Le voci del Para-Reale

Tra le allucinazioni delle intelligenze artificiali e le voci sintetiche dell’autotune, come abbracciare il collasso del mondo virtuale sulla nostra realtà

La comunicazione verbale è di solito fatta di bugie. La comunicazione vera è oltre le parole (…). E allora, non ascoltate le parole, ma soltanto quello che vi dice la voce, quel che vi dicono i movimenti, quel che vi dice l’atteggiamento, quello che vi dice l’immagine. Non avete bisogno di ascoltare quello che la persona vi dice: ascoltatene il suono. Per sona, cioè “mediante il suono” (…) di fronte a noi vediamo l’intero essere di una persona.
F. Perls, La psicoterapia gestaltica parola per parola

Il para-reale è l’incarnazione più pura del medium come messaggio.
Cade Diehm, Il Para-Reale: un Manifesto

Eccitazione, speranza, paura, frustrazione. L’algoritmo ci mostra militari russi a Bakhmut, un fashion blogger nel suo weekend a Berlino, città indiane paralizzate da un’ondata di calore, un supporter di Trump contestato a Times Square, gattini teneri che si rotolano davanti alla camera. Non stiamo decidendo di provare questa o quella emozione: il content ci hackera le emozioni e le impianta nella nostra amigdala. Altra carrellata di immagini che esplode davanti ai nostri occhi: Donald Trump che si dimena tra le braccia degli agenti federali, Papa Francesco che indossa un giubbotto bianco simil-Balenciaga, Emmanuel Macron che scappa inseguito dalla folla. Questa volta le immagini dipingono scene mai accadute, sono il prodotto di sintetizzatori visuali che abbiamo imparato a conoscere con i nomi di Midjourney o DALL-E.

Eppure, producono effetti simili ai video reali della prima carrellata. Rabbia per l’arresto del proprio dux, felicità per il linciaggio di un novello Re Sole, scandalo per un pontefice troppo trendy. La loro potenza non risiede nel loro fotorealismo, che è ancora imperfetto e perturbante, e funziona solo per sguardi disattenti. E’ la loro potenziale credibilità a rendere questi artefatti efficaci nel rapportarsi con le nostre coscienze. Si tratta di scene che sarebbero potute succedere, che sono poi successe e che forse succederanno. Sono appendici di una realtà possibile che diventa ogni giorno più ipertrofica, come nota Gregorio Magini parlando di scienza e magia. Nella nuova epoca oscura, la casistica delle possibilità che si possono attualizzare è in continuo aumento. Ci troviamo davanti ai fenomeni morbosi di cui parlava Antonio Gramsci; all’estetica dell’interregno, raccontata da Mattia Salvia nel suo libro, alle concrezioni visive del tempo fuori di sesto in cui viviamo. Viviamo in un mondo in cui i segreti militari vengono leakati  su Discord

In questo scenario, non ha più alcuna utilità pensare al “mondo virtuale” come a qualcosa di separato dalla realtà materiale che abitiamo. Lo spillover del digitale è un fatto e i fenomeni grotteschi che ho citato non fanno che confermare un mondo in cui queste due dimensioni sono intrinsecamente invischiate tra di loro. Una proposta alternativa al dualismo reale/virtuale ci arriva dal fondatore del New Design Congress, Cade Diehm – ricercatore e designer tra i fondatori di Signal – nel suo The Para-Real: A Manifesto.

Tra il regno digitale e il nostro mondo fisico c’è un terzo spazio, ibrido, effimero e poco compreso. Forse lo avete incontrato di recente: una sensazione inquietante o irreale di toccare quasi qualcosa in una scena VR, una stanchezza impossibile durante una chiamata Zoom che vi lascia fluttuare come un palloncino pieno di piombo, o un inquietante disagio per l’accuratezza di una pubblicità mirata. Per decenni, questo spazio intermedio ha influenzato la società digitalizzata senza essere visto. Lo chiamiamo Para-Reale, uno stato emotivo e trasformativo che emerge quando l’elettronica e il reale si scontrano e, solo per un momento, crea uno spazio che può esistere solo nel secondo esatto in cui piattaforme e atomi operano in assoluto parallelo.

Possiamo intendere lo spazio del Para-Reale come il momento in cui il digitale si fa carne, in cui si percepisce l’embodiment del mondo virtuale che produce effetti sui nostri corpi. Come le sensazioni descritte in apertura, gli esempi portati da Diehm sono affetti nel senso spinoziano del termine. “Intendo per Affetto le affezioni del Corpo”, scrive Spinoza nell’Etica, “dalle quali la potenza d’agire del Corpo stesso viene accresciuta o diminuita, assecondata o impedita, e insieme le idee di queste affezioni”.

La realtà sfumata del para-reale è lo spazio in cui gli affetti superano i confini dello schermo e attraversano la nostra stessa persona. Come afferma Spinoza, tali affetti possono accrescere o diminuire la potenza d’agire di un individuo. Spinoza ci aiuta a capire che se siamo affetti negativamente dalla nostra relazione con la digitalità,anche la nostra libertà viene compromessa. Essere liberi, per il filosofo olandese, significa “esiste per sola necessità della sua natura e che è determinata da sé sola ad agire”. Quando le passioni negative, come il risentimento, l’odio, la paranoia vengono causate o incrementate dalle relazioni online – si pensi al caso di QAnon –  vediamo limitata la nostra libertà. Secondo Diehm, quando parliamo della società digitale ci lasciamo sfuggire la dimensione del  para-reale – questo piano di potenzialità affettiva – che da sempre accompagna la relazione tra uomo e dispositivo. La potenzialità latente del  para-reale può essere attivata se prendiamo coscienza della possibilità di modulare i nostri affetti attraverso la macchina e impariamo ad avere un ruolo attivo in questa relazione. 

Il para-reale è quello spazio di confine in cui il sé prende una forma ibrida e complessa: non un’identità digitale nè solamente un corpo, non è una questione di user experience ma di formazione di coscienza. Il para-reale si esprime in una serie diversa di pratiche digitali: da chi sfrutta i glitch di un software a suo vantaggio a chi esprime la propria identità di genere tramite un avatar furry, da una comunità che mantiene una libreria privata online a protocollo sociale The Hologram, una rete di cura digitale. 

Il modo di percezione (e affezione) para-reale si esprime anche in musica, in particolare all’interno di quell’ambito sonico che Kit Mackintosh chiama psichedelia vocale. Nel suo Auto-Tune Theory: Trap, Drill, Bashement e il futuro della musica, il batterista e giornalista inglese racconta questo filone di musiche “urban” – il Bashement è la versione street e contemporanea della dancehall – attraverso il prisma della performance vocale e, in questo modo, ne scopre il carattere radicalmente futuristico. La tesi chiave di Mackintosh è che questi sottogeneri stiano incubando delle vere innovazioni musicali attraverso il medium fondamentale della voce. 

Mackintosh parla di una psichedelia vocale propria di artisti come Vibyz Kartel, Future, Young Thug e Tommy Lee Sparta. La psichedelia vocale è “l’omni-genere all’epicentro della nostra nuova mitologia musicale, dalla Giamaica all’Africa all’America.” La psichedelia vocale è una caratteristica comune alla trap, la nuova dancehall e la drill, è un’attitudine mutante al microfono, la ricerca di un calore sperimentale e post-umano che recupera quella vena mutante e disturbante che è propria di ogni musica davvero nuova, dal rock psichedelico nei ‘60 alla jungle dei ‘90. Il vettore di innovazione si muove dalla strumentale alla voce, portando ad un cambio di paradigma rispetto allo sperimentalismo della musica elettronica.

Il “ritorno al futuro” inizia verso la fine degli anni 2000 nel panorama della dancehall giamaicana, con la faida tra due grandi artisti del genere, Mavado e Vybz Kartel, che simboleggia due tensioni interne al genere stesso. Mavado rappresenta la pulsione verso il soul e l’r’n’b, mentre Kartel è l’antieroe della dancehall, noto per la sua iconoclastia e per portare temi di violenza, morte e sesso sfrenato nella musica. Tuttavia, Mackintosh, attraverso la teoria della psichedelia vocale, non considera questo come uno scontro tra analogico e digitale, ma fa esplodere la dicotomia. Vybz Kartel, così gli altri artisti di questo genere utilizzano l’autotune come uno strumento tecnico per amplificare l’intensità delle loro emozioni, creando ciò che Mackintosh chiama “iper sentimenti elettrificati”. Così, prende forma un’espressione artistica dell’autotune come medium che diventa messaggio, un catalizzatore sonico dell’interiorità dell’artista che proietta l’ascoltatore in uno stato confusionario di sensibilità viscerale. 

Questa attitudine giamaicana allo sperimentalismo digitale affonda le sue radici nelle avventure soniche di un genio come Lee “Scratch” Perry, di cui Erik Davis ha scritto nel suo testo Radici e Cavi. “Lo studio deve essere una cosa viva”, spiega Perry. “La stessa macchina è viva e intelligente. Inserisco la mia mente nella macchina, la trasmetto attraverso i controlli e le manopole, o nel pannello dei cavi. Il pannello è il cervello stesso, lo devi assemblare e far diventare il cervello di un uomo vivo; il cervello riceve ciò che gli stai mandando e vive”.

La psichedelia vocale è dunque un omni-genere, una sovra-categoria che rappresenta un punto di non ritorno raggiunto da diversi generi negli ultimi 15 anni. Come per la dancehall, lo stesso avviene per il rap. Secondo l’autore, intorno alla metà degli anni ‘10 emerge un uso nuovo dell’autotune che si presenta come un progressivo rifiuto della classica espressività del rap, dell’eloquio delle barre e delle rime. Questo nuovo approccio liquefatto al microfono trasforma la voce in un’arma sonica, in uno strumento basato sulla produzione di suoni nuovi, invece che parole e rime. Questa linea evolutiva mutante parte con gli Outkast, si evolve tramite i deliri tossici di Lil Wayne e Gucci Mane, il contributo cruciale di Kanye West in 808’s and heartbreak, e arriva ai vari Future, Young Thug e Playboi Carti. A questo punto, il rap non è più rap e la voce perde il suo connotato semantico, per diventare veicolo di pura espressione.

Il para-reale è il reame da navigare per spezzare la paralisi in cui siamo caduti, ipnotizzati come siamo da una relazione passiva con il digitale. Tutto ciò comporta una perdita di purezza, un passo verso l’inumano

Il libro di Mackintosh è anche uno studio dello spostamento verso l’interno dell’esternalità tecnologica. Se, nel ‘900, sognavamo la tecnologia come qualcosa di monumentale e di esterno a noi (mega robot, razzi spaziali), come una serie di strumenti che estendono il sé o come “una forza della natura da sfruttare”, oggi ci muoviamo in un panorama totalmente diverso. Man mano che l’UFO che abbiamo chiamato società digitale diventava reale, abbiamo modificato la scala delle nostre fantasie. Tutto è diventato così normale, così spontaneo che ci dimentichiamo quasi di stare interagendo con la macchina. Non è il robot che ci vuole soggiogare, siamo noi dipendenti dai nostri dispositivi. Non siamo pericolosi Robocop, devastanti ibridi cyborg ma i soliti, fragili umani con un occhio costantemente puntato alle notifiche push nella nostra tasca.

Possiamo leggere il lavoro di questi artisti come un’esplorazione dello spazio para-reale in cui la propria purezza umana – l’elemento della voce – viene sacrificata per raggiungere una maggiore intensità emotiva ed espressiva. Le voci descritte da Mackintosh rappresentano un caso perfetto di embodiment della tecnologia all’interno del corpo umano: artisti come Vybz Kartel, Future o Playboi Carti raggiungono un momento di trascendenza in cui la relazione con la macchina assume un carattere attivo e trasformativo. Si crea così un nuovo modo di modulazione della voce, una sintesi di emotività umana possibile unicamente attraverso lo scambio costante con la macchina. 

“Plasmiamo i nostri strumenti e successivamente i nostri strumenti plasmano noi”, si legge nel Manifesto del para-reale. Il para-reale è il reame da navigare per spezzare la paralisi in cui siamo caduti, ipnotizzati come siamo da una relazione passiva con il digitale. Tutto ciò comporta una perdita di purezza, un passo verso l’inumano che può scandalizzare i critici benpensanti – “questo non è rap!” ci dicono. Mancano completamente il punto: le urla al neon della psichedelia vocale ci aprono una finestra verso un futuro possibile e rappresentano una vera innovazione musicale. Nella folle era in cui viviamo, non ha senso cercare il nuovo laddove lo trovavamo in precedenza. Le voci del para-reale si muovono tra gli interstizi, stanno sia al top delle classifiche sia in brani semisconosciuti seppelliti su Youtube, pronte a svelare mondi nuovi per coloro che le sapranno ascoltare.