Nel rabbit hole di Ben Ditto

L’estetica della pura violenza sotto lo sguardo allucinato di una delle figure più affascinanti della cultura digitale contemporanea. Un’intervista a Ben Ditto

Tutte le immagini che corredano questa intervista, inclusa l’immagine in copertina (di @deathmeditations), sono selezionate dal canale Instagram di Ben Ditto @ben_ditto, che ringraziamo.

Se avete trascorso troppo tempo su instagram negli ultimi anni, è probabile che il vostro scrolling a cervello spento tra caroselli di influattivisti, get ready with me, pubblicità algoritmiche e reel di gattini generati con l’IA sia stato brutalmente interrotto da un’immagine diversa dalle altre. Forse era la foto di una persona rinchiusa dentro a un bizzarro scafandro di latex, oppure un combattente armato fino ai denti in posa come per un servizio di moda, o forse l’immagine dei resti insanguinati di un cranio esploso. Come glitch nell’esperienza narcotizzante e perfettamente igienizzata dei social media contemporanei, queste apparizioni sono allo stesso tempo disturbanti e dirompenti: spezzano la superficie piatta dello schermo per iniettare una scarica di elettricità direttamente negli strati rettiliani del nostro sistema nervoso. Da dove vengono queste immagini, perché ne siamo così attratti, e quali sono le motivazioni di chi le diffonde? Abbiamo chiesto a Ben Ditto, artista, editore, collezionista di materiali estremi e guru delle sottoculture digitali, di raccontarci il suo rapporto con le immagini, la violenza e la tecnologia.

Chi è Ben Ditto?

Credo che sappiate chi sono. Mi occupo di editoria e sono stato coinvolto nelle sottoculture fin dagli anni ’90: la scena dei rave illegali e le fanzine, soprattutto per quanto riguarda generi come l’heavy metal, la gabber e la techno hardcore. Ho lasciato la scuola a 16 anni e ho lavorato per un’azienda fetish specializzata in piercing e strumenti di tortura. Era la metà degli anni ’90. Poi, a 25 anni, sono tornato a scuola e ho studiato comunicazione visiva al Royal College of Art. Nel corso della mia carriera la costante è stata l’editoria, in una forma o nell’altra, ma anche l’etica DIY. Ma non mi piace come il termine “etica DIY” spesso implichi “un’estetica di merda”. Per la maggior parte della mia carriera, ho cercato di promuovere metodi di autopubblicazione che non assomigliassero alle fanzine punk degli anni ’70, che trovo noiose. I social media ne sono la perfetta evoluzione. Li adoro. Come avrete capito, sono un grande fan dei social network e di ciò che possono fare per la sottocultura.

@latexluxe via @ben_ditto

Molto del materiale con cui lavori non proviene dall’arte, ma da fonti insolite come immagini mediche, documenti forensi, giornalismo e sottoculture di Internet. In Raided, un libro che hai pubblicato di recente, le fotografie scattate come prove dalle forze dell’ordine sono presentate come oggetti estetici a sé stanti. Spesso pensiamo alle immagini come a rappresentazioni oggettive della realtà. Ma, quando vengono rimosse dal loro contesto originale, possono assumere qualità voyeuristiche e persino pornografiche. Come ti destreggi nel rapporto tra immagine, violenza e verità?

Hai praticamente risposto alla tua stessa domanda all’interno della domanda, no? Per quanto riguarda Raided, non si tratta propriamente del mio lavoro; è il lavoro di Counterfuture, con cui lavoro da circa cinque anni. Si tratta di un artista online anonimo con un passato nelle forze dell’ordine e nell’antiterrorismo. Circa quattro anni fa abbiamo pubblicato un libro intitolato Conceptual Art in Law Enforcement. L’idea di quel libro era di presentare fotografie di raid anticorruzione. Durante queste retate, la polizia sequestrava denaro, droga e altri oggetti e li disponeva per fotografare ciò che aveva trovato. Così facendo, però, creavano involontariamente immagini estetiche molto interessanti. 

@counterfuture.ltd (from Raided)

Il motivo per cui ho iniziato a parlare con Counterfuture è che le sue immagini, che spesso rappresentano i conflitti, hanno umanizzato situazioni che di solito vediamo in modo molto disumanizzante nei media mainstream. Di solito quando vediamo immagini di guerre, conflitti o disastri naturali le vediamo su scala macro. Quello che mi è piaciuto del lavoro di Counterfuture è che ha iniziato a mostrarci il lato umano di queste situazioni. I social media sono incredibili perché quando le persone postano si esprimono in modo molto umano e personale, e queste cose non sono mai state pubblicate tradizionalmente dai media mainstream. I fotografi di guerra, ad esempio, mirano a catturare immagini drammatiche e cinematografiche della guerra, non i dettagli più marginali. Il bello di scattare immagini da spazi personali o intimi è che cominci a vedere cose che non avresti mai notato prima. Cominci a capire le persone, i conflitti e l’umanità in modo non distaccato. È sicuramente quello che è successo con la Palestina e Gaza. C’è stato un cambiamento culturale e psichico nella coscienza delle persone: cominci a capire che non sono solo “animali jihadisti” o qualsiasi altra cosa la gente voglia farti credere. Sono esseri umani con gli stessi desideri, gusti e sottoculture di tutti gli altri.

Alcuni pensano che io sia sadico, altri voyeristico, altri ancora nichilista, ma a me non interessa. Non dipende da me. Penso che con l’arte, se devi spiegare ogni cosa nei più minimi dettagli, perdi molto di ciò che la rende interessante

La tua analisi di Raided è una tua opinione, e non è necessariamente vera. Ma è questo che trovo interessante. L’aspetto che mi ha colpito del lavoro di Counterfuture, sia nel nostro ultimo libro sia in questo, è che le immagini sono state create per un determinato scopo, sia esso forense, di applicazione della legge, antiterrorismo o anticorruzione. Tuttavia, il valore estetico che portano con sé è del tutto involontario, ed è questo che mi affascina. Quando si tratta di incursioni in contesti di sex work, per esempio, c’è ovviamente una tensione aggiuntiva e il discorso di genere entra in gioco. Ma è molto importante sottolineare che durante l’intero processo abbiamo deliberatamente deciso di non prendere una posizione in merito. Non si tratta di una posizione anti- o pro-. Quello che stiamo dicendo è: guardate queste immagini. Sono incredibili e provengono da persone che non sono artisti o fotografi. Beh, tecnicamente sono fotografi, ma molte immagini sono riprese con una GoPro, roba attaccata al casco di qualcuno mentre sta buttando giù una porta a calci.

Ciò che mi ha davvero colpito è che tutte le immagini contenute nel libro avrebbero potuto essere state realizzate per un servizio di moda edgy in una rivista cool. Sono tutte cinematiche e splendidamente composte, in un modo o nell’altro, ma è tutto in qualche modo accidentale. E penso che ci siano strati e strati di significato in questo, ma non mi piace somministrare significati alle persone. Alcuni pensano che io sia sadico, altri voyeristico, altri ancora nichilista, ma a me non interessa. Non dipende da me. Penso che con l’arte, se devi spiegare ogni cosa nei più minimi dettagli, perdi molto di ciò che la rende interessante. La sua nebulosità è parte di ciò che trovo accattivante. Allo stesso tempo, però, la mia esperienza in rete e con la cultura di Internet è che le persone percepiscono le intenzioni a livello subliminale. Se sei veramente sadico o hai veramente cattive intenzioni, queste cose vengono fuori abbastanza facilmente.

Molti di noi cresciuti negli anni Novanta o nei primi anni Duemila hanno il ricordo di quando da bambini finivamo per caso su siti web come rotten.com e rimanevamo scioccati dalle immagini che vedevamo. Sembra che un tempo Internet fosse molto più selvaggio e sregolato in termini di circolazione di immagini estreme. Oggi, in un’epoca in cui internet è dominato da piattaforme come Meta, è molto più asettico ed è molto meno probabile che le persone si imbattano casualmente in materiali estremi.

Credo che la verità sia che oggi ci sono parti di Internet che sono altrettanto selvagge e non regolamentate di prima, ma come hai detto tu, non sono così facilmente accessibili. Quando ho iniziato a usare internet negli anni ’90, c’erano solo message board. Ci sono ancora; io sono su Discord tutto il giorno. Ma credo che oggi sia meno probabile imbattersi in qualcosa per sbaglio. Le cose sono igienizzate, ma solo all’interno di spazi aziendali come Meta e Google. Con Instagram Reels, per esempio, è successo che TikTok ha avuto così tanto successo che chi controlla gli algoritmi di Meta ha detto: “Ok, rendiamo Reels il più scombinato possibile per catturare l’attenzione della gente”. E in realtà credo che sia stato davvero un bene.

L’effetto dei Reels, il brain rot, ha cambiato in meglio la piattaforma. Penso che sia molto più interessante di due o tre anni fa. Ma probabilmente non è così interessante come lo era dieci anni fa. Queste cose vanno a cicli, e lo si può vedere con Mark Zuckerberg. Negli ultimi mesi è passato da un neoliberale secchione e noioso a questa sorta di tech bro perché ovviamente è preoccupato di allinearsi alla posizione di Trump. E questo è solo un piccolo slittamento dello Zeitgeist all’interno del mondo tecnologico. Hanno avuto questa fase in cui erano molto concentrati su ideali a basso testosterone, di diversità, equità e inclusione. E ora stanno attraversando un altro vibe-shift tornando a essere questi tech bro ottimizzati e strafatti di steroidi. Ed è sempre per ragioni capitalistiche. È lì che si fanno i soldi. Qual era la domanda?

Una delle mie domande era – e in un certo senso hai già risposto – che significato ha per te riprodurre immagini così violente e brutali sui tuoi social media? 

Penso che sia chiaro a chiunque segua il mio account che queste sono le cose che mi interessano davvero. Ho un’estetica. Mi interessa un certo insieme di cose: l’umorismo, la sessualità, la violenza, i conflitti, la tecnologia, la cronaca, i discorsi sulla salute mentale, tutte queste cose. Ma in genere non pubblico nulla che non trovi esteticamente interessante o divertente. Quindi, se non è esteticamente interessante, sarà almeno divertente. Se non lo è, probabilmente non lo pubblicherò, a meno che non sia puramente informativo. Videodrome di David Cronenberg è un film che mi ha molto influenzato negli anni Ottanta. Mi piace l’idea di trasmettere la sensazione che provo quando guardo qualcosa, di condividere quell’esperienza con gli altri. Per me, la gioia di un social network è che ci sono molte persone con interessi simili, e tutti condividiamo la stessa esperienza. Io contribuisco a questo in modo generoso. Non è esattamente la trama di Videodrome, ma l’esplorazione dell’effetto che le immagini e i film hanno sul cervello delle persone è qualcosa che mi ispira. È come una stimolazione del mio sistema limbico, che poi condivido con una rete più ampia. 

@deathmeditations via @ben_ditto

L’altra cosa che voglio dire è che a volte pubblico cose molto estreme solo per far sì che le persone non mi seguano, persone che non voglio che mi seguano. Non voglio che qualcuno segua il mio account se non gli piace, quindi di tanto in tanto pubblico qualcosa che sia il più estremo possibile per far sì che se ne vadano. Per me è come pagare per vedere un film horror: paghi per andare a vederlo e poi non ti lamenti che sia un film horror. Non comprate un biglietto per il cinema se non volete vedere il film. Seguire un account è come pagare quel biglietto. 

Per quanto riguarda la gestione delle policy, è stato un viaggio lungo e complicato. Ho parlato con molti moderatori di contenuti. Ho persone che lavorano a Meta a cui chiedo consigli. Ho passato 13 anni a capire l’algoritmo e le regole di censura mano a mano che cambiavano: come formulare le didascalie, come censurare le immagini in modo che non venissero eliminate. Mi sono stati cancellati tre account, tutti con oltre 50.000 follower. Per essere chiari, non trovo queste cose, come la cancellazione degli account, facili da affrontare. Ho fatto un vero sforzo per capire come postare le cose che voglio. Spesso pubblico disclaimer, come “postato a scopo informativo” o “#medicaleducation”. Non sono stupido, so cosa sto facendo. È solo un modo per evitare che l’algoritmo, i moderatori o i sistemi di IA eliminino i miei contenuti. 

Prima che siti web come rotten.com e altri diventassero popolari per i loro contenuti scioccanti, c’erano film come Faces of Death e Death: The Ultimate Horror, e libri come Violence in Our Time di Sandy Lesberg. Si trattava di fenomeni culturali che la gente ha per lo più dimenticato. Faces of Death era un mix di filmati veri e falsi, ma negli anni ’70 esisteva un genere italiano chiamato Mondo film. Erano incentrati su contenuti estremi, che mostravano violenza, abusi sugli animali, decapitazioni, guerre e conflitti, di solito provenienti da luoghi come l’Africa e l’Asia. Film come Mondo Cane o Africa Addio ne sono ottimi esempi. Questi film sono stati i precursori di ciò che vediamo oggi online. Ma all’epoca avevi bisogno di fondi e attrezzature per viaggiare in diversi paesi con una telecamera. Oggi abbiamo reti di persone che filmano e pubblicano continuamente questo tipo di contenuti.

Capisco cosa intendi. In un certo senso, il fascino della violenza, come dici tu, c’è sempre stato. È sempre stato anche parte della cultura di massa, come ad esempio il fatto che i serial killer tendono a diventare sex symbol.

Esattamente. Ed è questo che trovo affascinante. Spesso le persone si comportano come se le cose che pubblico fossero una specie di interesse di nicchia, ma non è così. È un interesse di massa. Ci sono casalinghe in tutto il mondo che amano leggere di serial killer e argomenti correlati. Il mio account non si concentra solo su argomenti esclusivi di una piccola parte del mondo dell’arte. Si occupa di argomenti che interessano molte persone, che risuonano con molti esseri umani.

Durante le Crociate non esistevano la Disney o gli Anime, ma se fossero esistiti, sono sicuro che avremmo visto persone alle Crociate con le orecchie da gatto


Volevo tornare su una questione che hai menzionato prima sull’estetica della guerra contemporanea e sul modo in cui sta cambiando attraverso i social media. In questo numero di Notzine, l’artista Noura Tafeche ha scritto dell’intersezione tra la guerra e l’estetica degli anime – la “cuteification” della guerra contemporanea. Secondo te, qual è la causa di questo fenomeno? È qualcosa di nuovo? È solo ironia? Come si sta evolvendo il legame tra cuteness e brutalità?

Non credo che sia una novità. C’è sempre stato uno spirito giocoso in tempo di guerra. L’anime non esisteva negli anni ’40, ma la Disney sì. E si può trovare molta “disneyzzazione” nella Seconda Guerra Mondiale, molta ironia. La gente non era ingenua all’epoca. Nelle situazioni di conflitto, le persone sono sempre state umane. C’è questa visione nostalgica secondo cui le sottoculture non entravano nel mondo dei conflitti, ma non è affatto vero. Se le cat girl fossero esistite negli anni Sessanta o Quaranta, avremmo visto le loro immagini in contesti di guerra. 

C’è un libro intitolato Nein, Onkel di Ed Jones e Timothy Prouss: è un libro fotografico tedesco sulla Seconda guerra mondiale. Mostra i nazisti e gli ufficiali delle SS che cazzeggiano, ed è affascinante perché umanizza persone che siamo abituati a vedere come completamente distaccate dall’umanità. Non credo che gli esseri umani siano cambiati molto. Durante le Crociate non esistevano la Disney o gli Anime, ma se fossero esistiti, sono sicuro che avremmo visto persone alle Crociate con le orecchie da gatto. Penso anche che l’intera questione sia leggermente sovrastimata. C’è un piccolo numero di individui fotogenici che vengono condivisi spesso, come la famosa foto di una soldatessa ucraina che indossa orecchie da gatto. Ma ricordiamoci che 30 anni fa nella maggior parte dei Paesi non c’erano donne soldato. Il fatto che esistano oggi è più che altro dovuto all’evoluzione dei ruoli di genere, non all’ascesa delle orecchie da gatto.

@northernprovisions / @ unknown (via @ben_ditto)

Sembra che tu abbia un forte interesse per la tecnologia e il tuo recente progetto, Yaya Labs, è affascinante. Sembra che tu abbia una particolare inclinazione verso l’estetica uncanny, il lato perturbante della tecnologia. Anche se la tecnologia può apparire luminosa, utilitaristica e orientata al futuro, a volte mostra questo lato più oscuro e inquietante.

Penso che tu abbia espresso bene il concetto uncanny. Per quanto mi riguarda, una cosa che si è evoluta nel mio modo di pensare negli ultimi 10 anni è osservare le buone intenzioni dietro la tecnologia e le aziende tecnologiche, e vedere come queste portano a risultati distopici. Per esempio, il discorso sulla salute mentale: nessuno sosterrebbe mai che la crescente consapevolezza delle persone sulla loro salute mentale non è una buona cosa. Ma quando questa consapevolezza viene amplificata dagli algoritmi e dal marketing, si crea un circuito di feedback che danneggia molto la salute mentale delle persone. Il linguaggio che si usa è amichevole, cute e neoliberale, con una patina molto positiva. Ma i risultati sono incredibilmente negativi. È affascinante questa tensione tra buone intenzioni e risultati distopici.

@yaya_labs_

Tendiamo a perdonare azioni molto cattive se percepiamo che sono state commesse con buone intenzioni. Si tratta di un aspetto che ho analizzato in un libro che ho scritto anni fa sulle conseguenze della Seconda guerra mondiale nei Balcani. In Jugoslavia, ad esempio, tutti coloro che erano di destra furono diffamati dai partigiani e ci furono uccisioni di massa. Non voglio entrare nel merito di tutta l’argomentazione “il comunismo ha ucciso cento milioni di persone”, ma c’è del vero in quell’idea. Stigmatizziamo i nazionalsocialisti perché avevano il teschio sul cappello, mentre altri facevano altrettante stragi senza quei simboli, e li consideriamo in modo diverso perché avevano un sistema di valori da “utopia futuristica”.

Questa idea è ancora attuale con la Silicon Valley. Non impariamo mai che le buone intenzioni non portano necessariamente a buoni risultati. Molte “buone intenzioni” delle corporation sono ammantate dal linguaggio dell’utopia. Mark Zuckerberg, per esempio, ha attraversato questo ciclo di “voler rendere migliore la vita di tutti”, ma ora si comincia a vedere emergere un approccio più individualista e imprenditoriale, in cui la narrazione è: “Non sappiamo cosa sia meglio per nessuno, ma renderemo possibile tutto ciò che vuole la gente”. Questo cambiamento è ciò che Musk e Zuckerberg stanno facendo ora con X e Meta. Ed è questo che lo rende uncanny: promette una cosa ma ne produce un’altra.

Hai ragione sulla salute mentale: i social media hanno aumentato la consapevolezza su alcuni problemi, il che è fantastico. Ma allo stesso tempo, c’è questa bizzarra esplosione di “influencer della malattia mentale” che usano le loro lotte per la salute mentale come un’identità, trasformandole in un modo per commercializzare se stessi.

Questa è una parte dell’equazione. L’altra parte significativa è che la tecnologia che usano contribuisce al problema della salute mentale. Chiunque non veda che ciò che stiamo facendo al nostro cervello con la tecnologia ha un effetto negativo è solo… Beh, non c’è altro modo di dirlo. Se non vedi il legame tra la tecnologia contemporanea e la proliferazione di patologie come i disturbi dello spettro autistico, l’ADHD, il disturbo bipolare, la depressione, il disturbo borderline di personalità, allora sei un idiota. Non posso dire altro.

@alan_bumbaclart_partridge / @ratlimit on X (via @ben_ditto) 

Pubblichi spesso immagini di animali sui tuoi social media. Ricordo una foto del parassita delle “lumache zombie” che è diventata virale qualche tempo fa. Credo di averla vista per la prima volta sul tuo account Instagram e l’ho trovata davvero disturbante. Pensi che la violenza sia una legge della natura? È inevitabile o è più che altro una costruzione sociale? 

È una domanda eterna. Certo, la violenza fa parte della natura. Basta passare un po’ di tempo nella natura. Non è nemmeno una domanda. Ma la percezione di essa… beh, aggiungiamo uno strato di interpretazione umana. Basta guardare il mio gatto, per esempio. Gli voglio bene, è carino, ma quando lo guardo uccidere un animale, diventa un predatore psicopatico. Prende qualcosa, lo fa a pezzi, lo lancia in giro, gioca con il sangue. Non c’è nulla di strano in questo. La natura è proprio così. Non ho l’abitudine a postare maltrattamenti sugli animali. Trovo interessanti alcuni fenomeni biologici. Per esempio, il parassita della lumaca zombie: è biologicamente affascinante. Ho un altro account chiamato @crypt0cryptids, che molte persone non sanno essere mio. Adoro quell’account. Si occupa di cose che trovo interessanti. La natura è così incredibile. L’account è nato con una donna statunitense di nome Moonchild. Inizialmente volevamo concentrarci sui criptidi (animali mitologici semi-fantastici), ma ben presto sono diventate tutte creature reali, perché c’è così tanta roba fighissima là fuori. Ma nulla di ciò che pubblico riguarda la violenza. Sono solo cose che trovo interessanti. Con la storia della lumaca zombie, non stavo cercando di esprimere nulla di diverso da “Wow, è pazzesco”.

@crypt0cryptids / @supremejesuslover (via @ben_ditto)

Credi in Dio?

Sì, credo in Dio, certamente. Prego ogni giorno e medito. So che sembra un cliché, ma non sono particolarmente religioso. Mi piace andare in chiesa, ma odio davvero quando le persone cercano di dirmi in cosa dovrei credere. Semplicemente, faccio il mio. Sono grato di avere un legame con Dio. Non entrerò troppo nei dettagli, ma l’aver stabilito un legame con Dio, o almeno l’averci provato, mi ha reso molto più felice. Il rovescio della medaglia di tutto ciò di cui abbiamo parlato, come i social media e la net culture, è il distillato più assoluto della disconnessione dalla vera umanità. In compenso, nella parte della mia vita che non è sui social media, penso che aiutare gli altri, fare qualcosa nella propria comunità – senza pubblicarlo sui social media – essere un buon collega, un buon familiare, un buon fidanzato, una buona fidanzata, un buon figlio, una buona figlia… – siano cose davvero importanti. Avere un legame con Dio è una parte, ma è altrettanto importante essere connessi alla propria comunità e agli altri esseri umani. Non ne faccio un grande sfoggio online, ma è una parte importante della mia vita. Quando la gente parla di salute mentale, una cosa che vorrei dire è: se passaste un po’ meno tempo ad analizzare voi stessi e un po’ più di tempo a pensare a come aiutare gli altri, probabilmente sareste molto più felici.