Diventa anche tu un pilota di robot

Breve storia caotica di Goldrake, il primo mecha a conquistare l’Italia

Immaginate di essere un bambino degli anni Settanta che il 4 aprile 1978 si ritrova davanti alla televisione, ignaro di quello che sta per succedergli davanti. Ci siete? La faccia rassicurante di Maria Giovanna Elmi sulla seconda rete RAI (insomma: Rai 2) annuncia Superman e il nuovissimo cartone animato Atlas Ufo Robot. Neanche lei sa cosa sta scatenando.

Parte la sigla. Un coro di voci che si chiede “Ma chi è?” e la risposta è “Ufo Robot!”. Non ce n’era mai stato uno prima di allora che leggesse libri di cibernetica, mangiasse insalate di matematica e che andasse a giocare su Marte. Questo già dall’innocua sigla. Ogni bambino italiano ipnotizzato davanti al televisore. La regia, le musiche, il doppiaggio, il disegno e ogni singolo elemento di quel nuovo cartone animato erano semplicemente perfetti. 

Fin dal primo episodio si capisce che non siamo davanti alle scorribande delle Wacky Races, né alle allegre beghe tra Beep Beep e Will E. Coyote: qui se ti sparano ti fai male, qui nessuno è al sicuro e gli alieni sono una minaccia reale. Reale come un disegno, ovviamente, ma nel mondo degli UFO Robot gli alieni esistono e sono brutti come la fame. Lo shock è forte. L’entusiasmo per questo robot gigantesco che “da sentinella lui ci fa” è altissimo. Da lì a poco parte il delirio: zaini, magliette, penne, gomme, modellini, giochi da tavolo. I bambini non sono più cowboy ma piloti di robot. Per tutti, Atlas Ufo Robot diventa semplicemente Goldrake: il primo mecha a conquistare il pubblico italiano.

Ai genitori più smaliziati torna in mente il pornaccino da edicola omonimo. Tranquilli, niente a che vedere. Perché il robottone comunque in Italia sia stato chiamato Goldrake rimane però un mezzo mistero (c’è chi dice che il nome venga da un incrocio tra Goldfinger e Mandrake), visto che in Giappone il suo nome originale è Grendizer e in Francia, paese dal quale la RAI acquistò la serie, è conosciuto come Goldorak. Resta che per noi è il primo di tutti. Il più forte, il più grande: per sempre resterà il più amato dei robot (forse al suo pari ci sarà solo Jeeg Robot). E questo al netto di un sacco di errori e omissioni. Ancora ci si chiede come mai la serie si chiamasse “Atlas Ufo Robot” se il robottone veniva chiamato Goldrake. Come molti dei misteri, la soluzione più vicina è anche la più banale: semplicemente, la parola “Atlas” non è che la traduzione di “Atlante”, cioè la bibbia che introduceva per gli addetti ai lavori la serie animata e le linee guida del cartone. Insomma, un errore di distrazione fece sì che attorno al titolo nascessero migliaia di leggende, tra cui l’idea che Atlas fosse il nome del disco volante che conteneva il robot. In epoca recente, qualcuno prova a metterci una pezza dicendo che gli era piaciuta la parola Atlas. La spiegazione è plausibile ma tardiva. La risposta giusta dovrebbe essere “absolutely no regrets”, ma ormai è tutto un revisionismo storico continuo. Qui nessuno sbaglia più.

La luna rossa è foriera di sventure

Raccontare Goldrake è semplice. Digerirlo nella sua umanità e malinconia per niente. Ci si sofferma sempre sui combattimenti, sullo scontro tra la Terra e gli alieni. Difficilmente si pone l’attenzione su un dettaglio fondamentale: Actarus, il pilota alla guida del robottone, non è umano: è un alieno che ha trovato rifugio sulla Terra e la protegge non di certo da altri alieni che come lui sbarcano sul pianeta in cerca di aiuto, ma dalle mire di conquista dei fascisti di Vega. Dalla loro base sulla Luna, i Vegani attaccano la Terra e il segnale è una Luna rosso sangue. Che ricorda la bandiera del Giappone, ma su uno sfondo nero anziché il candido bianco.

Prendi una trilogia e trasmettimela al contrario

La leggenda vuole che Go Nagai nel 1972, e quindi nel pieno del successo del suo Devilman, fosse imbottigliato nel traffico di Tokyo. Perso nelle sue elucubrazioni mentali, immaginò che alla sua macchina spuntassero gambe e braccia per uscire fuori dalla bolgia infernale in cui si era trovato. Considerato che Go Nagai aveva un discreto successo come fumettista in Giappone, il passo dal pensiero alla creazione di un fumetto (provvisoriamente intitolato Iron Z) con protagonista un robot gigante fu brevissimo. Il risultato fu Mazinga Z: capostipite dei mecha e primo robot pilotato dall’interno. Mazinga Z divenne l’idolo dei bambini grazie ad una serie televisiva animata trasmessa da Fuji Tv a cui fece seguito Il Grande Mazinga, una versione più forte dello stesso robot e secondo capitolo di quella che diventerà una trilogia che include Goldrake come ultimo capitolo.

in Italia, però, le cose andarono diversamente – o più che “diversamente”, direttamente al contrario: da noi, a essere trasmesso come primo capitolo fu Goldrake, seguito da Il Grande Mazinga come secondo, e Mazinga Z, inutile dirlo il più basico essendo in realtà il primo, come terzo. Questo senza neanche stare a pensare che si trattasse di un’unica serie in tre parti, che per giunta vedeva Koji Kabuto, il pilota originario di Mazinga Z, presente in tutte e tre le serie, ma rinominato di volta in tre modi diversi! E così, ecco che da noi Koji diventa di volta in volta Alcor (Goldrake), Koi (Grande Mazinga) e infine Ryo (Mazinga Z). Lo stesso identico personaggio che per magia si trasformava in tre personaggi diversi creò inevitabilmente qualche fraintendimento… E infatti, è da qui che in Italia nasce la leggenda che i cartoni animati giapponesi fossero “tutti uguali”. 

Fare incazzare tutti

In Giappone, il trattamento riservato a Koji Kabuto nel corso della trilogia fu una vera pietra dello scandalo. In effetti, Goldrake nasce non come seguito di Mazinga, ma da un progetto che inizialmente mirava a un seguito preciso: quello degli appassionati di UFO, nel momento in cui la mania dei dischi volanti aveva ormai conquistato tutto il mondo. Uchū enban daisensō (“la grande guerra del disco spaziale”) era il titolo del mediometraggio con il quale si sperava di catturare un nuovo pubblico, tra cui quello femminile. Ma, intenzionate a vendere gadget, Bandai e TOEI si imposero e pretesero che quello che doveva essere un sempice mediometraggio a sé, diventasse il terzo capitolo della fortunata serie dei Mazinga: fu così che nacque il Goldrake che conosciamo. 

Come pilota del robottone venne scelto un personaggio creato ex novo (Actarus, per l’appunto), coadiuvato da altri eroi alla guida non di robot ma di navicelle e affini. Uno di questi mezzi si chiama TFO. A pilotare il TFO è un giovane impavido con un caratterino niente male, che costantemente pecca di superbia nei confronti del protagonista Actarus, principe della stella Fleed e unico in grado di poter guidare il possente Goldrake. Il nome di questo ragazzino è Alcor.

Un tipo quale Alcor, pilota di un mezzuccio giallo e quasi inoffensivo, non aveva certo motivo di sentirsi tanto superiore nei confronti di un principe alieno. Il fatto è che, come dicevamo sopra, quello che in Italia conosciamo come Alcor, in Giappone altri non è che Koji Kabuto, il pilota originale del grande Mazinga Z. E nella terra del Sol Levante, Koji è amato come pochi personaggi nella storia dell’animazione: un idolo per i bambini, un esempio per gli adulti. Nella finzione animata, Koji Kabuto ha salvato il mondo innumerevoli volte. Koji Kabuto è un’istituzione, Koji Kabuto è come Doraemon e Topolino. Immaginatevi l’importanza. Ed ecco che, nella serie di Goldrake, da pilota esperto Koji viene declassato a spalla! Una mossa inspiegabile e totalmente incoerente con la caratterizzazione del personaggio. Non è quindi un caso che, in Giappone, i fan di Mazinga letteralmente odiarono Goldrake, tanto che se non ci fosse un flebilissimo legame con i primi due Mazinga il caro Goldrake non se lo ricorderebbe più nessuno (tanto più che contemporaneamente in Giappone andava in onda Jeeg Robot e fece sfaceli).

Chissà cosa sarebbe successo se da noi la trilogia fosse arrivata nel suo ordine corretto… Sarebbe stato Koji il nostro beniamino? Oppure Actarus, col suo stile country, ci avrebbe fatto battere il cuore comunque? Resta il fatto che ridimensionare Goldrake per gli italiani sarebbe un colpo basso, ma ristabilire l’ordine e fare pace con i nostri dubbi infantili pesa più di anni di psicoterapia. Quindi, ce lo teniamo così il caro UFO ROBOT, come nostro primo eroe, con buona pace dell’amato Koji Kabuto che comunque resta un personaggio pazzesco, pure quando lo chiamiamo Alcor. 

Nino Giordano nasce a Palermo nel 1981. Da 22 anni lavora nel mondo dell’editoria, prima come traduttore e dialoghista per Star Comics, Panini, Dynit, Canal Jimmy e Giochi preziosi e poi come editore per l’etichetta indipendente LGBT Renbooks. Nel 2010 è stato l’artefice del rilancio di Sailor Moon in televisione in collaborazione con Toei, Kodansha, Mediaset e Giochi Preziosi. Tra le sue passioni la musica trash con la quale si diletta nei locali con lo pseudonimo di Dj Cessa.