Morte alla macchina

Breve storia di CLODO, il gruppo terroristico francese che nei primi anni Ottanta scatenò la sua furia luddista contro i computer e la nascente civiltà informatica

«Clodo» è un nomignolo con il quale i francesi si riferiscono ai «clochard», ai «barboni». Ma molti anni fa, tra il 1980 e il 1983, CLODO fu anche un acronimo usato da un gruppetto attivo in Francia nell’area di Tolosa. È verosimile che nella scelta dell’acronimo ci fosse una forma di gioco o autoironia nell’evocazione della figura lumpen del marginale, colui o colei che si aggira sotto le volte delle stazioni, reietto e maleodorante, esposto agli elementi, e tuttavia beffardamente libero o libera e circonfuso della propria autonomia. In ogni modo CLODO  stava per qualcos’altro: Comité pour la liquidation ou la destruction des ordinateurs, cioè Comitato per la liquidazione e la distruzione dei computer (altre volte CLODO si firmò come Comité liquidant et détournant les ordinateurs o Comité de libération et de détournements d’ordinateurs, laddove «détournement», parola divenuta d’uso corrente nel linguaggio critico grazie a Guy Debord e al situazionismo, significa dirottare, cambiare il significato ordinario di un segno, di un oggetto, di una parola, dopo averne modificato il contesto).

Nel 1980 l’industria informatica era in grande espansione. Furono messi in commercio modelli di computer oggi dimenticati come il Sinclair ZX80 e l’HP-85 di Hewlett-Packard. Nel 1981 uscì sul mercato il primo Pc IBM e nel 1982 il Commodore 64, presentato in settembre alla Fiera di Milano. Sempre nel 1982 il settimanale Time scelse di dedicare al computer la cover di dicembre di solito intitolata alla persona più importante dell’anno. Nel set fotografato per la copertina, una figura umana realizzata in gesso siede di fronte a un computer e una tastiera appoggiati sopra un tavolo di legno. Le braccia dell’uomo sono stese sulle ginocchia e l’atteggiamento è disarmato e di studio, come se quest’uomo di gesso, completamente imbiancato, non fosse ancora alfabetizzato all’uso della tastiera e del software. L’autore dell’opera è lo scultore della pop art George Segal, che sembra approfittare dell’invito ricevuto da Time per citare una sua opera del 1961 nella quale aveva ritratto sé stesso: Man sitting at the table. Nel 1983 uscì in edicola per la prima volta la rivista PC World e un computer Apple molto evoluto, anche se non destinato al commercio, venne registrato col nome «Lisa», in omaggio alla figlia di Steve Jobs.

«Macchina dell’anno», gennaio 1983

In quei tre anni CLODO  realizzò sette attentati, tutti rivendicati. In sei casi gli attentati ebbero luogo nell’area di Tolosa, dove le realtà antagoniste erano molto radicate, anche grazie alla storica presenza nella zona di esuli antifranchisti. Cinque volte su sette gli obiettivi furono scelti tra aziende del settore informatico:

  • 8 Aprile 1980: incendio allo stabilimento della CII Honeywell Bull e Philips di Tolosa.
  • 19 maggio 1980: incendio negli archivi della International Computers Limited di Tolosa.
  • 9 agosto 1980: una bomba del peso di 5 chilogrammi viene scoperta nel Comune di Louveciennes.
  • 11 settembre 1980: incendio presso una piccola società informatica di Tolosa.
  • 2 dicembre 1980: incendio a Parigi presso gli uffici della Union des assurances de Paris, defunta società di assicurazioni.
  • 28 gennaio 1983: bomba al plastico contro il nuovo centro informatico della prefettura dell’Alta Garonna.
  • 26 ottobre 1983: incendio degli uffici dell’azienda informatica americana Sperry Unyvac di Tolosa.

L’ultimo attentato fu firmato con la sigla «CLODO  and Little Sisters». Da allora su questa formazione – meno conosciuta, attiva e longeva rispetto a gruppi come Action Directe – è sceso un totale oblio.

Le notizie in rete sulla vicenda sono scarse. In genere gli articoli riportano gli stessi dati e ripetono più o meno le medesime considerazioni. CLODO viene classificato come una banda neoluddista, nel solco di una tradizione comunemente stigmatizzata, che tuttavia consiste non tanto nell’inimicizia al macchinario in sé, ma nel rifiuto dello sfruttamento sull’uomo per mezzo del macchinario. Come noto, l’origine di tale ostilità dell’uomo per la macchina viene fatta risalire a un episodio accaduto nel 1779, durante la prima rivoluzione industriale. Un operaio britannico, di nome Ned Ludd, essendosi ormai convinto che il telaio meccanico non è uno strumento al suo servizio – tantomeno un’entità con la quale fondersi amorosamente o interagire e arricchirsi – ha uno scatto di rabbia e si scaglia con un martello contro la macchina alla quale si sente incatenato.

Sulla veridicità storica dell’episodio, in realtà, non c’è un riscontro documentato. Forse il gesto di Ned Ludd è solo una leggenda tramandata nel folklore e nella cultura operaia, ma in ogni caso, nel momento in cui dentro di noi ci connettiamo a quella tradizione e immaginiamo Ned Ludd tendere i muscoli, e spezzare la macchina che ogni giorno lo imprigiona ed estrae valore dal suo corpo, non assistiamo forse a un gesto compiuto in nome dell’umanità di tutti e della dignità della specie? Non vediamo in Ned Ludd un nostro simile protestare – e dichiarare ad alta voce: «Io sono l’uomo» – di fronte alla macchina che lo riduce in schiavitù?

L’unico documento esistente sulla voce e la filosofia di CLODO è un’autointervista imbustata e spedita alla rivista francese Terminal 19/84, dove venne pubblicata nell’ottobre 1983. CLODO  si presentò così: «Non costituiamo un’organizzazione, formale né informale, né siamo un falansterio. E il “noi” che verrà usato nelle risposte alla vostra intervista non dovrà diventare una foresta che nasconde gli alberi».

Ciò che CLODO intese colpire nell’industria informatica erano il «badge», le «cartes» e il «file», cioè una nuova capacità di archiviare informazioni, quindi di schedare e sorvegliare.

Dissero di essere un gruppo di professionisti inseriti nel settore dell’industria informatica, della quale pertanto conoscevano le presunte insidie. Alla domanda sugli scopi della loro attività di sabotaggio, CLODO rispose: «Per sfidare chiunque, programmatore o non programmatore, affinchè si possa riflettere un po’ di più sul mondo in cui viviamo e da noi creato, e sul modo in cui la computerizzazione trasforma la società». Il computer non è che «un mucchio di metallo» e tale mucchio di metallo, dissero, è al servizio di un progetto di dominio. Ciò che CLODO intese colpire nell’industria informatica erano il «badge», le «cartes» e il «file», cioè una nuova capacità di archiviare informazioni, quindi di schedare e sorvegliare, operazioni che secondo CLODO  consentivano la massimizzazione dei profitti, da un lato, e un’accelerazione dei processi d’impoverimento dall’altro. Inoltre: «[…] il computer è diventato un’entità paraumana (vedi la discussione sull’intelligenza artificiale), un demone o un angelo […]».

A proposito di chi a quell’epoca, proprio come i membri di CLODO, lavorava nell’industria informatica, dissero: «[…] raramente usano la propria materia grigia per riflettere su quello che fanno (in genere preferiscono non saperlo!). Sono indifferenti o accettano passivamente la propaganda dominante, proprio come chi non lavora con i computer». E poi: «Di fronte agli strumenti usati dal potere, i dominati hanno sempre praticato il sabotaggio e la sovversione. Non si tratta di un gesto obsoleto, tantomeno di una novità […] Gli strumenti informatici sono senza dubbio corrotti fin dal loro concepimento […] ma potrebbero essere usati per fini diversi da quelli attuali. È noto che il settore più informatizzato è l’esercito e che per il 94% del tempo l’informatica a uso civile è impiegata in compiti di gestione e contabilità, di conseguenza noi non ci sentiamo paragonabili a quei casseur che nel XIX secolo rompevano i telai Jacquard (sebbene queste persone abbiano combattuto contro quella deumanizzazione del lavoro che li ha trasformati da artigiani in meri esecutori). Non ci riteniamo paladini di quei disoccupati creati dall’informatizzazione del lavoro… se il microprocessore crea disoccupazione, anziché ridurre il tempo di lavoro di tutti, è perché viviamo in una società brutale, il che non è, in assoluto, una buona ragione per distruggere i microprocessori».

A riguardo dell’efficacia delle loro azioni: «Le nostre azioni costituiscono appena la punta dell’iceberg. Noi e altri combattiamo quotidianamente, anche se in forme meno visibili. L’informatica, così come l’esercito, la polizia o la politica, infatti, come nel caso di tutti gli strumenti privilegiati del potere, è un settore in cui commettere errori è la regola, e trovare soluzioni agli errori è il compito principale dei programmatori! Noi ne approfittiamo, il che indubbiamente costa ai nostri datori di lavoro più del danno materiale che gli causiamo. In questo campo l’abilità consiste nel provocare dei bug che appariranno solo più tardi, come piccole bombe a tempo».

Rispetto alla possibilità di venire arrestati: «Per più di tre anni un tribunale di sicurezza dello Stato (che riposi in pace) e diverse dozzine di mercenari ci hanno dato la caccia: hanno a disposizione sofisticate risorse materiali, tuttavia ancora insufficienti, e la nostra ultima azione, contro il centro informatico della prefettura in Alta Garonna, deve avergli fatto capire che sappiamo più sul loro conto di quanto loro ne sappiano sul nostro! Siamo comunque consapevoli dei rischi che corriamo e della portata dell’arsenale contro cui ci scontriamo. Possa la nostra prossima intervista non essere con un magistrato di polizia!».

L’intervista a CLODO originariamente apparsa su Terminal 19/84

Ma chi furono gli uomini e le donne, o il singolo uomo o la singola donna, nascosti dietro la polisemia di quell’acronimo tanto ricercato e burlesco? L’uso di un termine come «détournement» potrebbe far pensare a un rapporto non meglio precisato con il vecchio movimento situazionista. Del resto esiste una foto in bianco e nero, esposta per la prima volta a Parigi in una mostra di qualche anno fa, in cui un giovane Guy Debord, armato di un coltello, è ritratto in agguato come un borseggiatore dietro l’angolo di una casa. Quello scatto misterioso, di cui non si conosce il contesto, sembra lanciare la maledizione di una minaccia sempre incombente e pronta nei secoli a cospirare e colpire il potere alle spalle. A partire dal 1983, tuttavia, non si sono più registrati attentati firmati con la sigla CLODO. Nessuno dei suoi membri è mai stato catturato né identificato.

Il luddismo informatico, naturalmente, non inizia nè finisce con CLODO. Kirckpatrick Sale è il nome di un teorico statunitense, nato nel 1930, che si è occupato a lungo della questione, autodefinendosi un «neoluddista». Nel 1995, presso il City’s Town Hall di New York, con un colpo di martello alla tastiera e uno al monitor, Sale distrusse un computer di fronte a 1.500 persone, rimettendo in scena, inconsapevolmente o meno, il gesto compiuto da Ned Ludd nel 1779 (che il comico Beppe Grillo, il quale fece altrettanto in un suo spettacolo del 2000, abbia rubato l’idea a Sale e l’abbia poi inserita in copione? Chissà…). Intervistato e provocato in un bellissimo dialogo con Kevin Kelly di The Wired, Sale disse che quel colpo sferrato contro la macchina lo aveva fatto stare bene. Il piacevole rumore del vetro in frantumi, «la polvere che si era sollevata per aria»… L’avversione di Sale per l’informatica è antica e risale all’epoca in cui i computer erano grandi e pesanti come armadi. In un faldone archiviato presso l’Harry Ransom Humanities Research Center di Austin, è conservato il testo preparativo a un musical di fantascienza, dal titolo Minstrel Island, mai realizzato. Il testo parlava di un mondo controllato dai computer dell’IBM e venne scritto da Kirkpatrick Sale in coppia con il suo compagno di stanza dell’epoca presso la Cornell University. E chi era lo studente e l’amico con cui divideva la stanza e le proprie fantasie letterarie? Si trattava di un futuro grande scrittore, rinomato in tutte le sintesi e biografie che lo riguardano per il grande rifiuto che lo spinse a sparire dal mondo: Thomas Pynchon.