Ho paura del futuro

Ascoltare Nuove BR di P38 – la Gang

Non siamo senza cuore, anche la rabbia è un’emozione.
Massimo Pericolo feat. Speranza, Barracano, Crooker & Nik Sarno, Criminali

Il segreto di un’autrice o di un autore è racchiuso nel suo nome. Sono scivolosi i nomi. Ammaliano la nostra attenzione perché ci fanno credere di indicare la nuda cosa. Invece rimandano solo a sé stessi. È uno di quei casi in cui l’enigma risulta chiarificatore. Di un nome come Oscura nessuno si fiderebbe. Il suo gioco è immediatamente esposto. Ma noi non viviamo in un mondo di Oscure. Viviamo in città popolate da Chiare, Marte e Francesche. Pensiamo che tutto funzioni allo stesso modo, cadendo nel tranello.

Per questo, quando sentiamo un nome come “P38 – la Gang”, il nostro pensiero alza le vele e naviga via veloce dal nome alla cosa. Una cosa che alla maggior parte di noi non piace. Una cosa che nella mente di molt* nat* negli anni Novanta si associa subito a immagini in bianco e nero passate alla TV con una lugubre voce fuori campo o a racconti pronunciati con lo stesso sollievo di chi descrive l’incubo della notte appena passata. L’associazione mentale prosegue. Dal pozzo notturno della memoria escono all’improvviso altri nomi, come “Piazza Fontana”, “Aldo Moro” o “stazione di Bologna”. Il tempo però ne ha sbiadito i contorni. La percezione chiara di cosa effettivamente sia successo in Piazza Fontana, di chi fosse Aldo Moro, del perché ogni 2 agosto al TG mandano un servizio su cosa accadde nel 1980 alla stazione di Bologna è ormai sempre più sfocata. Sono avvenimenti distanti, in preda a una nebbia che li avvolge tutti allo stesso modo. Le loro differenze, le parti di volta in volta coinvolte, le strategie alle loro spalle sono relegate a una sorta di mitologia le cui chiavi non sono più proprietà collettiva. Una cosa invece sembra essere nota. Di questi nomi si sa che rimandano a un passato violento. Un passato in cui alcuni individui hanno messo a repentaglio la possibilità di vivere una vita tranquilla. Il nome “P38” riesce quindi a fungere da metonimia per un orrore da cui si può solo ringraziare d’essere scampat*.

Eppure è vero, come si dice in Gulag II, che: “Non fotti con la storia”. La realtà storica ti inchioda senza generare simili associazioni. Che cosa, invece, è in grado di suscitare infinite catene associative? Semplice: i simboli. La P38 è l’emblema per eccellenza di quel non meglio precisato periodo storico che, da un film di Margarethe von Trotta del 1981, ha preso il nome di “anni di piombo”. Peccato che la P38 non fosse in realtà particolarmente diffusa fra il 1969 e il 1985. Il suo prestigio si deve al fatto che era stata l’arma in dotazione alla Wermacht durante la Seconda guerra mondiale. Spesso i gruppi partigiani ne venivano in possesso fregiandosi delle armi tolte al nemico. Certo, qualche vetusto esemplare girava ancora negli anni Settanta, ma a farla da padrone era la più modesta Beretta. Nemmeno l’arma con cui fu ucciso Aldo Moro era una P38, bensì una mitragliatrice Skorpion.

Se un gruppo musicale, la cui attività si svolge a circa cinquant’anni di distanza da quegli avvenimenti, sceglie come nome “P38”, dobbiamo pensare che un atto simile abbia più a che fare con l’entrata nella giungla dei simboli che con l’assunzione dell’onere della rammemorazione storica. Parlare di Nuove BR di P38 – la Gang non significa quindi parlare, per l’ennesima volta, degli anni di piombo, bensì della narrazione costruita su di essi e dei suoi effetti sul nostro presente. La questione allora diventa dirimere in quale tipo di discorso o di immaginario ci stiamo muovendo.

Si dirà: “L’album si chiama Nuove BR. Che immaginario vuoi che ci sia? Più chiaro di così non si potrebbe”. In effetti, è un nome che sembra più l’atto fondativo dell’ennesima banda armata senza speranza che non una dichiarazione di poetica. Peccato che, a rigor di storia, le Nuove BR si siano già costituite, abbiano già svolto la propria tragica attività e siano state – per quel che è dato sapere – sconfitte. Nuove BR è un titolo che funziona già come un anacronismo. L’inattualità del riferimento dovrebbe, a uno sguardo attento, essere immediatamente evidente. La sua presunta chiarezza, così come la massiccia presenza di riferimenti alle Brigate Rosse all’interno dell’album, vanno quindi comprese a partire da un terreno diverso.

Invece di focalizzarci solo sulla presenza delle BR dobbiamo allargare il campo fino a osservare, più in generale, la totalità dei riferimenti appartenenti all’universo storico-concettuale del “comunismo”. Andando da una canzone all’altra ne troviamo a iosa. Fra i tanti, solo a titolo esemplificativo: Stalin, Margherita Cagol, Kim Jong-un, l’IRA, Lenin, Che Guevara. Sono tutti nomi all’apparenza perfettamente assimilabili. Hanno a che fare con il lato più radicale dell’ideale comunista così come si è manifestato nel XX secolo. In altre parole, sono il volto violento e omicida del comunismo.

Con una mossa tipica della trap, questi personaggi vengono estrapolati dal loro contesto e giustapposti l’uno all’altro, come se fossero prodotti esposti in una vetrina di via del Corso. È un procedimento a dir poco straniante. Margherita Cagol di certo non avrebbe considerato la dittatura nord-coreana come un obiettivo desiderabile, così come il nazionalismo cattolico dell’IRA lo rende molto diverso dall’usuale anticlericalismo del movimento operaio internazionale (si pensi al caso italiano!). Esperienze diversissime vengono prese e connesse l’una all’altra, senza ritegno e senza il minimo rispetto per la loro realtà effettiva. Già il solo fatto che le si possa raccogliere sotto il titolo ambiguo di “comunismo del XX secolo” ci dice che c’è qualcosa che non quadra. Infatti, mentre lo faccio, mi rendo conto di star usando il termine comunista senza l’accortezza che gli sarebbe dovuta. Insomma, il suono con cui tale parola mi rimbomba in testa mentre scrivo è quello della voce di Berlusconi che urla: «Siete sempre e solo dei poveri comunisti!».

Il mondo comunista di Nuove BR non è quello di chi porta avanti pazientemente una rivisitazione (teorica o pratica) dell’esperienza storica del socialismo reale e dei partiti comunisti internazionali. Non si va a separare il grano del progresso sociale dal loglio del Gulag. L’immaginario comunista di Nuove BR è quello di Canale 5, di Enrico Mentana e di Paolo Mieli. È quello del Corriere della Sera, di la Repubblica e della maggior parte dei giornali a grande tiratura. È quello dei post di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Quello che ci viene urlato nelle orecchie in pezzi come Giovane Stalin o La Bocconi brucia è un comunismo consumistico, televisivo, social, è cioè quella narrazione sul comunismo che chi come me è nat* ben dopo la caduta del muro di Berlino si beve ogni volta che incappa in una TV accesa o guarda il feed di Instagram. In soldoni, è il comunismo di chi odia il comunismo.

Con un’ovvia differenza. P38 – la Gang ha preso quell’immaginario e lo ha ribaltato, cambiandolo di segno. È un procedimento ingenuo, certo. Si tratta però di un’ingenuità costruita, perché ingenua è la visione del comunismo che popola il dibattito pubblico. La narrazione quotidiana (in cui comunismo=Gulag=brutto=mai più) viene ribaltata e messa così di fronte alla propria inconsistenza nella misura in cui banalizza un passato che – lo si voglia o meno – rappresenta gran parte della storia del Novecento. La centralità data al brigatismo dipende allora da questa scelta complessiva e dal fatto che le BR sono davvero l’inconscio represso del discorso pubblico italiano. La Siberia è lontana. Via Caetani è nel centro di Roma, a pochi passi da Piazza Venezia e da via dei Fori Imperiali. Le BR rapivano, uccidevano e gambizzavano da Torino a Milano, da Genova a Napoli. Sono loro il nostro Gulag, la punta di scelleratezza massima che il discorso pubblico può mostrare il comunismo abbia assunto su suolo italico. Ecco perché si può parlare di Mario Moretti e Stalin come fossero la medesima cosa.

L’esperienza del movimento operaio organizzato che troviamo nei testi di P38 – la Gang è così un’esperienza reificata e mercificata, cioè inautentica e assolutamente inverosimile. La carica di potenziale mimetico è quindi disinnescata dal fatto che le parole d’ordine sono, ancora una volta, quelle di chi il comunismo lo ha sempre combattuto. E P38 – la Gang lo sa bene, come dimostra la critica feroce all’utilizzo opportunistico della provocazione all’interno della musica trap (Primo comunicato: «Non siete rapper, siete imprenditori del cazzo»: Moda italiana: «Meglio parlare dell’Armata rossa / Che sembrare un cazzo di rapper da posse / È colpa vostra se i ragazzini vogliono solo le borse di marca e le botte»). Si tratta invece di prendere un genere commerciale – la trap – e utilizzarne tutto il potenziale critico. Così, i simboli del “comunismo di consumo” sono assunti all’interno di una dimensione riflessa in cui è proprio il loro valore simbolico come tale a essere messo a tema.

Lo si può constatare se si mettono a confronto i loro testi con un’altra canzone, cioè Bandito senza tempo dei The Gang (Le radici e le ali, 1991). Questo brano si vuole epica che travalica i confini spazio-temporali tramite la continua reincarnazione del mito del sabotatore sociale, da Gaetano Bresci a Joe Strummer. In questa corsa a grandi falcate incontriamo anche le BR:

Quel tempo chi lo ricorda
Lo Stato aveva mal di cuore.
Così a Renato Curcio
Chiese in prestito nuove parole.

Con quelle partì all’assalto
Di nuovi mulini a vento.
Incontrò anche un sorriso
Lungo la strada che porta a Trento.

Nonostante l’utilizzo dell’immagine dei mulini a vento (che dovrebbe rappresentare l’inanità dei propositi stemperandoli), l’eroicizzazione è evidente. A completare il quadro fiabesco, Margherita Cagol è dissolta nel sorriso rivolto all’eroe che percorre il suo cammino. Insomma, se Curcio è un nuovo Don Chisciotte, Cagol è la sua Dulcinea. Ora prendiamo invece la strofa finale di Renault di P38 – la Gang:

Ti metto dentro una Renault 4
Brigate Rosse scritto sul contratto
Presidente, lei mi sembra stanco
La metto dentro una Renault 4

Non c’è nessun riferimento alla realtà storica delle BR. Non c’è nessuna costruzione eroicizzante delle figure della lotta armata. Nessun vagheggiamento o tentazione di riattualizzare un passato ormai chiuso. Riferimenti pubblicamente inaccettabili come le BR e la Renault, dove fu ritrovato il cadavere di Aldo Moro, vengono semplicemente citati, senza epica né rimpianto. La loro presenza è un segnale luminoso che ci attira e al contempo ci respinge. La strategia con cui tali riferimenti sono utilizzati è quella del montaggio, in cui elementi disparati vengono giustapposti per ottenere un effetto di shock. È la logica con cui molta grafica pubblicitaria cerca di attrarre la nostra attenzione su un certo prodotto. I testi di Nuove BR funzionano esattamente allo stesso modo. Il problema è allora individuare cosa P38 – la Gang sta cercando di “venderci”.

Cerchiamo di mettere fra parentesi il disgusto morale che il riferimento alle BR e all’omicidio di Moro potrebbero generare in noi. Concentriamoci invece sul senso della strofa. Quella che viene inscenata è una situazione comune, apparentemente innocua. Qualcuno è stanco e qualcun altro offre un passaggio. Semplice e rassicurante. Ma è davvero così? Credo che qualsiasi donna sappia quanto può essere rischioso accettare un passaggio non tanto da uno sconosciuto, quanto magari da una figura nota – di cui ci si fida – che si rivela poi pronta a molestarci o stuprarci. Dietro un “Mi sembri stanca. Se vuoi ti porto a casa” spesso si nasconde lo stupratore pronto poi a dire che avrei accettato quel passaggio di buon grado e quindi mi sarei anche resa disponibile a “ricambiare la gentilezza”. Certo, senza un segnale, scorgere la violenza dietro la normalità non sarebbe possibile. Invece, il riferimento alle BR rende la familiarità e la tranquillità della situazione immediatamente fasulle. Il simbolo non si risolve nel suo richiamo al passato. I simboli dell’immaginario pubblico sul brigatismo vengono presi e usati per attirare la nostra attenzione su qualcosa che essi stessi non sono. Proprio come in un video promozionale, gli strumenti grazie a cui la nostra attenzione viene attirata non servono a vendere la pubblicità stessa, ma il prodotto che espone. In questo caso, il “prodotto pubblicizzato” è la consapevolezza che l’orrore mondano non è certo finito con la vittoria dello Stato italiano sulle BR. È questa l’essenza dell’utilizzo rovesciato dei simboli creati dalla narrazione pubblica. Quella simbologia viene presa esattamente nel suo valore “consumistico”. Il suo potenziale è portato a esaurimento per mostrarne la radice di mistificazione rispetto a quello che è il punto centrale di Nuove BR: la violenza di cui è ancora innervata la società odierna.

L’esperienza del movimento operaio organizzato che troviamo nei testi di P38 – la Gang è reificata e mercificata, cioè inautentica e assolutamente inverosimile.

Il riferimento alla violenza di genere non è casuale visto che costituisce uno dei temi principali dell’album. A “fare le strofe” sono sole voci maschili, cosa che pone inevitabilmente la questione della legittimità del punto di vista. Invece di replicare per l’ennesima volta il cliché di costruire un’immagine fasulla della donna, la mossa è quella di decostruire dall’interno l’idea di maschilità. Come base di partenza, essa viene illuminata da versi in cui la violenza militare si mischia a quella sessuale (Fritto misto: “Sono un figlio di puttana armato con il cazzo in mano”) che ricordano molto da vicino i cori che il sergente Hartmann fa cantare alle reclute in Full Metal Jacket di Kubrik (“Con questo spariam e con questo chiaviam”). Ma tale immagine viene poi ribaltata nel suo contrario e mostrata come esito di una reazione. Al di sotto del potere c’è sempre l’impotenza. Il maschio viene raffigurato come sessualmente represso e incapace di una concezione liberata della sessualità (Come me come te: “Un’erezione triste per un coito molesto” – che poi è una citazione da Mi ami dei CCCP; Moda italiana: “Sono troppo depresso per fotterti”). Al contrario, le varie figure femminili che per tutto l’album gli vengono opposte sono mostrate come parte di un processo di piena soggettivazione e autonomizzazione decisionale, sia dal punto di vista sessuale che politico (Come me come te: “Penthotal va bene. / Io ci torno a casa con te / Ma tu cosa mi dai in cambio?”; Renault: “Questo infame dice le mie bimbe sono puttane / ste puttane danno spranghe prima a te, poi a tuo padre”). Il maschio di Nuove BR è una soggettività spezzata, in cui il godimento è impossibilitato a esprimersi per autorepressione indotta dal contesto e si sfoga in nevrosi e consumo di droga. La sua mente è l’esito triste di un’organizzazione sociale che lo pone in bilico fra la repressione forzata e lo scoppio coatto di violenza.

È di certo uno dei meriti più evidenti di questo album quello di aver utilizzato la trap, nei cui testi la violenza è di casa, come strumento per rimetterne a tema la dimensione collettiva e istituzionale. In questo modo, la violenza passa da essere l’epifenomeno estetizzato del mondo criminale o lo sfogo delle pulsioni represse su donne viste solo come pezzi di carne da stuprare o possedere a dimensione strutturale dell’intero societario. All’interno di questo contesto rientrano i plurimi riferimenti negativi alle forze dell’ordine. Anche in questo caso si tratta di un locus classicus della trap (si ascolti, ad esempio, la splendida Scialla semper di Massimo Pericolo). Se, da un lato, troviamo l’ormai usuale opposizione fra gang paracriminale e polizia, dall’altro le forze dell’ordine sono prese in causa come espressione della repressione messa in atto dai ceti dominanti (Giorni Black: “Lo sbirro fa scuola / Ma la scuola è la Diaz”; Renault: “Ai live cerchiamo il morto come le guardie in Alimonda”). Allo stesso modo, la capacità della politica istituzionale e parlamentare viene immediatamente disattivata, per essere ribaltata sulla sua connivenza con il mondo padronale e mafioso. Il senso di una canzone come La Bocconi brucia è infatti quello di smascherare l’apparente neutralità di una prestigiosa università da cui sono uscite molte delle figure facenti parte dei vari “governi tecnici” che hanno attraversato la recente storia italiana. La Bocconi è il simbolo del circolo interno all’opulenza di un gruppo ristrettissimo che ha fatto del nostro paese un’oligarchia patrizia, e della schiavitù a cui persino il sapere viene ricondotto quando è inserito nel sistema di sfruttamento che viviamo quotidianamente.

Questa violenza diffusa e istituzionalizzata però rimbalza. P38 ricorre a un ulteriore aggiustamento dei canoni del genere. L’io della trap è solitamente un io che fagocita l’intero mondo circostante per soddisfare i suoi bisogni. Molta trap a sfondo sociale si occupa della discrasia fra la volontà di possesso creata dalla promessa di un mondo scintillante di merci lussuose e la povertà imperante che vi nega l’accesso. È un io nichilista e distruttivo quello che urla la propria bancarotta. Nel caso di Nuove BR invece la questione è più complessa perché l’io esiste solo come costruzione sociale e narrativa. Questo ci rende perspicui alcuni versi che vale la pena riportare:

Sono il dittatore, mangio il tuo bambino
Sono un terrorista innervosito analfabeta clandestino
(Fritto misto)

Siamo le nuove BR, siamo l’URSS, siamo l’Iran
siamo Lenin, siamo Cuba, siamo l’IRA
(Luci blu)

Sono distici ammantati da un’aura orrorifica. La raffigurazione del soggetto (maschile) – che prima abbiamo visto come pulsione spezzata e incoerente – qui assume invece una sua fisionomia. Ciò avviene sfruttando la narrazione simbolica dei gruppi dominanti. L’io in frantumi si fa ricomporre in qualità di incubo della classe padronale, assumendo come propria la descrizione che ne fa il nemico (come il movimento omosessuale ha fatto con la parola frocio, tanto per fare un esempio). Quello che va in scena in questi versi è l’horror movie dei ceti dirigenti del nostro paese. L’io dei gruppi subalterni afferma così la sua mancata integrazione rispetto a quella che è la grande favola che la simbologia del “comunismo di consumo” vuole legittimare, cioè quella dell’imprenditore o – anche se più raramente – dell’imprenditrice come eroe/eroina della società dalla cui tavola imbandita dovrebbero cadere briciole per tutt*. Peccato che nella realtà chi è pover* viene ghettizzat* a livello sociale, economico, urbano e simbolico. Barriere reali e concettuali vengono alzate per separare il mondo luminoso del lusso e dell’impresa da quello oscuro delle periferie e delle province (Luci blu: “Tu non sei di quei palazzi là / tre cognomi e zero dignità”). È un mondo, quello delle classi dominanti, che si ammanta di razionalità, tecnicismi, di “non possiamo fare diversamente”, di “ma volete i gulag!?”.

Questa narrazione, insieme alla virulenta lotta di classe dall’alto che andava e va a legittimare, ha disattivato per decenni tutti gli strumenti politici, teorico-concettuali e simbolici della tradizione degli oppressi e delle oppresse. Una storia complessa e articolata, dal cui recupero avremmo (quasi) tutt* da guadagnare, è stata ridotta a una barzelletta. E proprio questa barzelletta è ciò da cui P38 riparte. I personaggi dei brani di Nuove BR sembrano dire: “Ci avete detto che non possiamo avere giustizia sociale perché altrimenti perdiamo la libertà? Bene, allora vogliamo la dittatura. Ci avete detto che provare a costruire una società più equa porta solo alla repressione omicida? Okay, allora meglio il Gulag”. È una logica dell’assurdo che, però, non fa altro che portare alle estreme conseguenze l’assurdo in cui la nostra vita si svolge. Proprio per questo lo sdegno e l’imbarazzo perbenista nell’ascoltare Nuove BR sono il sintomo della responsabilità di chi sa di aver campato e star campando solo grazie alla sopraffazione e alla menzogna. Per chi invece sente altrimenti il messaggio è uno solo:

Volevi sognare ma stai a zero euro
Prenditi tutto quello che ti hanno preso
Se senti ’sta traccia puoi farlo davvero
(Moda italiana)

Oscura Ferragni (Cremona, 7 maggio 1997). La sua occupazione principale è rosicare perché al risveglio, ogni mattina, invece delle caprette di Heidi trova il capitalismo a farle ciao. Per distrarsi legge e – solo se costretta da particolari cataclismi – scrive. Si tiene alla larga da gruppi di ricerca, collaborazioni accademiche e simili.