Gaffi, 2008), I sonetti der Corvaccio (La camera verde, 2011) e, per Quodlibet Compagnia Extra, l’Atlante delle micronazioni (2015) e Catalogo delle religioni nuovissime (2018).