Libri strani

Mark Danielewski, i librigame, J.J. Abrams e il rizoma: breve introduzione alla «letteratura ergodica»

The Familiar di Mark Danielewski doveva essere il romanzo che uccide i romanzi. Un’opera monumentale in 27 volumi in uscita ogni tre mesi che doveva replicare la struttura di una serie televisiva, anzi doveva mostrare come il romanzo poteva «braccare, assalire e divorare le serie tv». Nel primo libro, One Rainy Day in May, una dodicenne di Los Angeles trova un gattino che sembra avere poteri soprannaturali e mette in moto una storia horror-fantascientifica che conta nove personaggi sparsi tra Messico, Italia, Singapore e Texas e che ha il suo season finale con il quinto volume, Redwood.

One Rainy Day in May ha quasi 900 pagine e ha una struttura tipografica e visuale molto complessa, come tutti i romanzi di Danielewski. La collocazione spaziale delle parole non è lineare: in molte parti del libro interviene un approccio testuale che serve a stimolare livelli diversi di percezione nel lettore e far risuonare diversamente, per esempio, i pensieri di un personaggio preoccupato, che sta guardando fuori dal finestrino di un’automobile in una giornata piovosa:

(p. 68-69)

In generale ogni personaggio di The Familiar ha un’impostazione visiva, oltre che una voce. I colori ai margini delle pagine indicano quale sia la voce narrante che sta parlando:

(p. 628, 629)

Nonostante il tasso di ambizione del progetto, Danielewski ha avuto un anticipo milionario da Pantheon Books per realizzarlo e, più o meno nello stesso periodo, gli è stato commissionato il pilota di una serie tv sul suo romanzo più famoso: House of Leaves (a suo tempo tradotto in italiano come Casa di foglie, in un’edizione Mondadori ormai introvabile). Quel titolo, infatti, gli aveva già garantito parecchi anni prima l’attenzione devota di chiunque avesse amato la nicchia freak americana che si è imposta fra i Novanta e i primi Duemila – Cooper, Spanbauer, Dunn, Coupland, Hempel ecc. ecc. – e lo status permanente di santino della letteratura underground. House of Leaves raccontava la storia di un documentarista e della sua famiglia, che si trovavano ad abitare in una casa mutaforme, più grande all’interno che all’esterno e che li conduceva lentamente alla pazzia. Tutto questo narrato da un ragazzo di Los Angeles che ritrova un vecchio manoscritto inaffidabile su cui è raccontata la storia. È un thriller caotico e austero, è anche un inferno di note a piè pagina chilometriche, bugie, contraddizioni, parole specifiche associate a font e colori particolari, visioni testuali di ogni genere:

(p. 222, 223)

Eppure, nonostante il seguito granitico ottenuto con House of Leaves e la chiara, persistente follia dell’autore, la pubblicazione di The Familiar è stata recentemente interrotta dopo il quinto volume, perché le vendite non giustificavano i costi di produzione e messa sul mercato dell’opera. Mi sono sentita in colpa, visto che ho rimandato l’acquisto per giorni, per settimane, per mesi. Invece era importante supportare il lavoro di Danielewski anche solo per il merito di aver riaperto una discussione in ambito critico sulla forma della letteratura e quindi sul suo futuro. La definizione che più spesso viene utilizzata per categorizzare la sua opera è letteratura ergodica: in breve, tutta quella letteratura che prevede uno sforzo accessorio da parte del lettore, oltre seguire con gli occhi e girare le pagine, per conferire significato al testo. Il termine in sé è nato nel 1997 per definire l’electronic literature e le sue peculiarità rispetto alla letteratura cartacea, con il saggio di Espen Arseth Cybertexts: Perspectives on ergodic literature. È stato il primo ragionamento accademico sulla possibilità di una letteratura al di là del suo medium specifico, il libro, e nonostante si sia sviluppato in definizione di testi virtuali individua dei parametri applicabili a ritroso a tutta la storia del testo scritto come lo conosciamo. Altri esempi storici di letteratura ergodica sono I CHING, il testo sacro cinese composto da 64 esagrammi interpretabili in base al lancio di una particolare monetina, o i Calligrammi di Apollinaire:

Chi legge un articolo online zeppo di link mette in atto un processo simile a quello necessario per leggere anche le forme ergodiche più sperimentali: deve interagire con il testo in un modo più profondo e «non triviale» e questa interazione diventa una serie di procedure collaborative/generative, che portano a una ridefinizione del contenuto. L’azione di leggere diventa in qualche modo più simile allo scrivere, visto l’atteggiamento proattivo e l’arbitrio che prevede nella forma ergodica. Un altro esempio non made in internet è il popolarissimo Rayuela di Cortazar, oppure il nazionalpopolarissimo S. La nave di Teseo di J.J. Abrams e Doug Dorst, o l’opera degli anni Sessanta Composizione n.1 di Marc Saporta: 280 pagine chiuse in una scatola, da leggere in ordine casuale per ottenere «tanti romanzi quanti sono i lettori» (per i non nostalgici c’è anche la versione per iPad sviluppata dai creative lab di Google e YouTube).

Insomma, è ergodica la composizione testuale in cui le regole per fruire dell’opera fanno parte dell’opera stessa e che impone nuove pratiche di lettura. Arseth introduce due categorie di analisi del testo per la letteratura ergodica: textons e scriptons. Se avessi sul tuo frigorifero le letterine magnetiche necessarie a comporre le parole BAAL e CULO ogni parola sarebbe un texton, mentre la combinazione che hai scelto di dargli in questo caso – ripeto BAAL CULO – sarebbe lo scripton. I texton hanno una definizione precisa (un inizio, una fine, un significato) ma gli scripton, cioè le possibili combinazioni e interpretazioni, sono infinite. Da qui l’idea che collegandoli fra di loro in maniera più arbitraria del semplice scorrimento delle frasi o dei capitoli, magari con un link o con un salto narrativo da librogame, si creino infiniti nuovi piani di significato che con la sola loro esistenza differenziano e amplificano i possibili modi di leggere e comprendere un testo.

Quelli fra noi con un’adolescenza non molto spensierata alle spalle difficilmente si perderanno le analogie con la visione di testo decostruito di Derrida o col concetto di rizoma esposto da Deleuze e Guattari: un modello semantico da opporre ai modelli basati sulla concezione «ad albero» imperante in tutte le discipline, dalla linguistica alla biologia. Il modello ad albero prevede una gerarchia, un centro, e un ordine: i significati sono disposti in ordine lineare. Invece «il rizoma collega un punto qualsiasi con un altro punto qualsiasi, e ciascuno dei suoi tratti non rimanda necessariamente a tratti dello stesso genere, mettendo in gioco regimi di segni molto differenti ed anche stati di non-segni. (…). Rispetto ai sistemi centrici (anche policentrici), a comunicazione gerarchica e collegamenti prestabiliti, il rizoma è un sistema acentrico, non gerarchico e non significante». Il rizoma si dispone come una mappa e un percorso radiale di possibilità, esattamente come la serie di librigame su Indiana Jones in cui dovevi scegliere se scattare insieme a Indy verso quel mercantile, e allora vai a pagina 15, oppure nasconderti dietro un barile e aspettare che la banchina sia vuota a pagina 23.

La letteratura ergodica sintetizza una nuova era geologica del nostro rapporto con la lettera scritta, che richiede capacità e attenzioni diverse dai lettori, ma allo stesso tempo è una struttura diegetica sempre esistita.

La riflessione sulla relazione fra scrittura e media è forse la parte più importante al di là dell’idea di sperimentazione, perché dialoga in maniera esplicita con un futuro vivo e senza libri, ma popolato di nuovi media sempre più caratterizzanti e creatori stessi del messaggio. Nelle teorie anni Cinquanta, quelle di Walter Ong per esempio, i media venivano metaforizzati come tubature: film, tv, (per estensione) internet, sono pipelines in cui scorrono informazioni. In questa prospettiva però non avrebbero alcun tipo di valore narrativo, sarebbero solo spacciatori di artefatti random (video, news, qualsiasi cosa). Mary Ann Ryan aggiusta il tiro: la forma delle tubature cambia il modo in cui le informazioni vengono trasmesse e recepite e spesso conducono alla creazioni di informazioni su misura per quel medium. Una strada che porta dritti fino alla citazione più famosa del mondo dopo «Domani è un altro giorno» di Via col Vento, cioè «The medium is the message» di Marshall McLuhan, che vedeva i media come estensioni umane che all’infinito fanno e disfano la forma di quello che percepiamo (qui un po’ di fonti).

Infine: la letteratura ergodica sintetizza una nuova era geologica del nostro rapporto con la lettera scritta, che richiede capacità e attenzioni diverse dai lettori, ma allo stesso tempo è una struttura diegetica sempre esistita, anche in forme molto commerciali e accessibili, una sorta di variazione su un tema musicale che istantaneamente riconosciamo.

Non necessariamente, infatti, è una forma collegata a opere ostiche e dedicate a un pubblico ristretto. Entrati in una sorta di automatismo da Internet abbiamo già smesso di rilevare alcune forme di attenzione accessoria richieste dagli ipertesti. Abbiamo già cominciato ad allenare il cervello a salti visivi e di contenuto, registri linguistici discontinui, introduzioni di neologismi e nuovi segni alle volte persino delle collocazioni spaziali
totalment

e

ingiustficATE.