METAMETA

Andare già oltre la realtà di Facebook

I

In italiano, in una bolla algoritmica, dentro una piattaforma del quale è stato detto tutto e il contrario di tutto negli ultimi dieci anni. Ma che cosa altro si può dire? Bisogna criticare? Elogiare? Avere un atteggiamento neutrale? E comunque, in qualche modo, bisogna parlare, si può pensare, rivolgendosi a qualcunə che occuperà una manciata di minuti di lettura, poi, volendo potrà ricondividere, e ancora, disinteressarsi, incazzarsi, reagire (nelle espressioni emotive concesse), ma, in fondo, chi se ne frega, potrà benissimo ignorare.

È paradossale scrivere qualcosa su Meta che circola liberamente dentro Meta, usando un ordigno così antico come il linguaggio naturale, per esprimere dei giudizi basati su approssimazioni di approssimazioni. Se Meta è un medium, è diffuso come l’aria, è come il regno vegetale che produce l’ossigeno che consente la sopravvivenza al regno animale. Non tutto però, solo noi esseri umani, anzi, solo la parte degli individui della specie Homo Sapiens che è connessa ad un’interfaccia digitale, e che, fra le varie nicchie, risiede anche dentro Meta.

Chi costruisce attivamente Meta ci assicura che non sarà Unico, e cioè che non avrà un nucleo centralizzato – la fatidica stanzetta dei bottoni. Bene. E allora la critica non deve parlare di Meta, deve mettersi al suo stesso piano, deve costruire altri Meta, far proliferare le nicchie, gli organismi, deve appellarsi ad un principio di pienezza che dichiari fermamente: il molteplice è meglio, bisogna preservare l’autonomia, bisogna difendere le differenze.

Ma allora saresti un neoluddista, o un neoreazionario, vuoi l’illuminismo oscuro, le isole nella rete, vuoi delle micronazioni? E intanto l’ossigeno, quello reale e quello digitale, inizia a scarseggiare. Ma Meta è oltre la vita, puoi simulare tuo padre morto, l’amatə perdutə. Io credo che ne abbiamo abbastanza di questa inutile dicotomia fra paradisi digitali e inferni del reale, ma anche del suo contrario, di carceri simulate e di piccole comunità felici.

II

Mi addormento e sono da solo. Il mio è un cosmo unico. Peccato, ogni tanto è attraversato da frammenti distorti del mondo sensibile, ma è mio, solo mio, si tratta delle mie sensazioni, dei miei ricordi. Al risveglio, lo dimentico, e ritorno al mondo comune, quello dentro il quale si muovono tutti gli organismi. Se dormissi per sempre di cosa sarebbe popolato il mio unico sogno? Non saprei, senza un appiglio a contenuti sensibili non ci sarebbero né forme né colori. Se invece la realtà non fosse altro che un unico sogno condiviso, potrei fare ciò che voglio. E invece la realtà è piena di giudici, e di limiti. Limiti fisici, regole morali, tempi misurabili. Ma se il sogno di tuttə fosse controllato? Sarebbe forse un incubo?

III

Ma non si tratta così la questione in termini troppo generici? In fondo Meta significa posti di lavoro, quotazioni in borsa, potrebbe avere specifiche implicazioni politiche, giuridiche, addirittura filosofiche. Ma qui di filosofia non c’è alcun bisogno. Sono milioni di anni che gli organismi si spingono oltre il regno sensibile. Private un’animale del suo Umwelt, e scoprirete che inizierà a ripopolarlo di allucinazioni del suo ambiente di adattamento evoluzionistico. Anche noi lo facciamo. Il punto è: il mondo magico di un animale è popolato frammenti di esperienze sensibili, da stimoli in qualche modo istintivi, ma chi può sapere e controllare da cosa sono popolati i sogni di ogni essere umano?

IV

Chi governa i sogni, l’immaginario, governa la società − il mondo degli individui della nostra specie. Ma non si è mai vista una macchina dei sogni governata da un solo impero, né tantomeno da una sola impresa. Il Metaverso è qualcosa che costruiamo collettivamente, come il cambiamento climatico. Solamente, ci sono gradi diversi di responsabilità e coinvolgimento. Se il Metaverso sarà qualcosa di vivo e collettivo, allora inevitabilmente funzionerà male, nello stesso modo in cui il linguaggio funziona male. Voglio dire, il linguaggio naturale è perfetto come medium comunicativo, ma non si può costruire. Non ha autorə, e non può essere privato. Ogni esperimento di instaurare una lingua perfetta è fallito. Replica: ci sono i linguaggi di programmazione, e questi hanno unə o più autorə e moltissimə contributorə. E sia. Ma noi non comunichiamo con dei linguaggi di programmazione, li usiamo come strumento procedurale per creare e organizzare stati di cose. E comunque, usandoli, li ricombiniamo costantemente, alcune funzioni resistono, altre decadono, altre si ramificano, e così via.

V

Allora il Multiverso non può essere semplicemente un concetto regolativo? Qualcosa verso cui tendono i singoli esperimenti imprenditoriali? Può essere. Ma sicuramente esiste da migliaia di anni prima del rebrending di Facebook. E allora a cosa serve “lanciare un Metaverso”? Forse a nascondere la fuoriuscita di documenti interni (i cosiddetti Facebook Papers) che ne attestano il carattere criminale? Chi ci ha dato un’occhiata dice che la massa di dati è talmente vasta da rendere impossibile i tentativi di narrazione giornalistica.

VI

Anche superare i limiti del nostro pianeta, mentre questo è in fiamme, è una sorta di Metaverso. Ma che cosa c’è che non va in questa realtà, cosa produce questa volontà esasperata di superarla? Non è certamente il Capitale, che arriva molto tardi in questa storia. É una specie di istinto primordiale, iscritto nei nostri geni, tramandato nelle nostre storie. La sua massima non è tanto “conosci te stesso” ma “oltrepassa i tuoi limiti”. Oltrepassare i limiti di una realtà condivisa che deve essere riparata per racchiudersi nel luccicoso giocattolo dove tutti i dormienti sognano i sogni di qualcun’altrə. No, grazie.

VII

Se il termine greco che definisce la parola paradiso è derivato dal significato persiano di giardino, il Metaverso non è altro che la sua versione contemporanea. E sia. Ma un giardino è una selezione umana, un tentativo di addomesticare e controllare un piccolo frammento di ecosistema. E lo facciamo sempre con violenza. Più informazioni assorbiamo sul funzionamento del regno vegetale e del regno animale, più ci accorgiamo della nostra costante violazione di delicati meccanismi di retroazione. Un Metaverso ci permetterebbe di restare immobili, mentre la Natura prolifererebbe selvaggiamente, e torneremo sicuramente ad uno stato di pristina armonia. Ma non c’è nessuna natura, così come non c’è alcun Metaverso. C’è solo un maldestro, ma − data la sua potenza comunicativa − enorme tentativo di governare l’attenzione. Un tentativo tutto sommato noioso e cringe. Ci facciamo i meme, ci ridiamo sopra. Nel frattempo, però, Meta resterà ancora il canale di comunicazione di miliardi di persone.

VIII

Nell’ora e mezza di presentazione di Meta non viene mai usata la parola “politica”. Un buffo montaggio mostra come invece il termine più utilizzato sia “esperienza”. Ora, il contento dei Facebook Papers parla proprio di questo: non è tanto la questione dei furti di privacy il vero problema, è che non si può affermare che il core concept di un’azienda sia quello di costruire “tecnologie che connettono le persone” senza utilizzare le parole: politica, conflitto, guerra. È come il vecchio motto di Google don’t be evil”. Se è vero che la nostra specie ha una propensione per categorizzare l’esperienza in maniera discreta, procedendo per scomposizione, simpatia e antipatia, allora presentare il Metaverso come uno spazio giuridicamente e tecnologicamente “neutro” è pura ideologia. Certo, non mi aspetto che Meta indichi nella sua vision: “intendiamo favorire i politici e i creators che generano più engagement, indipendentemente dai valori che essi veicolano”, ma se agiscono come un’istituzione dotata di un nucleo di sovranità, allora il loro porsi in maniera così non-conflittuale è sintomo o di un’estrema arroganza o il segno di un’evidente paura. Paura che il sogno che stanno costruendo resti disabitato.

IX

Fra le attività che gli esseri umani praticano vi sono anche l’insulto, il sopruso, il raggiro, la violenza, l’omicidio. Queste attività possono essere condotte per motivazioni individuali, o perché si crede in un certo gruppo, in un certo sogno condiviso. Meta non fabbrica armi, apparentemente, né manifesta violenza. Anzi, paga milioni di schiavi perché eliminino la rappresentazione della violenza dalla sua piattaforma. E intanto la violenza si propaga comunicativamente dentro Meta, perché, come una herbe folle, non c’è modo di eliminarla completamente dal giardino.

Estirpare il conflitto, la politica e la violenza significa credere di poter riprogrammare la nostra specie. Ma noi non siamo un superorganismo, e continueremo ad insultarci e a dividerci su questioni etiche, religiose, sociali, perfino sulla percezione del colore di un vestito. Continueremo, cioè, all’interno della nostra specie, a formare gruppi che si contrappongono, alcune volte dialogando, in altri casi litigando, nella situazione più estrema, distruggendoci vicendevolmente.

Se un Metaverso verrà realizzato nei prossimi anni, conterrà inevitabilmente tutte quelle caratteristiche oscure che la nostra specie si porta dietro da milioni di anni. E a quel punto non ci sarà nessun “oltre”, sarà sempre la stessa realtà, quella condivisa e mortale, oscillante fra commedia e tragedia, la realtà che già conosciamo. Ed è in questa realtà che agiamo politicamente, ovvero in modo impreciso e spesso errato, sperando alle volte di migliorare la nostra condizione, così come quella delle altre specie con le quali condividiamo la vita in questo pianeta. Altre volte invece sbagliamo, seminando violenza, incomprensione e distruzione. Personalmente non mi interessa propagare ulteriormente l’archeologia del Metaverso, né profetizzare sul suo esito futuro. Mi sforzo di fare attenzione a ciò che, per errore o intenzionalmente, sto calpestando, e mi ripropongo di non farlo più. Mi concentro sugli spazi e le relazioni sulle quali posso concretamente intervenire, su ciò che deve essere protetto e su quello che invece, bisogna, con tutte le nostre forze, impedire.