Il fresco ruscello di cristalli liquidi

Com’era la vita 10 anni fa? Cosa ci riserva il futuro? Un’introduzione a Frutiger Aero, estetica ansiolitica

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MEDUSA è anche un libro, che non è una raccolta dei numeri della newsletter ma un saggio narrativo sull’Antropocene: Medusa. Storie dalla fine del mondo (per come lo conosciamo)

Come descriveresti il presente?
Com’era la vita 10 anni fa?
Cosa ci riserva il futuro?

Ogni tanto girano dei report, in formato pdf o ppt, che cercano di rispondere a queste domande; sono redatti da quelle agenzie di consulenza che si occupano della previsione o della analisi dei “trend”, o di entrambe le cose, analisi e previsione. Spesso si presentano ingabbiati nella struttura di Power Point (e quindi pensati, progettati e sviluppati secondo il motore logico che Power Point impone all’immaginazione, che non è l’unico al mondo, e neanche lontanamente il migliore, ma che lo fa girare ogni giorno traducendo diagrammi di flusso in strategie gestionali più o meno catastrofiche); altri sono più curati, si presentano come dei progetti editoriali degni di nome.

Sono indagini sulle cosiddette “vibeshift”, che sarebbe poi un neologismo per dire trasformazioni culturali. Trasformazioni… ma anche evoluzioni, potenzialità, riverberi della suddette: certi neologismi appiccicano perché assorbono tutta la radioattività di un concetto.

Questi report cercano di fermare i tempi, fargli una fotografia. Uno degli studi più affermati, in questo campo, è Nemesis. Nel loro sito si presentano così: “Nemesis è uno studio di consulenza e creativo con sedi a Berlino, Los Angeles e New York. Oltre al lavoro con i clienti, Nemesis pubblica ricerche culturali indipendenti e incorpora progetti web3 che esplorano nuove economie creative. I nostri clienti e partner spaziano da protocolli tecnologici emergenti a marchi di lusso affermati [Hermès, Art Basel, Red Bull, Nike ecc]”.

Nel design del prodotto quindi disegni curvilinei e superfici patinate (vedi: Xbox 360, Nintendo Wii). Nella grafica invece un trionfo di aurore e di bolle, prati scintillanti di rugiada, figure umane amichevoli, tutto in HD.

“Protocolli tecnologici emergenti”… Nemesis è un think tank nato a Berlino da tipiche figure neorinascimentali alla berlinese (musicisti/architetti/scrittori/designer) con l’obiettivo di sviluppare ricerche multidisciplinari che connettono l’urbanistica alla moda, la cultura online alla speculazione filosofica: lavorano con le aziende e pubblicano saggi in formato sito.

I titoli dei loro report sono altrettanto ballardiani: The Umami Theory of Value, DOOM!, e poi l’ultimissimo, Max Pain (la massima sofferenza). Nel report vengono riassunte le tendenze principali degli ultimi anni, secondo una gerarchia filtrata dagli algoritmi cognitivi delle pur brillanti firme di Nemesis. Ecco alcuni brani del report:

Il Max Pain è una teoria/leggenda urbana del mercato delle opzioni, per cui alcune persone scommettono sul rialzo di un prezzo e altre sul suo ribasso, ma il prezzo non fa né l’uno né l’altro, convergendo invece verso il punto in cui le scommesse della maggior parte delle persone scadono, svalutate, a prescindere da quale sia il lato in cui si trovano.

[…]

Per espandere il termine oltre la sua portata originale, il Max Pain punisce le persone che scommettono sul futuro, indipendentemente dalla direzione. Il Max Pain è la sensazione che siamo destinati a fallire, che anche quando si ha ragione (ad esempio sul cambiamento climatico) ci si sbaglia (si fugge da New York e si scopre che anche il Montana è in qualche modo sommerso). Anche se hai ragione, non puoi vincere perché le condizioni oscillano drammaticamente tra stati opposti, danneggiando tutti allo stesso modo. L’esito più doloroso è quello più probabile (tutti si sbagliano abbastanza a lungo da perdere la convinzione, per esempio). In definitiva, solo coloro che controllano l’informazione e il capitale – piattaforme di social media, market maker, borse – sono in grado di trarre profitto in modo sistematico. Nel frattempo, la gente dovrà capire cosa fare della sua attenzione, del suo denaro e delle sue previsioni per il futuro.

Quindi tutto è caos, tutto è relativo: e poche cose riescono a essere deludenti come questi “forecasting memos”. Eppure questa confusione, in effetti… è quella che vediamo tutta intorno, ogni giorno. In qualche decennio internet (cioè l’internetizzazione, la digitalizzazione dei paesi più o meno ricchi) ha accelerato fino all’esplosione le categorie culturali costruite dai media tradizionali, che è un modo complicato per dire che è più difficile capire cosa “funziona” e cosa no, cosa “va di moda” e cosa no: ogni nicchia ha acquisito il diritto di spendere i suoi soldi.

Grazie alla sua quota di maggioranza nell’immaginazione delle persone, la televisione rinforzava quel racconto cronologico delle tendenze (Techetechetè): l’avvicendarsi di culture e sottoculture da srotolare in una cronologia comoda, lungo quella visione lineare del tempo che è intrecciata alla macchina economica, come l’invecchiamento si intreccia alla vita umana: è un suo presupposto genetico.

Nei documenti di Nemesis, leggere i tempi serve a vendere i tempi. Urge però un promemoria: non tutte le idee servono sempre a vendere qualcosa. Ci sono ancora, e continueranno a generarsi spontaneamente (fino a essere eventualmente assorbiti da qualche brand, ma a volte: no), linguaggi e sottoculture dal basso. A volte si organizzano intorno a cosiddette estetiche: una di queste l’ho incrociata su Reddit qualche mese fa, e si chiama Frutiger Aero.

Sarebbe l’onnipresente estetica dell’interfaccia (ma anche della pubblicistica, design del prodotto, ecc) prosperata tra il 2004 e il 2013 circa. Un’estetica vaga il giusto per farsi flessibile, marginale ma non capziosa, dotata di un paio di prerequisiti, e ben chiari.

Nel design del prodotto quindi disegni curvilinei e superfici patinate (vedi: Xbox 360, Nintendo Wii). Nella grafica invece un trionfo di aurore e di bolle, prati scintillanti di rugiada, figure umane amichevoli, tutto in HD, alla ricerca di una sensazione tridimensionale. Nella pubblicità e nel packaging, tutto questo ma commentato dal font omonimo, progettato nel 1976 dallo svizzero Adrian Frutiger per l’aeroporto Charles De Gaulle, pulito senza essere frigido.

Nell’arredamento abuso di vetrate e neon e corsi d’acqua, veri o simulati; volumi bombati, grigi metallici accostati ai verdi d’acqua. Infine, nell’interfaccia digitale: scheumorfismo. Si dice scheumorfica una rappresentazione grafica che richiama la funzione di un oggetto digitale ispirandosi alla sua controparte reale (l’icona a forma di cestino, o di floppy).

Dopo la morte di Steve Jobs, Apple si è allontanata gradualmente dallo scheumorfismo. Nel 2008, l’anno del primo iPhone, l’ampio ricorso a espedienti scheumorfici era giustificato dalla modernità radicale del prodotto: l’umanità si sarebbe trovata tra le mani qualcosa di nuovo e andava rassicurata. Prima dell’avvento del flat design (il minimale, le due dimensioni) Microsoft faceva lo stesso, e molti degli appassionati di Frutiger Aero reinstallano Windows Vista, ne vanno fieri, eccetera.

Frutiger Aero sarebbe insomma l’estetica di transizione da un mondo ancora semi-analogico (Y2K) a uno compiutamente digitale. Un’estetica che si apre a spazio liminale, dove tutto è sospeso: lì da qualche parte, galleggia la materia e il suo ricordo. Secondo alcuni, Frutiger Aero non può che essere l’inizio dell’orrore. Secondo altri, è il paesaggio sereno dell’infanzia, una frequenza della memoria.

La Vaporwave faceva friggere il passato lontano insieme all’esotico, un Altrove presunto; Frutiger Aero mi sembra invece proporre un’altra idea di eterno presente, uno spazio infinito dove passeggiare in cerca di casa.

Frutiger Aero sembra presentarsi come uno sviluppo della Vaporwave (una corrente estetica rivolta all’immaginario tecnologico-corporativo di fine anni Novanta, ma anche molto di più): che si tratti di sviluppo, di derivazione o copincolla dipende dalla consapevolezza di chi ne diffonde i criteri: è una domanda da fare alle persone nate alla fine degli anni Novanta, o a cavallo del millennio, e cioè persone che purtroppo conosco poco: e che se avessero qualcosa da dirci via email, ci farebbe piacere.

La Vaporwave faceva friggere il passato lontano (la statuaria, le colonne, un’idea istintiva del classico) insieme all’esotico, un Altrove presunto (gli ideogrammi, le palme, il mare); Frutiger Aero mi sembra invece proporre un’altra idea di eterno presente, uno spazio infinito dove passeggiare in cerca di casa, riconoscere da distante il profilo di una persona amica, abbeverarsi da un ruscello di cristalli liquidi. Una poetica intercettata già dieci anni fa da un artista come Anne De Vries e altre e altri che ignoro, esponenti del post-internet.

Un dettaglio di “Air Gap Exchange Platform”, che è del 2013, per dire.

Come si può riassumere allora, Frutiger Aero… “il nuovo internet che si è dimenticato il post-internet”? Non lo so. Tutto questo mi fa pensare al tempo che passa, anche oggi; ne parlano tutti, alla fine, tutti si prova a fermarlo con parole vecchie e nuove.