Disertate

La guerra della Nazione nella terra del declino

Leggo le parole di vecchi compagni

Leggo le parole di vecchi compagni che incitano a mandare armi al popolo ucraino che combatte contro l’invasore. Come dice Gad Lerner in un suo recente intervento sul tema, “stiamo camminando a piedi nudi su vetri infranti”, perciò rispetto i sentimenti di quei miei vecchi compagni, ma spero di non apparire cinico se li invito a riflettere sul contesto e sul senso generale del processo di cui la guerra ucraina è il catalizzatore.

Sembra oggi che sia vietato pensare. Si deve prendere posizione, c’è una guerra di aggressione scatenata dalla Russia stalino-zarista, e c’è una resistenza che coinvolge la grande maggioranza del popolo ucraino. Questo lo so e mi pare innegabile. Non possiamo essere indifferenti alla sofferenza di milioni di ucraini, non possiamo essere neutrali tra chi aggredisce e chi è aggredito.

Prima di prendere posizione, però, se mi è permesso, vorrei conoscere il contesto storico: dallo sterminio per fame degli ucraini negli anni di Stalin, all’appoggio che la maggioranza degli ucraini diedero a Hitler durante la guerra, all’eliminazione di un milione e duecentomila ebrei da parte delle SS ucraine, fino alla politica di espansione della NATO ai confini della Russia. Mi è concesso studiare la storia, mi è concesso capire? Oppure è lecito solo prendere posizione, senza capire, senza sapere?

Conobbi quei miei compagni nelle occupazioni contro la guerra americana nel Vietnam, insieme crescemmo nella cultura dell’internazionalismo, credendo di vivere l’alba di un tempo più felice e non, come sappiamo ora, il tramonto della civiltà umana.

Insieme pensavamo che la nazione fosse un concetto brutale e stupido. Insieme pensavamo che la nazione fosse la maschera di predatori tra loro in concorrenza che mandano i ragazzi a morire per il profitto.

Ingenuamente insieme pensammo che il pensiero e l’educazione potessero emancipare le donne e gli uomini da quella bestialità. Non sapevamo che l’universalismo della cultura moderna era destinato a dissolversi per effetto del darwinismo neoliberale che restaurò la legge naturale della giungla in cui solo chi sa uccidere può campare. Non sapevamo che la bestia era destinata a riemergere come un mostro a due teste che ora si azzannano fra loro. Globalismo capitalista e nazionalismo sovranista: dal loro azzannarsi proliferano piccoli mostri nazionali.

Venti anni fa gridarono le folle il grido patriottico “siamo tutti americani”, e sventolarono i fazzoletti per salutare la grande impresa afghana che si è conclusa il 21 agosto 2021, sappiamo come. Adesso, 24 ore al giorno a reti unificate si svolge uno spettacolo di eroismo per interposta persona. L’interposta persona è il popolo ucraino, aizzato, istigato, esaltato da una folla di eccitati sostenitori che continuano a sventolare il fazzoletto. Ma questa volta lo spettacolo può dilagare in platea, coinvolgendo il pubblico, e stritolando quel poco che rimane di vita civile.

Ho visto Winter on Fire

Cosa farei se vivessi in Ucraina, se la mia casa fosse a Kiev? Combatterei per la nazione, combatterei per lo Stato nazionale? No, mai. Per quanto mi riguarda non combatterei neppure per lo Stato palestinese, come non avrei combattuto per lo Stato vietnamita. Perché morire per uno Stato che ha solo la funzione di sfruttarti e garantire la tua sudditanza?

Ma la domanda che mi tormenta è un’altra: combatterei per difendere mio fratello, o la mia amata? Combatterei per difendere la casa in cui ci sono i miei libri, i miei ricordi? Sì, combatterei anche a fianco dei nazisti del battaglione Azov, perché morire non è peggio che vivere come dovremo vivere da oggi in poi.

Ho visto Winter on Fire del regista russo-israeliano Afineevsky. Un film che racconta, senza disegnarne il contesto internazionale, la resistenza di popolo, la solidarietà cittadina, l’orgoglio nazionale, la determinazione implacabile. Anche se mi è difficile condividere il nazionalismo comunque si presenti, ho capito questo: se le ucraine e gli ucraini furono capaci di resistere a mani nude alla violenza brutale dei Berkut di Janukovyč, oggi, con le armi che gli abbiamo mandato, sapranno resistere come leoni all’armata di Putin. E moriranno a migliaia. E uccideranno migliaia di soldati russi, ventenni mandati a morire dalla follia criminale di Putin.

Noi gli abbiamo promesso la NATO, l’Europa e la libertà. La libertà di cui gode Julian Assange, di cui godono i neri americani e i lavoratori precari dovunque. Gli abbiamo promesso la democrazia, quella che hanno conosciuto i greci nell’estate del 2015. In cambio della libertà gli abbiamo chiesto di morire per la NATO, anche se la chiamano Unione Europea.

Ma ora Zelensky ci chiama: “L’Ucraina è pronta a morire per l’Europa. Ora vediamo se l’Europa è pronta a morire per l’Ucraina.” L’Europa è pronta a mandare armi, non a morire, figuriamoci. E neanche è pronta a trovarsi da un giorno all’altro senza riscaldamento e senza benzina.

Faremo il tifo dagli spalti. Come ai tempi dei gladiatori.

È il momento Anders nella storia del mondo

È il momento Anders nella storia del mondo. Negli anni Sessanta, quando la bomba atomica si impose all’immaginazione mondiale, Anders rifletté sugli effetti politici e psichici di quell’innovazione tecno-militare. Ebreo, filosofo di formazione heideggeriana, emigrato in America negli anni dello sterminio del suo popolo, Anders scrisse, in articoli e libri che non hanno avuto la meritata diffusione, che il Terzo Reich è stato solo la prova generale di uno spettacolo che (diceva lui) vedranno i nostri nipoti quando il Nazismo sarà dovunque. Ora i nipoti di Anders assistono al trionfo del Nuovo Terzo Reich, il mostro a due teste del suprematismo bianco che non accetta il suo declino.

Anders è stato trattato con un certo distacco dagli accademici: un pessimista, dicevano di lui, intenti a esaltare le glorie della democrazia liberale. Ora è evidente: il culto della Nazione, della razza, è tornato dovunque a dominare la scena, e quella che divampa in Ucraina è una guerra di Hitler contro Hitler. Una guerra di sterminio interna all’Occidente.

Non è la prima volta che una potenza bianca (per esempio gli Stati Uniti d’America) lancia campagne di sterminio contro popolazioni inermi. Grazie alle sanzioni contro l’Iraq nella prima guerra del Golfo, la mortalità infantile passò dal 56 per mille del 1990 al 131 per mille nel 1999. Nel 1996 il programma 60 Minutes intervistò l’ambasciatrice Usa all’ONU Madeleine Albright: “Pare che siano morti di embargo 500 mila bambini iracheni. È più di Hiroshima. È un prezzo giusto da pagare?”. La risposta fu degna del Putin che ora vediamo in azione: “È stata una scelta davvero dura ma sì, pensiamo di sì”.

Ma quei morti erano iracheni, non pesavano molto sulla coscienza occidentale. I morti di Mariupol ci impressionano particolarmente perché il massacro si svolge all’interno del mondo bianco, all’interno dell’Occidente poiché la Russia è Occidente, nel senso che fa parte della razza carnivora.

Cosa sia l’Occidente non è chiaro. In termini geografici la Russia non ne fa parte. In termini politici l’Occidente è il mondo libero che si oppone all’autocrazia. E naturalmente la geopolitica conta, e conta la politica. Ma quel che conta di più è l’appartenenza culturale al mondo cristiano, bianco e imperialista. Da questo punto di vista la Russia è Occidente. L’Occidente è la terra del declino, la terra del futuro che ora declina. Il futurismo russo e il futurismo occidentale hanno radici diverse ma il medesimo significato: l’espansione. E hanno il medesimo destino: il declino che non siamo capaci neppure di pensare, poiché il culto dell’espansione ci acceca, e ci impedisce di capire che l’espansione è finita, e l’Occidente si sta estinguendo.

Occidente è la Russia, l’America, l’Europa, un mondo di vecchi che esorcizzano la demenza con le protesi cognitive e con l’intelligenza artificiale, vecchi che esorcizzano l’impotenza con proclami di reciproco sterminio.

Questa è una guerra interna alla razza carnivora che non si rassegna a scomparire, e come Sansone vuole portare all’inferno con sé l’intero pianeta. Eccoci all’ultimo atto della civilizzazione bianca, russa, europea americana: la distruzione della civiltà.

Illimitato è il potere dello stupido

Illimitato è il potere dello stupido e si dice che neppure gli dèi contro di lui possano nulla.

Recentemente Macron aveva dichiarato che la NATO è in stato di morte cerebrale. Eppure è risorta, e come uno zombie ha preso il posto dell’Europa distruggendone definitivamente la missione costitutiva. La Polonia ne è infatti l’avanguardia. La Polonia di Kaczyński. Due parole e ho detto tutto, come direbbe Peppino de Filippo.

Questa guerra è prima di tutto una guerra americana contro l’Europa, e non c’è dubbio che gli americani l’hanno vinta. L’Europa è morta. Biden aveva ingiunto alla Germania di rompere il contratto North Stream. Non sappiamo come finirà la guerra in corso, ma sappiamo che su questo punto ha già vinto Biden. Dopo aver rinunciato al North Stream, la Germania si impegna ad armarsi. Contro i russi, al momento, domani chissà.

Illimitato è il potere dello stupido, perché lo stupido è pronto a far del male a sé pur di far del male all’altro.

Come usciremo da questa guerra non è sicuro. Nella peggiore delle ipotesi non ne usciremo affatto: piuttosto di perdere (tutto), l’Autocrate potrebbe usare tutta la sua forza e distruggere (tutto). Nella migliore delle ipotesi un’ondata di nazionalismo frammenterà il continente europeo in un mosaico di armate fasciste in guerra tra di loro e soprattutto contro i migranti che non siano bianchi. Le linee di frattura si confondono, perché i nazionalisti non conoscono la logica, e nulla sanno dell’universalità. Pensa al povero Salvini nella cittadina polacca alla frontiera, di fronte al sindaco nazistoide come lui che lo svillaneggia per i suoi passati putiniani.

Come usciremo da questa guerra non è chiaro, ma quel che è certo è che la miseria dilagherà poiché la società dovrà pagare i costi di un riarmo generale. E l’aria sarà sempre più irrespirabile: riaprono le miniere di carbone per sopperire al crescente bisogno di energia. L’Olocausto climatico precipiterà. I governi europei inciteranno le donne a fare figli per la patria bianca, ma il cancro e l’asma si diffonderanno insieme a una pandemia di depressione suicidaria.

Sottoposta a violenza ininterrotta, la natura ha ripreso il sopravvento: la natura scatenata dei mari che si alzano e degli incendi che divorano, la natura belluina degli umani che hanno trasferito l’intelligenza nell’artificio e ora sono in preda alla (il)logica naturale della passione identitaria. Passione omicida. Ma ora anche passione suicida.

In un villaggio alla frontiera

In un villaggio alla frontiera polacca arrivano ogni notte una decina di disertori. Non vogliono rimanere intrappolati in una guerra della nazione, forse perché l’idea di nazione non li convince come non convince me. Alcune fonti informano che militari russi acquartierati intorno a Kiev abbandonano i loro carri armati e si inoltrano nel bosco, per scomparire. Migliaia di giovani russi scappano verso la Scandinavia e chissà dove. Non vogliono essere arruolati da Putin per andare ad ammazzare i loro coetanei ucraini, non vogliono vivere in un paese in cui la parola libera è perseguitata. Hanno preso con sé poche cose e sono andati via per non tornare mai più. Sono pochi, maledetti come traditori della patria, ma se ne vanno: forse sono innamorati e non vogliono morire, forse sono spaventati dall’orrore e non vogliono uccidere. In ogni caso a loro va la mia solidarietà, la mia amicizia. Solo a loro. A tutti coloro che disertano va la mia amicizia.

A coloro che disertano la patria e la guerra, a coloro che disertano il lavoro salariato, a coloro che disertano la procreazione, a coloro che disertano la partecipazione politica. A coloro che hanno capito che il cancro ha ormai divorato l’organismo e cercano zone di sopravvivenza e di condivisione ai margini di un mondo in rapida disintegrazione.

Per tutti gli altri, russi e ucraini, americani e italiani, provo soltanto una disperata compassione.