Just Girly Things: si chiamava così il primo meme a causare uno shock culturale tra le comunità femminili online. Era il 2011 quando un blog Tumblr diede vita al format vincente costituito da una foto stock accompagnata dalla descrizione di un’esperienza (una sensazione, un’abitudine o desiderio) associata alla girlhood e condivisibile dalle ragazze di tutto il mondo.
Non a caso, le immagini di justgirlythings sono anche state tra le prime a essere soggette a trasfigurazioni compiute in parallelo con la trasformazione del modo di stare online delle sue stesse fan. Con l’aumentare dell’età anagrafica di chi era preadolescente negli anni 2010, e con il naturale sviluppo di un’ironia nichilista che avrebbe governato internet nel decennio a seguire, l’ingenuità delle aspirazioni di noi stesse da adolescenti si scontrava con la realtà della crescita generando un’ironia degli estremi. Just Girly Things: sacrificare il tuo ragazzo a satana e utilizzare il suo teschio come tazza per i cereali è solo una delle migliaia di variazioni.
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Mentre le sottoculture femminili del web erano occupate a uccidere i loro padri in versione memetica (desacralizzare i meme intensamente amati durante l’infanzia), i confini dello stesso essere una ragazza online cambiavano rapidi quanto la stessa struttura di internet. Dai fashion blog indie sleaze a Tumblr fino alle pagine di Rookie Mag, la girl online diventava più disillusa e arrabbiata, soprattutto negli spazi di espressione personale lontani dai patinati GRWM (“Get ready with me”) delle prime celebrità di YouTube. Armata di un nuovo cinismo, la girl online sfuggiva sempre di più a una definizione singolare per aprirsi alla possibilità di essere tante cose, e per cominciare ad agire nel nome di una chimera (una qualche sorta di liberazione?) attraverso la comunità online su cui era cresciuta, ma non di certo grazie a quelle innocenti aspirazioni della fanciullezza.
Definire lo stato di essere una ragazza online è complicato, e i contorni dei suoi sviluppi contemporanei sembrano essere sempre più tendenti alla rarefazione. Nel tentativo di un’etnografia digitale alla ricerca delle risposte, Angelicism01 è la creatura multiforme che illumina il cammino e lo confonde allo stesso tempo.
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Una delle recensioni su Letterbox più popolari di FILM01, l’opera filmica-manifesto realizzata da Angelicism, contiene la seguente combinazione di parole, sicuramente introvabile nella bibbia: “Versione fanmade white girl corecore della fine di Evangelion con una spolverata di thinspo e ecofascismo”. L’alfabeto di questa entità misteriosa, autrice del film e di un famosissimo Substack (ora tristemente vuoto) che per anni ha plasmato il pensiero collettivo dell’intera scena newyorkese di Dimes Square, è effettivamente simile a una bibbia del Nuovo Cattolicesimo internettiano; una preghiera che ha trovato il modo di auto-diffondersi nel più affascinante e inquietante dei modi.
Nel 2024, dopo la prima del film all’Anthology Film Archives (il cinema creato dai leggendari registi sperimentali Jonas Mekas, Stan Brakhage, Jerome Hill e Peter Kubelka), Angelicism ha affidato la distribuzione mondiale del suo lunghissimo film (uno dei cut più lunghi, “Paradise Cut”, dura 10 ore) al potenziale religioso della sua chiamata in azione: con una Instagram Story ha chiesto ai suoi adepti intorno al mondo chi fosse interessato a organizzare una proiezione del film nel suo paese. Le regole da seguire all’inizio – svanite progressivamente con il numero di proiezioni in tutto il mondo – erano le seguenti: il film sarebbe stato proiettato solo al cinema, in una giornata senza nessun altro film in programmazione e con un disegno del suono allestito secondo precise indicazioni. La quarta e ultima regola, l’unica a non essere stata mai infranta durante tutte le proiezioni organizzate, implicava la creazione di un account Instagram dal nome utente “angelicism_nomedellacittà” per ognuno dei luoghi interessati. Il messaggio è chiaro: Angelicism è un’entità così potente da riuscire a parcellizzare la sua identità negli sforzi dei suoi discepoli. Per alcuni giorni – il necessario per promuovere l’arrivo di FILM01 in sala (o galleria, o centro d’arte, o stanza da letto di uno studente di arte) – il corpo dell’adepto avrebbe dovuto postare impersonando la sua Dea, come se fosse stata lei a suggerirgli il linguaggio mistico attraverso una possessione.
Tutti gli account, molti dei quali ancora visitabili, – Berlino, Londra, Copenhagen, Parigi, Roma (Not è colpevole di aver ceduto all’ascendente di questa strana entità) – replicano gli stilemi estetici tipici di Angelicism: collage di frasi dal tono biblico in Helvetica su sfondi bianchi, ragazze dalla pelle candida con minigonne da tennis, strani meme sulla politica confezionati da meme sulla cultura pop. L’immagine di Angelicism è una strana creatura figlia di American Apparel, TikTok e meme generati da intelligenza artificiale: in sostanza, è la ultimate girl online, una che il teorico di internet Geert Lovink ha definito la sua “poetessa del web preferita”.
Il fenomeno Angelicism, diffusosi in giro per l’Europa grazie a una febbre collettiva che ha convinto abbastanza persone che il film e la sua autrice fossero il sintomo di un momento importante della storia di internet e della contemporaneità, ha origine in un certo movimento culturale nato dalle conseguenze della trasformazione del web in quella che il teorico Yancey Strickler ha definito “Dark Forest” in un saggio virale del 2019. La teoria spiega che, per sopravvivere a un internet inondato da slop di AI, annunci pubblicitari, fake news e influencer manovrati da grandi aziende, i pochi utenti umani rimasti abbiano cominciato a nascondersi, silenziosi, li dove nessuno può vederli (e di conseguenza, vendere i loro dati alle multinazionali). Il risultato è un internet apparentemente morto, e che invece – così come una foresta immersa nel buio dove è impossibile intercettare gli animali che la abitano – è vigorosamente in vita in chat semi anonime, server di Discord, podcast, canali di Telegram, comunità crypto e newsletter di Substack.
Gli altri pilastri fondamentali che reggono l’ideologia di queste comunità post-woke sono l’abolizione dell’identità in favore di una continua e multiforme performance online
La sfiducia per il “clearnet” (praticamente i social media e le altre piattaforme aperte) e l’estremo cinismo nei confronti della cultura mainstream è arrivata presto a coincidere con il fascino per le modalità conservatrici dei movimenti di destra Americani: ricoperto da una doppia patina di ironia mescolata a sincerità, il pensiero degli utenti di queste comunità include l’idea che impersonare la destra sia l’arma perfetta per prendersi gioco del progressismo e del politically correct che sta rovinando l’arte attraverso la censura e le identity politics. “Vibe Shift” è il termine con cui, nel 2022, la critica culturale aveva scelto di definire questo movimento verso la destra che coinvolge soprattutto le generazioni giovani e online. Estremismo, umorismo contorto e post-verità sono gli ingredienti principali dell’internet contemporaneo.
Gli altri pilastri fondamentali che reggono l’ideologia di queste comunità post-woke sono l’abolizione dell’identità in favore di una continua e multiforme performance online, lo sviluppo di una nuova sincerità che non prevede verità assoluta ma è nascosta sotto strati di post-ironia, l’idea dello “schizoposting” come forma d’arte e strumento per raggiungere uno stato di guarigione, e l’infinito.
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“Schizoposting” si riferisce all’atto di postare meme come se si fosse in preda a un perenne stato di psicosi infusa di simboli religiosi o occulti, paranoia e rifiuto della materialità in favore di un nuovo tipo di coscienza sbloccata grazie al postare collettivo. Affermazioni come: “Logging in is an acceptance of all weightlessness and a rejection of finitude”, “Every post is a devotion to God”, “Not girl summer. I don’t exist”.
questo tipo di female edgelord, o “femtroll”, ghigna soddisfatta ai commenti seri di chi si sente affrontato dalle sue provocazioni, fiera del fatto che la sua comunità online la consideri “based” piuttosto che “cringe”
A redarre quello che, ad oggi, è probabilmente il più preciso manifesto dello Schizoposting è stata Charlotte Fang, famigerata creatrice della DAO (comunità autonoma decentralizzata) crypto anti-woke Remilia Collective, che oltre ad aver dato vita a una serie di NFT dal nome “Milady” su Ethereum, ha coniato il termine “Network Spirituality” per descrivere un’ideologia basata sui meme e lo shitpost come porta d’accesso a una spiritualità condivisa online.
“La Network Spirituality consiste nel sintonizzarsi su una coscienza condivisa, in cui puoi comunicare alla velocità del pensiero tramite la telepatia.
La Network Spirituality è l’abbandono dell’ego legato al meat-space (il mondo materiale)) e l’adozione di una persona digitale connessa a una rete alveare. […] Una volta incontrata, potrai sentirne l’energia diffondersi dalla tua tastiera. È viscerale. È elettrica. È divina.
La Network Spirituality sostiene che la maggior parte delle critiche, fatte su qualsiasi base al di fuori di Verità e Bellezza e della sostenibilità memetica generale nel mercato delle idee, derivino dalla proiezione di insicurezze o dalla malafede, radicate in preoccupazioni materiali antitetiche a qualsiasi esistenza senza ego sulla rete.
La Network Spirituality potrebbe configurarsi come la nuova ideologia del dissenso: integrare valori spirituali e morali nei meme iscritti in Registri Distribuiti che si auto-propagano naturalmente.
La Network Spirituality è utile perché ci ricorda la noia – sia semiotica che spirituale –della vita incarnata. In quale punto di questo processo semantropocentrico, rizomatico e cripto-estetico ho incontrato degli angeli (noi, voi)?”
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Non è così difficile pensare che, nel mondo attuale fatto di assenza di riferimenti e polycrisis, la religione sia per le generazioni native digitali esperita e intesa a fondo solo grazie alle eggregore nate dalle sottoculture online. Se l’internet di oggi è un bizzarro mix di ironia e sincerità, gli archetipi della “Sad Girl” e della “Schizo Girl” sono i suoi due figli preferiti. Se una esalta gli attachment issues, i trauma familiari e il concetto di guarigione abbracciando un vocabolario visivo composto da corpi fragili, agnelli bianchi, vestiti in pizzo e canzoni di Lana del Rey, l’altra sfugge alle passioni terrene per allinearsi a un elevato livello di percezione fatto di strutture mentali criptiche (“Noticing patterns”), intuizioni ancestrali ed eliminazione del sé.
L’importanza culturale dell’archetipo della Sad Girl ha permesso l’ascesa della sua naturale evoluzione storica: un tipo di microcelebrità femminile che ai componenti di fragilità e ingenuità (“sillyness”) contrappone la condivisione di idee paradossali e controverse sulla struttura della società, la politica e il linguaggio (in particolare, quello che può considerarsi innocuo o offensivo). Perfetta trickster intenta a occultare qualsiasi tipo di razionalità con la più criptica meta-ironia, questo tipo di female edgelord, o “femtroll”, ghigna soddisfatta ai commenti seri di chi si sente affrontato dalle sue provocazioni, fiera del fatto che la sua comunità online la consideri “based” piuttosto che “cringe”.
Le female edgelord, femtroll, femcel (la stessa parola “incel”, in realtà, è stata coniata da una donna per autodefinirsi) e Sad/Schizo Girl sembrano provenire tutte dalla stessa matrice: l’esperienza di essere una ragazza online intenta a descrivere sé stessa attraverso la condivisione di fiumi di contenuti provenienti da fonti diverse riversati sulla propria bacheca di Tumblr o blog personale.
“Molte persone pensano che la cultura femcel sia nata da quella incel ma, secondo la mia onesta opinione, si tratta di una sottocultura che nasce dall’esperienza femminile e dall’adolescenza nel suo complesso” scrive un utente su Reddit. Nel saggio Everyone Is a Girl Online, la teorica Alex Quicho scrive di come la cultura pop – e la dimensione online in cui siamo abituati a vivere – sia chiaramente stata definita dall’eredità della “sad girl online”, e di come tutti i tipi di utenti conservino questo archetipo internalizzato quando esprimono i propri desideri attraverso orde di meme sul web.
Dove vive davvero una “Girl Online”? Nell’allontanamento dalla forma fisica o nello spazio riservato al desiderio altrui? Nelle group chat conservatrici (o addirittura estremiste), nei podcast che inneggiano a processi di guarigione, nelle richieste di aiuto in forma di newsletter di Substack o nella riappropriazione attraverso i meme della figura del “troll”, da sempre associata a sottoculture di internet prettamente maschili?
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La pratica dello Schizoposting e il commovente desiderio di una fusione con l’infinito si prefigurano come la manifestazione online di quello che Tiqqun chiama “angel complex” in Preliminary Materials for a Theory of the Young Girl: l’aspirazione a una perfezione che può essere raggiunta solo nell’incorporeità.
La Schizo Girl è costretta in un sistema complesso di segni che le parlano e a cui lei è chiamata a rispondere per elezione divina, in preda a istinti opposti che la spingono a liberarsi da sé stessa e contemporaneamente cercare l’identificazione con il mondo che la circonda. La sua intuizione celestiale l’ha resa consapevole di come il tessuto virtuale significhi una possibilità di guarigione e trasformazione, rivelandole la trama indistruttibile che lega la femminilità allo spazio digitale e alla tecnologia.
Girlhood is a spectrum.