Il flusso corporeo della fantasia

Una performance acquatica di Francesca Mariano e Siet Phorae

I found myself yearning for trees, leaves, ground, water. They became so dear to me…
Izumi – August in the Water, 1995 

Nel 1995 esce in Giappone August in The Water, un film di Gakuryū Ishii dove la protagonista Izumi, giovane tuffatrice olimpionica, vive immersa in una storia d’amore adolescenziale che fatica a corrispondersi, a causa dell’oblio identitario che la trascina all’ascolto di fenomeni ecologici pervasivi e ultraterreni. Circondata da una misteriosa pandemia che decima le persone attorno a sé, Izumi liquefà le sensatezze così antropocentriche della società in cui vive abbandonandosi al flusso dell’ascolto di rocce, piante e animali come i delfini, con i quali sembra poter comunicare telepaticamente. Nel film, l’acqua è presente come preambolo di eventi ed elemento purificatore, oltre che tessuto visivo per mezzo del quale i protagonisti intessono le loro vicende. Anche le musiche composte da Hiroyuki Onogawa coinvolgono l’udito richiamando alla circolarità e la ripetizione propria dell’acqua che scorre, trepida e fluisce, unendosi alle vicende di un mondo ormai in declino. La minaccia posta dalle tecnologie scatena l’ira di spiriti antichi capaci di trasformare le viscere delle persone in pietra, in città dove la popolazione assiste a inondazioni sempre più violente.

È interessante notare come il legame tra tecnologia e organismi biologici rimandi a concetti filosofici attuali, come quelli introdotti da Donna Haraway, per cui l’unione tra cyborg e umani è potenzialmente in grado di curare le nostre società, destabilizzandone la fissità. Ma anche al concetto di ‘entanglement’ teorizzato da Karen Barad, paradigma che riflette sugli stati di interdipendenza di soggetti distanti tra spazio e tempo. O ancora ai ‘rizomi’ dei filosofi Gilles Deleuze e Félix Guattari, assemblaggi di materia e idee che fluiscono infinitamente, definendo una rete intangibile di dinamiche con il potere di de-localizzare la realtà che ci circonda.

Queste sono solo alcune delle tematiche su cui la ricercatrice e scrittrice canadese Astrida Neimanis fonda il cuore delle sue indagini per trattare del paradigma di ‘idrofemminismo’, un concetto da lei creato. In uno dei suoi testi più importanti dal titolo Bodies of Water: Posthuman Feminist Phenomenology, pubblicato nel 2017, Neimanis mostra come, attraverso la lente dell’incorporazione e adottando una prospettiva acquea, sia possibile modificare il nostro sapere e le modalità di creazione di valore proprie degli elementi naturali su cui si fondano le realtà fisiche e biologiche attuali. L’acqua è sempre vita e morte insieme, richiamando tanto il concetto di gestazionalità, così come quello di dissoluzione.

Nell’estetica digitale e insieme fluida del mondo filmico di August in the Water e dalle teorie idrofemministe di Astrida Neimanis è nata la performance acquatica ideata e realizzata da Francesca Mariano e Siet Phorae, dal titolo You Will See Me Whenever You Wish to Meet Me, sorta come atto itinerante destinato a ripetersi nel tempo, espandendo i propri confini performatici in luoghi sempre nuovi. La prima versione ha avuto luogo il 18 giugno 2022 all’interno di IDRAA, festival musicale e performativo curato da Sara D’Agati presso le Terme di Vulci. Un complesso di piscine termali, i cui progetti sono presieduti da Fortunato Federici, presidente del complesso, immerse nella natura nella Maremma laziale.

You Will See Me Whenever You Wish To Meet Me

Nel contesto delle sorgenti naturali le due artiste hanno dato forma, suono e movimento a un’azione concepita per stimolare la fantasia dei partecipanti, offrendo spunti di riflessione sulla labilità dei confini che popolano il nostro modo di fare società. Dalla performance è nato un film realizzato da Matteo Strocchia e Marco Servina nel momento stesso in cui la performance aveva luogo, dove l’immagine e il suono creano un’estensione digitale a completare il quadro visuale della ricerca.

Il girato di Strocchia e Servina riporta le immagini nitide delle prime azioni svolte la sera del 18 giugno, in cui Mariano e Phorae si corrispondono in posizioni parallele che delineano il desiderio di scoperta, incalzate da una musica di flauti e fischi dal sapore barocco, richiamo dei canti di uccelli che popolano il cielo al tramonto. I gesti delle performer rimandano alle idee di esplorazione e ricerca: le mani disegnano nell’aria, perdendosi nel ricordo dei battiti d’ali di farfalle. I polsi ruotano a tempo di musica puntando le dita raggruppate verso l’esterno ricordando le zampe anteriori delle mantidi religiose, pronte a generare nuova vita sacrificando il proprio amato compagno. L’animalità propria al movimento funge da preambolo all’ibridazione che i corpi richiamano, una volta immersi nell’acqua. Insetti, pesci, alieni o umani. Vita che affonda ed emerge dall’elemento che più di tutti è in grado di perpetrarla.

Con il calare della luce tutto decorre e si frantuma in suoni che si fanno pian piano più digitali, tremolanti e sinuosi. I disegni geometrici delle mani percorrono sortilegi e magie nell’aria prima e nell’acqua poi. I corpi delle danzatrici calano ed emergono dalla piscina ormai buia, ripetendosi, vorticando dentro e fuori. Richiamando il nuoto de-sincronizzato grazie al potere d’improvvisazione, Phorae e Mariano scoprono e interagiscono con oggetti d’uso quotidiano permeati di nuova carica, trovati attorno a loro. I costumi e i veli che ondeggiano nell’acqua creano movimenti e disegni che si uniscono ai corpi delle danzatrici, le quali compaiono e scompaiono alla vista dello spettatore fino a trasformarsi come per incanto in figure dalle maschere bianche e dal corpo di velo bagnato.

Come fossero fantasmi o esseri dell’al-di-là, dell’altrove, appaiono sconvolgendo la vista e ponendoci a confronto con ciò che credevamo essere segreto, appartenuto a un mondo distante e inaccessibile. Acqua. Mari, fiumi o paludi che siano. Acqua che richiama il vacillare del sogno, agrodolce culla della fantasia. Una parola, ‘fantasia’, che infonde e stimola visioni durante tutta la performance e la cui etimologia deriva dal greco antico ϕαντασία,  che significa, appunto, ‘apparizione’. Phorae e Mariano sfruttano l’elemento acquatico facendone un nuovo habitat-ambiente ma anche habitus-abito in cui le dimensioni fisiche si confondono, unendosi in un unico flusso o movimento. Vorticando come l’acqua che scavalca le soglie del sotto e del sopra, che non non crea barriere e non offre confini ma unisce pervade e penetra, fluendo.

Un elemento che, più che mai oggi, deve suggerire nuove interpretazioni sul nostro modo di pensare, aiutando a decentralizzare l’immagine antropocentrica del mondo in cui siamo, aiutando a spezzare il confine posto tra un’idea di Noi e di Altro da noi, tra ciò che è umano e ciò che non lo è. L’acqua con-fonde e suggerisce di guardare più in là, affondando il pensiero in quel tipo di introspezione che non può annoiare perché avvolge e coinvolge riunendo mente e corpo, esattamente come l’atto performativo che scuote ogni senso, cavalcando l’onda del mistero, del contatto con l’inaspettato dono della fantasia.

Le artiste ci guidano in un mondo magico e incantato, in cui si disfano delle gabbie di senso attribuite una volta agli stendini per la biancheria, usandoli come timoni in mezzo al mare; si muovono come archeologhe e nuotatrici dall’aura mitologica. Oppure come fossero Ondine, figure assai più fiabesche delle Sirene, ma detentrici di altrettanti saperi nascosti, bloccati nel linguaggio musicale di cui sono maestre.

Fantasticando alla scoperta delle apparizioni che di volta in volta le performer ci mostrano, comprendiamo l’importanza di uno strumento necessario per affrontare le visioni troppo spesso sterili e fataliste che popolano la nostra attualità, insegnandoci a seguire la luce dell’immaginazione.

Greta Pasini
 è nata a Bologna. Vive e lavora a Milano seguendo progetti legati alla critica e all’approfondimento sull’attualità delle arti contemporanee. Le sue ultime ricerche e collaborazioni ruotano attorno alla contemporaneità della performance femminile in Italia.