Il tempo è un vasto labirinto

La tecnologia in Cina è molto più che uno specchio delle nostre speranze e delle nostre paure. Un’introduzione al quinto numero di Notzine

La città è indiscutibilmente […] una macchina del tempo
Nick Land, Templexity: Disordered Loops Through Shanghai Time

Vivere tra Roma e Shanghai è come essere viaggiatori nel tempo. Ma la traiettoria di questo viaggio non è quella, prevedibile, che ci eravamo preparati a raccontare, dalle meravigliose rovine di un Occidente in decadenza a un futuro scintillante dove la modernità non è mai tramontata. Camminando per le strade della città, una stratificazione di tempi e spazi si rivela dietro a ogni angolo, dove grovigli di cavi elettrici e spettri di infrastrutture invisibili si inseguono tra i mattoni degli shikumen e la luce fredda dei grattacieli. Se Shanghai ci ha insegnato qualcosa è che il tempo non si muove soltanto in avanti. Si disperde e si contorce in mille rivoli, come il corso di un fiume che si prepara a un’alluvione. 

Noi occidentali abbiamo la pretesa di sapere come il mondo andrà a finire: guardiamo oltre i nostri confini come dalla prospettiva paternalistica di chi ha già visto la fine della storia. Ma quello che sconvolge, quando ci si avvicina alla Cina per la prima volta, è un senso di alterità profonda, molto difficile da mediare attraverso le categorie che siamo abituati a utilizzare per capire la realtà. Questa distanza diventa particolarmente evidente davanti alla questione della tecnologia, che è ormai indissolubilmente legata all’affermazione della potenza cinese sul panorama globale. La Cina e la tecnologia sono così profondamente intrecciate che, come osserva la filosofa e co-fondatrice della CCRU Anna Greenspan, il rifiuto della tecnologia e la paura della Cina appaiono talvolta quasi indistinguibili. 

Come ha osservato il filosofo Yuk Hui, mentre in Occidente la tecnologia è frequentemente concettualizzata come una rottura razionalista rispetto alla tradizione e al mito, la stessa discontinuità non è percepita in Cina, dove lo spazio mitologico e quello tecnologico non sono mai stati immaginati in conflitto. Questa distanza culturale nel rapporto cinese con la tecnologia non si limita all’antichità, ma emerge anche nelle tecnologie contemporanee più avanzate. Simone Pieranni racconta come lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in Cina, dalla nascita del chatbot DeepSeek alla cultura open source, sia pensato non come una rottura con la tradizione, ma in continuità con una genealogia di pensiero filosofico e morale che affonda le sue radici nel Confucianesimo. In modo simile, Anna Greenspan traccia una storia delle tecnologie digitali in Cina in continuità con la tradizione filosofica taoista, dove le onde elettromagnetiche del 5G riecheggiano il ricordo di una cosmologia vibrazionale molto più antica. 

Se è vero che il rapporto della Cina con la tecnologia non può essere semplicemente ridotto, come spesso accade, a un autoritarismo tecnocratico, è indubbio che le infrastrutture tecnologiche cinesi siano anche dispositivi di controllo sociale e politico. L’esperienza di chi si muove all’interno del cyberspazio cinese, in particolare, è segnata da una continua negoziazione tra libertà espressiva e sorveglianza, un’ambivalenza difficile da comprendere per chi è nato dall’altra parte del Grande Firewall. JY, esperta di culture digitali e studiosa di nuovi media, racconta la sua esperienza di millennial cresciuta sulle piattaforme social cinesi, come Xiaohongshu, Douyin e Weibo, dove la censura diventa, per una generazione schiacciata tra chiusure autoritarie e capitalismo accelerato, una spinta a inventare sempre nuovi linguaggi in codice e forme indecifrabili di disobbedienza digitale. 

Anche nel lavoro di Cao Fei, una delle artiste cinesi contemporanee più influenti nel mondo intervistata per Notzine dal curatore e critico Hou Hanru, emerge una visione ambivalente rispetto alle conseguenze culturali e sociali del progresso tecnologico. Nelle sue opere, Cao Fei ha illuminato la tecnologia come una forza storica e politica profondamente ambigua, allo stesso tempo veicolo di trasformazione e radice di sempre nuove forme di alienazione. “La storia della scienza e della tecnologia non può essere ridotta a una narrazione unica e lineare di ‘progresso’. È invece attraversata da contraddizioni, tensioni, ambivalenze”, scrive l’artista. “La tecnologia può essere tanto un acceleratore della storia quanto uno specchio che la riflette, proprio come la storia, a sua volta, condiziona e orienta l’evoluzione tecnologica”. Ma a intrecciarsi e a plasmarsi reciprocamente con la tecnologia c’è anche la storia dei corpi. Nell’articolo di Ilaria Benini, ad esempio, la fantascienza sinofona diventa uno spazio critico per ripensare la relazione tra genere, intimità e artefatto tecnico. Attraverso le opere di autrici come Regina Kanyu Wang, Tang Fei o Hao Jingfang, la tecnologia non è solo infrastruttura o strumento, ma una forza che attraversa l’identità, la memoria, il desiderio. Come nelle opere di Cao Fei, anche qui il futuro è un terreno ambivalente, dove l’utopia si mescola all’alienazione e la soggettività si rifrange in nuovi ibridi post-umani. La fantascienza, in queste scritture, diventa un modo per immaginare non solo altri mondi, ma altre possibilità di essere al mondo.

Abitare in Cina significa scendere a patti con una simbiosi totale dello spazio fisico con lo spazio digitale, dai pagamenti cashless alle app di traduzione istantanea fino ai codici QR per ordinare nei ristoranti. La disinvoltura con cui persone di generazioni enormemente distanti (non soltanto in termini di età, ma in termini di storia vissuta) si integrano in questo nuovo umwelt tecnologico è una delle cose più sorprendenti di vivere in una città come Shanghai. La nostra prima esperienza appena approdati in Cina è stata quella che Yoshimi, blogger e autore del libro Cose incredibili che accadono in Cina recentemente uscito nella collana Iconografie di NERO, definisce uno “shock da futuro”: uno stupore comprensibile soltanto enfatizzando la differenza irriducibile tra il capitalismo occidentale e il progressismo “con caratteristiche cinesi”. Se si sente spesso ripetere che la Cina è semplicemente capitalista (il più delle volte da persone che non ci hanno mai vissuto), Yoshimi spiega che il rapporto della Repubblica Popolare Cinese con il progresso tecnologico può essere decifrato solo in continuità con l’eredità stratificata del marxismo-leninismo. Al contrario, partendo da una wave memetica recente, Mattia Salvia mette in discussione l’ideologia del “socialismo con caratteristiche cinesi”, rivelandone la natura ambigua nel suo rapporto con il capitalismo.

Dalla prospettiva di un Occidente un tempo egemone ma che sembra aver perso la propria bussola, c’è la tendenza innegabile a trasformare il “modello cinese” in uno specchio delle nostre paure più distopiche o delle nostre più romantiche speranze. Nel curare questo numero, abbiamo invece scelto di dare spazio all’esplorazione della differenza, cercando di capire in che modo la Cina, nella sua enormità culturale, temporale e geografica, eccede e stravolge i nostri modelli, soprattutto rispetto all’idea di “progresso tecnologico”. Dalla prospettiva occidentale, la tecnologia in Cina è allo stesso tempo familiare e distante. A partire da quello che, almeno nel mondo contemporaneo, si è configurato come il fondamento dell’evoluzione tecnologica: il linguaggio scritto. La scrittura cinese si è sviluppata in modo del tutto parallelo e indipendente da quella Occidentale, non soltanto in una forma profondamente differente, ma anche per un uso molto diverso. Mentre in Mesopotamia le prime tavolette d’argilla riportano registri commerciali e inventari di merci, in Cina le prime forme di scrittura documentate sono resti di pratiche di divinazione: oracoli incisi su scapole di bue e carapaci di tartaruga. Questa discrepanza archeologica ha molto da dirci sul rapporto della Cina con il tempo e la storia. I più antichi testi scritti cinesi che conosciamo parlano già del futuro.