Ecologia erotica

Qual è il rapporto tra il collasso climatico e la nostra libido? In che modo possiamo conciliare l’ecologia con il desiderio? Un’intervista a Dominic Pettman, autore di Ecologia erotica. Sesso, libido e collasso del desiderio (Edizioni Tlon).

Fotografie di Colette Stubbings

Che rapporto intercorre tra i nostri desideri – dai più carnali e apparentemente primigeni a quelli più costruiti, sublimati in pratiche sovrastrutturali articolate e complesse – e l’ecologia del nostro Pianeta? Vale a dire: come influenziamo l’economia complessiva dell’ecosistema in cui siamo immersi tramite la costruzione o la decostruzione dell’immaginario che costituisce i nostri bisogni? Si tratta di una domanda molto interessante, specie in un mondo in cui tutte le possibili risposte si muovono caoticamente in uno spazio disumano che si estende tra i due estremi: l’astensione assoluta e quindi l’assenza di desiderio, e invece la germinazione di modi nuovi di vivere la sessualità in modo più libero, consapevole e creativo.

Dominic Pettman, autore di Ecologia erotica. Sesso, libido e collasso del desiderio (traduzione di Michele Trionfera, Edizioni Tlon), che abbiamo deciso di intervistare in merito, ha dedicato diversi studi all’analisi di questa relazione, cercando di stimolare una riflessione che vada oltre la mera speculazione filosofica o il rimuginare postmoderno, in nicchie protette, sulla creazione di nuove utopie contemporanee che possano costituire isole di esplorazione ed elaborazione di pratiche nuove. Il modo in cui Pettman esplora i problemi del nostro tempo non è mai prescrittivo, pur dandoci una spinta verso la possibilità di azioni concrete, tramite un linguaggio esplicito, che dal ragionamento più metafisico, se vogliamo, si va a innestare nel discorso sociale e politico per farsi praxis.

Bartolomeo Cafarella: Ecologia erotica inizia proprio con la perturbante domanda di cui sopra e che riportiamo qui testualmente: «Qual è l’impronta carbonica della tua libido?». Domanda che – come è specificato in nota – proviene dalla collaborazione con la filosofa Margret Grebowicz. Puoi raccontarci come siete arrivati a formularla e cosa intendiamo per libido nel contesto che il tuo lavoro ci propone?

Il nostro sistema ipercommerciale è progettato attorno alla creazione di desideri insaziabili, e così la nostra libido viene frantumata dai media e da altri agenti del capitale, finché non rimane quasi nulla, tranne una “pura pulsione”.

Dominic Pettman: Certamente. Il momento in cui mi si è accesa la lampadina risale a qualche anno fa, mentre leggevo un articolo sul best-seller erotico più venduto di sempre: Cinquanta sfumature di grigio. Pare che sia stato commesso un errore nel processo di produzione. Nello specifico, per la rilegatura è stata utilizzata una colla non biodegradabile. Questo significava che uno dei libri che vendeva di più in quel momento avrebbe avuto un’impronta ecologica maggiore rispetto ai soliti libri. All’improvviso ho realizzato la correlazione che intercorre tra i nostri desideri e l’impatto negativo che possono avere sull’ecologia del pianeta – incarnata emblematicamente da questo libro iconico. Allora, durante alcune conversazioni con i colleghi, come la dottoressa Grebowicz, ho iniziato a chiedermi in quali altri modi specifici e tangibili la nostra libido potesse effettivamente essere considerata una parte significativa dell’equazione ambientale.

Per quanto riguarda l’uso che faccio del termine libido: ho semplicemente combinato il pensiero di Freud con le idee di un filosofo francese più recente, Bernard Stiegler. Freud considerava la libido l’energia della vita: il motore psichico che alimenta la nostra motivazione, e riguarda tutti i nostri progetti, anche aldilà del sesso (la libido, cioè, aiuta a trasformare l’istinto sessuale “animale” in attività culturali “umane”, attraverso il processo di sublimazione). Stiegler sostiene che stiamo esaurendo la libido, preziosa risorsa umana, nello stesso modo in cui stiamo finendo, diciamo, il petrolio.

Il nostro sistema ipercommerciale è progettato attorno alla creazione di desideri insaziabili, e così la nostra libido viene frantumata [fracked] dai media e da altri agenti del capitale, finché non rimane quasi nulla, tranne una “pura pulsione”. È come se fossimo tornati al punto di partenza, di nuovo animali (a parte il fatto che ora siamo animali collegati a una gigantesca macchina pavloviana). Per Stiegler dovremmo imparare a produrre più libido, per rigenerare le scorte perdute. E questo implica ri-apprendere come prendersi cura, nel tempo, con un’attenzione consapevole. Significa investire in cose che vanno ben oltre la volgare gratificazione egoica momentanea.

BC: Tutto il ragionamento portato avanti nelle pagine del testo nasce da un problema evidente che, per paradosso, provoca due reazioni diverse, opposte. Da una parte, la sovrastimolazione virtuale della nostra libido ci porta a sublimare il desiderio tramite il consumo; dall’altra genera una tendenza solipsistica che spesso può portare gli individui a prediligere un atteggiamento di isolamento onanistico. Proviamo a riassumere il doppio filo che ci lega a questo “problema” e a spiegare perché è diventato anche e soprattutto un problema ecologico.

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DP: Hai riassunto perfettamente il problema. Tuttavia, non sono sicuro che sia una contraddizione o un paradosso. I lockdown durante l’epidemia covid hanno solo accelerato il nostro isolamento in rete; non lo hanno creato. In effetti, Zuckerberg e Bezos non avrebbero potuto pianificarlo meglio: stimolare consumatori isolati che dipenderanno sempre di più dal clic sul pulsante “acquista” per compensare all’evaporare di tutto ciò che può essere da nutrimento alle nostre relazioni sociali.

La libido non prospera in un barattolo, o nel vuoto, o in una capsula di isolamento, ma ha bisogno di connettersi – e condurre – a forze planetarie (anche cosmiche).

Nel lontano 1981, nel terzo volume della sua Critica della vita quotidiana, Henri Lefebvre lo aveva già previsto: «La vita quotidiana computerizzata rischia di assumere una forma che alcuni ideologi trovano interessante e seducente: l’atomo individuale o la molecola famigliare all’interno di una bolla dove i messaggi inviati e ricevuti si intersecano. Gli utenti, che hanno perso la dignità di cittadini, ora che figurano socialmente solo come consumatori di servizi, perderebbero gli spazi sociali, e la socialità stessa. Non sarebbe più l’isolamento esistenziale del vecchio individualismo, ma una solitudine tanto più profonda in quanto sopraffatta dai messaggi».

La connessione all’ecologia viene dall’insostenibilità di questa condizione (e qui vale la pena menzionare un altro testo molto preveggente, The Machine Stops di E.M. Forster, che più di cento anni fa prefigurava il crollo di Internet). Tutti i servizi di streaming di cui abbiamo bisogno per provare un senso di connessione con i nostri simili; tutta l’energia bruciata per mantenere online Pornhub e siti simili; o quella utilizzata per alimentare il mondo dei bitcoin, in modo tale che le persone possano effettuare acquisti dubbi sul dark web per compensare la loro mancanza di contatti reali, stanno rapidamente trasformando l’ambiente in poco più che carburante per alimentare la famelica fornace del mondo digitale.

BC: Il discorso che viene portato avanti nel libro, riguardo le possibili soluzioni al problema, è davvero molto articolato e fa capo anche a pensatori radicali, il cui pensiero è difficile da abbracciare nella sua interezza. A un certo punto scrivi: «sostengo che sia necessario mescolare abbondanti cucchiaiate di Fourier con Stiegler», suggerendo una sorta di ricetta di sintesi tra teoria e prassi, apollineo e dionisiaco, per ciò che concerne il nostro approccio alla libido e alla sublimazione del desiderio. Cosa aggiunge il pensiero sfrenato di Fourier alle puntuali ma lamentose disamine analitiche di Stiegler, e come possiamo trovare questa via di mezzo che ci possa permettere di vagliare alternative inaspettatamente creative?

DP: Altra domanda molto intelligente (che mi ricorda anche come la mia formazione tradisca evidentemente un pregiudizio eurocentrico… come se solo i francesi avessero le risposte!). Devo ammettere che sento Fourier molto vicino poiché era estremamente ambizioso; soprattutto quando si trattava di tirare fuori il meglio da questo fugace miracolo che non è solamente Essere, in astratto, ma un essere-insieme, in un intreccio passionale. Fourier non poteva accettare la repressione, l’oppressione e l’ipocrisia: i tre pilastri su cui credeva che fosse basata la nostra “civiltà”. E perciò ha iniziato a creare progetti, spazi, eventi e occasioni per diffondere l’armonia; non solo tra di noi, ma tra noi e il mondo dei sensi.

La libido non prospera in un barattolo, o nel vuoto, o in una capsula di isolamento, ma ha bisogno di connettersi – e condurre – a forze planetarie (anche cosmiche). Quando siamo lasciati a noi stessi – invece di soffrire il venir meno dei dispositivi che ci vengono forniti normalmente – siamo ugualmente stimolati anche coltivando dei fuori, organizzando concerti, o preparando la cena, allo stesso modo di come ci eccita spogliarci vicendevolmente.

La mia speranza è che la carne conservi ancora la sua saggezza – la forma più carnale di conoscenza – e che questa possa aiutarci a uscire dalla prigione dell’anima.

Sia Fourier che Stiegler lo avevano compreso. Il primo era un eccentrico utopista, e ha tentato letteralmente di progettare una specie di paradiso sulla Terra. Il secondo era più realistico, ma auspicava comunque che potessimo disimparare a provare il tipico “malessere” della vita contemporanea, disorientata e senza i punti cardinali che rendevano l’esistenza comprensibile e persino godibile. Ovviamente ci sono molti altri pensatori e pensatrici a cui potremmo ispirarci – e spero che altri li introducano nel discorso – ma loro sono i due che ho studiato più di recente.

BC: Oltre alle utopistiche fantasie comunitarie di Fourier (i cui tentativi di realizzazione si sono rivelati fallimentari) vengono fatti diversi altri esempi (come quello degli ecosessuali) di comunità che hanno provato a esplorare soluzioni nuove e stravaganti al problema della libido. Esiste davvero, secondo te, un’alternativa – o più di una – concreta possibile per attuare un vero e proprio attivismo ecolibidinale che possa risultare efficace?

DP: Stai veramente mettendo alla prova la mia teoria, vero? Ammetto che la questione della pratica non è affrontata frontalmente nel libro. Volevo prima tentare di definire e descrivere il problema, nella speranza che più persone ne siano consapevoli – non solo concettualmente, ma sentendone l’urgenza nei polsi – per avere più teste a lavorare sulle possibili soluzioni. (Naturalmente ci sono già molte persone al lavoro su questo. Sto solo cercando di fare la mia parte in termini di ciò che chiamavano “aumento della consapevolezza”.) L’ecosessualità, ad esempio, non è la risposta. Come potrebbe esserlo?

Ma penso che se siamo più consapevoli e in sintonia con l’intreccio ecologico di cui facciamo parte, tramite questa sfera della nostra vita, allora è più probabile che metteremo in discussione tutti gli altri paradigmi. Per dire, se ti consideri “poli/polline-amoroso” è anche probabile che tu ti possa interessare a investimenti e donazioni per contrastare la crisi climatica, boicottando l’estrazione intensiva, per esempio. Non c’è una soluzione univoca, ma una pletora di iniziative che devono focalizzarsi innanzi tutto sulla riduzione del danno – la fine delle logiche del “fast fashion” e delle catene di distribuzione, per esempio – per aspirare anche a qualcosa di più della semplice mitigazione dei danni.

Una cosa è certa: dobbiamo farlo ora e dobbiamo farlo a partire dalle nostre comodità, il che significa che dovremo rinunciare a molte delle nostre abitudini e privilegi. Potremmo scoprire, tuttavia, che preferiamo vivere senza molti dei comfort tipici delle società consumistiche, mentre ci ricongiungiamo al fango, nella palude della realtà; ché ci piace tornare spalla a spalla con gli altri, con i nostri simili, con tutti gli abitanti della Terra e, in effetti, con la Terra stessa.

In che modo una più alta, o semplicemente diversa, consapevolezza della libido può aiutarci a cogliere i clinamen che naturalmente l’ecologia libidinale incontrerà nei suoi imprevedibili e autonomi movimenti evolutivi?

BC: «Se trattata da ars erotica, la conoscenza carnale può essere un’educazione rivelatrice e duratura della ridestata intelligenza della carne» scrivi nell’epilogo, in una delle pagine più apertamente politiche di tutto il libro. Cosa intendiamo per ars erotica e che ruolo gioca la carnalità in questo speranzoso processo di riappropriazione della libido in senso ecologico?

DP: Foucault, è risaputo, contrappone all’ars erotica (quella che potremmo chiamare arte popolare dell’amore) la scientia sexualis (la comprensione più razionalizzata e sistemica del sesso). La vita nella Grecia classica o nella Roma antica – almeno per coloro che erano socialmente privilegiati – comprendeva l’appagamento del desiderio come opportunità di artificio, sperimentazione, performance, teatralità, poetica, piacere e così via.

Per Foucault, il problema è che abbiamo interiorizzato un secolo e mezzo di discorsi sull’igiene sessuale, la salute sessuale, le tassonomie sessuali, la moralità della carne e così via. Ecco perché dice «l’anima è la prigione del corpo». Abbiamo limitato il nostro piacere e le nostre opportunità esperienziali facendoci ostaggi di una forma di ricatto invisibile e interiore. La mia speranza è che la carne conservi ancora la sua saggezza – la forma più carnale di conoscenza – e che questa possa aiutarci a uscire dalla prigione dell’anima.

Questa speranza si basa sulla mia convinzione che l’amore sia in gran parte creaturale. (Ho scritto un libro su questo che s’intitola Creaturely Love: How Desire Makes Us More, and Less, Than Human). Ci piace negare la nostra natura e il nostro patrimonio di mammiferi. L’importanza di toccarsi, tuttavia, può farci ricordare le nostre origini. Amare, credo sia una prova per vedere se siamo davvero ancora umani. È una prova che, ironicamente, superiamo anche fallendo. (Ovvero, ammettendo che siamo anche animali). E se finalmente – pur tardi – riconoscessimo l’animale dentro di noi, potremmo essere meno propensi a considerarci l’unica specie importante del pianeta.

BC: A un certo punto viene citato il clinamen di Lucrezio, ovvero la “deviazione casuale” che può sempre avvenire quando qualcosa è in movimento. In una situazione globale che sembra una trappola, dove i nostri orizzonti di immaginazione appaiono aridi e risultiamo incapaci di andare oltre il confine dell’apocalisse, quali potrebbero essere queste deviazioni casuali e in che modo una più alta, o semplicemente diversa, consapevolezza della libido può aiutarci a cogliere i clinamen che naturalmente l’ecologia libidinale incontrerà nei suoi imprevedibili e autonomi movimenti evolutivi?

DP: Un’altra domanda importante e molto sottile, che mi richiede molto sforzo! In tutti i miei libri cerco di identificare i momenti in cui possiamo vedere il clinamen in azione – non solo il risultato di azioni espressamente anti-sistema, ma anche di incidenti e falle presenti nel sistema stesso. Chiaramente di solito non sono abbastanza forti da cambiare lo status quo, ma possono indicare strategie da considerare o identificare punti deboli da sfruttare.

Libido è solo un altro nome per attenzione, nel mio modo di pensare. Una sorta di attenzione interessata, appassionata, generosa. Quindi coltivare un orientamento aperto in questo senso, penso che sia la precondizione essenziale per provare a effettuare qualsiasi tipo di intervento significativo nel tessuto del mondo.

Alexander Galloway ha preso in giro le persone che credono che il clinamen ci salverà – dicendo che possiamo aspettare passivamente che le cose semplicemente “sterzino” in una situazione più vivibile; oppure “accelerare” verso una sorta di collasso autoindotto. Mi sento colpevole di aver fatto io stesso questo ragionamento in più di un’occasione. Credo, tuttavia, che dovremmo incoraggiare attivamente il verificarsi di insospettabili deviazioni: attraverso l’arte, la conoscenza, la tecnica, o le care vecchie tecniche di seduzione.

Una cosa so per certo: se vogliamo navigare il clinamen in modo utile, dobbiamo reimparare a prestare attenzione alle cose. E dobbiamo farlo per riconoscere il clinamen, in primo luogo. Libido è solo un altro nome per attenzione, nel mio modo di pensare. Una sorta di attenzione interessata, appassionata, generosa. Quindi coltivare un orientamento aperto in questo senso, penso che sia la precondizione essenziale per provare a effettuare qualsiasi tipo di intervento significativo nel tessuto del mondo.

BC: Il libro termina esplicitando palesemente «qual è la [tua] posizione nello specifico». «Sto forse dicendo che dovremmo desiderare meno?», «Oppure sto affermando che dovremmo desiderare di più?», chiedi al lettore sintetizzando i due poli entro cui magneticamente si svolge il discorso. La risposta è quasi patafisica: dovremmo «far saltare in aria le idee che abbiamo ereditato su cosa sia un desiderio». Cosa significa esattamente? Come possiamo “desiderare diversamente” e cosa dovremmo aspettarci – ecologicamente parlando – da una tale realizzazione?

DP: Non mi freghi! Non ho una risposta chiara a questa domanda. Alla fin fine, non mi interessa dare delle prescrizioni, o anche solo descrivere che aspetto abbia questo “altrimenti”; almeno non in modo accademico. Sto anche diventando troppo vecchio per capire come “ricodificare” il desiderio di una generazione cresciuta con Internet. In questo senso, sono meno Fourier, che ha cercato di tracciare un diagramma di una vera utopia. Piuttosto, sono più vicino a Stiegler, nel senso di scrivere libri e ospitare conversazioni per creare un dialogo con gli altri, così da poter mettere in circolo, insieme, nuove idee per il futuro, al di fuori dell’immaginazione ristretta della Silicon Valley e dei loro alleati super ricchi ma impoveriti spiritualmente.

BC: In un’altra interessante intervista uscita qualche settimana fa su Artribune, accennavi al libro che stai scrivendo con Eugene Thacker, Sad planets. Potresti anticiparci qualcosa in più su questo e su altri lavori sui quali sei impegnato al momento?

DP: Assolutamente. Sad Planets esplora alcune connessioni chiave tra “le passioni tristi” (Spinoza) e il cosmo; vorremmo riconsiderare il dolore individuale a livello planetario, e anche interplanetario. Forse ci sentiamo depressi, non tanto a causa dei nostri problemi personali, ma più perché l’universo è intrinsecamente doloroso e pieno di pathos (e per lo stesso motivo, forse, le critiche alla “patetica fallacia” hanno tralasciato di considerare come il mondo sia anche una manifestazione di “patetica fattività”).

La malinconia, ovviamente, è stata tradizionalmente associata al pianeta Saturno. Ma Thacker e io tracciamo alcune delle nuove mutazioni di affetti negativi che emergono nella cultura in risposta alla devastazione ecologica (come la solastalgia; la tristezza di non riconoscere più la nostra “casa” a causa del cambiamento climatico). Meditiamo su tutto, dal misticismo alla filosofia, alla letteratura, ai film, ai nuovi media, alla fantascienza, ai fatti scientifici. È un libro panoramico, che abbraccia migliaia di anni e le infinite distese dell’universo!

Nel frattempo, sto lavorando a una raccolta di ritratti di diversi modi di prestare attenzione: parte del mio continuo tentativo di spezzare l’incantesimo del nostro distratto doomscrolling, e ridare energia alle pratiche collettive e sostenibili del “prestare attenzione” (filosoficamente parlando). È tutto parte del progetto più ampio che mira a promuovere un’ecologia libidica più sana e stimolante.

Dominic Pettman insegna Media e New Humanities alla New School University di New York, dopo aver lavorato presso le università di Melbourne, Ginevra e Amsterdam. La sua originale riflessione intreccia diversi filoni di ricerca, dalla teoria dei nuovi media all’ecologia dell’attenzione, dalle filosofie del desiderio agli studi sugli animali.
Bartolomeo Cafarella è un libraio. Collabora anche con diverse case editrici e realtà editoriali; e scrive, per riviste e giornali, soprattutto di letteratura, antropologia, filosofia e storia delle religioni. Ha firmato la prefazione alla prima traduzione italiana di Controcielo (Edizioni Tlon, 2020) e la postfazione al volume La Guerra Santa (Ursae Coeli, 2021) entrambi di René Daumal. I suoi ultimi lavori sono: il saggio Il simbolo tace. Il dio fanciullo e l’accordo supremo (DITO publishing, 2020) contenuto nell’omonimo pamphlet, e Opera animale. Appunti sul teriantropismo e sulla metamorfosi (Edizioni Volatili, 2021).