Estinzione, ribellione, felicità

Nove punti tra apocalisse e rivolta

La mano invisibile ci sta strangolando

Quella della mano invisibile è una delle mitologie più persistenti dell’economia (neo)classica. Il suo potere magico consiste nell’assicurare che grazie al mercato i benefici sociali siano massimizzati quando ciascuno agisce nel suo interesse. E se invece la mano invisibile fosse un po’ meno benefica di come ce l’hanno raccontata? Il torrente di immagini di brutalità poliziesca che proviene dagli Stati Uniti mi ha spinto a chiedermi se per caso non sia la mano invisibile al lavoro per tenere in vita la catena di Sant’Antonio che chiamiamo capitalismo. Forse è questa mano invisibile che un paio di anni fa bussò alla mia porta chiedendo immediatamente i soldi di un vecchio debito, altrimenti…

(Lara Luna Bartley, The Invisible Hand)

La mano invisibile sta evidentemente strangolandoci, e Günther Anders lo aveva previsto negli anni di Hiroshima e Nagasaki.

In Noi figli di Eichmann Anders scriveva che il modello nazista è destinato a raggiungere la sua perfezione quando la tecnica prenderà il sopravvento sugli esseri umani. Auschwitz è stato il primo esperimento di una gestione industriale dello sterminio, adesso le forze congiunte della tecnica e del razzismo stanno preparando la soluzione finale su scala planetaria.

Anders scriveva: «Possiamo aspettarci che gli orrori del Reich futuro eclisseranno quelli del Reich di ieri. Certamente quando un giorno i nostri figli o nipoti, dalle altezze del loro Reich millenario guarderanno indietro al cosiddetto terzo Reich, a loro apparirà come un esperimento provinciale, minore».

Questa agghiacciante predizione sembra oggi diventare vera. L’automazione dello sterminio, secondo Anders, è il contributo essenziale del Nazismo, e nella nostra epoca postindustriale il progetto di sterminio automatico può essere implementato su scala molto più vasta di quella che poté realizzare Hitler.

Quello che non abbiamo visto negli anni Settanta

Gli attivisti che si sono formati a metà del secolo passato non erano preparati al ritorno della ferocia nazista. Ma nel nuovo secolo quella ferocia si ripresenta: l’amministrazione Trump ha rimesso in scena spettacoli di orrore come la separazione dei bambini delle famiglie migranti, e questa è solo una delle innumerevoli prove della violenza disumana che si diffonde in tutto il mondo soprattutto contro i migranti.

La cultura del movimento italiano di Autonomia, a cui io partecipai nel secolo passato, anticipò molti aspetti della trasformazione attuale nel campo del lavoro, della tecnologia e della composizione di classe, ma fu sostanzialmente incapace di prevedere l’esaurimento della crescita economica, e fu quindi incapace di vedere le dinamiche persistenti di soggettivazione fascista.

Nonostante la pubblicazione del Rapporto sui limiti dello sviluppo (1972), non comprendemmo gli effetti di lungo periodo impliciti nel collasso dell’ambiente fisico e nello sfruttamento dell’energia mentale.

Per questa ragione non credo che la mia esperienza degli anni Settanta serva molto oggi a pensare le forme tattiche della resistenza di cui abbiamo bisogno, e le strategie che il nuovo movimento deve elaborare.

Nelle note che seguono cerco di riconsiderare la possibilità di soggettivazione autonoma nell’orizzonte dell’estinzione, aperto dal collasso pandemico.

Convulsione

Nell’autunno del 2019 una convulsione scosse il corpo planetario: da Hong a Santiago a cento altre città del mondo i giovani, soprattutto disoccupati e precari scesero in strada in una sorta di rivolta globale: non c’era alcuna strategia comune in quella sollevazione, non c’erano obiettivi comuni riconoscibili. Comune era il senso di soffocamento, di sofferenza intollerabile, il senso di disperazione espresso dalle parole I can’t breathe.

Tre film catturano quel momento: Joker di Todd Phillips, Parasite di Bong Joon-ho e Sorry We Missed You di Ken Loach.

Poi, dopo la convulsione, venne il collasso.

La pandemia che dilagò nei primi mesi del 2020 agì come una sorta di psico-deflazione: la macchina globale improvvisamente si fermò. Ma questo crollo non dovrebbe essere considerato come un evento isolato, ma piuttosto come la rivelazione di una molteplicità di processi catastrofici che si stanno svolgendo da molti anni e ora precipitano insieme: stagnazione economica, devastazione ambientale, fragilità psichica dell’organismo sociale esausto per l’aggressione tecno-finanziaria e l’accelerazione digitale della stimolazione nervosa.

Apocalisse

Nel senso etimologico della parola, possiamo dire che si tratta di un’apocalisse: il momento di verità in cui diviene chiaro che l’economia neoliberale è incompatibile con la sopravvivenza del genere umano. Il nuovo orizzonte che stiamo scoprendo non tanto lentamente è l’estinzione. Questa parola, che non appartiene al lessico della politica, prende il posto centrale nell’immaginazione sociale per la prima volta nella storia.

La democrazia liberale agonizzante e i movimenti neoreazionari di identificazione (nazionale, razziale, religiosa, culturale…) convergono verso la guerra civile globale: conflitti identitari in ogni paese del mondo, violenza contro i migranti e caos geopolitico. L’aggressività economica della globalizzazione capitalista ha alimentato la demenzio-crazia che ha il suo simbolo in Trump: maschi bianchi senescenti ossessionati dallo svanire della loro supremazia.

Alla fine il neoliberismo si mostra per quello che è: la strategia economica che (consapevolmente o inconsapevolmente) prepara il fascismo. I movimenti sociali non possono fare nulla per dissipare questa tendenza. Dobbiamo sopravvivere alla tempesta, e creare, moltiplicare, difendere, con ogni mezzo necessario, gli spazi virtuali e fisici di respirazione, autoterapia e sperimentazione sociale tecnica e produttiva.

Terapia

L’insurrezione che è seguita all’esecuzione pubblica di George Floyd da parte del Ku Klux Klan vestito con la divisa della polizia (e pagato con soldi pubblici) ha segnato l’emergere di una soggettività che è insieme antirazzista, multirazziale e anticapitalista, e che agisce come terapia di massa per il corpo soffocato della classe precaria, il nuovo proletariato intergenerazionale e interrazziale degli Stati Uniti. In seguito alla pandemia le rivolte sono state la sola maniera di evitare il soffocamento: l’insurrezione è la cura di emergenza per l’organismo sociale e per il cervello collettivo.

Ma adesso, nonostante la frammentazione del corpo sociale precario, dobbiamo produrre un atto di immaginazione strategica: quale programma per il movimento del prossimo periodo, in particolare negli Stati uniti dove le elezioni, a prescindere da chi vince, apriranno un periodo di diffusa instabilità e violenza?

Dovremmo lasciarci coinvolgere nello scontro politico americano o dovremmo starcene fuori dalla mischia?

I movimenti sociali non dovrebbero a mio parere farsi coinvolgere nella lotta tra democrazia imperialista liberale e demenzio-crazia nazionalista. Epperò dovremmo cogliere tutte le occasioni per la creazione di spazi di vita autonoma, e dovremmo continuamente ripetere un semplice concetto: la redistribuzione della ricchezza è il solo modo per uscire dall’inferno.

Eguaglianza, frugalità e redistribuzione della ricchezza.

Collasso

Quali che siano le misure di intervento finanziario statale, l’economia capitalista non si riprenderà. Nessuna ripresa, nessuna crescita, nessuna pace sociale sono in vista per il prossimo decennio.

In questo periodo, mentre resisteremo all’aggressione convergente del razzismo e delle corporazioni globali, mentre cercheremo di sopravvivere, dovremo tenere presenti le lezioni del collasso pandemico: il dominio integrato dell’astrazione tecno-finanziaria è crollato, la concretezza biologica del virus l’ha fatto saltare. Quel che ci occorre adesso è la concretezza e utilità dei prodotti della conoscenza e della cooperazione: cibo, cura, educazione. Autonomia alimentare, strutture pubbliche della salute, autogestione del processo di educazione: questi sono i problemi che deve affrontare il movimento sociale.

Trauma

Nel corso dell’ondata pandemica alcune grandi compagnie incassano enormi profitti grazie alla disgrazia, e la disuguaglianza esplode. Una piccola minoranza prospera sulla sofferenza della grande maggioranza.

È l’effetto di una regola che si è incorporata attraverso gli automatismi della finanza linguaggio, dell’immaginazione e della vita quotidiana: la sottomissione alla regola monetaria, in particolare al debito, funziona come trappola mentale che però si potrebbe rompere grazie al trauma. Il trauma è destinato a durare per un lungo periodo e i suoi effetti nella cultura, nel comportamento, nell’inconscio si manifesteranno progressivamente. Dobbiamo agire sull’evoluzione mentale post-traumatica: l’azione deve produrre insieme cura e solidarietà.

Insolvenza

L’economia globale sarà in uno stato di collasso permanente, e la società deve imparare a essere indipendente dal mercato per i bisogni fondamentali. Dobbiamo sperimentare su scala locale e su scala allargata l’autosufficienza alimentare, educativa, sanitaria, e disattivare la regola monetaria nella vita quotidiana dovunque sia possibile.

L’insolvenza deve essere organizzata scientificamente, dal momento che la redistribuzione della ricchezza è il solo modo per evitare un olocausto planetario.

Occorre dichiarare dovunque sia possibile il disconoscimento del debito, l’insolvenza.

So che tutti questi sono al momento dei pii desideri. So che la maggioranza della popolazione cercherà protezione nell’identità, nell’appartenenza, nella nazione e nella razza… e questo significa guerra in espansione. So che non possiamo fermare questa tendenza, poiché le energie aggressive accumulate negli anni trumpisti sono destinate a scontrarsi quasi per inerzia. So che la tempesta non si può dissolvere, eppure dobbiamo fare il possibile per evitare la tempesta, creando spazi di autonomia.

Felicità

L’estinzione emerge come orizzonte del secolo. Dopo tutto è naturale per tutti diventare nulla prima o poi. Quindi dovremmo rilassarci e accettare questa realtà senza entrare nel panico. Ma il punto è questo: è possibile la vita felice nell’orizzonte dell’estinzione?

Se non è possibile siamo condannati, e l’estinzione sarà l’esito di una competizione frenetica e dell’ostilità tra potenze sempre più armate.

Ma io non credo che siamo condannati, perché sì, la felicità è possibile nell’orizzonte dell’estinzione. L’estinzione individuale non è qualcosa che scopriamo adesso: siamo abituati alla prospettiva della nostra individuale mortalità, tuttavia in alcuni momenti siamo riusciti a creare le condizioni per la vita felice collettiva, no?

La realtà è brutale, ma autonomia significa proprio questo: non lasciarsi trasformare in bruti dalla realtà, accompagnare con la cortesia la necessaria radicalità. Solo quando una vasta minoranza in movimento sarà capace di mostrare che la solidarietà e la vita felice sono possibili nell’orizzonte dell’estinzione, una linea di fuga dall’estinzione si potrà trovare.