Dal documentario WDR sulla Fresh Familee

Turkrap e dintorni

Breve storia del rapporto tra rap e comunità immigrate in Germania, dalla nascita della scena hip hop ai tempi degli assalti xenofobi di Rostock e Solingen, alle recenti evoluzioni trap

Più o meno alla metà degli anni Novanta, sul minuscolo palco di una storica birreria berlinese che organizza ogni lunedì delle jam rap libere, un ragazzino non ancora maggiorenne che vive nel distretto di Tempelhof, figlio di madre tedesca e di un padre tunisino che non ha mai conosciuto, afferra il microfono e comincia a fare freestyle. E lo fa come si deve. I ragazzi si fermano ad ascoltarlo: alcuni imparano come si fa il rap, altri a tenersi alla larga dalle sue rime, dai suoi compari e dalla sua fama di piccolo criminale. Il ragazzo si chiama Anis Mohamed Youssef Ferchichi, ma quando ha il microfono in mano dice di essere Bushido, la via del guerriero.

Da lì a qualche anno diventerà un’icona: acclamato sia dagli immigrati che dai «berliners», si farà la fama di migliore (e più ricco) rapper di Germania. Il suo sarà un rap dagli accenti «gangsta»: machista, dedito al culto del corpo, dei soldi, della droga. Per ora però, alla metà degli anni Novanta, è solo un flow perfetto con i brufoli, una specie di piccolo Tupac nel posto sbagliato; ma Bushido sa dove vuole andare e sa come arrivarci. È forte e fiero il piccolo Bushido, perché alle spalle ha una scena che si è presa anche ciò che non avrebbe mai sperato.

Facciamo un passo indietro. Siamo nel settembre del 1991 a Hoyerswerda, in Sassonia. Dozzine di adolescenti assaltano per cinque notti con pietre e molotov prima il mercato della città e poi dormitori, ostelli e alloggi per rifugiati e Vertragsarbeite – i lavoratori a contratto stranieri – in gran parte provenienti da Mozambico, Vietnam, Ghana, Romania e Bangladesh. Gli attacchi vengono acclamati da un manipolo di residenti, che applaudono. È solo l’inizio.

Più gremita è la folla che segue le vicende che da lì a meno di un anno scuotono ulteriormente la Germania; lo «spettacolo», in piena estate del 1992, consiste stavolta in centinaia di individui divisi tra estremisti di destra, vandali riottosi e semplici cittadini, che assaltano con bombe di fabbricazione casalinga e pietre la Sonnenblumenhaus, la Casa Girasole di Rostock-Lichtnenhagen, dove alloggiano un centinaio di Vertragsarbeite vietnamiti. La polizia non può intervenire – oppure non vuole.

Poi: il 23 novembre 1992, a Mölln – cittadina nello stato di Schleswig-Holstein, nella Germania del Nord – due individui di simpatie neonaziste gettano bombe molotov contro due abitazioni del centro storico. Muoiono una bambina di 10 anni, sua sorella di 14 e la loro nonna, di 51 anni. Altre nove persone restano ferite. Le vittime sono di origine turca.

Ancora un anno, e si arriva all’episodio che probabilmente più è rimasto impresso nell’immaginario dell’epoca, anche in Italia. Riportando fedelmente l’apposita voce di Wikipedia: «Nella notte del 28 maggio 1993, quattro giovani tedeschi appartenenti agli skinhead di estrema destra, con legami neonazisti, diedero fuoco alla casa di una grande famiglia turca […]: tre ragazze e due donne morirono; quattordici altri membri della famiglia tra cui diversi bambini rimasero feriti, alcuni dei quali gravemente». È il rogo di Solingen.

Alle vittime di Mölln e di Solingen segue la reazione dell’intero Paese: si intensificano le discussioni e le reazioni sul problema del razzismo e vengono organizzate manifestazioni di solidarietà. I giorni seguenti all’incendio, Solingen viene assediata da migliaia di turchi provenienti da tutta la Germania. Anche all’estero la notizia viene accolta con preoccupazione: soprattutto in Turchia, dove i media nazionali processano la Germania e fissano un clima antitedesco.

Dalla caduta del muro sono passati solo pochi anni. Nel paese, dilaga il dibattito sulla riunificazione, sulla disoccupazione giovanile, e su un generale sentimento di frustrazione. Ed è in questa cornice che prende forma la cultura hip hop tedesca. Matthias Kappler, docente di Turcologia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, spiega che in Germania il rap «sbarca agli inizi degli anni Ottanta, ma solo alla fine del decennio e all’inizio degli anni Novanta – quasi contemporaneamente alla Wende, il processo di riunificazione – si stacca dai modelli americani».

Fresh Familee, 1989.

Piuttosto significativamente, negli stessi anni di Mölln, di Solingen e degli assalti ai Vertragsarbeite, a prendere il sopravvento è proprio il rap che nasce dalle comunità di immigrati. Potremmo anzi dire che, sulle prime, l’hip hop fatto da «tedeschi di origine tedesca» viene messo ai margini rispetto a quello prodotto dalle comunità nordafricane e soprattutto turche. È come se non avesse le credenziali per essere preso sul serio: poca esperienza di ghettizzazione e discriminazione, mentre i giovani immigrati turchi vivono nei Kiez disagiati delle grandi città (come potevano essere un tempo i quartieri di Kreuzberg e Neukölln nella capitale, oggi diventati centri nevralgici dell’hype cittadino).

Tra i primi gruppi a farsi notare nella nuova scena hip hop tedesca ci sono d’altronde già a fine anni Ottanta i Fresh Familee, crew multietnica della periferia di Düsserdolf, composta da quattro rapper rispettivamente di origine turca, marocchina, macedone e tedesca. Nei loro testi ci sono tutte le componenti classiche del rap americano «del ghetto»: le gang, la droga, il crimine, la violenza; ma accanto a queste, e ancora più massicciamente, emergono anche le problematiche legate all’immigrazione. Esiste un documentario molto interessante sulla loro storia.

I Fresh Familee possono essere considerati tra i precursori di un movimento musicale e politico che si sarebbe protratto per molti anni. Sulla loro scia, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta nascono altri gruppi simili, in grado di prendersi la scena in un tempo record. Ancora una volta, sono perlopiù crew dalla componente multietnica fondate da immigrati e figli di immigrati, ma in cui spesso si collocano anche giovani tedeschi di estrazione proletaria, anch’essi confinati nelle periferie. Molti dei loro testi sono basati sulle vicende a sfondo razziale avvenute tra il 1991 e il 1993.

È il caso di gente come Islamic Force, formatisi a Berlino da componenti di origini turche, albanesi, spagnole, oltre che tedesche. Sono loro a consacrare quello che in Germania diventerà noto come Oriental Hip Hop, supportato da nomi come Da Crime Posse (duo di origine turca), The Microphone Mafia (gruppo turco-tedesco-italiano, con testi rappati in tedesco, italiano, dialetto napoletano, turco e inglese), Anarchist Academy, King Size Terror, Sert Müslümanlar. È solo una piccola fetta di tutti gli MC e producer che, entro la metà degli anni Novanta, vanno ad alimentare un movimento che si mangia la scena hip hop tedesca quasi per intero. A prendere forma è anche una precisa variante Türkrap figlia della diaspora turca in Germania e dichiaratamente antagonista al Deutschrap «fatto dai tedeschi per tedeschi», considerato fin troppo succube del modello americano.

Cartel, 1995

Lo scontro esplode con l’uscita nel 1995 di Cartel, una raccolta firmata dal collettivo omonimo che convoglia in un’unica produzione alcuni fra i più influenti esponenti della scena Türkrap: Karakan, Da Crime Posse e il berlinese Erci E. Il disco, che vende 20.000 nel mercato tedesco – ma ben 300.000 in quello turco – è un vero e proprio affronto al Deutschrap, a cominciare dalla copertina che ricalca in modo piuttosto evidente la bandiera turca. È evidente il riferimento polemico alla storica raccolta Krauts with Attitudes; uscita nel 1991, Krauts with Attitudes era un prodotto squisitamente Deutschrap, con tanto di copertina coi classici colori della bandiera tedesca; niente turchi e niente immigrati, ovviamente: il paradosso è che a essere cantate in tedesco erano solo tre tracce, contro ben undici in inglese (e una in francese).

Così come Krauts with Attitude quattro anni prima, anche Cartel segna una svolta e proietta il Türkrap ai piani alti dell’hip hop prodotto in Germania. Nelle rime dei suoi rapper comincia a diventare d’uso comune un’espressione come kanake, che storicamente è una definizione dispregiativa per «turco», e che un po’ come il nigga del rap americano finisce per essere adottata come autodefinizione dalla comunità. Ma se da una parte dischi come Cartel accrescono l’importanza e la notorietà di determinate figure, dall’altra generano anche alcune incomprensioni: il Türkrap tedesco finisce infatti per alimentare un certo «orgoglio anatolico» proprio in Turchia, e questo nonostante l’intenzione delle crew residenti in Germania non fosse propriamente quella. Nato come espressione di un movimento antirazzista seguito agli attacchi alle comunità immigrate dei primi anni Novanta, il Türkrap finisce quindi per diventare un simbolo persino per alcuni esponenti del movimento nazionalista turco Bozkurtlar, meglio noto come Lupi Grigi.

Un vecchio servizio della TV tedesca sul fenomeno Cartel

Alla fine dei Novanta e con l’arrivo degli anni Duemila affiora, facendosi strada a colpi di machete, una neonata scena di nuovi rapper. Sbocciano nuovi ritmi, nuovi flow, nuovi contenuti che vanno a mescolarsi e a mangiarsi quelli vecchi. L’old school viene messa in un angolo: e se non manca le reverenza nei confronti di coloro che coraggiosamente sono stati l’inizio di tutto, è anche vero che, nella maggior parte dei casi, le tematiche della new school poco hanno a che vedere con tutto il movimento che è stato. I prime movers della vecchia scuola rimangono dei nomi leggendari, certo; ma in quanto tali, sono anche consapevoli di far parte di una storia che sta cambiando. Resiste ancora un movimento che vuole mantenere le sue radici in una forma di protesta: basti pensare al collettivo afrotedesco Brothers Keepers, che spazia dal reggae all’hip hop fino al soul, con tematiche antirazziste e antixenofobe. Ma sono anni in cui l’hip hop – in Germania come altrove – subisce una sorta di trasformazione, migrando dall’asse politico-sociale a quello del puro entertainment.

È qui che esce allo scoperto Bushido, quel ragazzino dal flow perfetto e dagli atteggiamenti da nemico pubblico numero uno. Odiato dalle autorità tedesche, più volte arrestato e accusato di far parte di uno fra i più importanti clan mafiosi della capitale, il suo credo si basa sull’onore, sul rispetto e sulla battaglia. Alla metà degli anni Zero il rap si avvia a conquistare il mainstream tedesco e lui se lo prende tutto, contendendosi lo scettro di re della scena con Sido, sua unica controparte orginal deutsch e, seppur soltanto per qualche anno, suo compagno di etichetta alla Aggro Berlin.

Passano gli anni e mentre da noi, ancora nel 2015, Gué Pequeno afferma in un’intervista per Rolling Stone di voler essere il Bushido italiano, in Germania spopola già l’indie-rap «dai colori effetto di Instagram» di Casper e quello strafatto di Marsimoto, ex calciatore dalla faccia pulita che indossa una maschera di supereroe della ganja. E poi ecco figure come Kollegah, bello, cattivone e palestrato, meno cattivo di Bushido, mezzo tedesco e mezzo canadese. Per l’ennesima volta qualcosa finisce e qualcos’altro inizia – o per altri versi tutto si ridimensiona e tutto si sistema. Diciamo che segue un trend.

La scena muta ed è in mano a gente come, per citare solo alcuni fra molti, Massiv, rapper di origine palestinese, Haftbefehl di origini curde, l’afghano SSIO, il turco Hakan Abi, il libanese Baba Saad. Entrambi curdi sono Xatar, che se lo incontri per strada «gli stai alla larga», e Eko Fresh, con le sue tematiche vittimistiche e figlio del celebre Nedim Hazar, attore e musicista nel duo Yarınistan. Vanno di moda le maschere: tra le nuove leve si sta imponendo 18 Karat, gangsta-rapper metà tedesco e metà portoghese, gioiellino della Banger Musik, label del rapper di origini marocchine Farid Bang. Il videoclip della canzone «Mama ist Nich Stolz» è andato on line il 23 febbraio 2018 ed è diventato virale nel giro di pochissimi giorni. Eccolo:

E poi c’è l’avvento della trap. Come in Italia, anche in Germania nascono suoni diversi, le metriche si sfilacciano, l’autotune diventa la costante, il flow si impoverisce. Nelle classi della Kepler Schule, la scuola superiore di Koellnische Heide, Neukölln, leggendaria per essere l’istituto più pericoloso della capitale, gli adolescenti – di cui la quasi totalità di origine turca o araba – ascoltano e cantano le canzoni di Capital Bra, berlinese di origini russe e ucraine, molto famoso per il brano «Nur Noch Gucci». Ancora più popolare è Miami Yacine, magrebino, tra gli ultimi arrivati ma tra i più quotati, rappa di cocaina e ricorda per certi versi l’attitudine della Dark Polo Gang.

Nel rap di matrice turca e africana rimangono i riferimenti alla ghettizzazione e al disprezzo razziale, ma vengono trattati in modo diverso. Se prima dentro le canzoni di Fresh Familee si poteva trovare, oltre che la protesta, la solidarietà tra «fratelli», adesso la maggior parte delle rime sono rivolte al clan, che ha come obiettivo il denaro e lo sfarzo. I videoclip sono zeppi di macchine di lusso, soldi, droga, armi, corpi scolpiti. Il linguaggio utilizzato è forzatamente scurrile, sessista e omofobo. Violento. I media hanno ribattezzato lo stile Straßenrap, letteralmente «rap di strada». In cosa consista, potete capirlo da voi dando un’occhiata al video di «Was Hast Du Gedacht», recente traccia del rapper di Amburgo Gzuz:

È molto popolare nel quartiere multietnico Wedding, a Berlino, un murales che omaggia tre fratelli figli di immigrati, nati e cresciuti proprio in quella zona della Berlino ovest. I due ai lati sono decisamente famosi: sono Kevin-Prince e Jérôme Boateng, entrambi calciatori (il primo ha militato anche nel Milan, il secondo ha vinto il mondiale nel 2014 con la maglia della Germania e gioca tuttora nel Bayern Monaco). Il terzo, quello al centro, è la pecora nera. Si chiama George Boateng, e anche lui è cresciuto come calciatore nelle giovanili dell’Herta Berlino. Talentuoso ma con la testa matta e la sfortuna come mantello, si ritrova a vivere prima nell’ombra dei suoi fratelli e poi nell’oscurità di una vita ai margini. Finisce anche in prigione. Poi si dedica al rap, con il nome di BTNG. Nel 2015 esce per Warner il suo disco d’esordio, intitolato Gewachsen auf Beton; l’anno scorso è arrivato l’EP Black Mamba, pubblicato dall’omonima BTNG music.

In Germania, da Fresh Familee a BTNG passando per Bushido, sono le rime che, forse meglio di qualsiasi altra cosa, raccontano decenni di storia, di mutamenti, di drammi. Qui il rap è una musica che ha fatto da fiaccola, da arma, da protezione e da rivoluzione. Se ciò che diciamo è, quasi sempre, un elaborato più concreto di ciò che pensiamo, e se come lo diciamo è invece frutto di ciò che siamo culturalmente, la storia del rap è il modo in cui la Germania ha provato a raccontare cambiamenti sociali, politici e culturali a cui il paese, a ventisette anni dai fatti di Hoyerswerda, ancora fatica ad adattarsi.