Spazializzare interiormente la canzone

[Verso una] MitoScienza del Mixer: The Upsetter

Pubblichiamo un brano tratto da Più brillante del sole. Avventure nella fantasonica di Kodwo Eshun, appena uscito in tutte le librerie.

Lontanissime dalla metafisica terrapiattista rastafariana, dal suo fondamentalismo sangue e fuoco, le produzioni e le theory fiction di Lee Perry inaugurano un settore interamente nuovo: la MitoScienza del mixer. The Upsetter si infiltra nella vita segreta delle macchine del suono, disvela la cibernetica dello studio. 

Remixa la tua testa

Nella concettotecnica di The Upsetter, il mixer è una macchina mentale, un’interfaccia mente‹ ›macchina. Perry diagramma i neurocircuiti del banco mixer Soundcraft, il suo flusso di pensiero: «Immetto la mia mente nella macchina e la macchina esegue la realtà. Onde di pensiero invisibili, le immetti nella macchina trasmettendole attraverso i controlli e i pulsanti oppure le inserisci nel jack del pannello prese». È un medium che forma la realtà, curvando l’ambiente con violenza, manipolandolo. 

Mi presento come uno sbaglio 

Indelible MCs 

La vita nascosta delle macchine del suono

Perry è l’analista della capacità dello studio di estendere la percezione. Il banco mixer decompone la Canzone, lasciandosi dietro una cassa toracica scheletrica. Lo studio Black Ark è una forma di vita macchinica: «Considero lo studio come una creatura vivente, che ha vita propria. La macchina deve essere viva e intelligente. Il pannello dei jack è esso stesso un cervello, nel senso che puoi cablare il cervello e renderlo un essere umano vivente». 

Il dub pretende simbiosi capaci di esternalizzare la mente, riconfigurando drasticamente il produttore umano in un essere macchina, un cyborg audio: «Quella che ascolti è una macchina. Io imito gli esseri umani, sono un essere macchina, non lavoro con creature umane». Quando scolpisci lo spazio col banco mixer, questi effetti tecnici – il gate e il riverbero, l’eco e il flange – diventano percorsi che attraversano una rete di volumi, accessi e tunnel che collegano architetture spaziali. 

Stiamo conquistando il sole, stiamo cambiando il tempo, stiamo cambiando lo spazio.
The Mighty Upsetter 

Meteorologia dell’Echoplex 

Usando l’Echoplex per clonare gli echi e il Roland Space Echo per ritardare il tempo e accumulare gli urti del riverbero, Perry riremixa impatti ennedimensionali: né rullanti né percussioni sintetiche, quanto piuttosto una sconcertante, disorientante SonoMateria. Nell’elettromagnetico mondo alla n di Revolution Dub del ’75 e Return of the Super Ape del ’78, la Canzone viene dissotterrata fino a che i suoi universi fantasma popolano il pianeta. 

Return of the Super Ape è il dub che disturba l’atmosfera fino a produrre poltergeist. Giungendo prima della sua causa, il suono diventa senza motivo, premonizionale, inspiegabile. «Vedi, [la batteria] passava nell’Echoplex e con l’Echoplex puoi fare tutto. Puoi cambiare l’energia e le sensazioni». Detriti sonici vaganti si scontrano nello spazio, incombono da vicino. Gli effetti decelerano fino a diventare frustranti e incomprensibili colpi di rimbalzo sparati da una pistola scarica. Il vento delle ali della follia di Baudelaire invia suoni sfreccianti per lo spazio vivente. «La batteria controlla il battito cardiaco e il basso tiene lo spazio. I miei dub vanno dallo spazio interiore a quello esterno. Il suono che ricavo dal Black Ark non riesco a ottenerlo da nessun altro studio. È come una navicella spaziale. Puoi sentire lo spazio nelle tracce.» 

Lo spazio tra i suoni non si ritira: viene estratto dallo spazio tra i beat fino a che si contorce, cede, si serra in pugni di aria solida che ti colpiscono con quelli che Perry chiama «Shocks of the Mighty», colpi del Possente. Pulsazioni giganti calpestano lo spazio come una colossale gioventù. I vetri si infrangono, rallentano in cartoncini che crollano. Fantasmi di fantasmi di effetti, effetti di quinta generazione, urla dilatate, sferragli e fruscii agitano l’aria. 

Separato dalla sua causa, l’Echoplex produce una minacciosità priva di oggetto, una sensazione onnipervasiva di forza indefinita, di energia atmosferica che straccia la Canzone e la fa a brandelli. Il mixer permette l’accesso ai campi magnetici. È una torre di controllo da cui viene riconfigurata la turbolenza della tecnologia: «Siamo qui al Giradischi Terranova. Significa che stiamo per prendere il controllo. Stiamo prendendo possesso dell’aria, stiamo prendendo possesso dei monti, stiamo prendendo possesso delle stelle, stiamo prendendo possesso del sole, stiamo cambiando il tempo, stiamo cambiando il potere, stiamo cambiando la grazia, stiamo cambiando lo spazio». 

In un mondo di eco

Nel momento in cui l’eco arriva, l’ascolto deve completamente cambiare. L’orecchio è costretto a inseguire il suono. Invece di essere questo singolo evento nel tempo, il beat diventa una serie di echi ritrattili, come una coda di suono. Il beat si converte in una coda sempre sul punto di scomparire dietro l’angolo e il tuo orecchio deve iniziare a correrle dietro. Se stai indossando gli auricolari o un walkman diventa un inseguimento attraverso le cuffie. L’Echoplex rende l’ascolto una corsa. Non puoi catturare il beat. Le code di suono girano l’angolo e scompaiono per il corridoio. Da King Tubby a Basic Channel, i piatti sono sempre appena fuori portata, sempre intenti a svoltare l’angolo della percezione. Dove dovrebbe trovarsi il ritmo c’è lo spazio, e viceversa. Il dub spettrale ruota attorno a un beat assente. Revolution Dub è il campo minato mentale di The Upsetter. Ciascuna traccia ti tende un’imboscata, confonde i processi di riconoscimento dei pattern lasciando implicito il beat previsto. Cavità si aprono nei momenti più compatti del groove. Il battito scivola sullo spazio rimosso, i poliritmi ti fanno perdere l’equilibrio in un tira e molla di aspettative e attese, il pavimento ti viene a mancare da sotto i piedi. L’eco trasforma il beat da impatto localizzato ad ambiente nel quale sei immerso. Le rifrazioni rimbalzano da ogni superficie. Dapprima il rullante si infrange su una pelle di tamburo tesa, oppure il pedale rimuove l’aria tra 2 piatti per farla sibilare. Pressione pneumatica del metallo. Adesso, l’impatto che è scappato al tuo udito ti rimpalla indietro dal muro, dal soffitto, dal pavimento. Il mondo diventa una gigantesca batteria con te al centro. I beat sono colpi di rimbalzo a 360°, curvano attorno le mura del mondo. 

Sitcom fantasma infestano la canzone spettrale 

Portando l’esterno nell’interno della Canzone, Perry rilascia fantasmi sitcom nella Canzone spettrale. Perry campiona la tv prima del campionatore, proprio come Holger Czukay usa la radio: catturando i segnali giù per le antenne nella Canzone, facendo crepitare l’interno della traccia fino a quando non si produce un altro fuso orario. Lo spazio cambia posto. La realtà inverte se stessa. 

Schianti di vetri che si infrangono, bambini che strillano, sgocciolii d’acqua, fruscii, sciacquoni del cesso disperdono la Canzone ai quattro venti. Perry assume come coristi un ragazzino che piange, una mucca, un cavallo e una sitcom televisiva anni Settanta. Come un grande orologio a pendolo impazzito, ogni produzione diventa un congegno a percussione, totalmente aperto e fuori controllo. Maracas, legnetti, fischi, tric-trac, campane, pianoforti giocattolo, sonagli artritici, tutto diventa una perpetua ritmodoccia, un movimento molecolare. 

Lo studio Black Ark aziona un discontinuum tecnologia-magia. Operare sulla console di missaggio impone di esplorare la sua rete di spazi alteranti. Perry trapassa nella sua dimensione fantasma, cammina nel labirinto temporale dell’architettura auditiva. «Mi unisco per un po’ alla squadra fantasma e loro mi riconoscono come Capitano Fantasma. Io sono il Capitano Fantasma». 

L’album Revolution Dub non è tanto prodotto quanto ridotto da Perry. La Canzone viene passata ai raggi X in forme esoscheletriche attraverso le quali filtra il segnale tv. Per «Woman’s Dub», i rullanti distorti tambureggiano come una magia di ricami ad ago, ma è un ago arruginito, ferrico. «Kojak» è un mix intossicato, una camera dell’eco fatta di gemiti in cui lo spazio barcolla e sbanda pericolosamente. In «Doctor on the Go», Perry improvvisa una ninna nanna per pianoforte dal passo incerto, canticchiando «Doctor on the Go» a ripetizione come se fosse in lutto. Risate registrate in studio si inseriscono tremolanti; dapprima si affievoliscono in un balbettio, poi diventano tema principale, poi un applauso in studio. È un’occupazione fuori luogo della stessa dimensione: le atmosfere sfregano in una frizione incompatibile. La batteria di «Bush Weed» viene mandata al contrario in modo che la risonanza dei piatti si espanda in un luccichio metallico prima che i rullanti battano il tempo. I rullanti tambureggiano come ferri da maglia su carta argentata, magia microscopica che anticipa il ricamo ad ago all’ennesima dimensione di «The Paranormal in Four Forms» dei 4 Hero. Trapelano all’interno gocce di pioggia e la voce fuori campo di un documentario sulla natura: «L’uomo è sempre stato una minaccia per gli animali boschivi». Per tutto Revolution Dub Perry sembra in lutto, traballando in un falsetto tremulo di appassionante indecifrabilità. In «Raindrops» canta in un registro acuto più fragile di un guscio d’uovo, tanto vulnerabile quanto Leslie Cheung, protagonista uomo-donna del film Addio mia concubina del ’93. In «Bird in Hand» cammina in punta di piedi su foglie di ninfea. Quando cade il colpo del rullante, il suo tremolo è un movimento languido, una ninna nanna di bassi. 

Un’escursione sul campo per un ambiente elettromagnetico di distorsione
Dai Kraftwerk ai Pink Floyd, il futuro sonico è sempre bilanciato, separato quadrofonicamente. Perry fa della distorsione lo strumento principale della sua mixologia inebriata: l’equilibrio vacilla e le coordinate spaziali di alto e basso, vicino e lontano sussultano e ondeggiano in un mal di mare dell’orecchio, un’ubriachezza della testa. 

Il bilanciamento, il meccanismo Tradizionale per la localizzazione e l’identificazione del suono nello spazio, viene sostituito da un movimento altalenante, inducendo un’oppressione spaziale, la minacciosa sensazione che lo spazio è sul punto di schiacciarti, spingerti giù da questo pianeta che gira. Il tuo udito è sul punto di vomitare. 

Con The Upsetter, la profondità di campo non è né senza peso e vuota, né smisurata e schiacciante. Semmai pullula di scricchiolii, fremiti di rabbia, ondeggiamenti, brulica di spettri indefiniti e scomparsi dalla storia che spintonano per farsi spazio. «Il suo metodo di riversare le diverse tracce su un’unica pista così da liberare spazio per un ulteriore dubbing ha introdotto un effetto di degradazione che è diventato una componente essenziale del mix.» Quella che Steve Barrow chiama degradazione è incantamento elettromagnetico. In Return of the Super Ape, il ronzio e il fruscio prodotti dal logorio del nastro di n-generazione diventano strumenti principali, affogando l’ecopaesaggio in un dedalo di feedback elettrici. La distorsione spinge ai limiti del medium fino a quando non lo eccede, la Canzone implode, si disintegra in pioggerellina ossidata, sibilante, un’intera dimensione spettrale che diventa suono. 

Le tracce soccombono alle apparizioni, diventano porose, crepitano come la celluloide che brucia alla fine del film Persona di Ingmar Bergman del ’66. Degenerazione = Rigenerazione. Il suono sussurra in un mondo alla n elettromagnetico in cui i fantasmi si espandono, gli effetti si sovrappongono e gli spettri si radunano. 

L’ascolto diventa un’escursione sul campo in un ambiente abbandonato e trovato per caso. Tutto emerge dall’interferenza subtonale dell’elettringanno subacqueo, continuamente frusciante e in granulazione, fibroso e liquido. Perry sotterra le videocassette nel terriccio, rendendo ambientale il medium.