Il lato oscuro del 5G

Come le nuove infrastrutture digitali controllano le nostre vite e distruggono il pianeta

Pubblichiamo un estratto da Inferno Digitale, il nuovo saggio di Guillaume Pitron appena uscito per LUISS Press, ringraziando l’editore per la disponibilità.

L’era dell’Internet of Everything

Nel 2017 Steve Case, fondatore di America Online (AOL) – uno dei primi fornitori mondiali di servizi Internet – ha pubblicato un libro che ha fatto scalpore: The Third Wave. An Entrepreneur’s Vision of the Future. Durante la prima ondata di Internet, spiega l’autore, le aziende della rete (come Aol, Ibm e Microsoft) avevano costruito delle infrastrutture che permettevano ai computer di connettersi tra di loro. La seconda ondata è stata quelle delle società che al seguito di Google e Facebook hanno creato i motori di ricerca e i social network che collegavano, questa volta, gli internauti gli uni agli altri. E Steve Case prevede ora l’avvento di una terza ondata in cui si connetterà tutto – oggetti ed esseri viventi – ciò che può essere dotato di un sensore. Si parlerà allora, annuncia l’autore, di Internet of Everything, l’Internet di ogni cosa.

Nello stesso periodo un altro tecno-profeta, Kevin Kelly, fondatore del magazine americano Wired, ha fatto una previsione simile in un’opera dedicata alle “dodici tecnologie che plasmeranno l’avvenire”. In futuro, secondo lui, ogni superficie sarà divenuta uno schermo, dei servizi digitali personalizzati anticiperanno ogni nostro minimo desiderio, la sorveglianza dei consumatori e dei cittadini sarà totale e, aggiunge, avremo connesso “tutti gli umani e le macchine in una matrice globale”, un superorganismo battezzato Holos. Nel 2025 gli umani non saranno “su” o “in” Holos, saranno direttamente l’Holos stesso.

Una tale connessione generalizzata a Internet “è già iniziata”, avverte Kevin Kelly. È ciò che chiamiamo Internet of Things (IoT), l’Internet delle cose, un termine inventato nel 1999 dai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) per evocare la capacità degli oggetti di trasmettere e acquisire informazioni attraverso l’aggiunta di un chip Rfid. Telefoni cellulari, tablet, termostati, orologi, sistemi di illuminazione, climatizzatori… l’IoT ha avuto un tale sviluppo che sul pianeta oggi contiamo 20 miliardi di oggetti connessi. 

L’Internet of Everything prosegue questa logica e la spinge ancora oltre… Prendiamo l’esempio degli occhiali connessi, messi “così vicini al nostro corpo che sembra […] ne facciano parte, sono il più alto successo della società dell’informazione, nella misura in cui fanno coincidere perfettamente l’essere e l’informazione”, osserva un saggista. Alcune app mediche consentono già di analizzare i dati che vengono dal nostro intimo. “Mia figlia è diabetica”, spiega Fredrik Kallioniemi. “Una notifica sul telefono mi avvisa quando il livello di zucchero nel suo sangue è troppo basso. Ricevo quindi i suoi dati fisici ogni secondo. Questo è l’inizio dell’Internet of Everything.”

Domani potranno essere dotate di chip le foreste e tutte le specie animali, in modo da poterle sorvegliare e proteggere meglio. Gli uomini porteranno dei caschi che leggeranno il pensiero e delle lenti a contatto intelligenti che permetteranno loro di muoversi nel buio, al punto che si parla già di Internet of Bodies. C’è da scommettere che i nostri discendenti ci guarderanno come delle specie di australopitechi quando nel 2030 l’intera umanità convivrà con 50, 100 o anche 500 miliardi di questi oggetti collegati alle autostrade dell’informazione. Ma questa interconnessione generalizzata tra il mondo vegetale, animale e digitale non può verificarsi senza che una rete ultra-performante faccia transitare l’incredibile quantità di dati prodotti. Tale rete si sta a poco a poco diffondendo: si tratta del 5G.

Alte frequenze per macchine emancipate

Una luce abbagliante avvolge Montecarlo nella primavera del 2021, fa brillare gli scafi degli yacht ormeggiati al porto di Fontvieille, le vetrate dei lussuosi appartamenti che si affacciano sul lungomare e i cofani delle macchine che sfrecciano alla scalata del monte. Il principato ha sempre esercitato un’influenza sovrastimata rispetto alle dimensioni esigue del suo territorio (due chilometri quadrati), in quanto paradiso fiscale che attira le grandi fortune e, più di recente, perché il principato è stato uno dei primi Stati a essere totalmente coperto dal 5G, una nuova generazione di reti mobili destinate a rimpiazzare la precedente, il 4G. 

Il 9 luglio 2019 rimarrà una data chiave nella storia della Rocca. Dopo due anni di lavori di installazione e 30 milioni di euro investiti, una quarantina di antenne 5G sono state messe in funzione. Xavier Niel, azionista di maggioranza di Monaco Telecom, e Ren Zhengfei, presidente del gruppo Huawei che ha fornito la tecnologia, sono sul posto per celebrare l’evento in un albergo a cinque stelle. Per promuovere Huawei, il presidente cinese Xi Jinping ha anche compiuto, qualche settimana prima, una visita di Stato ufficiale.

Se il 5G è diventato una priorità nella Rocca è perché permetterà di trasmettere dieci volte più dati del suo predecessore in un lasso di tempo dieci volte inferiore. In pratica, basteranno dieci secondi per scaricare un film di due ore mentre con il 4G bisognava pazientare per sette interminabili minuti. Ma che senso ha una simile velocità per le azioni più banali come mandare una semplice e-mail o guardare le foto delle vacanze? “Solo il 5% dei nostri abbonati dispone oggi di un forfait 5G”, perché non è davvero utile, constata il direttore generale di Monaco Telecom, Martin Péronnet. 

Il digitale agisce come un catalizzatore dell’incredibile crescita economica e tecnologica attuale. E sebbene gli effetti indiretti non siano stati calcolati, non contribuiscono affatto a rendere virtuale la nostra esistenza.

Forse però è solo questione di tempo… In Corea del Sud, un Paese in cui il 5G è diffuso massivamente, 13 milioni di persone hanno già adottato la quinta generazione di rete mobili,12 ovvero quasi il 20% di chi ha un abbonamento telefonico. La semplice offerta di una maggiore velocità era stata sufficiente a generare la curiosità dei consumatori, seguita di riflesso da un aumento degli acquisti. E poi questa nuova tecnologia anticipa senza dubbio una rivoluzione delle abitudini: nuove modalità di consumo digitale che richiedono la banda larga potrebbero nascere sulla scia del 5G, come i videogiochi in realtà virtuale o la diffusione di video in diretta sulle piattaforme Periscope o YouTube Live. La storia recente è andata in questo modo: “Quando è arrivato il 3G si diceva ‘Guardare le partite di calcio su degli schermi di tre centimetri non funzionerà mai!’ Ora ci si rende conto che sbagliavamo”, ricorda un attivista di Agir pour l’environnement.

Sono state soprattutto le aziende monegasche a trarre i benefici più concreti da questa nuova generazione di reti mobili. Per un motivo: secondo Martin Péronnet, la semplicità dell’installazione del 5G rispetto alla fibra e la diminuzione della latenza potrebbero consentire di controllare a distanza un’immensa varietà di oggetti e infrastrutture, come droni, barche, ospedali e veicoli. Il digitale a banda ultra-larga renderà più dinamica l’economia di quello che è già stato ribattezzo come il “principato smart”. La realizzazione del 5G conferma del resto un rapporto dell’amministrazione francese, “e renderà possibili diverse applicazioni in vari settori: l’energia, la sanità, i media, i trasporti, l’industria.” 

La gestione più efficiente di una massa di dati più grande potrebbe anche consentire, su scala globale, di ottimizzare il traffico stradale e le reti di distribuzione energetica, così come di migliorare l’autonomia dei robot nelle future fabbriche ultra-connesse della quarta rivoluzione industriale. Una tecnologia che se ben utilizzata potrà essere di impulso per incredibili progressi sociali e umani di cui tutti potremo gioire. Ma quando arriverà il futuro? Nel più breve termine alcuni industriali rimangono effettivamente scettici… “Alla fine del 2019, alcuni tecnici dell’operatore Orange sono venuti a chiedermi quali applicazioni richiedessero, secondo la mia opinione, lo sviluppo del 5G”, riporta un ricercatore dell’università di Louvain. “Erano disorientati e continuavano a ripetere: ‘Non capiamo dove sarebbe il mercato oggi’. Una confusione totale.”

La geopolitica spiega sicuramente perché il carro è stato messo davanti ai buoi… La Cina è stata uno dei primi Stati a considerare lo sviluppo del 5G come una priorità nazionale. Grazie al fornitore Huawei, Pechino ha acquisito un’importante superiorità tecnologica in materia e installato centinaia di migliaia di antenne sul proprio territorio lasciando indietro Stati Uniti ed Europa. Da entrambi i lati dell’Atlantico si temeva che un successo simile segnasse la fine del predominio occidentale. Alla fine del 2020, Angela Merkel ha del resto condiviso la sua preoccupazione di vedere la Germania in ritardo sul fronte della rivoluzione digitale, esortando a recuperare, altrimenti, prevedeva, “saremo gli ultimi”. Già tre anni prima, la cancelliera temeva che il Paese avrebbe “presto fatto parte dei Paesi in via di sviluppo” in quel settore…

In un contesto simile, l’impatto ecologico del 5G è a lungo passato in secondo piano. Eppure, il suo sviluppo implica l’installazione di un numero maggiore di antenne, più potenti ma dal raggio d’azione più limitato. “La Gran Bretagna conta già 26.000 antenne 3G e 4G. Il perimetro delle emissioni di onde del 5G è due volte più limitato e quindi ne andranno installate il doppio solo in Inghilterra”, prevede un consulente di Green IT.

Il costo ecologico del 5G

Le antenne, i cui dispositivi misurano alcune decine di centimetri e sono pieni di metalli rari come il gallio e lo scandio, saranno distribuite ogni 100 metri circa, alle fermate dell’autobus, sui lampioni o sui cartelloni pubblicitari. Come saranno riciclate? Poi bisognerà collegarle a delle reti aggiuntive di fibra ottica per il trasporto dati. Negli Stati Uniti l’Associazione della fibra a banda larga ha già stimato che bisognerà posare 2,2 milioni di chilometri di fibra (ovvero 55 volte la circonferenza della Terra) per coprire le 25 principali metropoli del Paese! Quante volte andrà moltiplicata questa cifra nel 2026, quando si prevede che il 60% della popolazione mondiale avrà accesso alla nuova rete? 

Inoltre, per usufruire del 5G nella maggior parte dei casi sarà necessario cambiare telefono… Nel 2020 erano già stati venduti 278 milioni di telefoni compatibili con questa tecnologia: questi acquisti sono motivati dalla reale necessità di sostituire uno smartphone difettoso o si tratta di acquisti di comfort, incentivati dalla promessa di poter meglio usufruire del digitale? Infine, qual è il costo ecologico di questa corsa tecnologica? Bisogna riconoscere che nessuno ne sa nulla di preciso!

“Non ci sono [stati] studi di impatto ambientale”, lamenta una eurodeputata, al punto che ci si chiede se non sia stato un “principio di assenza di precauzione” a guidare lo sviluppo del 5G… In mancanza di informazioni nascono delle paure irrazionali: si teme così – senza alcuna prova – che le nuove antenne emettano onde elettromagnetiche nocive per la salute. Sebbene tardivamente, alcuni studi d’impatto sono stati fatti partire alla spicciolata, mentre alcuni comuni in tutta Europa hanno decretato delle moratorie e si sono formati dei comitati civici per sollevare un dibattito fatto passare sottotraccia dalle amministrazioni pubbliche.

I fornitori di servizi sottolineano comunque gli innegabili benefici per l’ambiente del 5G. A parità di consumo di dati, affermano, questa tecnologia offrirà un’efficienza energetica dieci volte migliore del suo predecessore. Ma così si dimentica che il 5G farà esplodere il consumo di Internet e di dati… Sono tutti concordi nel dire che non si commercializza una nuova tecnologia con lo scopo di farci consumare di meno, ma sempre di più

Un mondo smaterializzato sarà un mondo sempre più materialista

È un aspetto inevitabile, i cui effetti concreti sono stati studiati per la prima volta dall’inglese William Stanley Jevons nel 1865. All’epoca le prestazioni più elevate delle macchine a vapore lasciavano sperare in una riduzione dello sfruttamento del carbone. Invece, Jevons ha dimostrato che il risparmio energetico generato dal progresso tecnico era controbilanciato dall’incremento dell’utilizzo delle macchine, che portava di conseguenza a una crescita del consumo di combustibile… ossia l’opposto dell’effetto sperato!

Questo paradosso chiamato anche “effetto di rimbalzo” può essere esteso a una miriade di tecnologie. Prendiamo l’esempio di una macchina: tra il 2005 e il 2018 il consumo medio di un veicolo a benzina è passato dagli 8,8 litri ai 7,2 litri per 100 chilometri, con un risparmio del 22%. Ma allo stesso tempo la vendita annuale di nuove automobili sul mercato mondiale è passata dai 66 ai 95 milioni, con una crescita del 44%, Lo stesso risultato è stato riscontrato nell’aviazione: nel 2019 un passeggero emetteva il 22% di CO2 in meno per chilometro percorso rispetto al 2013, ma nello stesso periodo le emissioni di anidride carbonica dell’aeronautica civile sono aumentate del 29%. Nel 2050 le emissioni dovrebbero essere sette volte più alte che nel 1990. 

Stessa cosa per l’uso dei diodi a emissione luminosa: uno studio dimostra che il risparmio energetico da loro consentito non compensa la crescita del consumo generata dal loro utilizzo, che si è moltiplicato. Naturalmente le tecnologie digitali non fanno eccezione. Gli smartphone recenti sono caratterizzati da un’autonomia inferiore rispetto a quelli della generazione precedente: la capacità delle batterie aumenta del 5% l’anno ma ciò non compensa l’accresciuto consumo energetico dei nuovi modelli. Infine, uno studio pubblicato nel 2019 dal fornitore Ericsson ha concluso che nel 2025 il 20% degli internauti consumerà ogni mese 200 gigabyte di Internet mobile grazie al 5G, ossia tra le 10 e le 14 volte più di quando utilizzava il 4G!

Certo, tutto ciò senza contare l’avvento dell’Internet of Everything, di cui questa tecnologia è già partecipe. Così tante tendenze in totale contraddizione con gli obbiettivi della lotta contro il cambiamento climatico! Gli attori dell’economia digitale sono consapevoli di questo effetto boomerang ma vogliono prima di tutto mettere i consumatori di fronte alle proprie responsabilità. “Ognuno è libero di non partecipare al consumo digitale eccessivo”, ha affermato Stéphane Ricard, il proprietario del gruppo francese Orange. Tuttavia, l’azienda diffonde allo stesso tempo delle pubblicità che celebrano i nuovi usi del 5G – un comportamento quanto meno paradossale…

In fondo “gli attori del digitale sanno benissimo che le nuove tecnologie aumenteranno il nostro consumo digitale e che anziché risolvere il problema lo aggraveranno”, sostiene un accademico. “Tutti fanno lo scarica barile sugli altri”, sottolinea il fondatore di Green IT, Frédéric Bordage. “Nessuno ha interesse ad andare oltre il perimetro della propria responsabilità legale e considerare il sistema nel suo insieme.” Alcuni sindacati del gruppo Orange ammettono, tuttavia, di essere “coscienti degli ordini contraddittori” a cui sono esposti. Una constatazione che forse spiega come mai diverse centinaia di impiegati dell’operatore francese di telecomunicazioni, spesso giovani, disapprovano apertamente la strategia del gruppo. “Sulle reti intranet alcuni si chiedono: ‘Perché partecipiamo a questa follia?’ È la prima volta che si sente dire: ‘Sono completamente pazzi, si accelera il consumo energetico e l’estrazione di minerali’”, racconta una fonte interna. 

A questi effetti di rimbalzo diretti se ne aggiungono altri detti “indiretti”. Di fatto, il risparmio di tempo e la crescita del potere di acquisto indotti dal digitale rendono possibili modalità di consumo diverse. “Grazie a Internet posso lavorare da casa e risparmiare 1000 euro di benzina. Cosa ne farò di questi soldi?”, si chiede un testimone. “Gli inverni nell’Europa del nord sono lunghi, prenderò un aereo per le Canarie”. E poi “il digitale ha un impatto fortissimo sui modi in cui la società si organizza e in cui si muovono i flussi. Moltissime cose, come mandare un ordine istantaneo in borsa o comprare un prodotto su Amazon, non esisterebbero senza il digitale”, aggiunge un ingegnere informatico.

La rete non è pensata per “salvare” il pianeta e ogni discorso che collega la resilienza della vita sulla Terra alle prestazioni degli strumenti digitali è una forma di mistificazione

In altre parole, il digitale agisce come un catalizzatore dell’incredibile crescita economica e tecnologica attuale. E sebbene gli effetti indiretti non siano stati calcolati, una cosa è certa: non contribuiscono affatto a rendere virtuale la nostra esistenza. Dopo aver analizzato 57 invenzioni progettate dagli anni Trenta nei campi della scienza dei materiali, del digitale e dell’energia, alcuni ricercatori hanno di fatto concluso che nessuna di esse era stata accompagnata da una riduzione mondiale dell’uso di risorse. Impegnandoci a testa bassa in un mondo che si pretende sia etereo e libero da ogni costrizione fisica, neghiamo un’evidenza che inevitabilmente ci rincorre: un mondo smaterializzato sarà un mondo sempre più materialista.

È qui che il dibattito prende una piega ideologica. Gli effetti di rimbalzo possono essere temuti quanto celebrati a seconda che si sostenga, o meno, la crescita economica, la globalizzazione del commercio e l’incrocio fra culture diverse. Anche l’espansione dell’universo digitale ci mette di fronte alle nostre profonde convinzioni… Essa, del resto, non è una cosa né buona né cattiva in sé, il punto è cosa ne faremo. 

Internet consentirà ai bambini delle regioni più remote del mondo di istruirsi a distanza ma faciliterà anche la diffusione delle teorie complottiste, rendendo più fragili le democrazie. Curerà delle malattie rare ma farà anche sì che Ryan Kaji, un bambino che si è fatto conoscere spacchettando dei regali davanti a una telecamera in Texas, continui a essere lo youtuber più pagato al mondo…

In ogni caso non bisogna confondere le ripercussioni economiche, sociali e psicologiche del digitale con la sua funzione ecologica. Sebbene stimoli la nascita di iniziative incredibili con lo scopo di proteggere il clima e la biodiversità, la rete non è pensata per “salvare” il pianeta e ogni discorso che collega la resilienza della vita sulla Terra alle prestazioni degli strumenti digitali è, secondo il nostro parere, una forma di mistificazione, una favola. 

Inoltre, abbiamo sentito dire dalla bocca di un esperto di tecnologie digitali che “le ICT [Information and Communications Technologies, n.d.r.] hanno davvero reso il mondo migliore, ma in termini di impatto ambientale è la cosa peggiore che potesse capitare”.

Guillaume Pitron è un giornalista e documentarista francese, vincitore nel 2017 del prestigioso premio Erik Izraelewicz del quotidiano Le Monde per il giornalismo economico d’inchiesta. Scrive, tra gli altri, su Le Monde Diplomatique e il National Geographic. Per Luiss University Press ha pubblicato La guerra dei metalli rari (2019) e Inferno digitale (2022).