L’alzheimer di dio

La fine del mondo non è abbastanza

L’ultima Cassandra e il Chisciotte americano

L’immaginazione barocca e quella surrealista hanno in comune la coscienza che il mondo è illusione, maya, artificio, proiezione di ombre sullo schermo della mente.

«Ci proiettano un interminabile film funky sullo schermo del cervello», scrive da qualche parte Philip Dick. Ma chi è che fa questo? C’è qualche dio che emana la fantasmagoria di cui facciamo esperienza? No, non c’è nessun dio dietro lo schermo, ci sono solo flussi caotici di immaginazione e linguaggio e questi flussi disturbano lo spettro della coscienza, provocano tempeste di demenza, di furia, depressione e disperazione.

Caliamoci nel vortice della tempesta contemporanea in compagnia di un Quichotte americano originario di Bombay.

Era l’epoca del Tutto-può-Accadere… una intera nazione poteva saltare da una scogliera come un branco di lemming. Uomini che avevano fatto il presidente in televisione potevano diventare presidenti. L’acqua poteva scomparire… Un olezzo malvagio si spande sulla scena finale. Una stella della TV potrebbe miracolosamente ricambiare l’amore di un vecchio rimbambito offrendogli un improbabile trionfo romantico che potrebbe redimere una lunga piccola vita.

L’ultimo romanzo di Salman Rushdie, Quichotte (Random House, 2020), uscito in perfetta sincronia con la pandemia, è un libro dedicato a… dedicato a cosa? Alla fine del mondo, naturalmente. Nelle ultime pagine del libro il mondo finisce davvero, scompare, svanisce in enormi bolle di vuoto.

Ricordo che Rushdie raccontò la furia che stava attraversando l’America, e in particolare New York all’inizio del nuovo secolo. Fury, un romanzo sulle bambole, sulla follia, la competizione, la violenza psicologica e l’esplosione, fu pubblicato pochi mesi prima dell’undici settembre. Insomma possiamo dire che Rushdie sa qualcosa dei fili profondi che legano il sistema nervoso e il futuro del mondo.

Ma le 400 pagine di Quichotte non sono soltanto dedicate alla fine del mondo, come se la fine del mondo non fosse abbastanza.

Chisciotte (Key-shot) è un vecchio americano di origine Indiana, cugino e impiegato del dottor Smile, produttore e trafficante delle droghe più mortifere che gli Stati Uniti abbiano mai conosciuto: Fentanyl e Oxycontin.

Chisciotte è sull’orlo della demenza senile, ma questo non occorre neppure dirlo, visto che si tratta di una patologia che ha invaso il mondo e forse lo sta inghiottendo.

Dopo aver lavorato per qualche anno come rappresentante di psicofarmaci, ora, nell’incapienza dell’Alzheimer, dimentica le cose del passato recente, ma in compenso ha un’immaginazione scatenata che si alimenta con innumerevoli ore di televisione. Proprio come il cavaliere della triste figura aveva letto troppi libri di avventure cavalleresche e galanti del suo tempo.

Guardando la televisione Chisciotte si è innamorato di una nuova Dulcinea, una star di origine indiana, anzi per essere precisi della stessa città da cui viene anche Chisciotte, la leggendaria Bombay, che adesso si chiama in un altro modo.

Quichotte è la storia di anime spezzate, di vite spezzate, di corpi spezzati e di famiglie spezzate: la storia dell’America contemporanea, e del mondo in generale.

Le famiglie spezzate sono probabilmente le lenti migliori attraverso cui guardare questo mondo spezzato. E all’interno delle famiglie spezzate ci sono persone spezzate dalla povertà, dalla perdita, dal maltrattamento, dal fallimento, dalla malattia, dal dolore, dall’odio che pure a dispetto di tutto disperatamente si aggrappano alla speranza e all’amore, e queste persone spezzate, cioè noi, probabilmente siamo gli specchi migliori del nostro tempo.

C’è anche Sancho, naturalmente, il giovane ignorante che è il figlio immaginario di Chisciotte. Sancho sembra sbalordito dal fatto che il mondo in cui abita è incomprensibile, forse per la semplice ragione che non ha alcun senso, o che gli è stato sottratto ogni significato. Sancho è il simbolo della generazione millennial che è venuta al mondo quando il mondo era ormai irrimediabilmente sputtanato, sull’orlo del collasso finale.

Le cose cadono a pezzi come le persone. I paesi cadono a pezzi come i loro cittadini. Un miliardo di canali televisivi e nulla che possa tenerli insieme. Spazzatura dovunque, e anche roba buona se vogliamo, tutto messo insieme allo stesso livello di realtà, in modo che tutto abbia lo stesso grado di autorevolezza. Come può un giovanotto come Sancho distinguere? Come discriminare? Ogni show di ogni rete ci dice la stessa cosa: basato su una storia vera. Ma questo non è vero. La storia vera è che non c’è più nessuna storia vera. Non c’è alcuna verità su cui tutti possano mettersi d’accordo. C’è un mal di testa che sta per arrivare. Boom. Eccolo.

Ow.

Proprio un bel momento per venire al mondo.

Chisciotte è un libro sull’America, naturalmente. Il vecchio demente protagonista attraversa il continente dalla California a New York, e da New York alla California, come il suo antenato di La Mancha attraversava i deserti spagnoli. Rushdie descrive l’America negli anni di Trump dal punto di vista di due indiani dalla faccia piuttosto scura, Chisciotte e Sancho, che diverse volte si fanno aggredire, insultare, buttare fuori dai ristoranti e così via. La gente chiede loro dove avete messo i turbanti, dove avete messo le armi, dove avete messo le bombe, e con questo tipo di frasi diverse volte viene loro impedito di entrare nei locali in cui stanno i bianchi.

Perché sono così aggressivi?, si chiede Sancho, poi capisce che è un problema di linguaggio e dice a Chisciotte: «Voglio sfidare questi bastardi che ci odiano perché noi possediamo un’altra lingua».

Gli americani bianchi si distinguono per il fatto che parlano (male) una sola lingua, ma sono circondati da una massa crescente di persone che parlano lingue diverse, e per colmo di disgrazia parlano meglio anche la lingua inglese.

Ignoranza e illusorietà della supremazia: questo è il retroterra di tutti i tipi di razzismo, e in particolare del trumpismo bianco americano.

Mentre l’America è il paese più avanzato in termini di ricerca e innovazione, grazie a siriani come Steve Jobs, indiani come Sundar Pichai e come lo stesso Rushdie, grazie a registi italiani e a ingegneri cinesi, questo centro cosmopolita di lavoro intellettuale è anche la patria della comunità più ignorante di tutti i tempi e di tutti i luoghi: i colonizzatori bianchi che vennero al seguito di pellegrini bigotti e realizzarono un genocidio per impadronirsi di tutti i territori tra un oceano e l’altro.

Per questa contraddizione l’America è sul punto della disintegrazione. Che vinca Trump o che perda, il dentifricio non ritorna nel tubetto: la guerra civile sta sgretolando il paese.

Durante il viaggio tra New York e la California, Chisciotte e Salma, la bella TV star, assistono a una serie di episodi di sparizione del mondo. «Non posso guardare. Lassù, cosa sta accadendo… come un colosso con un’esplosione rumorosa un buco scoppiò nell’aria. Se lo vedi ti viene voglia di morire. Non c’è modo di rimediare. Non credo che ci sia nessuno a Washington o alla base di Cape Canaveral che sappia che cazzo fare di questo.» Dice Salma sgomenta. Non c’è modo di rimediare, perché «il nulla esplode attraverso il qualcosa del mondo, ruggendo come un fuoco e allora la forma sempre più familiare gigante-proiettile-buco è tutto quel che ci viene lasciato, il vuoto nero spaventoso della non esistenza…».

Mu,il vuoto, è lui che governa attualmente, aveva detto Wim Wenders in Tokyo-ga, un lungimirante film in bianco e nero del 1985. Chisciotte ha cercato la verità, la bellezza, la perfezione, e la fede. È stato sul punto di realizzare questo sogno, di avere l’amata TV-star il cui nome è Salma, ma presto scopre che lei non è interessata al suo amore, ma alle droghe oppiacee che porta nella sua valigetta, e che quella droga può comprare la sua benevolenza, ma può anche ucciderla.

«Forse solo alla fine della ricerca il ricercatore può scoprire quanto il suo viaggio fosse radicato nell’errore.» Così Chisciotte arriva alla fine del viaggio come un personaggio essenzialmente tragico, proprio come lo descrive Miguel de Unamuno: «Qualche volta ci sentiamo sopraffatti dal sentimento della nostra mortalità… non la morte, ma qualcosa di peggio della morte, un sentimento di essere annichiliti, una suprema angoscia».

«Non c’è modo di invertire questo decadimento?», chiede Salma, la protagonista tossica e bipolare del mediascape. E il dottor Evel Cent (suona come Evil Scent, odore di Male) le risponde: «Io sono l’ultima Cassandra della storia umana».
Dobbiamo immaginare che queste parole si riferiscano a Rushdie stesso.

L’illusione della fine

Ma adesso basta parlare di Quichotte, dobbiamo dire qualcosa sull’illusione della fine.

Baudrillard lo sapeva che la fine è un’illusione, un’attesa che non finisce mai. L’ultima utopia.

La fine di cosa?

Zizek dice che è più facile immaginare la fine del mondo piuttosto che la fine del capitalismo. Ma per parte loro Deleuze e Guattari dicono che il rizoma non ha inizio né fine, è sempre nel mezzo.

Nella sfera metafisica dell’Essere, e nella sfera dialettica della teleologia storica, «fine» significa il superamento e l’emergere del nuovo.

Ma dal momento che abbiamo lasciato il regno della metafisica, allora non c’è più fine, solo ricombinazione dell’informazione e ricomposizione della materia.

Cerchiamo di capire la distinzione tra la fine di un corpo e la fine di una forma.

I corpi finiscono quando si decompongono; ma la materia non svanisce, non diviene nulla, soltanto si ricompone in nuove forme, in nuove configurazioni molecolari.

La forma, al contrario, esiste solo nella mente, generatore di percezione. La forma è singolare come la mente che la crea, e la proietta.

Innumerevoli mondi singolari procedono dunque dalle innumerevoli menti: incompatibili, incapaci di sintonia e reciproca comprensione, se non per un attimo: l’orgasmo, l’insurrezione.

La forma può svanire, scomparire, diventare nulla, quando la coscienza si dissolve. La coscienza in effetti è la sola condizione del nulla. Il nulla può esistere solo come divenire nulla di una coscienza, come dissoluzione e spegnimento finale di una coscienza.

Quando una forma diventa incapace di organizzare il contenuto, a quel punto il contenuto diviene caos, e la mente percepisce il caos come uno spasmo doloroso. Allora la mente proietta una nuova forma, e il mondo si può ricomporre. Ma la mente stessa si dissolve quando la materia che compone il corpo perde coerenza. Il corpo si sottrae all’annullamento perché la materia non si dissolve, si decompone ma poi si ricompone. Però è il corpo, nel decomporsi, che causa la dissoluzione della mente, e il conseguente emergere del nulla.

Non c’è altro nulla che il divenire nulla della coscienza.

Solo nella mente risiede la nullità.

Solo la dissoluzione del corpo e della mente pensante possono generare il nulla. La fine del linguaggio è il nulla, e nulla è anche la sussunzione del linguaggio da parte dell’automa che è linguaggio senza anima e senza corpo.

La sostituzione crescente del linguaggio umano da parte dell’automa rende possibile l’emergere del grande nulla come intelligenza artificiale: traduzione e sostituzione della parola che si fa mondo da parte del codice. La generazione di segni automatici il cui significato è stabilito da un codice, significazione automatica: nulla.

Il mondo non scompare quando la mia mente smette di pensarlo, perché il mondo è nulla, e continua la sua evoluzione nella dimensione della nullità (che in effetti è la “mia” nullità).

La leggenda induista racconta che dio si addormentò per un attimo e durante quell’istante emerse il mondo e prese forma, e in quel mondo sognato da dio in un momento di incoscienza si svolge la storia degli uomini.

La storia degli uomini, ma dove si svolge la storia delle donne?

Contrariamente a quel che ho detto prima (il mondo è nulla) il mondo esiste davvero perché il corpo femminile si ritrae da dio, non si lascia sedurre da dio: l’ateismo femminile rende il mondo piacevole, gioioso, e proprio per questo vero. Fin quando l’eros riscalda il corpo è possibile allontanare il nulla, non saperlo non vederlo non subirlo.

Quando l’eros si è fatto inaccessibile, quando piange l’anarchica Afrodite, allora il nulla si impadronisce della mente, la depressione azzera la resistenza della mente al nulla.

Ma potremmo anche fare un’altra ipotesi.

Dopo un’esistenza così lunga (alcuni dicono eterna) dio fu colpito dalla malattia chiamata col nome di Alzheimer, quel tipo di demenza senile che segue una degradazione irreversibile dei tessuti cerebrali. Dio perde allora memoria dei suoi sogni, dei suoi errori, delle sue creazioni. Perde memoria di noi, e così siamo lasciati soli.

L’Alzheimer di dio è stato descritto come Kali Yuga.

Dio dimentica di essere quello che è. Alla domanda: chi sei? potrebbe rispondere: sono un pensionato all’ufficio postale che aspetta il suo turno nella fila.

Kali, la fosca compagnia di Siva tiranneggia il mondo dal momento della morte fisica di Krishna, che secondo il Surya Siddhanta avvenne alla mezzanotte del 18 febbraio 3102 prima di Cristo e durerà per altri 432.000 anni, concludendosi nell’anno 428.899 dopo Cristo. Kalki, il decimo avatar di Vishnu apparirà in quell’anno su un cavallo bianco con una spada fiammeggiante e dissiperà il male.

Insomma dobbiamo solo aspettare l’anno 428.899, quando l’era di Kali la grande distruttrice prenderà fine.

Kali, l’Alzheimer di dio.

Ci sono diversi dio in questa storia: il dio costantemente sveglio e piuttosto nervoso della Bibbia, il dio che dorme della leggenda buddista, il dio pazzo dell’induismo, il dio più rilassato e talora anche amichevole che ci fu raccontato da Cristo.

Ma in ogni caso ora è venuto il momento di spegnere la luce.

Del tutto incomprensibile è la testardaggine degli umani nel continuare a tutti i costi un esperimento che ha largamente provato di essere fallito.

Il dio inconscio sogna del mondo in cui si è addormentato, il dio di Abramo è sempre sovreccitato, prende anfetamina e qualche volta esagera, il dio di Cristo si accascia impotente nella sua onnipotenza e manda a Roma un uomo molto umano che soffre e non sa più che pesci pigliare, figuriamoci poi moltiplicarli.

Quando la demenza prese possesso del suo cervello senescente, stanco di una così lunga esistenza, dio si dimenticò della storia degli uomini.

Che adesso si sta concludendo.

Oppure no.