Crypto-Arte Radicale?

Sul significato politico degli NFT nell’arte contemporanea

“Chi ti ha riconosciuto come poeta? Chi ti ha arruolato nei ranghi dei poeti?”
Domanda posta a Iosif Aleksandrovič Brodskij durante il suo processo in URSS

Finally artists can get a slice of the pie: finalmente gli artisti possono ricevere una fetta della torta. Questa formula – e le svariate possibili parafrasi – rappresenta uno dei ritornelli che venivano più ripetuti, su Twitter o nella moltitudine di server Discord, durante il glorioso bull market, un’espressione gergale per indicare un mercato in ascesa, del 2020-21 nel mondo delle criptovalute e degli NFT. Prima di proseguire, una breve definizione di NFT (Non-Fungible Token): un NFT è un token digitale esistente su un particolare tipo di database – noto come blockchain – che può essere comprato, venduto o scambiato, la cui proprietà e provenienza sono sempre immutabilmente tracciate dalla blockchain. 

La struttura tecnologica sottostante permette di raggiungere questo risultato senza la necessità di una terza parte, di un’autorità preposta a questo compito (in maniera decentralizzata). Gli NFT possono essere usati per rappresentare oggetti interamente digitali o versioni digitalizzate di oggetti fisici, e sono stati finora applicati a opere d’arte digitali, videogiochi, carte collezionabili ma anche licenze, certificati e qualsiasi altra “prova” necessaria per verificare un’identità specifica nel mondo digitale.

Le possibilità aperte dalle tecnologie decentralizzate hanno ispirato un certo numero di artist* a re-interpretare stilemi tipici dell’arte concettuale con nuove energie.

L’espressione “finally artists can get a slice of the pie” ribadisce quindi l’idea che gli NFT possano cambiare la condizione economica di chi fa arte, fornendo una fonte di reddito sufficiente per vivere della propria pratica. Quando gli NFT hanno fatto il loro debutto nel mainstream ad aver attirato l’attenzione dei media e del pubblico sono stati artisti come Beeple, capaci di vendere le loro opere per cifre astronomiche, o progetti dal maleodorante retrogusto politico come Bored Ape. Eppure, oltre questa coltre di euforia speculativa, le possibilità aperte dalle tecnologie decentralizzate hanno anche ispirato un certo numero di artist* a re-interpretare stilemi tipici dell’arte concettuale con nuove energie. Il momento di bassa marea del mercato e il recente passaggio di Ethereum all’algoritmo “Proof of Stake”, che ha abbattuto i consumi energetici del 95%, ci offrono un buon momento per riflettere su alcune sperimentazioni emerse nell’ultimo biennio. 

A Slice of The Pie

Tra i progetti meritevoli di attenzioni, troviamo A Slice of the Pie (il nome richiama l’espressione citata in precedenza), curato da Silvio Lorusso e Sebastian Schmieg per la Kunsthalle di Zurigo in occasione dell’esibizione DYOR, che utilizza gli stessi NFT per ragionare sullo status del lavoro artistico e sulle promesse di questi nuovi mezzi. Il meccanismo dietro il lavoro dei due artisti è abbastanza lineare: sul sito web del progetto, è possibile acquistare uno (o più di uno) spazio all’interno dell’opera – una fetta della torta – e usarlo per caricare un’immagine a propria scelta. 

L’acquisto avviene tramite Tezos, una blockchain con relativa criptovaluta, da tempo promossa come la “blockchain sostenibile”: il prezzo per una fetta, al cambio attuale, è poco più di un euro. La torta ha anche un corrispettivo nel mondo fisico all’interno della Kunsthalle: un’installazione di led che si aggiorna in tempo reale in base ai cambiamenti della torta online e viene stremmata in diretta sul sito. 

A Slice of the Pie, sabato 15 Ottobre 2022, ore 13:49

Una volta al giorno, a un’ora casuale determinata da un algoritmo, la torta viene congelata al suo stato attuale e coniata (minted) come un NFT. Gli NFT del progetto vengono messi in vendita su Objkt.com e i profitti dell’eventuale vendita sono divisi tra gli artist* che controllano le fette in evidenza, con un 15% dei profitti per fetta controllata. Il processo ricomincia ogni giorno, con l’obiettivo finale di generare 100 torte nel corso della durata dell’esibizione. L’unica altra funzione presente è la possibilità di usare fino a 10 click per far emergere le proprie fette sopra quelle degl* altr* in modo da riuscire a finire nella ‘torta del giorno’ che diventerà un NFT.

Da una parte, come esplicitato dalla dichiarazione di Lorusso e Schmieg, l’opera è una riflessione sulla condizione artistica contemporanea e sul gatekeeping che le istituzioni continuano a praticare. Quali sono le condizioni di accesso al mondo dell’arte? In un’epoca in cui il costo marginale degli strumenti necessari per fare (e per comunicare) arte è crollato, perché continuiamo ad affidarci a curator*, direttor* e altre figure di mediazione? In quest’ottica, è impossibile non pensare alla mitologia della Silicon Valley e del mondo crypto relativa alla distruzione degli intermediari tramite l’applicazione di nuove tecnologie: Spotify ha distrutto il ruolo di mediazione dei negozi di dischi, Facebook e Twitter quello dei giornali e la blockchain dovrebbe farlo con i servizi bancari e notarili. È interessante notare, dunque, come i nuclei tematici dell’opera ri-echeggino l’ideologia anarco-capitalista della blockchain, in un rapporto dinamico tra infrastruttura tecnica e lavoro artistico.

Non sono temi nuovi per Lorusso e Schmieg, che già nel 2018 avevano realizzato qualcosa di molto simile in Projected Capital (ma senza la componente crypto). La provocazione di Projected Capital era ancora più esplicita: tramite un sito web, i partecipanti potevano affittare una porzione dello spazio espositivo di una galleria svizzera per due settimane ed esporre il proprio lavoro al suo interno. Questi lavori gettano  luce sulla componente di classe che il mondo dell’arte solitamente nasconde. Può sembrare sbagliato, o persino riprovevole, monetizzare l’accesso a uno spazio artistico in maniera così diretta. Eppure, come si arriva ad esporre in prestigiosi musei e gallerie se non attraverso un lungo processo di investimento su sé stessi? I due lavori rappresentano questo processo in maniera compressa, sottolineando lo scambio monetario ed economico che soggiace alla possibilità di esporre in un museo. 

Projected Capital, 2018 Lorusso, Schmieg

Questi temi sono già stati analizzati da Lorusso nel suo libro Entreprecariat, dove venivano messi in luce i meccanismi neoliberali e imprenditoriali che muovono anche il mondo del lavoro culturale e precario. Entreprecariat è, infatti, un portmanteau delle parole imprenditore (entrepreneur) e precario (precariat), nato da un tweet, come Lorusso stesso ci racconta, che esprime il posizionamento ambiguo, il double-bind della classe disagiata (come l’ha definita Raffaele Alberto Ventura), sospesa tra una forzata imprenditorialità e una condizione di precarietà diffusa. 

L’elemento dell’investimento digitale, rappresentato dagli NFT in A Slice of the Pie, amplia il campo di riflessione sull’entreprecariat. Da una parte, questi nuovi strumenti digitali possono fornire potenzialmente una nuova fonte di reddito per gli artist*; dall’altra, creare un NFT e venderlo in maniera autonoma intensifica il divenire-imprenditore dell’artista, che supera le necessità di mediazioni istituzionali e diventa un agente libero nel selvaggio west del libero mercato. Fino ad oggi, il mercato degli NFT si è evoluto in maniera non dissimile al tradizionale mondo dell’arte, come dimostrano i dati. Come scrive la storica dell’arte Anika Meier:

“Il mercato NFT riproduce le dinamiche del mercato dell’arte: Il 10% dei collezionisti è responsabile di un numero di transazioni pari a quello del restante 90%. Il prezzo medio di vendita del 75% dei NFT è di soli 15 dollari USA. Solo l’1% dei NFT vende a più di 1594 dollari. Nel febbraio 2022 è stato pubblicato un altro studio che analizza le vendite della piattaforma Foundation. Per vendere NFT su Foundation, è necessario l’invito di un artista che ha già venduto su Foundation. Questo studio mostra anche che il mercato dell’arte NFT funziona in modo simile al mercato dell’arte tradizionale: un gran numero di artisti offre opere, ma solo un piccolo numero vende effettivamente, compresi gli artisti che hanno iniziato a lavorare sulla piattaforma. Si tratta quindi di trovare la rete giusta e di distinguersi. basta con la storia dell’innovazione.”

Nuovi campi da gioco per l’arte

Un progetto è anche una proiezione, cioè l’anticipazione di un futuro comune dell’individuazione collettiva dei gruppi… Proiettando una volontà comune su un progetto, è il progetto stesso che produce una co-individuazione di gruppi e individui.
Yuk Hui & Harry Halpin

Interpretando il lavoro di A Slice of the Pie da un’altra prospettiva, possiamo leggere l’opera come un sistema nel senso che ne dà lo scrittore statunitense Jack Wesley Burnham Jr nel suo saggio Systems Aestethics. “Il punto di vista dei sistemi si concentra sulla creazione di relazioni stabili e continue tra sistemi organici e inorganici”. Quando l’opera diventa un sistema, si muta in un “compendio di componenti in interazione tra di loro composto di materia, energia e informazione in vari gradi di organizzazione”. La pratica artistica può articolare dei sistemi-in-vitro, dei terreni di sperimentazione dove diverse relazioni possono formarsi.

Alcuni tra i migliori episodi della cosiddetta crypto-arte implementano gli NFT non come un fine in sé, ma come nuovi utensili capaci di concretizzare sperimentazioni sui sistemi di valore e i comportamenti sociali che li circondano.

A Slice of the Pie crea un contesto, un campo da gioco dove si possono incontrare (o scontrare) diverse personalità, lasciando spazio sia ad atteggiamenti collaborativi così come alla diretta prevaricazione l’uno sull’altro (tramite la funzione di upvoting). Il lavoro di Lorusso e Schmieg lascia ai partecipanti la possibilità di esprimersi anche a livello economico, oltre che strettamente artistico, rendendo possibili sia nuove alleanze cooperative sia la competizione feroce del mercato. Un artista potrà decidere di comprare tutte le fette della torta per realizzare un artwork completo, oscurando così gli altri, e sperare in una vendita del suo NFT per ricavarne profitti. Un altro gruppo invece potrebbe dividersi le spese crescenti delle sei fette per esibire insieme nello spazio di A Slice of the Pie e dividere poi gli eventuali proventi. Inoltre, il sistema dell’opera ha un gradiente di randomicità espresso dall’algoritmo che determina quando l’opera diventa effettivamente un NFT: una componente entropica che può sconvolgere i calcoli razionali degli attori in gioco.

In maniera simile, alcuni tra i migliori episodi della cosiddetta crypto-arte implementano gli NFT non come un fine in sé, ma come nuovi utensili capaci di concretizzare sperimentazioni sui sistemi di valore e i comportamenti sociali che li circondano. Il lavoro di Sarah Friend, artista e sviluppatrice software di stanza a Berlino, è un’esplorazione brillante dei nuovi terreni creati dalla tecnologia crypto e dai sistemi automatizzati in generale. 

Off è un’opera d’arte multidimensionale: inizia come una raccolta di NFT rilasciati sul sito web del progetto. Questi NFT sono bifronti: il lato “pubblico” è un’immagine nera che corrisponde alle esatte dimensioni in pixel di un certo schermo (laptop, smartphone e tablet); mentre il lato “privato” viene distribuito solo ai collezionisti via e-mail e contiene due cose: una frase criptata e un frammento della chiave privata che è stata usata per criptarla, oltre a ulteriori istruzioni di gioco. L’intera collezione (255 immagini) nasconde un testo completo e l’intera chiave privata richiesta per leggerlo: per sbloccarlo, è necessario assemblare ⅔ dei frammenti di chiave. La validità del progetto dipenderà dal comportamento collettivo e dal coordinamento dei collezionisti: collaboreranno per unificare i pezzi del saggio o prevarrà l’egoismo estrattivo? Off utilizza gli NFT per creare una versione multiplayer del “dilemma del prigioniero” che promuove la collaborazione come relazione ottimale verso gli altri. Tuttavia, l’esito non è certo e i giocatori potrebbero allearsi in sotto-gruppi, oppure un ricco collezionista potrebbe comprare tutti gli altri e assemblare il saggio. 

La creazione di reti di assistenza e collaborazione è un concetto chiave anche per l’altro progetto di Sarah Friend, Lifeforms. Lifeforms è una collezione di “creature” nella forma di NFT: queste entità devono essere trasferite in un altro account entro 90 giorni, altrimenti cesseranno di esistere. Lifeforms incoraggia la circolazione degli NFT, che diventa cruciale per la perpetuazione degli artefatti stessi, generando un’operazione di segno inverso rispetto alla logica economica di tenere qualcosa finché non ha accresciuto il suo valore, tipica di molti progetti di crypto-arte come i celebri CryptoPunks

Anche in questo caso, il progetto è caratterizzato da una natura imprevedibile: ad esempio, alcune Lifeforms sono state messe all’asta con prezzi molto alti, rischiando così di rimanere invendute e quindi di “morire” nell’account del loro proprietario. Friend ha più recentemente creato una visualizzazione dell’evoluzione delle prime 50 Lifeforms. Di queste prime 50, solo 13 sono ancora vive nelle mani di 9 utenti. Delle Lifeforms morte, 24 sono morte nelle mani dei primi possessori. 

Come ha osservato l’artista stessa in questa intervista, sia Off che Lifeforms possono essere descritti come “sistemi contingenti”, che cambiano in base al comportamento del pubblico. Attraverso queste creazioni, Sarah Friend adotta la contingenza come catalizzatore per la sperimentazione e il gioco. Nello spazio creato da questi esperimenti, l’idea di valore diventa malleabile e possono essere re-ingegnerizzati per proiettare nuovi principi e idee grazie alla disponibilità delle nuove tecnologie. Altri esempi interessanti di modellazione creativa del valore attraverso la plasticità di questi nuovi strumenti finanziari sono The Sphere, un crypto-sistema per sovvenzionare il circo e l’arte performativa, o il progetto Plantoid che investiga l’idea di forma di vita attraverso la blockchain. 

Plantoid è un progetto del 2015 ideato dalla studiosa di diritto ed esperta di blockchain Primavera de Filippi e dal collettivo Okhaos. Cos’è un plantoide? Un plantoide è l’equivalente vegetale di un androide; è un robot o un organismo sintetico progettato per apparire, comportarsi e crescere come un vegetale. I plantoidi del progetto sono sculture meccaniche associate a un portafoglio di criptovalute, concepito come “anima digitale” del plantoide. Il pubblico è invitato a donare Bitcoin o Ethereum al portafoglio associato alla statua che preferisce. Una volta raggiunta una certa somma di denaro, il plantoide potrà riprodursi, sia fisicamente che digitalmente. 

La riproduzione segue il seguente processo: gli artisti si candidano per realizzare una nuova statua, uno smart contract trova tutte le persone che hanno inviato una proposta, che viene votata dai donatori e la proposta vincente verrà finanziata in automatico tramite i fondi donati al plantoide. Anche il nuovo plantoide sarà associato a un nuovo portafoglio, in modo che possa continuare il processo di riproduzione digitale. Come dichiarato dall’artista, “Plantoid è un tentativo di usare l’arte per illustrare quello che considero uno degli aspetti più innovativi e dirompenti della blockchain: la capacità di creare entità autonome completamente indipendenti e autosufficienti”.

L’elemento comune a tutti questi progetti è la loro ambizione di continuare piantare i semi della creatività economica negli interstizi sociali aperti dall’arte. I crypto-media vengono innervati dalla corruzione dionisiaca e diventano un ambiente in cui immaginare la possibilità di nuove forme di valore. Si attacca il monolite apparentemente onnipotente della razionalità economica con le sue idee di incentivo, vantaggio ed equilibrio ideale e si prova a rinvigorire il senso dell’oikonomia per trasmettere un nuovo senso di etica e uno specifico ideale di vita buona. Contro il formalismo della mega-macchina del profitto, la più radicale crypto-arte ci invita ad abbracciare l’assoluta contingenza dei sistemi di valore e diventare i progettisti del mondo a venire.