Ne resterà soltanto una

Stalking, interessi non richiesti e verbali in commissariato. Essere una femmina adulta nel 2019 significa tenere gli occhi spalancati – sempre e ovunque

Brano tratto da Cambiamento, il nuovo numero della rivista L’eco del nulla, in uscita il primo giugno.

Essere una femmina adulta nel 2019 significa dover rispondere a miriadi di domande su qualsiasi argomento, coltivare l’abitudine ad essere operativa dall’alba a mezzanotte, altrimenti sei inutile e ti mangiano, e soprattutto tenere gli occhi spalancati pure negli occasionali momenti di calma, perché i dettagli sono importanti, e la differenza tra credibilità e mitomania può benissimo farla la tua capacità di ricostruire l’itinerario durante una passeggiata, come la memoria degli abiti indossati un determinato giorno. Conta tutto.

Prendiamo, ad esempio, il ragazzo di sedici-diciassette anni che mi segue per un’ora lungo le strade di una città di provincia del Sud dopo il calare del buio. Succede a novembre. È una storia molto buffa. Questo ragazzino mi cammina alle spalle, muto, mi passa avanti, cambia marciapiede, si ferma e mi lascia proseguire, mi recupera quando torno indietro, ricomincia a seguirmi. Potrebbe essere una coincidenza goffa e potrebbe essere un pischello impacciato che vuole qualcosa, che tenta di svoltare alla meno peggio il sabato sera, perciò, quando al giro di boa della mezz’ora di pedinamento discreto sono io quella che si ferma e gli chiede se nei dintorni c’è un bar aperto, gli sto parlando per una ragione precisa: vorrei sciogliere l’eventuale imbarazzo. Guarda che ti vedo, gli sto dicendo, possiamo farlo con o senza «ciao». Vuoi qualcosa da me? Lui parla italiano, ma non risponde. Bofonchia. No, non lo sa se c’è un bar. Ok.

I quindici minuti in cui il ragazzino si pianta impalato dall’altro lato della strada rispetto al bar, invece, strusciandosi di tanto in tanto la mano sinistra sull’inguine, aspettando solo che io mi alzi per ricominciare tutto da capo, questi sono il serenissimo dato di fatto a cui assistono diversi maschi adulti del quartiere in cui ci troviamo. L’incantesimo si scioglie quando io decido di non voler correre il rischio – se posso scegliere, e stavolta posso, non voglio avere un tizio che mi segue per un chilometro lungo una strada che a quest’ora so essere deserta, niente passanti, quasi nessuna automobile – ma la situazione si sblocca solo grazie all’intervento maschile: il barista, anni diciannove, a cui chiedo una seconda opinione, «senti, c’è uno che forse mi sta seguendo», con il puro gesto dell’affacciarsi alla porta mette in fuga il ragazzino, che scappa nella direzione della città vecchia. Correva come un cartone animato. Me lo ricordo. (Aveva un giubbetto nero imbottito, i jeans, i capelli corti, un viso che riconoscerei.)

Sto più attenta, certo. Però non mi nascondo. Non minimizzo. Ho imparato a parlare l’italiano dei verbali.

La scena è un piccolo centro scommesse dove fanno il caffè, perciò, il mattino dopo, quando ci torno, la storiella ha assunto la rilevanza del caso di cronaca nazionale, e un coro di uomini si precipita a offrirmi spiegazioni, rassicurazioni: «Pensavamo che stava con voi» (no), «non l’abbiamo mai visto» (è un bene?), «qui non succede mai niente del genere» (e si vede che allora dovevo arrivare io), «ma era ‘nu guaglione!» (confermo). Li capisco. Loro vogliono proteggere la reputazione di un quartiere popolare a poca distanza dal centro storico, un posto che le guide turistiche definiscono «simile ai Quartieri Spagnoli», mentre io vorrei capire se mi aspettano visite impreviste nelle tre settimane in cui resterò qua, e come gestirle, in caso lo stesso ragazzino decida di manifestarsi di fronte al posto dove dormo. Un uomo più vecchio risolve con il sorrisetto e le braccia larghe: «Si sarà innamorato», dice. No. Se fosse stato innamorato, dico io, al limite sarebbe andato dietro a una della sua età. Ed ecco come una persona normale finisce a passare una fetta della propria domenica spiegando, a nessuno, che c’è differenza tra lo scandagliare la categoria mature su PornHub e pedinare una sconosciuta intabarrata in un cappotto nero lungo fino al ginocchio, una che, a giudicare dall’andatura, è capace di aver partorito i figli di almeno due padri. C’è differenza e pure tanta. Mi fai un altro caffè lungo? Anche un bicchiere d’acqua gasata.

Alcuni dettagli che non rovinano la storia ma compromettono la mia integrità di voce narrante: la quantità di strappi in automobile che ho accettato o preteso durante i giorni successivi, da parte di una galleria di uomini che mi hanno detto di non essere nervosa, hanno chiesto se già che c’ero volevo fare un giretto (no, grazie); il fatto che tutto questo accadesse all’inizio delle tre settimane in cui dormivo e scrivevo dentro una casa di vetro, e quando dico “casa di vetro” intendo un box a due piani con le pareti di vetro, sopra e sotto, massima visibilità, massima esposizione, ospite di una residenza per artisti, durante la quale, naturalmente, avevo deciso di lavorare sul contrasto tra immagine pubblica e privata; l’aver coperto il mio nome e cognome alla porta dell’ingresso con un foglio bianco dove c’era scritto “il potere di Cristo ti espelle”, e che per alleggerire mi fossi sentita in obbligo di chiudere la frase con due punti e una parentesi tonda.

[…] Il motivo per cui sono operativa, rispetto a incidenti simili, è che mi succedono in continuazione. A gennaio, in una grande città del Nord, c’è stato il cinquantenne che ha aspettato uscissi da un locale pubblico la domenica pomeriggio, mi ha detto «bellissima», ok, grazie, e poi mi si è avviato dietro, seguendomi per un isolato, cercando di fermarmi. (Abbigliamento? Pronta, eccomi: giacca da neve, berretto, leggings, stivali.) Poco meno di un anno fa ho avuto il discutibile onore di andare a denunciare un’aggressione, perciò mi sono scattata varie foto con il telefono mentre avevo addosso gli stessi abiti che portavo la sera dell’episodio (camicetta bianca svasata, gonna bianca e nera al ginocchio, scarpe piatte: questo serve a identificarti nelle eventuali telecamere di sorveglianza), ho risposto a domande che avrebbero coperto una mezza stagioncella sgonfia di Law and Order, da «lei aveva visto quell’uomo in precedenza?» a «signora, lei ha dei nemici?», ho assimilato commenti quali «sarà stato un folle» (ma dai, giura) e «non te lo meritavi» (in contrasto a chi se lo merita, suppongo). E da allora rientro nella categoria sempre operativa, sempre sul pezzo. Sto più attenta, certo. Però non mi nascondo. Non minimizzo. Ho imparato a parlare l’italiano dei verbali – sì, dottore, percorrevo via Quadronno – e spesso chiedo un secondo parere, come col ragazzetto di Cosenza, oppure rispondo: no. Lasciami stare.

Il femminismo aspirazionale continua a parlarvi con il linguaggio della pubblicità degli ansiolitici – il futuro, nuovi incontri, la sfida – ma considerate anche la valanga di donne sposate molto male che non si separano perché, banalmente, non hanno i soldi: problemi per pochi, problemi personali.

A porte chiuse, quella che sto scontando è una vita di ambivalenza rispetto allo sguardo maschile e all’essere vista in linea di principio. Ho imparato a gestire un aspetto fisico spuntato dal nulla intorno ai 35 anni, non troppo tardi per essere goduto. La relativa ingenuità delle belle donne abituate a entrare ovunque dalla porta principale non mi appartiene, ma nemmeno la fluidità con cui negoziavano i legami sociali. Questioni minori per cui è obbligatorio parlare al passato, qui, negozia-va-no. È tutto cambiato, nessuno è al riparo. I danni che posso subire nella sfera privata vanno a incidere sulla mia capacità di produrre lavoro, mi portano a fare un breve calcolo istintivo almeno una volta al giorno: il tizio trentenne che si presenta a un mio evento pubblico per cacciarmi in mano una lunga lettera scritta al computer, e che due giorni dopo si fa vedere a un altro evento pubblico, mi aspetta un’ora e mezza piantato sulla soglia a controllare i miei movimenti col cellulare in mano, poi appena io esco sulla strada comincia a tallonarmi e dice che vuole tanto diventare mio amico, ecco, questo va disinnescato, con precisione e con garbo, perché non deve diventare un problema, non me lo posso permettere, un altro?:
però io ci sono ancora.
Poteva andare diversamente.

[…]

Il motivo per cui sto tanto in giro – il motivo per cui, di fatto, io vado ovunque mi venga chiesto di intervenire come artista, come attivista, come donna pubblica – è che la situazione andrà sempre peggio, e che noi saremo sempre meno. Preparatevi a vederci scomparire.