Samantha Nye, Piss Pool (dettaglio), 2021

Tempo crip

Come la differenza dei corpi decostruisce la temporalità uniforme della mascolinità abilista occidentale

Pubblichiamo un estratto dal saggio Against Ageism: A Queer Manifesto (Libby Leshgold Gallery Publications, 2023), per la traduzione di Giulia Crispiani.

Introduzione
di Lorenza Accardo

Cosa accade se due “donne” con trent’anni di differenza si baciano in pubblico? E cosa c’entra l’ossessione di QAnon per la pedofilia con le affermazioni razziste di una persona anziana? Se nemmeno l’essenza dei quanti è scientificamente osservabile, come possiamo stabilire cosa sia intrinseco nell’avere 3, 10, 25, 37 o 89 anni?

Attraverso una scrittura che insegue il ritmo incalzante del pensiero e che pulsa dall’intimo di un preciso posizionamento – quello di una persona bianca non-binary, formatasi tra l’Europa del Nord e gli Stati Uniti – in Against Ageism. A Queer Manifesto, Simon(e) van Saarloos dà fuoco a molte delle nostre convinzioni su ciò che definiamo innocenza e violazione, su cosa è erotico e cosa non possa essere immaginato come tale, sul modo in cui concepiamo una società “giusta”, esplorando senza riserve le implicazioni patriarcali, razziste, sessiste, abiliste, fasciste insite nei discorsi normativi sulla sicurezza, i diritti e l’accessibilità.

Se il genere è un costrutto culturale in cui possiamo sperimentarci, allo stesso modo potremmo iniziare a riconoscere come la categorizzazione sociale dell’età si serva del concetto di “natura” per imporre un dominio sui corpi, asservendoli al mercato e alla forzata organizzazione capitalistica delle nostre esistenze. Il tempo della vita – con cui cresciamo, impariamo, amiamo, produciamo – è stabilito e individuato attraverso precisi standard, calcolati sulla base di un unico modello: bianco, maschio, abile. 

Tutto ciò che è oltre, sotto, sopra o accanto allo standard, tutto ciò che non procede linearmente e progressivamente è da correggere, se non da punire. A cosa servirebbero, allora, le regole se non a dimostrare che l’illecito è, in realtà, sempre possibile, e a fornire l’occasione per nuove forme di repressione? Come cambierebbe il mondo se smettessimo di giudicare tutto ciò che non riusciamo a classificare e imparassimo a praticare, materialmente, la possibilità di una relazionalità non coercitiva?

Immergendosi nella riflessione sull’età, in relazione al pensiero crip e queer, mettendo in discussione gli approcci securitari e la concezione coloniale del tempo lineare, Against Ageism intreccia molteplici immaginari militanti sessuo-libertari, afrofuturisti, transfemministi e decoloniali, muovendosi tra le barriere che la società contemporanea impone alle generazioni.

Tempo crip

Iniziamo con una successione di eventi – per fornire un falso senso di navigazione chiara. È il primo gennaio del 2020. Io e lǝ miǝ compagnǝ di lunga data ci siamo presɜ una pausa dalla relazione, e ho trascorso il capodanno a una festa di uno psicoterapeuta di coppia molto famoso, facendo il count down con la cameriera in cucina, per fuggire da una stanza piena di coppie di successo. Qualcunǝ lavorava per Uber, qualcunǝ per Google, qualcunǝ era dottore, e io ero sovraccaricǝ. Quando me ne sono andatǝ, mi sono portatǝ via gli avanzi e tornando mi sono mangiatǝ il purè di patate sulla metro, dalla schiscetta. 

Ora mi sento tuttǝ intorpiditǝ e in hangover mentre entro alla St. Mark Church del West Village, a New York, dove il Poetry Project tiene la maratona annuale del primo dell’anno. La chiesa è piena, c’è gente seduta un po’ dappertutto; chi è rannichiatǝ nelle navate, appogiatǝ alle imponenti colonne di marmo, sorridenti con l’anno nuovo in faccia mentre ascoltano le letture di poesia. Mancano alcuni mesi ancora al nostro incontro con il COVID-19. Per le dieci ore successive, più di centocinquanta poetɜ prendono la parola. Ogni poeta ha due o tre minuti. Il tempo è distribuito in maniera equa per enfatizzare l’ugual valore di poetɜ conosciutɜ in tutto il mondo e quell non tanto conosciutɜ – fino a che JJJJJerome Ellis si alza. Inizia con una vocale, poi silenzio.

Il tempo crip si riferisce a tutti quei modi incredibilmente complicati con cui si naturalizzano le temporalità. 

All’inizio la pausa nella chiesa pare estremamente performativa, ma quando continua a provare a parlare, senza formare una parola, la gente inizia a sentirsi a disagio. Esce fuori una parola, poi un’altra. Poi di nuovo silenzio. Ricomincia con la stessa parola. La tensione in chiesa cresce; l’attenzione del pubblico si addensa. Sono tuttɜ in silenzio, anche cani e bambinɜ. L’ascolto intenso è nero, meravigliosamente denso. Ellis si prende il tempo che gli serve per leggere quello che ha scritto per noi. Ci spiega perché i tre minuti concessi non sono assolutamente una divisione equa del tempo: autodefinendosi un “disabile nero balbuziente e artista” i due/tre minuti lo escludono. Non può prevedere quanto tempo gli ci vorrà per finire di leggere. Quindi rimarrà lì e ricomincerà da capo fino a che non riuscirà a leggere tutto quello che ha scritto, non importa quanto ci vorrà.

Samantha Nye, 1-800-FLOWERS (dettaglio), 2020.

Ellis smonta la convinzione che la giustizia e l’uniformità vadano di pari passo. Mette bene in chiaro anche che l’esperienza crip (un termine che in italiano si potrebbe tradurre con “storpio”, che, come il termine “queer”, abbiamo preferito non tradurre nel testo, NdT) è una forma di sapere e maestria, un’anti-padronanza di capacità normative. Ribalta il copione in cui chi ascolta – visibilmente paziente e comodǝ – mette il balbuziente in una posizione simpatizzante e, invece, sottomette l’ascoltatorǝ al fatto che solo lui capisce la natura imprevedibile del suo discorso, e l’intensa portata della sua balbuzie. I suoi imprevedibili minuti – silenzio compreso – sono come i biglietti da visita di Adrian Piper: un richiamo ai pregiudizi stigmatizzanti che abbozza un mondo in cui le dinamiche di potere e l’accessibilità sono distribuite in modo diverso.

Il tempo crip ci insegna non solo che alcune cose impegano più di quanto normativamente prescritto – il tempo crip si riferisce ai modi cui alcune velocità e tempi sono assegnati a certi comportamenti (per alzare le braccia ci vogliono uno o due secondi, per imparare a parlare o a leggere unǝ bambinǝ ci mette un tot di anni, dovremmo stare insieme un po’ prima di sposarci) e distruggere queste norme. Più spesso, il tempo crip viene visto come un invito a rallentare perché la disabilità viene ritratta come un impedimento che destabilizza il ritmo efficiente della vita produttiva. 

Nelle politiche, il sapere crip conduce all’implementazione di misure protettive. Questi sviluppi sono considerati come diritti delle persone con disabilità, perché sono volti alla loro inclusione nel sistema di successo esistente e preformulato dalla società. Nel campo dell’istruzione, l’applicazione del tempo crip è dimostrata con la concessione di tempo in più allɜ studentɜ dislessicɜ per completare gli esami o per permettere allɜ studentɜ diagnosticatɜ con deficit di attenzione di fare l’esame in isolamento. A volte, la riduzione degli stimoli e il rallentamento è quello che ci vuole. Ma il tempo crip si riferisce a tutti quei modi incredibilmente complicati con cui si naturalizzano le temporalità. 

Nel suo Feminist, Queer, Crip (femministǝ, queer, invalidǝ), lǝ scrittorǝ e teoricǝ Alison Kafer propone che il tempo crip possa senz’altro significare tempo “extra”, o un rallentamento, ma che debba essere più che altro interpretato come un “riorientamento rispetto al tempo”; un apprezzamento delle diverse velocità e temporalità e una consapevolezza dei tanti modi in cui mente e corpo si muovono. Il tempo crip s’indirizza anche verso una consapevolezza del tempo che va oltre l’individuale; amplia le possibilità nel momento in cui il tempo viene generalmente percepito come un fenomeno che scorre naturalmente in avanti. Kafer suggerisce che «piuttosto che piegare i corpi e le menti disabili per andare incontro al tempo, il tempo crip piega l’orologio per andare incontro ai corpi e alle menti disabili.» Il tempo crip si rivolge al tempo come a un potenziale onto-epistemologico, invece di accettarne il ritmo e il flusso attuali.

L’uomo bianco dalla sua posizione privilegiata nei ritmi dell’educazione si presenta come una misura universale di tempo ben speso, e quindi di competenza; come se il tempo fosse accessibile in egual maniera a tuttɜ.

Il tempo influenza il modo in cui sappiamo e che cosa pensiamo di sapere. Segna quello che ci aspettiamo della conoscenza. Kafer racconta come, in un contesto sanitario, ci si riferisca alla disabilità in relazione a un tempo misurato: è cronica? Il dolore è costante? Stai attraversando una ricaduta o un recesso? Il tempo è usato per categorizzare la disabilità, ma anche l’abilità normativa. Se qualcunǝ acquisisce certe competenze entro un certo tempo, viene consideratǝ talentuosǝ, idoneǝ, adattǝ. Mentre accettiamo il fatto che esistono tempi diversi, la valutazione delle capacità non è separabile dalla categorizzazione del tempo. 

Mi ricordo un workshop di scrittura di una settimana, in cui noi tutor ci siamo incontratɜ per accordarci su un contratto che doveva essere sottoscritto da tuttɜ lɜ partecipanti. La lista dei principi base includeva una nota sulla velocità: ogni partecipante avrebbe dovuto trovare la propria. All’inizio diceva che “andare piano” non sarebbe stato un problema. Ho suggerito che l’agilità e la celerità non dovessero essere metro di giudizio. Andare in giro e volere troppo sono sempre stati un mio problema – a scuola, a lavoro, nei discorsi, in amore. Il mio ritmo ha spesso attirato il giudizio dellɜ accademicɜ, dellɜ insegnanti, di amanti, che percepivano l’impazienza e la velocità come mancanza d’attenzione.

Sicuramente delle volte avevano ragione. Ma voglio anche trasformare questa esperienza in rivendicazione politica: la nozione del volere troppo ha a che fare con il presupposto discriminatorio che si può essere troppo giovani per qualcosa; troppo irrequietɜ, troppo inquietɜ per essere seriɜ (il che è anche abilista, perché esclude corpi che non riescono a star fermi). Mi ricordo che chiedevo di imparare le tabelline e l’insegnante mi diceva di non essere impaziente. Si riferiva al fatto che non avevo ancora imparato bene l’ortografia, e il mio entusiasmo era un segno d’imperfezione, di voler andare avanti senza aver lavorato abbastanza. Non capisco perché imparare la matematica non potesse andare a braccetto con imparare nuove parole. Lei aveva imposto lo stesso ritmo singolare su tuttɜ perché avevamo tuttɜ la stessa età.

Samantha Nye, Piss Pool (dettaglio), 2021

Per tutta la vita mi sono sentitǝ dire che vado “troppo sveltǝ” con le cose per essere presǝ sul serio. Anni fa, quando mi stavo informando per il dottorato, gli accademici mi dicevano che non ero adattǝ al ritmo lento dell’università. Anche se essere ritenutǝ inadeguatǝ agli studi accademici dovrebbe essere preso per un complimento, questo pregiudizio sul tempo accademico rivela come la “serietà” venga classificata come lenta, mentre la rapidità è considerata superficiale. Il tempo è usato come discreto guardiano: mentre gli accademici bianchi maschi cis non vogliono dare l’idea di pensare che le donne nere, indigene o razializzate non abbiano niente a che vedere con l’università, è accettabile e normale richiedere a qualcunǝ di restare un certo tempo su una singola materia: deve studiare Kant per tot anni prima che possa parlarne o pubblicare. 

L’uomo bianco dalla sua posizione privilegiata nei ritmi dell’educazione (privilegiata perché il ritmo si basa sul suo, con il suo accesso alla cura e al vitto, e la sua presunta abilità corporea) si presenta come una misura universale di tempo ben speso, e quindi di competenza; come se il tempo fosse accessibile in egual maniera a tuttɜ; come se le ore fossero l’unico e il più affidabile segno di concentrazione. Il tempo e la velocità funzionano come indicatori di qualità, anche se non possono essere in nessun modo separati da fattori identitari quali razza, classe, disabilità, e genere. Il tempo e la velocità formulano queste traiettorie identitarie. Il permesso di passare del tempo con qualcunǝ o qualcosa, avere del tempo, non averne affatto, essere percepitɜ come veloci o lentɜ – tutto è determinato dall’accesso nel passato, e determina l’accesso di ognunǝ nel futuro. Il tempo è una questione d’accesso.

Domenica 4 giugno Simon(e) van Saarloos sarà all’Angelo Mai di Roma, ospite di MERENDE_OH DESIRE per dialogare su Against Ageism. A Queer Manifesto con Domi Olivieri e Allison Grimaldi-Donahue.

Simon(e) van Saarloos  è autor di Playing Monogamy, Take 'Em Down. Scattered Monuments and Queer Forgetting e Against Ageism. A Queer Manifesto. Lavora anche come curat_ freelance in progetti pubblici e collaborazioni artistiche. Tra i progetti recenti figurano l'installazione Cruising Gezi Park, la diffusione di mo(nu)ment, la giornata queer Not Yet Yes dell'IDFA del 2022, la serie di conferenze Juicy Refuge del 2023 presso lo Studium Generale della Rietveld Academy, il progetto pluriennale transnazionale di comunità queer, vita notturna e arte Through the Window e la mostra ABUNDANCE presso Het HEM. Van Saarloos scrive anche narrativa. Tra le produzioni recenti figurano il racconto di fantascienza Dreamdead Surrender (Postmodern Culture Journal) e De Foetushemel, una pièce teatrale sull'aborto e la resistenza violenta per la Ulrike Quade Company al Bellevue Theater Amsterdam. Ha preso parte a residenze artistiche presso il KAVLI Institute for Nanosciences, Deltaworkers New Orleans e Be Mobile Create Together all'IKSV di Istanbul. Attualmente Van Saarloos sta conseguendo un dottorato di ricerca in retorica presso l'Università della California, Berkeley.