La frocia di rappresentanza

Essere gay tra potere maschile e oppressione eterosessuale: un’invettiva di parte

Alla domanda «tu, da che parte stai?», l’interrogato, in quanto «operatore culturale» deve rispondere indicando la parte dei lavoratori come lui alienati e sfruttati; e agire di conseguenza. Ma lo «specialista dei sistemi di segni e di valori» – che può essere e può non essere «operatore culturale» e «lavoratore culturale» e che è implicato tanto nell’intellettuale umanistico tradizionale quanto nell’odierno intellettuale di mentalità scientifica e nell’organizzatore politico, nell’insegnante ecc. – non può non rispondere se non operando dei sistemi di cui dispone. Il suo indice sarà così rivolto alla propria contraddittorietà, perché intrinseca nella propria funzione.
Franco Fortini, «Non si dà vita vera se non nella falsa», in Contro l’industria culturale. Materiali per una strategia socialista (Bologna: Guaraldi, 1971)

La frocia di rappresentanza è un uomo cisgenere che a un certo punto della sua vita fa una pessima scoperta: scopre di essere, per l’appunto, una frocia. Se è ricca, scopre di essere gay.

La frocia di rappresentanza è stata presumibilmente bullizzata da tutti i suoi coetanei maschietti. Ma è ancora più probabile che abbia bullizzato il compagnuccio con gli occhioni grandi, quello che fa più femminuccia. O forse entrambe le cose. Potrebbe anche aver subito uno stupro o due, se avete il gusto per il trauma. Per quello che ve ne importa.

Non importa di sicuro alla frocia di rappresentanza, che una volta impugnato il suo coming out è fiera di aver finalmente vinto l’eteropatriarcato: idda rifulge in piena luce, fuori dal maledetto armuàr che ci teneva imbrigliate, incatenate, sottomesse, ferite, agghiacciate, indignate e via processionando di aggettivi flamboyant. Insomma, idda si dichiara e vince, storia finita, almeno così pare all’inizio. Resta poi sul piatto il problema di un soggetto contraddittorio: è maschio, ma è esattamente maschio? Dovrà passare l’interezza della propria esistenza, consapevolmente o meno, a dimostrare di volta in volta la propria internità o esternità al genere maschile.

Sembra una barzelletta, e invece è una tragedia. La frocia di rappresentanza ha più o meno il ruolo che le era stato assegnato nelle fiction della RAI degli anni Novanta e primi Duemila. Vi ricordate il commesso finocchio sfigatissimo in Commesse? Esattamente. In un interminabile prolungamento di un’infinita idea di Stefano Accorsi, la frocia di rappresentanza non farà altro che da segnalino posizionale, testimoniando la propria esistenza contemporaneamente identica e differente a quella degli altri uomini. Si sentirà perennemente a disagio attraversando ambienti irrimediabilmente eterosessuali – per struttura e funzionamento implicito più che per convinzione – nei quali uno sguardo di troppo può significare la pubblica gogna, la minaccia, le botte. Oppure, più semplicemente, reggerà il cocktail in mano spaesata dall’ormai incomprensibile socialità eterosessuale, e conterà i minuti che la separano dalla fine della jam session e dalla possibilità di scappare alla serata gay.

La frocia di rappresentanza testimonia e conferma l’essere minoranza della maschilità omosessuale: è il colpo di stiletto inferto all’eteropatriarcato guarito con la pomata cicatrizzante dell’assimilazione differenziale.

La frocia di rappresentanza è prima un ruolo e una posizione all’interno di un gruppo sociale specifico che un soggetto incarnato. Ogni maschio omosessuale cisgenere, possibilmente bianco, può assolvere alla funzione di frocia di rappresentanza. È «l’amico gay» sbandierato dalle organizzazioni politiche di destra, la fedele borsetta delle frociarole, l’esponente LGBT del sindacato che non la lascerà occuparsi di diritti LGBT, la quota queer dei collettivi cui si metterà interamente sulle spalle la responsabilità della frocizzazione dello spazio politico, è il gestore delle risorse umane in un’azienda in cui i soggetti LGBT sono in netta minoranza, il finocchio nella combriccola di amici maschi che fa ridere perché parla di cazzo mentre gli altri parlano di fica (dandosi tra loro dei finocchi). La frocia di rappresentanza testimonia e conferma l’essere minoranza della maschilità omosessuale: è il colpo di stiletto inferto all’eteropatriarcato guarito con la pomata cicatrizzante dell’assimilazione differenziale. Il coltello che affonda una prima volta e che perde il filo immediatamente dopo.

Non è detto che la frocia di rappresentanza debba essere particolarmente brillante; ci si aspetta però – sempre dall’esterno – che abbia una delle due caratteristiche fondamentali riconosciute a noi gheisz: la sensibilità o la cattiveria. Poi magari può succedere che la incarniamo anche: per inversione dello stigma, per gioco, per riconoscimento della sottomissione all’eteropatriarcato. Una fatica che non vi dico: tocca continuamente mimare gli standard della società eterosessuale per rendersi comprensibili. Se no, sapete com’è, «non si vede»: ma se non si vede figuriamoci, è meglio ancora, giro di complimenti pure dalla nonna perché non si vede che pigli cazzi in culo a mazzi da cinque. Vivi complimenti, dalla nonna, dalla zia, dalle colleghe di lavoro, dalle amiche di aperitivo della combriccola universitaria, dalle compagne di collettivo: minchia frocia di rappresentanza, complimenti, non si vede nemmeno che sei frocia! E se si vede va bene lo stesso: sarai la frocia cattiva, o sarai la frocia sensibile. Pronta per il trono di Maria.

La frocia di rappresentanza è interpellata a parlare per tutte le frocie. Magari non le va nemmeno, ma le tocca: ma è vero che l’HIV è la malattia dei froci? Ma è vero che voi froci scopate di più? E secondo te perché? Com’è bello che scopate solo fra maschi, senza le donne tra i coglioni… ah, ma uno di voi due fa la donna? Di più: non solo è chiamata a parlare per tutte le frocie, ma per le lesbiche, per le persone bi- e pansessuali, per le persone trans o non binarie di qualunque orientamento sessuale. La frocia di rappresentanza è martire della condizione LGBTQIA+ in generale, il soggetto universale che la incarna. La frocia di rappresentanza assolve a una funzione cruciale della maschilità: l’universalità supposta di una condizione. Oscilla continuamente tra il richiamo a partire da sé e dalla propria diserzione dall’eteropatriarcato e l’ingiunzione a riallinearsi alla neutralità dell’universale maschile.

La frocia di rappresentanza può usare il proprio privilegio maschile del tutto inconsapevolmente, anche dopo averlo discusso, decostruito, deformato, modificato, passato al setaccio; il suo polsino slogato diventa il pugno di ferro che sbatte sul tavolo dell’azienda e agisce il mobbing verso la lavoratrice (donna, cisgenere, eterosessuale) che gli è sottoposta; diventa l’intervento di quarantacinque minuti in assemblea paralizzando tutti i soggetti non in grado di prendere parola. La frocia di rappresentanza può pertanto essere lanciata come il cane da guardia del gruppo sociale che la elegge: il proprio posizionamento le consente di aggredire in difesa della rispettabilità del gruppo di appartenenza.

La sua posizione è un equilibrio precario ed è costantemente revocabile. La frocia di rappresentanza non è accolta per amministrare il Potere con la P maiuscola: è lì a recitare la parte dell’only gay in the village. La frocia di rappresentanza può rappresentare comunità ristrette o comunità più larghe: può essere un giornalista, uno storico, un_ soubrette, un piccolo imprenditore, un social media manager, un attore; tutte queste cose determinano la sua posizione nella gerarchia generale delle maschilità perché intersecano la sua posizione nel ciclo produttivo, ma come nelle gerarchie professionali e di classe c’è sempre un leggero sfasamento tra la posizione occupata e l’effettivo potere esercitato. Manifesta talvolta segni evidenti di minority stress: il Figaro di ogni situazione sociale, uno alla volta per carità, è chiamato costantemente a rammendare gli strappi nel sistema egemonico della maschilità eterosessuale. Alla frocia di rappresentanza è demandato l’infame lavoro di riconferma dell’esistenza della maschilità in ultima istanza.

Non è una frocia di rappresentanza Peter Thiel. Non sono frocie di rappresentanza quei soggetti completamente allineati alle procedure del maschile e del capitale, per il banale motivo che la loro frocità diventa completamente accidentale e non pertinente. La frocia di potere è praticamente un maschio senza altre distinzioni.

La posizione della frocia di rappresentanza è invece revocabile. Poiché funziona contemporaneamente come ariete di sfondamento della dissidenza contrasessuale e come cane da guardia dell’eteropatriarcato, la sua posizione intermedia è vicina a quella delle maschilità subalterne, e in quanto tale perennemente attaccabile – molto più delle maschilità subalterne. La frocia di rappresentanza amministra un canale di comunicazione, è un cavo ad alta tensione attraversato da flussi ingenti di potere di genere.

La frocia di rappresentanza è il ceto medio della gerarchia del genere, il Mastro Don Gesualdo delle maschilità. Il suo habitus è contraddittorio, le sue pratiche dissociate.

La frocia di rappresentanza di volta in volta potrà essere il maschio di merda con cui prendersela o l’alleato che le femministe si attendono. Sarà il capro espiatorio della deviazione rispetto al progetto politico, il complice presunto del potere maschile, il più cattivo di tutti gli uomini che ci opprimono – esattamente come la donna di potere. La frocia di rappresentanza è quella che viene fatta fuori quando non si riesce a mettere in discussione i maschi dominanti, la prima testa che salta quando la matrice eterosessuale della dominazione maschile non viene messa in discussione.

La frocia di rappresentanza è il ceto medio della gerarchia del genere, il Mastro Don Gesualdo delle maschilità. Il suo habitus è contraddittorio, le sue pratiche dissociate. Rischia di venire menata per strada o di ottenere un posto da CEO. La sua oppressione è difficilmente individuabile perché condivide molti dividendi di maschilità con gli altri maschi. L’occultamento della sua posizione maschile è continuamente rinnovabile, anche nella forma della diserzione dal patriarcato; ma in quella stessa diserzione sta il germe eversivo della propria imprevedibilità sistemica.

La frocia di rappresentanza è la figura problematica di un maschile non ancora messo in discussione pubblicamente. Costituisce l’esempio perfetto dell’oscillazione tra la figura del Maschio-Padre-Padrone e il Povero-Maschio-Oppresso-Anche-Lui-Dal-Patriarcato. La frocia di rappresentanza dimostra che attraverso la maschilità passa del potere, in forme subdole che costruiscono di volta in volta maschere differenti; che ci si perde un pezzo di analisi se non si riconosce l’eterosessualità come asse di oppressione e normazione; e tuttavia, che la linea del genere che separa i due generi storicamente egemoni, resta l’ancoraggio saldo dell’ordine della riproduzione sociale. La frocia di rappresentanza testimonia anche che le gerarchie del potere sono mutevoli, cangianti e ingannevoli, e che ragionare in termini di privilegio rischia di bruciare le potenzialità dell’analisi e delle pratiche intersezionali.

La frocia di rappresentanza è la toppa nella falla del dilemma post-patriarcale. Alla crisi della maschilità che fa riemergere l’uomo forte e celodurista – chiamiamolo Salvini, Bolsonaro, a modo suo anche Macron – può rispondere con un allineamento alle forme di maschilità previste dall’eterosessualità obbligatoria o con una decisa eversione dei ruoli che gli sono attribuiti. La frocia di rappresentanza è il negativo storico di un soggetto imprevisto che è possibile costruire, non a partire dal suo privilegio o dalla sua oppressione, ma dalle strategie di sopravvivenza eversiva  che adotta. Non necessita di bordelli, perché ha i frocial network, le serate «only masc», i battuage: l’intero mondo è un gigantesco cruising; compito storico arduo, quello di rimuovere l’ideologia della caccia e il suprematismo maschile dagli spazi queerizzati che abbiamo prodotto. D’altronde si pretende il matrimonio per una questione di principio, ma abbiamo spesso forme di relazione più lasche, meno definite, più contraddittorie: in una parola, feconde. La frocia di rappresentanza crea gruppo intorno alla propria maschilità riproducendo nei propri ambienti un rapporto di dominazione maschile, ma all’esterno torna a essere frocio e basta. Sul crinale di questa contraddizione, sviluppa un istinto per il potere e per la retorica pubblica, e al contempo la poca voglia di metterli in pratica se non in una dialettica del riconoscimento.

La frocia di rappresentanza è sostanzialmente sola.