Spiritualità digitale

Quali sono i nuovi riti collettivi nel mondo tecnologico? Una riflessione a partire dal saggio «Tecnomagia» di Vincenzo Susca

Voglio aprire questo scritto con un’immagine, o se vogliamo, una figurazione. Una giovane donna illuminata da una luce verde si filma su TikTok, mentre in sovraimpressione scorrono le scritte: “ho manifestato quanto segue per ogni persona che vedrà questo video: sarete i primi miliardari nella vostra famiglia”. Di sottofondo si sente una musica ritmata, accompagnata da una voce acuta, che ricorda un canto di chiesa. Il termine manifestato si riferisce in questo contesto alla pratica del manifesting, un trend online, diffuso soprattutto su TikTok, che invita gli utenti a esprimere in maniera diretta – oralmente, o in forma scritta – ciò che si desidera per la propria vita in un determinato momento. Manifestando, appunto, e visualizzando in modo chiaro i propri desideri viene resa possibile la loro realizzazione. Manifestare per realizzare dunque, comunicare per trasformare un’immagine in realtà.

Totem e fantasmi

Una giovane donna evoca ad alta voce ricchezza e abbondanza per i suoi follower, e per le persone che interagiranno con il suo video. In questa figura, ritroviamo due elementi che possono apparire distanti ma che si incarnano in un’unica scena: l’elemento tecnologico – un video su una piattaforma di microvlogging, una serie di pixels, di dati raccolti e conservati in un server dall’altra parte del mondo – e quello religioso, o spirituale – una preghiera, una richiesta che va oltre il mondo fisico. Viviamo in una realtà dove il digitale e lo spirito hanno più in comune di quanto sembri. A questo rapporto complesso, Vincenzo Susca, ricercatore e insegnante di sociologia dell’immaginario e mediologia all’Università di Montpellier, ha dedicato il suo ultimo lavoro, intitolato con un neologismo evocativo, Tecnomagia, edito da Mimesis Edizioni. La tecnomagia è il convergere della spiritualità nei territori online. Ma non solo. E’ una caratteristica di tutto il paesaggio digitale contemporaneo, che porta in sé elementi di sacro, di totemico, di irrazionale.

“Già nell’Ottocento, il nascere dei primi media si era accompagnato a una forma di fantasmatizzazione, e manifestazione dell’invisibile” mi spiega Susca “Un’aura elettronica, un’ apparizione del lontano nel vicino. I media ci trasportano nell’altrove e ci mettono in contatto con forme di trascendenza immanente, una religiosità incarnata nel qui e ora.”

Torniamo alla nostra immagine, la novella sacerdotessa della prosperità che invoca la buona sorte su TikTok. Da una parte, ci racconta della capacità dei media digitali di veicolare un messaggio religioso o spirituale, di trasportare nell’intimità delle persone aure e fantasmi, direttamente nelle loro tasche, sugli schermi del loro smartphone. Dall’altra, mette in scena la corrispondenza (e il dilemma dicotomico) tra tecnica e magia che da sempre caratterizza molte delle civiltà umane. 

L’esplosione del soggetto in mille rivoli digitali ha un’eco religiosa: è un sacrificio all’altro, un abbandono del destino individuale nelle mani di entità esterne, umane o tecnologiche.

“Qualunque tecnologia sufficientemente sofisticata è indistinguibile dalla magia”, recita l’ultima legge di Clarke. Oggi siamo di fronte a una tecnomagia molto vicina alle nostre intimità e alle nostre stesse identità. Una tecnologia che tocca da vicino il nostro corpo, il nostro immaginario, costruendo una realtà che va oltre la razionalità moderna, oltre l’idea di progresso tecnologico, di utilità economica (il vero dogma, in fondo, delle nostre istituzioni e del nostro sistema neo-liberale) facendo confluire in uno spazio connesso tecnica futuristica e passioni arcaiche.

Il digitale è un luogo di festa, un ambiente carnevalesco, dove vengono messe in scena sensibilità ed emozioni collettive che hanno un carattere fortemente irrazionale, stregonesco, quella che Susca definisce “effervescenza religiosa”. I meme, le stories, gli influencer con i loro seguaci, le challenge e i riti collettivi, i circoli dei fandom, sono tutte realtà in cui i soggetti trovano un’appartenenza, si esprimono in modo comunitario attorno a un totem, a un feticcio, a dei valori condivisi – in cui ritrovano la loro identità in modo indipendente, molto spesso, dal potere costituito. Si tratta di una frammentazione dell’ideologia e dell’immaginario, che nel web trova il suo coronamento.

“Il tracollo delle grandi narrazioni, delle grandi ideologie del Novecento”, continua Susca, “non ha cancellato le storie, ma le ha moltiplicate. Lo sgretolamento delle utopie, siano esse di tipo religioso o laico, siano esse il paradiso cristiano o la società perfetta di Marx, ha portato il sociale a ripiegarsi su di sé. Io penso che questo non sia solo un ripiegamento narcisistico. Si tratta piuttosto di una moltiplicazione delle narrazioni e delle credenze locali. Vediamo l’emergere di fenomeni come le fake news o le teorie del complotto, di forme di verità marginali, spesso a disposizione degli ultimi. Sono queste forme di espressione barbariche, ognuna delle quali propone forme di neo-totemismo: una comunità che danza, che vibra su se stessa”.

L’individuo si ritrova alienato nella tecnologia e nella sua aura magica; si riversa al di fuori di sé, crea la propria identità al di fuori sia del suo corpo, sia dei confini della sua mente. Il soggetto si frantuma in mille linguaggi comunicativi, in una miriade di narrazioni, di stories,  di live streaming, di messaggi che inviamo tramite l’infrastruttura digitale.  Gli individui tecnomagici esistono nella misura in cui comunicano qualcosa di sé. “L’entusiasmo, la dipendenza e la frenesia che le distinguono non concernono solo fan e viewer, ma anche gli streamer, i quali, di fatto, trasmettono ed espongono la propria vita come una narrazione audiovisiva, nella logica di una performance infinita in grado di esaurire e svuotare il soggetto – di restituirlo all’altro, a disposizione come opere, dati o immagini da consumare.” scrive Susca in Tecnomagia. L’esplosione del soggetto in mille rivoli digitali ha un’eco religiosa: è un sacrificio all’altro, un abbandono del destino individuale nelle mani di entità esterne, umane o tecnologiche.

Il corpo tecnomagico è quel tessuto connettivo sensibile che mette in connessione le nostre emozioni con i nostri apparecchi elettronici

La nuova carne

Se il web è il luogo delle passioni carnevalesche che annullano il soggetto razionale moderno, è anche il luogo dell’annullamento della dicotomia tra corpo e mente. Che ruolo ha la fisicità, il corpo, nel mondo tecnomagico? “Negli anni Novanta si immaginava un processo di dematerializzazione tramite il quale avremmo perso il corpo” spiega Susca. “Ci siamo accorti con il passare gli anni che non è necessariamente così: il digitale prevede una nuova incarnazione. La nuova carne rimette in gioco i sensi nella loro natura più arcaica, in sinergia con forme elaborate di intelligenza”. 

Il corpo tecnomagico è quel tessuto connettivo sensibile che mette in connessione le nostre emozioni con i nostri apparecchi elettronici, ci rende cyborg, per usare le parole di Donna Haraway. La nuova carne la vediamo in azione negli avatar del metaverso, che riproducono corpi in un mondo virtuale, nel “corpo espanso” del cybernauta che si scompone nelle sue varie forme di consumo, dalla spiritualità alla pornografia, nell’alterazione dei filtri fotografici. Come scrive Susca, “[i]l culto del corpo, ormai non più afferente a cerchie ristrette dello spettacolo e di altre élite, bensì capillarizzato in ogni articolazione del quotidiano, fa tutt’uno con la sua frenetica ibridazione, sotto l’egida di incantesimi, pozioni, sortilegi e altri effetti speciali che allettano gli individui invitandoli a divenire se stessi tramite l’alterazione”. 

L’abbandono del soggetto coincide con una convergenza di spirito e materia: e, proprio nel digitale, spirito e materia si incontrano per dare origine a un nuovo tessuto ibrido, a metà tra mente e carne, tra artificiale e biologico. La seconda figura che vorrei evocare è questa: una fotografia di un essere umano, modificata da filtri brillanti, onirici, visualizzata a tarda notte nel silenzio di una stanza, adorata come un sogno, o come un idolo.

Lo spirito e il potere

Resta però, nella riflessione fatta fin qui, una domanda centrale. Il web è il luogo del superamento della razionalità, un luogo di festa, di sovvertimento delle logiche di potere tradizionali, il luogo del superamento del soggetto moderno diviso tra corpo e spirito, e il contesto in cui emergono comunità alternative al potere costituito. Ma il web è anche un dispositivo di dominio capitalista, un’arena controllata da gigantesche piattaforme quasi-monopoliste e agita da infrastrutture e individui profondamente radicati nel sistema capitalista e neoliberale. Possono queste due logiche coesistere, e in che misura? 

La tecnomagia vive di pulsioni contrapposte. Tutti siamo merce, siamo manipolati, siamo informazioni e corpi a servizio della matrice. Abbiamo però la possibilità di riappropriarci di legami comunitari e di esperire l’effervescenza religiosa. 

“Da una parte il sistema digitale in cui viviamo immersi è il risultato del potere capitalista. Anzi, in un certo senso, ne è il braccio armato” conclude Susca. “Ma dall’altra sussiste sempre il genio dionisiaco del sociale, la capacità degli umani di concatenarsi, di creare sacche di resistenza e di creazione, soprattutto tra gli ultimi e i subordinati. La rete offre proprio queste capacità di resistenza, che il capitalismo, ovviamente, cerca di vampirizzare. Ma la tecnomagia vive di pulsioni contrapposte. Tutti siamo merce, siamo manipolati, siamo informazioni e corpi a servizio della matrice. Dall’altra parte abbiamo però la possibilità di riappropriarci di legami comunitari e di esperire l’effervescenza religiosa. La battaglia tra queste due tendenze è ancora in corso, siamo ancora in una fase conflittuale”. 

Ecco dunque l’ultima immagine: un esercito di meme, di rappresentazioni surreali e immaginifiche, che proliferano negli interstizi dell’ordine del capitale digitale, della mercificazione degli individui e della loro dataficazione. Nelle parole di Susca, “il kitsch delle mode urbane, il cattivo gusto delle chat di Twitch, l’insolenza dei meme, l’irriverenza delle Gif, le urla, le ferite e l’intera “estetica del malessere” che attraversa l’iconologia contemporanea sono […] segnali di una frana tellurica, che scuote l’ordine della modernità e rivela la sua profonda impotenza nel tentativo di ristabilire l’uniformità e l’armonia sociali”. Siamo di fronte a un’effervescenza che arriva dal margine, e che nella sua potenza dionisiaca, prepara l’assalto al potere.

Irene Doda è una scrittrice e una giornalista freelance. Scrive su varie testate, tra cui Wired Italia, Il Tascabile e Siamomine. Ogni due settimane la potete leggere sulla newsletter di Wired WAR, dove parla di politiche tecnologiche. È autrice e co-host del podcast Anticurriculum, sul futuro del mondo del lavoro.