Angela Balzano: Vorrei iniziare ringraziandoti per il tuo lavoro scientifico transdisciplinare e per la tua passione politica: al tempo dell’accademia neoliberale è raro trovare queste due qualità negli ambienti di ricerca. Allo Scoperto è una fonte straordinaria di affetti affermativi per me e per molte altre persone umane — ma non solo — che ho avuto il piacere di incontrare durante la traduzione del testo e nelle prime discussioni pubbliche avute dopo la sua pubblicazione in italiano. Tra le onde delle tue pagine, ho incontrato il Collettivo Ippolita e Laura Fontanella (la traduttrice italiana) e abbiamo ritenuto con convinzione che il tuo femminismo immersivo neo-materialista dovesse circolare anche qui, per diverse ragioni e passioni tanto scientifiche quanto politiche di cui parleremo. Partiamo dall’inizio, ovvero dal titolo del libro: doveva essere Protest and Pleasure? Posso chiederti di spiegarci questo passaggio a Exposed. Environmental Politics and Pleasure in Posthuman Times?
Stacy Alaimo: Grazie. Ho apprezzato il modo in cui hai affrontato i temi del libro e sono felice che Allo Scoperto si sia collegato al lavoro politico del Collettivo Ippolita. Allo Scoperto analizza il lavoro di molte attiviste, considerandolo come un lavoro intellettuale politicamente radicato nei corpi, e persino come una pratica di “theory”, volta a creare modi alternativi di essere, conoscere e agire. In un’epoca in cui siamo invischiate nelle reti implacabili del capitalismo, è vitale per l’eco-attivismo pensare l’essere attraverso modalità immersive che si impegnano con il mondo materiale e le altre specie. È vero, il titolo, o il sottotitolo, originale doveva essere Protest and Pleasure, ma gli editori chiedono spesso di cambiare i titoli. L’enfasi sul “piacere” nel titolo viene non solo dai capitoli sugli animali queer e sui piaceri dell’abitare multispecie, ma anche dall’idea che un certo tipo di ambientalismo necessiti di modalità di piacere rigeneranti e potenzianti. Si tratta anche di abbandonare il consumismo e gli altri piaceri capitalistici forieri di isolamento e mercificazione per dedicarci alla gioia e alla bellezza che vengono dalla connessione con il mondo multispecie.
per la maggior parte delle specie e degli ecosistemi, così come per la maggior parte delle persone, le catastrofi ambientali sono interconnesse
AB: Come ho accennato prima, tra le onde delle tue pagine – insieme a molte persone umane, alberi, api, fiori e tante altre specie compagne – ho trovato una grande fonte di affetti affermativi per continuare a lottare contro la cementificazione e la deforestazione. La prima presentazione del libro ha avuto luogo in un “parco-bosco occupato” a Bologna, chiamato Don Bosco, dove un tenace movimento politico, il ComitatoBesta, lotta per tutelare il bosco contro gli attacchi violenti della polizia e le politiche aggressive di cementificazione (e gentrificazione e turifistificazione) del Comune. Abbiamo letto insieme le tue pagine sul tree sitting, sui tour eco-sessuali, così come quelle sui processi disciplinari che normalizzano movimenti e saperi. Forse perché abbiamo letto Allo scoperto all’aperto nel bel mezzo del boschetto Don Bosco, sedute in cerchio insieme agli alberi, forse perché anche se si stava facendo buio abbiamo continuato a leggere, ma sono andata via convinta che studiare i danni che gli “umani industrializzati” hanno provocato, mentre si costruiscono relazioni insieme — rifugi, luoghi di rigenerazione — sia davvero sempre piacevole/possibile e come scrivi tu, sia anche “insurrezionale”. Eppure, le conversazioni sulla “fine” sembrano non avere mai fine. Perché l’eco-ansia aumenta? Chi è che soffre di eco-ansia? E nel frattempo, chi è che sta già subendo gli effetti devastanti del riscaldamento globale legato all’estrattivismo capitalista? Quali collettività già lottano contro di esso? C’è forse qui in gioco una questione di privilegio? Perché ho questa sensazione circa la diffusione dell’eco-ansia: mi sembra un tentativo occidentale di rimuovere le nostre responsabilità. Ho trovato una sorta di rifugio nelle tue pagine, mi convince in particolare il tuo modo di non sottrarti, di “stare con i problemi”, di collegare l’assunzione di responsabilità alla possibilità concreta di poter smettere di soffrire di eco-ansia riconoscendo che noi, “umani industrializzati” nelle nostre metropoli cognitive, siamo la parte principale del Pacific Trash Vortex. Possiamo sostenere questo processo e come?
SA: È profondamente toccante sapere che il vostro gruppo ha letto e discusso Allo scoperto nel bosco che il ComitatoBesta intende proteggere con le sue lotte! Mi entusiasma l’idea che il libro sia stato utile a questo movimento! Le pubblicazioni accademiche spesso sono isolate all’interno delle università, paradossalmente lontane da molti dei problemi sociali, politici e ambientali di cui trattano. L’idea che il libro sia stato discusso in un bosco difeso da un movimento politico mi entusiasma. Mi piace anche la conclusione a cui tu giungi, cioè che “studiare i danni che gli ‘umani industrializzati’ hanno causato, mentre si creano relazioni insieme – rifugi, luoghi di rigenerazione – è davvero sempre piacevole/possibile”. Abbiamo così tanto lavoro ambientale da fare, su così tanti fronti, occorre costruire comunità e sperimentare la gioia, il piacere e l’apprezzamento dei luoghi, degli ecosistemi e delle specie, occorre tutelarli e tutto questo può infondere energia e slancio alle persone e ai gruppi attivisti.
Penso che l’ansia ecologica si stia diffondendo perché le catastrofi ambientali globali si susseguono a un ritmo velocissimo. Se da un lato dovremmo sicuramente preoccuparci del cambiamento climatico, dall’altro mi preoccupa il fatto che la maggior parte delle rappresentazioni del cambiamento climatico lo abbiano scollegato da altri problemi ecosistemici. Il cambiamento climatico mette in ombra tutte le altre preoccupazioni: sembra che sia l’unico problema ecologico di cui la maggior parte delle persone e dei governi sia a conoscenza. Ma per la maggior parte delle specie e degli ecosistemi, così come per la maggior parte delle persone, le catastrofi ambientali sono interconnesse. Oltre al cambiamento climatico, dobbiamo affrontare la sesta estinzione di massa, il collasso degli ecosistemi, l’inquinamento plastico, radioattivo, chimico e biologico, la siccità e la scarsità d’acqua, l’agricoltura industrializzata, l’inusitato assalto agli oceani, la distruzione delle foreste, la perdita di habitat e il modo in cui il Sud globale e le popolazioni economicamente svantaggiate soffrono maggiormente dei danni ambientali. Credo che il fatto che molte persone sperimentino l’eco-ansia, l’eco-lutto e persino l’eco-rabbia abbia senso. Io provo tutte queste cose. Affrontare queste realtà disturbanti è il primo passo verso il cambiamento. La devastazione ambientale è catastrofica e sta accelerando ed è estremamente difficile rallentare i danni e creare mondi più vitali, belli e giusti per la vita, umana e non solo.
Penso che tu abbia ragione nel mettere l’accento sulle questioni relative al privilegio e alle soggettività privilegiate che derivano dall’ansia ecologica. Quello che noto negli Stati Uniti è che il cambiamento climatico, inteso come discorso sull’ansia ecologica, è spesso articolato in un modo finalizzato a sostenere gli stili di vita delle persone più privilegiate. Se l’obiettivo della lotta al cambiamento climatico è quello di proteggere le ville sulla spiaggia dei miliardari dall’innalzamento delle acque degli oceani, o di proteggere l'”economia” attraverso un crescente estrattivismo, anche se le “risorse” della vita oceanica, dei combustibili fossili, dei minerali di terre rare, ecc. diventano più difficili da raggiungere, questo per me non è eco-attivismo. Questa è avidità egoistica e individualismo capitalista. Sono molto preoccupata per il modo in cui l’ambientalismo – che dovrebbe avere a cuore sia la giustizia sociale sia la vita di tutte le specie del pianeta – è stato addomesticato e dirottato dai più privilegiati. E poiché l’ambientalismo è diventato un argomento accademico molto popolare, è triste vedere che ci sono persone interessate all’ambiente come argomento accademico che non adottano pratiche ecologiste nella vita quotidiana. Credo che la critica politica e le azioni dei movimenti sociali siano necessarie, ma anche che noi, soprattutto le persone dei Paesi industrializzati che causano i maggiori danni all’ambiente, possiamo opporci alle ideologie del capitalismo estrattivo impegnandosi in pratiche ambientali che riducono al minimo la distruttività dei sistemi in cui ci troviamo. Possiamo essere creative ed escogitare modi per prenderci cura di altre specie e habitat. Penso che l’enfasi sulla speculazione, non solo nella fantascienza e nelle arti, ma anche nelle teorie di Isabelle Stengers e di molte altre, suggerisca la possibilità e la necessità di immaginare altri mondi possibili. Naturalmente non basta immaginare mondi migliori: dobbiamo lavorare per realizzarli.
Le culture queer possono aiutare l’ambientalismo a farla finita con tristezza e depressione per fare il pieno di incanto, ironia, umorismo ed erotismo
AB: Al momento della nostra conversazione il ComitatoBesta ha fermato taglialegna e polizia, lasciando che l’inverno diventasse primavera in un boschetto abbastanza fuori dal centro “cognitivo-iperproduttivo” di una città occidentale troppo trafficata per aver bisogno di altre strade, altri camion e altre merci. Ho vissuto a Bologna per molti anni come ricercatrice precaria e ho avuto questa impressione: ero in una piccola scatola e mi pareva che le altre persone fossero molto distanti da me, a loro volta chiuse in scatole diverse e non comunicanti tra loro. Come scrivi nel primo capitolo, le nostre città sono troppo umane anche se noi oggi possiamo definirci postumane. In quali direzioni dovremmo ristrutturare il nostro modo di abitare, cioè il nostro modo di creare mondi? Quale contributo possono offrire a questo scopo il femminismo neo-materialista e gli studi critici sul postumano? Quali sono i piaceri delle nature queer che hanno perso coloro che si rifiutano di pensarsi e viversi come parte della natura, animali-tra-animali-tra-piante-tra-batteri…? In che modo i fondali marini, e quindi il tuo particolare posizionamento, ti aiutano a pensare ad altri modi di essere e vivere, cioè di riprodursi, su questa terra?
SA: È un quadro così poetico quello che dipingi, contrapponendo il piccolo bosco alla piccola scatola dello spazio domestico. Penso che tutti i piccoli boschi e gli altri luoghi per la vita non solo umana abbiano bisogno di più spazio e che dobbiamo trovare nuovi modi per accogliere più piante e animali nelle città e nei sobborghi, dato che una parte sempre maggiore del pianeta è stata ricoperta di cemento e asfalto. Penso che il postumanesimo e il neo-materialismo femminista spingano le persone industrializzate e occidentali a mettere in discussione i confini solidi tra noi e il nostro ambiente e ci ispirino a sentirci più interconnesse con le altre specie, ma anche con il mondo materiale di cui facciamo parte. Per me questo significa rifiutare l’uso di pesticidi, erbicidi e altri prodotti contenenti sostanze chimiche, nonché prodotti testati sugli animali. Più felicemente, significa trasformare il mio prato in un habitat di piante autoctone che possa accogliere uccelli, api, farfalle e altri insetti (mentre scrivo, osservo un colibrì verde che fa visita al mio giardino e beve dai fiori rossi, mentre una canterina ghiandaia azzurra sguazza nella vasca per gli uccelli). Possiamo fermare la distruzione della terra, possiamo farla finita con l’assoggettamento delle altre specie creando modi di vita più connessi e meno isolati e alienati. Ci sono molti modi per farlo, dal piantare cibo negli orti comunitari all’impegnarsi in quel tipo di attivismo che sta facendo il ComitatoBesta!
Il neo-materialismo femminista, in cui si colloca il mio concetto di trans-corporeità, intende i nostri stessi corpi come connessi alle sostanze dell’Antropocene; l’eco-attivismo non è un’opzione o una chiamata che ci viene dall’esterno: siamo parte di tutto questo e ne siamo responsabili. Le stesse sostanze chimiche che abitano i nostri corpi e che possono produrre malattie o morte danneggiano anche le specie non umane. Questo senso di interconnessione materiale con le sostanze chimiche tossiche e con gli altri esseri espande radicalmente l’etica e la politica, il che può avere effetti travolgenti. Ma rifiutare di dividere il mondo in uomo e natura, e rifiutare di sminuire tutte le altre creature viventi, può avere effetti trasformativi in senso positivo. La curiosità, lo stupore, la meraviglia, la bellezza, la gioia e persino l’amore che la speculazione, l’incontro, la connessione e l’accoglienza postumane o multispecie producono, possono provocare e sostenere nuove pratiche etiche e politiche.
Non posso rispondere qui alla domanda sulla vita nelle profondità marine, poiché ho appena finito di scrivere un libro su questo tema, intitolato The Abyss Stares Back: Encounters with Deep-Sea Life, quindi avrei troppo da dire! Ma tornerò agli animali queer, che appaiono in Allo scoperto, e dirò che la biodiversità e la diversità sessuale dovrebbero essere intese come interconnesse con una moltitudine di culture animali che comprendono diversi sessi e generi in un modo che è, per citare il titolo dell’incredibile libro di Bruce Baghemihl, biologicamente “esuberante“! Le culture queer possono aiutare l’ambientalismo a farla finita con tristezza e depressione per fare il pieno di incanto, ironia, umorismo ed erotismo. È uscito un nuovo podcast intitolato A Field Guide Gay Animals, intelligente, vivace ed esilarante. Ascoltatelo!
AB: Vorrei condividere, con te e con chi ci legge, una foto scattata la sera che abbiamo trascorso insieme leggendo e discutendo il tuo libro in difesa del bosco. È l’immagine di un grande striscione, appeso a un albero, dove si può leggere “obietta su ‘sta legna”. Un capolavoro di eco-femminismo e di ironica protesta! Lo ho apprezzato molto. L’incontro perfetto tra femminismo ed ecologia politica in sole quattro parole. Uno slogan perfetto per la giustizia riproduttiva transpecie. Chi l’ha scritto sapeva sia che in Italia l’obiezione di coscienza del personale medico-sanitario danneggia la salute delle persone impedendo loro di accedere all’aborto, sia che abbattere un boschetto è dannoso non solo per la salute di un preciso ecosistema ma più in generale per la salute della Terra, visto che viviamo tutte in un mondo simpoietico. Lo striscione era così in sintonia con il tuo libro, quando sono arrivata ho iniziato a sorridere, forse perché, come ricordi nelle prime pagine di Allo Scoperto, la nostra rivoluzione ha il suono delle risate. Tuttavia, ci ricordi anche che non sempre l’ambientalismo abbraccia il piacere in politica, e che non sempre femminismi e ambientalisti sono arrivati a comuni posizioni affermative. Ci puoi spiegare perché? E inoltre, pensi che oggi dovrebbe essere piacevole e insurrezionale poter praticare, chiamiamola così, un’ecologia politica transfemminista?
SA: Wow! Grazie per aver condiviso queste foto! Sono sopraffatta dalla gratitudine e dalla gioia di vedere così tante persone in cerchio, sotto lo striscione “da don Bosco a tutta la città basta cemento”. Google traslate, quando ho chiesto di tradurre lo striscione dall’italiano all’inglese, mi ha dato come risultato “da Don Bosco a tutta la città, tutto ciò che serve è cemento”. Ho pensato che c’era molta ironia in questo errore di traduzione: abbiamo bisogno di ben altro che di cemento! Grazie anche per avermi fatto vedere le piattaforme costruite per sedersi sugli alberi! Sono sorprendenti!
Sono d’accordo sul fatto che viviamo in un mondo simpoietico e che il diritto a riprodursi o meno, il controllo delle nascite e l’aborto siano materia di interesse per l’ecofemminismo. Tuttavia, è difficile spiegare esattamente come, poiché i discorsi politici specifici cambiano in culture, luoghi e tempi diversi. I conflitti tra femminismo e ambientalismo possono sorgere a causa di complicate relazioni ideologiche. Ad esempio, se l’ambientalismo promuove ciò che è “naturale”, allora il controllo delle nascite, così come le persone queer e trans, possono essere condannati in quanto “innaturali”, il che è ridicolo. Il concetto di “naturale” è stato spesso usato per denigrare particolari gruppi di persone e per sostenere il patriarcato, il colonialismo e altri sistemi oppressivi, insinuando che l’esistenza di Dio legittimi queste forme di oppressione. Non c’è niente di più ideologico che dare per scontato che qualcosa sia “naturale”. Il mio lavoro analizza queste tensioni e propone possibili alleanze tra i movimenti ecologisti e i femminismi queer, senza dare per scontato che ci sia un’unica risposta o un unico modo per tenerli insieme. Tutto dipende dai problemi, dai concetti e dagli obiettivi specifici. Riconoscere che stiamo vivendo l’era postnaturale detta Antropocene, in cui non c’è nulla di puramente “naturale”, aiuta ad aprire spazi per alleanze femministe, queer e trans con l’eco-attivismo che riconoscano la necessità di rigenerazione e cura, così come la necessità di progettare mondi multispecie più inclusivi e giusti. Mi convince l’idea di un’ecologia politica transfemminista. L’ecologia politica dovrebbe sintonizzarsi su specie più che umane, sulla biodiversità, sulla diversità razziale e sulla diversità di genere. Può essere difficile fare tutte queste cose insieme, ma l’ecologia ci insegna che tutto è interconnesso, quindi dobbiamo accettare la sfida e generare mondi che strabordino di differenze!
Grazie mille per questa intervista. Sono grata di apprendere che Allo Scoperto sia stato connesso con i movimenti ecologisti in Italia. Ho apprezzato molto questa conversazione.
Questo dialogo avviene mentre il Don Bosco è nuovamente sotto attacco. L’autrice invita chi legge a sostenere la lotta del ComitatoBesta a tutela del bosco e dedica queste pagine alle collettività eco-attiviste che non smettono di lottare per un mondo in cui si possa respirare.