La ragnatela

Cronaca della psicodeflazione #9: un’altra fine del mondo è possibile

14 luglio

Un’amica mi ha scritto: «Ti leggo e mi fa bene, ma anche mi fa male perché sono purtroppo d’accordo sull’analisi però mi dispiace per i miei nipotini».

Rimango un po’ stordito per queste reazioni. Volentieri farei una raccomandazione per il nipotino, che gli possa andare tutto bene, ma purtroppo non ho alcun potere, se non quello di interpretare segnali e intravvedere tendenze.

«Leggere questo diario fa più male che bene al cuore», mi scrive Stefano, e ha ragione, lo so.

Se fosse una risposta sensata potrei rispondergli che a me il cuore fa male in permanenza, e a mala pena distinguo lo struggimento dall’angoscia. Così per curarmi scrivo invece di prendere pillole. Scrivo continuamente, è l’unica cosa che posso fare per mitigare il dolore.

Ma Stefano ha ragione. Potrei semplicemente non pubblicare quello che scrivo.

Predisporre l’immaginazione agli scenari che incombono mi pare azione più buona che malvagia. Ma qualcuno potrebbe obiettare: non serve avvertire che la tempesta è in arrivo se non sai dire in che modo potremmo proteggerci. Vedremo. Intanto scrivo, poi deciderò che fare.

15 luglio

Qualche giorno fa ho ricevuto un invito da parte del direttore dell’Israeli Festival:

«Caro Berardi, il mio nome è Itzik Giuli, e sono il direttore artistico del Festival di Israele, Gerusalemme. Spero che questo messaggio la trovi in buone condizioni.

Scrivo nella speranza di ricevere un assenso alla richiesta di parlare in una giornata di attività dedicata a ripensare l’arte in considerazione dell’attuale crisi globale e locale.

L’arte affronta la necessità di trovare nuovi modi e prospettive sul suo posto e la sua funzione nella società.

Intendiamo dare avvio a una ricerca comune di artisti pubblico pensatori sulle questioni relative alla rilevanza dell’arte.

Il giorno sarà il 7 settembre, e sarà dedicato a diversi laboratori orientati a creare un processo di pensiero fondato sul corpo e a riunire i partecipanti in un corpo-cervello collettivo.

Chiediamo al pubblico e agli artisti di condividere con noi le loro idee dopo aver letto tre articoli, uno dei quali è tuo: “Why artists” del 2013.

Credo che il tuo stile di pensiero potrà contribuire a una migliore comprensione delle nostre possibilità e dei modi in cui possiamo realizzarle.

Conoscere meglio il tuo lavoro e le tue idee sarà una cosa eccellente per la scena artistica israeliana.

Speriamo che tu possa prendere in considerazione questa proposta. Facci sapere se sei disponibile e quali sono le tue condizioni.

Fammi sapere se ci sono ulteriori dettagli.

Ecco dove si possono trovare informazioni sul festival:

Itzak Giuli»

Gli ho riposto ponendo alcune condizioni per la mia partecipazione al festival, come lui stesso mi ha chiesto di fare:

«Caro Itzik Giuli,

grazie per il tuo cortese messaggio. Mi chiedi quali siano le mie condizioni per partecipare al Festival di Israele, e nelle righe che seguono risponderò alla tua domanda.

Sarò felice di partecipare al festival se il governo di Israele decide di recedere dall’orribile progetto di Anschluss, e di fermare l’occupazione illegale delle terre palestinesi.

Inoltre, per accettare l’invito chiedo che il governo di Israele cancelli la Legge adottata il 19 luglio 2018 che identifica lo stato nazionale con una proprietà esclusiva del popolo ebreo.

In effetti mi vergognerei di collaborare con una istituzione di uno stato che è colonialista, segregazionista e razzista.

Spero che le mie richieste verranno accettate, perché il futuro del popolo ebreo è oggi minacciato dall’antisemitismo che si diffonde alimentato dal comportamento fascista dell’attuale governo israeliano.

Grazie per la considerazione

con amicizia

Franco Berardi»

Purtroppo il governo di Israele non ha accettato le mie condizioni, sembra.

Peccato, mi perderò il Festival, ma me ne farò una ragione.

16 luglio

Ieri sera siamo andati a cena in un ristorante nei vicoli della città vecchia e a un certo punto sono passati Alja e Leon. Ho conosciuto Alja nei primi giorni di questa vacanza, correva sul marciapiede di cemento che costeggia il mare tutta vestita da jogger, l’ho notata subito per i suoi capelli verde smeraldo. Poi lei mi ha riconosciuto e ha detto «ma lei è Bifo?». «Sì» ho detto io, mantenendo le distanze. Siamo subito diventati grandi amici, sia pure a distanza come si conviene.

Billi ed io siamo andati a trovarla nella sua casa sulla piazzetta, dove soggiorna con Leon, un ragazzo tedesco che fa il cantante di professione. Siamo diventati amici, abbiamo parlato di molte cose ma soprattutto dell’isola, e di questa piccola città dove la sua famiglia ha una casa da tre o quattro generazioni.

Alja è nata a Napoli però vive a Berlino però ha studiato a Bologna però sua mamma insegna a Zagabria. Suo padre viene da un villaggio della Bosnia, e i genitori della madre avevano questo appartamentino pieno di libri di letteratura dove abbiamo preso insieme il caffè. L’appartamento è ai limiti del collasso, il pavimento di legno è tutto storto, ma sai qui le case hanno muri di pietra non c’è pericolo che vengano giù.

Ieri sera dunque sono passati Alja e Leon e si sono seduti qui e abbiamo cenato insieme, abbiamo parlato di vari argomenti esoterici informatici e politici, poi ce ne siamo andati in giro per i vicoli. Siamo sbucati fuori in un piccolo spiazzo triangolare dove c’era una orchestrina che suonava Imagine, e simili canzoni d’autrefois che non mancano mai di commuovermi. Ma qui è successo il fattaccio. Cioè non proprio fattaccio intendiamoci, ma insomma l’evento che mi ha un po’ turbato.

Mentre io Billi Leon e Alja stavamo appoggiati al muro ascoltando la musica e guardando il tramonto sul canale che divide la pineta dalle case del villaggio, una ragazza bionda esile esile si è alzata dalla sedia in cui se ne stava bevendo un prosec, e si è precipitata su Aljia afferrandola alla vita e trascinandola con sé, teneramente. Ho visto Aljia volteggiare, un po’ stralunata cercando di mantenere il viso rivolto a destra o a sinistra, cercando di evitare di respirarsi bocca sulla bocca, mentre la sua indiavolata corteggiatrice guidava i suoi passi sul lastricato di pietre lucidate dai secoli e tutti noi trattenevamo il fiato.

Più tardi Aljia ci ha detto del suo imbarazzo e della sua eccitazione. Alitandole alcoolicamente un po’ sulla faccia l’esile ragazza le ha detto che l’aveva notata durante il giorno e che aveva voglia di ballare con lei. Ho sentito in quel momento una simpatia dolorosa per Aljia e per l’esile biondina tentatrice.

«Non sapevo come comportarmi… ma come posso rifiutare un approccio galante così affettuoso?» ci ha detto Aljia, «però domani debbo rivedere mia madre che ha settant’anni»

Allora abbiamo scherzato, Aljia ha tirato fuori una salvietta disinfettante per rimuovere ogni residuo del contatto.

Tristezza, allegria.

Poi abbiamo camminato insieme tutti e quattro ritornando a casa, e mantenendo il metro e mezzo di distanza, siamo arrivati alla fine della strada e ci siamo salutati perché Aljia e Leon partono domani per Zagabria. Senza toccarci, senza abbracciarci, senza baciarci, ma soltanto sorridendo, agitando le mani, e chinando un po’ il capo con le mani giunte.

Namasté.

Tristezza, allegria.

17 luglio

Chissà chi è quest’uomo che galleggia nel mar mediterraneo intrappolato con la testa tra i due tubolari di un gommone mezzo affondato chiusi a tenaglia attorno al suo collo. È solo uno delle tante decine di migliaia che noi anneghiamo con le nostre mani.

Vengono dalla Libia, dove un accordo è stato rinnovato dagli assassini italiani, dall’assassino Luigi Di Maio, dall’assassino Matteo Salvini e dall’assassino Marco Minniti, per non dimenticare nessuno.

Siamo complici di una violenza infame, di una strage, della quale non avremo il tempo di pentirci perché l’apocalisse spazzerà via la schifosa popolazione italiana prima che essa trovi il tempo di rendersi conto di quello che ha fatto e di quel che sta facendo.

È morto di stenti, arso dal sole e dalla sete durante una traversata senza soccorsi. Lo sapevamo, certo che lo sapevamo che quest’uomo era solo in mezzo al mare chissà da quanto tempo. Abbiamo radar satelliti telecamere da ogni parte ma gli assassini della polizia e della guardia costiera usano questi strumenti per proteggere gli assassini del popolo italiano, salviniani o zingarettiani che siano non fa nessuna differenza. Belve spaventate, belve che azzannano nella speranza di non essere azzannate. Ma saranno azzannate ben presto. Sarete azzannati, assassini italiani, finirete azzannati.

Da qualche parte del mondo c’è qualcuno che aspetta notizie di questo cadavere galleggiante dalla pelle chiara le gambe pelose oscenamente nude.
Si era imbarcato per venire in Europa, forse sperava di poter guadagnare tre euro l’ora facendo lo schiavo per qualche terrateniente pugliese. Avrebbe mandato metà del suo salario a sua moglie, a sua madre? Ha passato qualche mese in un lager libico in mano ai torturatori pagati da noi?

Non ha più nessuna importanza. Nulla ha più nessuna importanza.

Quanto a lungo è rimasto solo dopo aver visto morire i suoi compagni di viaggio?

Dall’alto qualcuno guardava, non intendo dall’alto dei cieli, ma dall’alto di un elicottero.

Pietà l’è morta.

18 luglio

Frey Betto, il teologo brasiliano la cui voce da tanti anni accompagna la storia di sofferenza e di emancipazione di violenza e di speranza dell’America Latina ha mandato una lettera ai suoi numerosi amici nel mondo.

«Questo genocidio è figlio dell’indifferenza del governo Bolsonaro. Si tratta di un genocidio intenzionale. Bolsonaro si compiace dell’altrui morte. Quando era un deputato federale in un’intervista del 1999 aveva dichiarato: “Tramite il voto, in questo Paese non cambia assolutamente niente! Cambierà il Paese se ci sarà una guerra civile e se faremo ciò che la dittatura militare non ha fatto: uccidere 30 mila persone!”. Votando per l’impeachment della Presidente Dilma, Bolsonaro offrì il suo voto in memoria del più noto torturatore dell’Esercito, il colonnello Brilhante Ustra.

Ed è talmente ossessionato dalla morte, che una delle principali politiche del governo è la liberalizzazione del commercio delle armi. Intervistato all’ingresso del Palazzo presidenziale, se non gli importava di tutte le vittime della pandemia, Bolsonaro ha risposto: “Non credo a questi numeri “(7 marzo, 92 morti); “Tutti moriremo un giorno” (29 marzo, 136 morti); “E cosa posso farci?” (28 aprile, 5071 morti).»

La questione che pone Frey Betto è agghiacciante ma urgente: esiste una intenzionalità dietro le politiche di alcuni governi, come quello di Bolsonaro, Trump, Johnson, che appaiono finalizzate allo sterminio della popolazione? Si tratta di incompetenza o di volontà genocida, come insinua Frey Betto?

Piuttosto che parlare di intenzionalità parlerei di istinto: l’istinto del dominatore che si sente in pericolo. Se non c’è spazio per tutti, se non ci sono risorse per tutti, occorre garantire il futuro della nazione (America first, Prima gli italiani e così via…) attraverso l’eliminazione di una popolazione eccedentaria, improduttiva, marginale. È questo il significato consapevole o inconsapevole del suprematismo bianco.

Il Covid ha creato le condizioni di una guerra di sterminio.

Ma alla fine: chi eliminerà chi?

20 luglio

Diciannove anni dopo Genova. Quei tre giorni provocarono un sentimento di terrore che non avevamo mai provato prima. Non credevamo che la tortura potesse diventare la norma in questo paese, ma c’erano tante cose che il nuovo secolo teneva in serbo per noi, e che in quel momento non potevamo neppure immaginare.

La conseguenza politica o fu lo sfaldamento delle strutture di movimento, e un ripiegamento intellettuale oltre che sociale. Quel che rimase del movimento abbracciò l’idea che la democrazia, questa democrazia fosse tutto quel che ci restava da difendere. Era il segno di una disfatta intellettuale definitiva.

Sedici anni dopo, nei giorni del G8 di Amburgo migliaia di persone sfilarono dietro uno striscione che diceva: «Welcome to the hell».

E a Minneapolis qualche giorno fa, nei giorni della rivolta, è comparsa la scritta: «Another end of the world is possible», che ci permette di misurare la distanza da Genova.

Non è più la ragione politica, ma l’inconscio che parla in quella frase: un’altra fine del mondo.

Giudicare l’inconscio non serve a niente. L’inconscio non si giudica non si assolve, non si condanna. Puoi solo cercare di interpretarlo. E l’inconscio parla nelle insurrezioni che nell’ultimo anno sono esplose da Hong a Santiago a Minneapolis, ma non sembrano avere un programma, una direzione in cui muovere, una strategia.

La vecchia opposizione tra violenti e non violenti non ha più ragion d’essere, come dimostrano gli eventi di Minneapolis, Portland, Chicago.

I tumulti si organizzano a diversi livelli, dalla protesta all’attacco, alla difesa, al looting, tutti ugualmente legittimi e complementari.

Le tattiche dell’insurrezione si vanno raffinando, nelle città americane, ma c’è una strategia? C’è l’idea di un esito finale, di un mondo migliore? Non c’è, non può più esserci.

C’è la determinazione a distruggere tutto prima che loro distruggano noi.

Si fa strada l’idea che tutto quello che si potrà fare nel futuro sarà creare zone liberate, e difenderle con ogni mezzo necessario. Comunità che si separano, dotate di tutti gli strumenti necessari per l’alimentazione, lo scambio con l’esterno e l’autodifesa.

Non basta più attaccare e bruciare il commissariato di polizia il giorno dopo l’omicidio di George Floyd. Occorre che gli aguzzini sappiano che siamo pronti a difenderci.

Non c’è più nessuna legge cui appellarsi. Non c’è più nessuna legge da rispettare.

Come suggerisce Elsa Dorlin In DIfendersi, Una filosofia della violenza, si tratta di elaborare un’etica marziale del sé collettivo e individuale: «Queste contro-condotte subalterne», afferma Dorlin, «formano quelle che io chiamo l’autodifesa propriamente detta, in contrasto con il concetto giuridico di legittima difesa».

La principale enunciazione politica del testo di Dorlin sta proprio in questa contrapposizione tra «legittima difesa» (delle classi dominanti) e «autodifesa» (dei gruppi oppressi). La «legittima difesa» presuppone un «soggetto di diritto» legalmente costituito (in virtù del possesso proprietario, così come dell’appartenenza di razza e di genere), il passaggio alle pratiche di autodifesa è stato l’unica garanzia di soggettività politica dei corpi subalterni.

21 luglio

Stanotte ho fatto un sogno: cammino con mia madre lungo via Indipendenza, nel centro di Bologna. Ha piovuto, e l’aria è grigia. Giunti all’incrocio con via Manzoni c’è un gradino sul quale sia io che mia madre inciampiamo. Cadiamo a faccia in giù dentro una pozzanghera. Io mi risollevo abbastanza rapidamente, poi cerco di sollevare mia madre, che è ancora riversa per terra con la faccia nella pozza. Ma non ci riesco, è troppo pesante, non ci riesco….

Allora me ne vado, lasciandola lì. Raggiungo casa e forse mi preparo un caffè, non so… sto facendo qualcosa intorno ai fornelli, quando la porta si apre ed entra lei, mia madre, con la faccia il naso la bocca ricoperti da garze e da cerotti. Non è arrabbiata con me, ha l’aria triste, rassegnata, e mi dice che l’ha curata il farmacista.

Il sogno mi ha lasciato un sentimento di colpa, di inadeguatezza che non mi lascia per tutta la giornata.

L’angoscia come un punteruolo nello stomaco soprattutto nelle ore mattutine. Ossessioni che solo la scrittura sa sospendere, trasformando quell’energia dolorosa.

Nulla di quel che ho creduto nella mia vita era vero. Illusioni dolorose.

Ma la scrittura costruisce mondi che non hanno alcun bisogno di verità obiettiva. E l’ossessione è il motore di questa energia immaginativa.

Ma per andare più veloce dell’angoscia bisogna correre veloce e andare nella stessa direzione in cui l’angoscia mi trascina: correre lungo la dinamica del disastro, un metro più avanti della crepa che veloce si apre nel terreno e rischia di ingoiarmi. Quando scrivo non ho paura della crepa, non ho paura del disastro, non ho paura di niente. Corro, e qualsiasi interruzione di questa corsa mi ripiomba nell’angoscia lenta come se il precipizio mi inghiottisse.

Cerco allora di eliminare ogni ostacolo che mi impedisce o rallenta la mia corsa, inauguro nuovi territori di scrittura, e costruisco ordigni immaginativi uno dopo l’altro, che si arrampicano forse uno sull’altro per non raggiungere alcun cielo. Ma forse solo per sfuggire all’inferno.

22 luglio

Superata la soglia dei quattro milioni di casi negli Stati Uniti. La pandemia non dà segno di recedere.

Si concludono i colloqui di Bruxelles. C’è l’accordo. L’Italia avrà i suoi miliardi per la ripresa. Conte è salvo, Salvini pare un lupo spelacchiato che sbraita alla luna. Non ha la stoffa di Mussolini, ne troveranno uno all’altezza?

E dei soldi che arriveranno (nel 2021) dal Recovery Fund che ne faremo? Finanzieremo il Family act che offre soldi alle madri della patria per evitare che i prolifici africani facciano la famosa grande sostituzione.

23 luglio

James Lovelock compie oggi 101 anni, ma è più arzillo che mai.

Qualche decennio fa elaborò una teoria ingegneristico-cosmica che conosciamo come Gaia theory: ogni fenomeno della natura va considerato in relazione a ogni altro fenomeno, perché Gaia, la Terra è un organismo vivente composto da innumerevoli inter-dipendenze.

Nel giorno del suo compleanno gli chiedono se il virus fa parte dell’auto-regolazione di Gaia.

Certamente, risponde Lovelock. È parte della teoria dell’evoluzione. Una specie non può proliferare se non ha una risorsa di cibo. In un certo senso noi umani siamo diventati il cibo. Potremmo facilmente fare un modello che dimostri che poiché la popolazione umana sul pianeta è diventata sempre più numerosa le probabilità di evoluzione di un virus che tagli via una parte della popolazione sono molto alte. Noi umani non siamo proprio un animale desiderabile, da lasciar proliferare illimitatamente sul pianeta. Malthus aveva ragione. Ai suoi tempi, quando la popolazione sulla terra era molto più piccola e distribuita meno densamente, penso che il Covid non avrebbe avuto nessuna possibilità.

24 luglio

Secondo l’organizzazione mondiale della sanità oggi si è battuto il record di nuovi positivi quotidiani: 284.000. In America superata la soglia dei quattro milioni di positivi. Siamo nel pieno della diffusione pandemica, altro che ritorno alla normalità.

Trump ha cancellato la convenzione repubblicana che si doveva tenere in Florida. Per forza, la Florida è un lazzaretto dove i vecchi muoiono come mosche, e i vecchi sono tanti in quelle paludi bonificate piene di centri di assistenza per i vecchi bianchi. Come si può tenere una convention laggiù?

Ma si può anche supporre che il presidente stia preparando le condizioni per dire a un certo punto: scusate, le elezioni non si possono tenere. Rimango al comando della nazione.

A Portland continuano le battaglie di strada. Qualche giorno fa gli scontri si stavano spegnendo, ma poi, contro il parere degli stessi repubblicani Trump ha mandato un corpo di polizia federale costituito dopo l’11 settembre per contrastare fenomeni di terrorismo. Per protestare contro l’intervento delle truppe di occupazione sono scese in strada le madri di Portland. Poi gli scontri sono ripresi feroci in tutta la città. Il palazzo di giustizia è andato a fuoco. Il cantiere di costruzione di un carcere giovanile è andato a fuoco.

Perché Trump ha fatto questo gesto di arroganza? Se la sua intenzione era quella di sedare la rivolta il suo è stato un fallimento: la rivolta è ripresa più forte, e ha coinvolto settori della popolazione che prima restavano ai margini.

Ma forse l’intenzione di Trump è un’altra: attizzare lo scontro, alzare il livello della violenza, preparare una situazione incontrollabile proprio alla vigilia delle elezioni.

Segnali di guerra dal Mar della Cina.

Chiusura del consolato cinese di Houston. Chiusura del consolato americano di Chengdu.

Il ministro dell’economia italiano, Gualtieri, democratico (come no), per fare pressione sugli alleati cinquestelle ha cominciato ad agitare la minaccia che io aspettavo da tempo.

Non potremo più pagare le pensioni.

È da un po’ che lo so: anche a noi pensionati italiani prima o poi ci tocca la sorte dei pensionati greci che per ottemperare alle regole europee hanno visto decurtati più volte i loro introiti mensili.

Per ora è una minaccia, ma il ministro Gualtieri ci ha detto che saranno i pensionati a pagare, non gli evasori fiscali, non le aziende italiane con sede legale in Olanda.

27 luglio

La guardia costiera libica ha ucciso tre ragazzi sudanesi che tentavano di scappare dal campo di tortura in cui sono detenuti. Noi paghiamo lo stipendio alla guardia costiera. Noi paghiamo le armi con cui sparano. Noi paghiamo i campi di tortura. Noi paghiamo per proteggere la nostra sicurezza.

29 luglio

Mi sono svegliato presto, troppo presto, con questo punteruolo alla bocca dello stomaco che toglie il respiro.

Verso le otto ho preso una pillola che mi ha fatto un effetto di stordimento, sonnolenza, ma anche una leggerezza piacevole. Sono andato in giro per la città vecchia con Billi, a cercare capperi e fiori di finocchio. Nonostante il caldo asfissiante di questi giorni, nell’ombra celeste dei vicoli lastricati di pietre bianche arriva la brezza che scende giù dal lungo canale di mare. Abbiamo trovato una pianta di capperi sul muro della chiesa di san Rocco.

30 luglio

In maggio è morta la sorella di un amico, una persona che conoscevo bene.

L’ho saputo solo adesso, quasi per caso.

Il mio amico mi aveva cercato, in quei giorni di maggio, e mi aveva parlato di questo e di quello, ma non aveva fatto cenno alla morte di sua sorella.

Mi chiedo come si possa elaborare un’ossessione. Una concatenazione inarrestabile di pensieri, di ricordi, di supposizioni, di immaginazioni e di premonizioni si è insediata nella mia mente, fino a provocare stati di angoscia.

So che è quasi del tutto inutile opporre la volontà all’ossessione, perché l’ossessione tende a paralizzare la volontà, ne sospende la vigenza, ne elude completamente divieti e ingiunzioni.

È dunque più utile, come suggerisce Paul Watzklawic, prescrivere il sintomo, dunque prescrivere l’ossessione. Lasciare che l contenuto ossessivo ti invada, ti trascini, ma al tempo stesso compiere un’operazione di ri-significazione. Si tratta di comprendere come mai il desiderio ha preso la forma dell’ossessione, si tratta di restituire i contenuti dell’ossessione al desiderio, perché l’ossessione è desiderio catturato. I contenuti dolorosi dell’ossessione contengono e nascondono un piacere che non vogliamo riconoscere, un piacere dell’abisso che non osiamo confessarci. L’ossessione è dolorosa perché vede unicamente il lato doloroso, oscuro, irraccontabile di un’esperienza, di un ricordo, di una premonizione.

Ma non vi è forse in questa concatenazione ossessiva un contenuto di godimento possibile che la mente non riesce a vedere?

L’elaborazione del sintomo ossessivo, della sofferenza ossessiva mi pare che stia nello scoprire il piacere che ci sfugge (che ci terrorizza, ma al tempo steso ci eccita) nel contenuto immaginativo dell’ossessione.

31 luglio

Camminiamo nella pineta che costeggia il lungo canale di mare che taglia in due la città di Stari Grad. Per il caldo cammino come un sonnambulo.

Ci fermiamo su una panchina all’ombra di un pino che si sporge sul dirupo, verso il mare. Guardo davanti a me, e nell’aria immobile vedo qualcosa che non riesco a riconoscere, come una composizione grafica astratta che volteggia a mezz’aria, sullo sfondo del mare senza onde.  A mezz’aria, sollevato sui cespugli che degradano, appena mossa da un leggero breve alito di vento sullo sfondo del mare, decine di linee, segmenti, tremanti aghi scuri che disegnano un panorama astratto.

Mi avvicino quanto posso, cercando di non perdere l’equilibrio e finalmente, in controluce, riesco a vedere una invisibile sottilissima ragnatela argentea, che un ragno sta tessendo da un cespuglio all’altro, proprio sotto questo pino. È forse un ragno artista concettuale.

Leggeri gli aghi cadono si fermano impigliati sulla tela, e lì rimangono.