Nel maggio del 2023 ho incontrato Antoine Volodine. Assieme alla sua traduttrice Anna d’Elia e a Stefano Malosso, abbiamo presentato Le ragazze Monroe a Milano. Volodine è uno scrittore francese di origini russe che pubblica romanzi, testi ibridi, saggi di finzione, racconti. Ha coniato una corrente letteraria allucinata battezzata “post-esotismo” a cui partecipano un pugno di autrici e autori. Ma sono tutti eteronimi di Volodine. Anche “Antoine Volodine” è un nome d’arte.
Il paradosso della letteratura post-esotica non è però solo un gioco meta-letterario: Volodine ha creato un universo narrativo poderoso, perfettamente riconoscibile. Qualche giorno fa ho trovato la registrazione dell’evento. Ho trascritto le mie domande e le risposte di Volodine. Rileggendole in un unico flusso mi è sembrato che la mia voce, la voce di Volodine – che a volte parla al singolare a volte al plurale – e la voce di Anna d’Elia – che traduceva la conversazione e interveniva nella chiacchierata – si confondessero in maniera perfettamente post-esotica: un gomitolo di io noi lei lui voi. Allora ho lavorato ancora un po’ di lima ed è venuto fuori il testo che state per leggere. Mi sembra una introduzione coerente, e sconnessa, ai libri di Volodine e del suo gruppo.
Ogni libro post-esotico, come in un frattale, contiene tutto. Ogni tessera contiene l’insieme. Ogni libro contiene l’opera.
Il passato è essenziale. È alla base delle storie di tutti i narratori post-esotici. Ma il pilastro nascosto su cui si regge l’edificio del post-esotismo è lo stato di prigionia. Il post-esotico non è altro che l’opera di una serie di autori e di autrici imprigionati. Autori immaginari che pensano a un’idea dall’interno della prigione in cui sono rinchiusi. Rimuginano sulla grande sconfitta e sul grande fallimento che è stato il Ventesimo secolo, sulla disfatta del Novecento. Sono costruttori di storie. Alcune vengono pubblicate anche qui da noi, fuoriescono dai muri della prigione e vengono diffuse con la firma di una serie di autori, uomini e donne. Non so, Lutz Bassmann o lo stesso Antoine Volodine, Manuela Draeger o il collettivo Infernus Iohannes. Ma dietro queste firme, che sono note all’esterno della prigione, esistono decine di altri autori che non firmano, che non pubblicano magari, ma che sono a loro volta incarcerati, autori e autrici uniti dal medesimo intento poetico e politico. Le immagini che popolano i libri post-esotici rimandano a un dopo: dopo la catastrofe, dopo la fine. In questo senso, sono immagini che potrebbero anche prevedere qualcosa del futuro. Forse per questo alcuni libri post-esotici fanno pensare alla distopia, a una proiezione futura e fantascientifica. Ma in realtà, lo ripeto, sono tutte immagini basate sul passato, sui ricordi delle catastrofi e delle sconfitte del Ventesimo secolo e di quelle dell’inizio del Ventunesimo secolo, che non sembra molto migliore.
Penso che Le ragazze Monroe sia un portale perfetto per entrare nell’edificio post-esotico, un edificio che ha infinite dimensioni. Ma in fondo ogni libro post-esotico, come in un frattale, contiene tutto. Ogni tessera contiene l’insieme. Ogni libro contiene l’opera. Questo libro è il quarantacinquesimo. Arriveremo a quarantanove. Quarantanove libri e la letteratura post-esotica finirà. Ci sono due cose che distinguono i nostri libri, i vostri libri: la prima è una capacità unica di costruire atmosfere, la seconda è una certa ironia, che non so neanche come definire, macabra, persistente e volgare, forse anche liberatoria.
Partiamo dalle atmosfere. I libri post esotici ci proiettano in un presente composto da futuro e passato collassati, lacerati. Vivono in un riflesso surreale, onirico, di un mondo post-umano e post-apocalittico. Le trame della letteratura post-esotica hanno valore, sì, ma solo fino a un certo punto, perché la narrazione è sempre dominata da una stortura, da una lacerazione. Il cielo è plumbeo, i personaggi sono ombre di personaggi, non hanno complessità psicologica, a volte sono a malapena rintracciabili o riconoscibili, sono quasi delle marionette. L’atmosfera invece è unica. È un’atmosfera ben precisa. Da lettore, mi sono accorto che associo sinesteticamente un colore a questi libri: un verde militare, con macchie di ruggine.
Ora, però, proviamo a dire di cosa parla Le ragazze Monroe. Be’, siamo in un mondo, lo ripetiamo, post-apocalittico, post-ideologico, in cui sia il capitalismo sia il comunismo hanno perso. Piove eternamente. Alcuni umani superstiti vivono rinchiusi in possenti ospedali psichiatrici. Nel mondo c’è una lotta per il potere: quello che viene chiamato il Partito sta perdendo, ha perso, o sta riconquistando il potere. Non si capisce bene. Non si racconta mai esattamente chi è che detiene il controllo politico e sociale. A volte la situazione, o almeno la percezione, cambia da una pagina all’altra.
C’è un ex ribelle, Monroe. È morto. Ma forse non è così morto, forse è ancora presente in una forma energetica ibrida. Di sicuro, dal suo aldilà cerca di mandare alcune vedette sulla Terra. Alcune soldatesse addestrate da lui. Sono le ragazze Monroe del titolo. Esseri perfetti provenienti dall’aldilà. Corpi splendenti, fisicamente prestanti, allenati, bellissimi. Ma sono anche entità aracnoidi, con fattezze mostruose. Le ragazze Monroe non fanno altro che bestemmiare tutto il tempo. Imprecano in continuazione. Sono spedite da Monroe nel mondo dei vivi per sovvertire l’ordine costituito che il partito sta cercando di compattare. Vogliono mettersi in contatto con alcune persone rinchiuse negli ospedali psichiatrici. Cercano Breton, un paziente schizofrenico con poteri di metempsicosi, che può mediare tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti.
C’è un’ambientazione lugubre. Come sempre. Ho cercato di creare uno sfondo in bianco e nero cinematografico, grandioso, pensando soprattutto ad alcuni vecchi film, ai polizieschi americani anni Trenta-Quaranta. C’è Kaytel, un poliziotto che è ricalcato su Humphrey Bogart. È un poliziotto completamente disilluso, fuma sigarette che si spengono sotto la pioggia. Poi… La pioggia incessante. La situazione da incubo. È vero. Ma volevo anche scrivere una storia divertente. Ci sono una serie di elementi molto buffi in questo libro, a cominciare dai personaggi che abbiamo iniziato a raccontare. C’è Breton, il protagonista, che è uno schizofrenico e un folle, rinchiuso da trent’anni in questo immenso ospedale psichiatrico. Sembra essere l’unico in grado di vedere le ragazze Monroe quando compaiono nel nostro mondo, ovvero il mondo dei cosiddetti vivi. Ma Breton è doppio. Nella sua follia ha immaginato un proprio alter ego che si chiama Breton e con il quale dialoga per non impazzire di solitudine. Naturalmente questo sdoppiamento, che è perenne e percorre l’intero libro, crea degli effetti molto comici. Un altro personaggio comico è Dama Patmos. È l’unica rappresentante del Partito nel libro. Una donna in carne, sensuale, una cinquantenne d’assalto molto sicura della sua avvenenza che cerca di rimorchiare il poliziotto. Dama Patmos si preoccupa molto della propria carriera all’interno del Partito: ma il Partito non esiste più. E anche questa è una situazione di per sé estremamente comica: preoccuparsi di scalare la gerarchia di un partito ormai estinto.
E poi ci sono una serie di morti piuttosto arzilli e vivi. C’è una coppia di vecchietti, un lui e una lei, che stazionano sulle scale di questo edificio in rovina. Sono morti da parecchi giorni e parlano con una sintassi completamente esplosa, smozzicata. Commentano e irridono le persone che vanno e vengono e anche la loro lingua crea una certa complicità con il lettore, perché è una lingua povera, parlano male. E persino le ragazze Monroe sono comiche, lo abbiamo già detto. Sono delle terroriste che arrivano dall’aldilà, che si concretizzano nel nostro mondo e hanno una loro particolare lingua. Sboccata. Parlano come dei carrettieri dello spazio oscuro, dicono una marea di parolacce. E questi dialoghi molto volgari spiccano sul resto della scrittura del libro, che è piuttosto aulica, un francese comme il faut, e invece quando attaccano i dialoghi, le ragazze parlano come dei carrettieri. L’ultima parte comica del romanzo è l’appendice, e cioè una lunghissima lista di trecentoquarantatré fazioni e correnti presenti all’interno del Partito, quando era ancora in vita. C’è di tutto: il buddismo tantrico, il marxismo leninismo e le malattie psichiatriche.
In generale tutti i personaggi nei nostri libri – e dico nostri perché è un collettivo, siamo un gruppo di scrittori del post-esotismo – be’ i personaggi che attraversano e vivono le storie nei nostri libri sono già morti fin dall’inizio, e quindi sono personaggi che attraversano l’azione vivono la storia. Come accade ai morti nel Bardo. Mi riferisco al Bardo Thodol, il libro sacro, il libro tibetano dei morti. È un testo a voi molto caro. È un testo a noi molto caro. Un numero importante per il libro dei morti è il 7, numero che torna in tutta la produzione post-esotica. Anche nelle Ragazze Monroe ci sono sette parti, quarantanove capitoli, sette per sette. Le fazioni del partito elencate sono trecentoquarantatré, cioè sette per sette per sette. Una numerologia sacra.
Ciò che pervade i personaggi di libri posti esotici è una forma molto intensa di nostalgia per tutto quello che è andato distrutto, ma anche per ciò che avrebbe potuto essere costruito
Nel libro dei morti si dice che dopo il decesso la vita continua e che continua con una serie di visioni, di considerazioni e di sogni in cui si rivivono oniricamente le allucinazioni della vita precedente. Tutto sommato, però, anche prima di morire, la vita è una serie di illusioni e quindi non esiste un profondo iato tra il prima e il dopo. Non esiste una cesura né fisica né psichica. Ed è questa situazione, questa tecnica qui, questo motore narrativo che permette a noi scrittori post-esotici di immaginare la nostra serie di ambientazioni oniriche.
Ciò che pervade i personaggi di libri posti esotici è una forma molto intensa di nostalgia per tutto quello che è andato distrutto, ma anche per ciò che avrebbe potuto essere costruito. Il sentimento di base è quello del fallimento. Ma non è solo una letteratura della catastrofe, direi che è una letteratura che rimugina sul collasso di un secolo che ha rinunciato al progresso, a un nuovo umanesimo. Si rimugina su ciò che avrebbe potuto essere fatto e non è stato fatto. I prigionieri e le prigioniere di cui parlavo prima, le voci post-esotiche, hanno cercato di costruire qualcosa, ma hanno fallito.
Ma per creare un mondo bisogna nominarlo. Nei vostri libri c’è uno spirito demiurgico. Ci inventiamo nomi non solo per le correnti di partito, ma per oggetti inventati, piante inventate, animali inventati. Quella che si crea così è una lingua pulita, quasi aliena, non umana. Il francese che noi usiamo è una lingua che traduce concetti o espressioni da una cultura che non è francese. La lingua post-esotica è una lingua tradotta. I nostri scrittori non si rifanno a una bandiera, a una cultura etnicamente precisa, perché gli scrittori post-esotici si riconoscono in un internazionalismo rivoluzionario. Con due eccezioni notevoli, certo. Ci sono almeno due fari culturali “reali” rintracciabili nella scrittura post-esotica: la prima è la cultura asiatica in senso lato – il buddismo, il libro dei morti – e poi c’è la cultura sovietica russa. Il comunismo, il crollo del comunismo, la catastrofe. Ma il mio lavoro di scrittura sulla lingua è un lavoro di lima. Limo cose che ho già scritto. Quando ho scritto un libro poi lo rileggo e cerco di eliminare qualunque rimando, anche in filigrana, alla cultura francese classica. Certo, tranne quando ad aprire bocca sono dei morti che parlano come carrettieri.
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