Storia segreta della nascita dell’hip hop

E se fosse tutto merito degli alieni?

Pubblichiamo un estratto da La vera storia dell’hip hop – Tutto quello che non vogliono farti sapere sui legami tra gli alieni e la musica del momento, l’ultimo capolavoro del Dr. Pira appena uscito per Rizzoli Lizard, ringraziando autore ed editore della disponibilità.

Ci sono tante teorie su quando sia nato il movimento chiamato «Hip Hop»: per lo più si indica una data tra l’inizio e la ne degli anni Settanta. Non è facile dire chi abbia ragione. Probabilmente nessuno, almeno secondo quanto recentemente scoperto: hanno sbagliato millennio. […] Non sappiamo quando sia nato, ma sappiamo per certo chi per primo ha usato il termine Hip Hop riferendosi a questo movimento: Afrika Bambaataa. E cosa significa, da cosa deriva? Questo è un mistero. Afrika Bambaataa viveva in una zona disagiata, dove era a capo della gang criminale più importante. Poi vince un viaggio in Africa. Al suo ritorno, ha in mano un nome, una missione di pace e parla continuamente di alieni. Come si spiega? COSA HA VISTO VERAMENTE Afrika Bambaataa? […]

Afrika Bambaataa, per qualche motivo ignoto decise che l’Hip Hop comprendeva:

– un modo preciso di ballare;
– uno stile di disegno, con tanto di contesto (si può fare anche su tela, ma si fa principalmente per strada);
– un modo di mettere i dischi, con annesso stile musicale;
– uno stile di canto e composizione in rima, e anche il modo in cui farlo.

A queste quattro discipline Afrika ha aggiunto la «Conoscenza». Ma questo lo approfondiremo meglio in seguito. È già abbastanza strano pensare a un movimento in questi termini. E ancora più sconvolgente è il fatto che questa idea sia andata avanti fino i nostri giorni. E non come qualche culto sotterraneo per pochi, ma come un movimento mondiale, così noto e diffuso che oggi ci sembra ovvio che sia così. Al di là che l’Hip Hop possa piacere o meno, quanti movimenti artistici hanno avuto la stessa durata e hanno esercitato una simile in influenza?

Questo è uno dei motivi per cui nel 2000 Life Magazine inserì Afrika Bambaataa nella classifica dei 200 Americani più Influenti del Ventesimo Secolo. In mezzo alle foto di John F. Kennedy, Elvis Presley ed Einstein, ecco Afrika con il suo cappello da faraone e gli occhiali da sole a forma di bicicletta. Può sembrare una cosa folle, ma non lo è. Soprattutto se si pensa che Afrika ha gettato le basi di un movimento di dimensioni globali. Nonostante il suo abbigliamento eccentrico, è ovvio che sia considerato uno degli americani più in influenti del secolo scorso.

La cosa, però, si fa un po’ strana se si vanno ad ascoltare alcune sue interviste. In una su due, Afrika parla di alieni! Andate a cercarle su internet e tenetevi alla larga da quelle tagliate ed editate per qualche programma televisivo: lì quelle parti sono omesse, e non perché ci sia qualche complotto, ma perché sono televisivamente imbarazzanti. Quando ne parla, Afrika sostiene che bisogna portare l’Hip Hop ai fratelli delle altre Galassie. […]

Se Afrika Bambaataa è davvero entrato in contatto con degli alieni, quando sarebbe successo? La risposta a questa domanda sembrerebbe abbastanza ovvia. C’è un punto in cui la sua biografia arriva a una svolta: nel 1975, a scuola, vince un concorso indetto dall’Unicef scrivendo un saggio, e il premio è un viaggio in Africa.

Fino a quel momento, Afrika Bambaataa si chiamava semplicemente Kevin Donovan. Era membro della gang dei Black Spades, di cui era diventato in breve tempo capodivisione (warlord) per il merito di aver espanso la sua sezione fino farla diventare la più grossa del Bronx. Ovviamente si trattava di attività criminali di vario genere. Insomma, non era un teppistello da due soldi. Ma dopo l’Africa, è una persona diversa. Quando torna, cambia nome: ora ha una missione di pace e di unità. Cosa abbia fatto in quel viaggio rimane un mistero. Se interrogato in merito, Afrika non racconta nulla di particolare. Tutti concludono che si sia semplicemente ispirato al senso comunitario degli africani e a un film degli anni Sessanta: Zulu. Ma come si spiega che solo da quel momento in poi ha cominciato a parlare di alieni? Cos’è accaduto di così sconvolgente e trasformativo durante il suo viaggio in Africa?

Tra i pochi indizi, sappiamo che ha visitato la Nigeria, la Costa d’Avorio e la Guinea Bissau. Difficile immaginarsi un incontro con qualche Ufo – di tutti i film di fantascienza con alieni, se ne ricordano ben pochi ambientati nel Continente Nero. Ma se andiamo a indagare un po’ la cultura e le tradizioni locali, ecco che emerge qualche nesso interessante.

Nel Mali, che si trova proprio tra la Nigeria e la Costa d’Avorio, le leggende dei Dogon (la tribù locale) parlano dei Nommos: uomini-pesce venuti dallo spazio che hanno portato la civiltà in tempi antichi. Si direbbe uno dei tanti miti di creazione, che abbondano un po’ ovunque, se non fosse che i Dogon hanno da millenni delle conoscenze astronomiche precisissime, che sono state confermate dalla scienza solo negli anni Settanta.

Uomini-pesce venuti dallo spazio danno lezioni di astronomia in Africa

Due antropologi francesi, Marcel Griaule e Germain Dieterlen, visitarono i Dogon negli anni Trenta e in quell’occasione raccolsero un po’ di appunti. I sacerdoti Dogon sembravano particolarmente interessati all’astronomia e avevano idee molto precise in merito. Sostenevano che il sole è al centro del nostro sistema di pianeti, che Saturno ha numerosi anelli e che Giove ha delle lune. Sapevano anche che la Via Lattea è una spirale che si espande, e avevano qualche idea rispetto alla nascita dell’Universo, provocata da una grossa esplosione. Fin qui sono cose che sappiamo anche noi: i sacerdoti Dogon sostenevano di esserne a conoscenza da millenni, ma vai a sapere. […]

Ma a rendere le loro conoscenze astronomiche così interessanti era il particolare interesse che i Dogon sembravano avere per Sirio. È la stella più luminosa del firmamento ed è abbastanza normale che anche loro ne fossero attratti. I Dogon, però, sostenevano che attorno a Sirio ruotava un’altra stella più piccola. Chiamavano Sirio «Sigi Tolo», e l’altra stella «Po Tolo». Secondo loro, Po Tolo era composta di un metallo estremamente pesante, e ruotava attorno a Sirio con un ciclo di cinquant’anni. Erano talmente sicuri di questo dato che avevano basato il loro calendario su questo ciclo, pur essendo Po Tolo invisibile all’occhio umano.

Dopo aver letto gli appunti dei due antropologi degli anni Trenta, qualcuno per sicurezza dette un’occhiata attorno a Sirio: non si sapeva di altre stelle che gli ruotassero attorno, e con i telescopi ottici non si vedeva niente di nuovo. Ma del resto, cosa potevano saperne i Dogon? Questione chiusa. Almeno fino agli anni Settanta, quando arrivarono radiotelescopi elettronici più potenti.

I nuovi mezzi confermarono le teorie dei Dogon: sì, Sirio ha una stella gemella! Po Tolo esiste, ora la chiamiamo Sirio B e, proprio come dicevano i Dogon, è fatta di metallo pesante (è una nana bianca) e il suo ciclo di rivoluzione attorno a Sirio è esattamente di cinquant’anni. Come facevano a saperlo?

I Dogon la fanno semplice: gliel’hanno detto degli Dei venuti dal cielo. La loro mitologia, che è stata trascritta dai due antropologi francesi, diventa più interessante. Ecco la storia: in antichità, i Dogon sono stati visitati da un popolo venuto dal cielo, i Nommos. Secondo la descrizione e i disegni riportati sui libri sacri, avevano l’aspetto di uomini-pesce, ed erano anfibi. Sono scesi sulla terra a bordo di una nave rotante di forma circolare, che ha fatto un sacco di polvere atterrando. Si sono fermati un po’ insieme ai Dogon, e gli hanno insegnato un po’ di cose sull’agricoltura, qualche nozione di astrologia e un po’ di etica di base. Dopodiché sono ritornati in cielo, sempre facendo un sacco di polvere. […]

Non sappiamo se Afrika Bambaataa nella sua gita in Africa abbia avuto a che fare proprio con i Dogon, perché non ne parla. Certo è che, quando è tornato, si è detto colpito dal modo in cui gli Zulu vivevano nelle loro tribù. Tornato a New York, le gang gli sembravano una cosa primitiva e anacronistica. Di lì a poco, molla le gang e costruisce un’associazione alternativa, la Bronx River Organization, centrata sulla pratica delle nuove discipline che riunisce sotto il nome di Hip Hop. Se Kool Herc ha fatto le prime feste e Grandmaster Flash ha gettato le basi musicali, Afrika Bambaataa è importante proprio per aver creato i presupposti culturali. In breve l’Organization cambierà il nome in Zulu Nation. È qualcosa di più complesso di una semplice organizzazione in cui si sviluppano il ballo, le rime, la musica e il disegno. Oltre a questi quattro elementi, ce n’è anche un quinto, che Afrika considera il più importante: la Knowledge, la Conoscenza. E questa comprende un sacco di nozioni sul Cosmo. Non è un caso che nel sito della Zulu Nation ci sia un’intera sezione di ufologia con un sacco di articoli.

Ma per comodità, ecco come si potrebbe riassumere la filosofia dell’Hip Hop nella visione originaria della Zulu Nation:

Raggiungere la Conoscenza attraverso lo studio e la pratica delle Quattro Arti

– Danza (Breakdance)
– Canto in rima (Rap, o B-boying)
– Musica (DJing)
– Disegno (Writing)

«Peace, Love and Having Fun» è quello che Afrika Bambaataa ripete più spesso. Unità: fondare un movimento mondiale e pacifico, che vada oltre i confini nazionali, ma anche oltre quelli planetari: bisogna portare il Fun ai Fratelli delle altre Galassie. Vista così, potrebbe essere una setta mattacchiona. Se non fosse che è alla base di una cultura che ora è effetti- vamente diventata mondiale. E le sue connessioni con gli alieni non sono così nascoste […]: Afrika Bambaataa, sul sito della Zulu Nation, ammette candidamente di aver incontrato degli Ufo. Quello che non è noto è che gli alieni potrebbero aver aiutato lo sviluppo dell’Hip Hop.

Concidenze sospette: super sconti al reparto hi-fi promossi da intelligenze extraterrestri

[…] Ciò che più di tutto il resto ha aiutato l’espansione dell’Hip Hop sono state le feste. Inizialmente, erano un’alternativa «povera» alle feste Disco che impazzavano a New York negli anni Settanta. Ed essendo la versione povera, si mettevano in piedi con un’attrezzatura rimediata. Con quel poco che avevano, riuscivano comunque ad arrangiarsi. Ma i giradischi si rompono – specialmente se si mandano continuamente i dischi avanti e indietro come nella tecnica dello scratch portata avanti da Grandmaster Flash – e i coni degli amplificatori saltano, quando sono spinti all’estremo per fare più casino. Tutta roba costosa, che costringeva i b-boy a immischiarsi spesso in attività criminali per rimediare l’attrezzatura giusta. Verso il 1977 le feste stavano raggiungendo il culmine, e diventava veramente difficile avere amplificatori con una potenza di fuoco sufficiente per far divertire tutti. Serviva un miracolo, ed è successo al momento giusto: il black-out di New York, estate del 1977.

È ricordato come uno degli eventi più traumatici di quell’anno, nella Grande Mela. Ci sono stati omicidi e incendi, e un sospetto boom delle nascite esattamente nove mesi dopo. E anche un sacco di furti, in gran parte nei negozi di elettrodomestici: non lavatrici e frigoriferi, ma amplificatori, giradischi, casse e microfoni.

Da quell’estate in poi, i block party diventano qualcosa di grosso. Si trasformano in veri e propri spettacoli organizzati: non più della musica in loop con qualche improvvisazione in rima. Gruppi come Grandmaster Flash and the Furious Five, formatisi in quel periodo, creavano grandi spettacoli che comprendevano testi complessi cantati in sincronia, coreografie di danza acrobatica, e un ritmo di regia che non aveva niente da invidiare ai musical di Broadway. Rispetto a quel che si vedeva a Manhattan, era un altro pianeta, e un sacco di gente dalla City ha iniziato a interessarsi a quel giro. Senza quel black-out, non sarebbe successo niente di tutto questo.

Quel black-out non era stato il primo a New York. Nel 1965 ce ne era stato un altro altrettanto grosso, anche se meno famoso. E ciò per cui si ricorda ogni tanto l’interruzione di corrente del 1965 sono gli avvistamenti di Ufo. Gran parte dell’energia elettrica che rifornisce New York arriva dalla centrale elettrica situata nelle Cascate del Niagara, e nel preciso istante in cui è saltata la corrente, sono stati avvistati diversi Ufo sopra le cascate.

Ora, la questione non è se credere agli alieni o meno. Di certo c’è un sacco di gente che racconta di averci avuto a che fare, e a quanto pare incontrarli comporta una serie di svantaggi e controindicazioni. Pare che rapiscano gente e facciano sparire aerei, ma sono cose da verificare. Il problema che causano invariabilmente, tutte le volte che appaiono, è questo: fanno saltare la corrente. L’avete visto in tutti i lm di fantascienza.

Forse nel 1977 alcuni Ufo avevano solo deciso di fare un altro giretto alle Cascate del Niagara. Poi per sbaglio han fatto saltare la corrente a New York, provocando i più incredibili sconti ai reparti Hi-Fi, e guarda caso ai ragazzi del Bronx servivano proprio dei bei giradischi nuovi. Sarà una coincidenza?

Tutte le immagini sono tratte da Dr. Pira, La vera storia dell’hip hop, Rizzoli Lizard 2017.

Dr. Pira Giovane promessa del pattinaggio, si dedica al fumetto in seguito al trauma per la caduta della dinastia Agnelli. Vive e lavora tra Gerlotti e Sciarborasca, dove è attualmente impegnato nella stesura del romanzo Fisioterapia e pallottole. I suoi fumetti sono stati esposti ad alcune delle più importanti sagre vinicole.