Cos’è la New Weird Italia

Pop storto, appropriazione illecita, pasta-performance e Screw-Wave: intervista a Misto Mame sulla nuova scena DIY italiana

Circa una settimana fa è uscito un articolo su una rivista online in cui si parlava dei “cinquantenni del futuro”, ovvero del monopolio di un certo tipo di critica musicale rivolta a quella che per comodità diremmo la generazione che ha dai 35 ai 45 anni.

Tralasciando il modo con cui veniva rivolto questo j’accuse (era una critica ad Oneothrix Point Never, che personalmente non condivido) ed i toni della critica, l’espressione e il contenuto dell’articolo possono essere ripresi per parlare di un fenomeno che nei fatti è uno dei principali freni al rinnovamento nel modo con cui si discute di musica in Italia: la realtà autocompiacente, autoreferenziale ed intimamente passatista della critica musicale italiana – e specialmente della critica “alternativa”. È evidente che questa critica e questo ambiente, per quanto non impediscano il nascere di fenomeni diversi, ne bloccano parzialmente l’emergere, e lo fanno nella piena noncuranza di qualunque prospettiva che si discosti rispetto a quella delle discussioni in-group o ad una facile nostalgia da sconfitti. Insomma, mettono “le pantofole al cervello” ai GenX-ers. Ed in fondo basterebbe concentrare la vista e/o l’udito, o avere la capacità di addentrarsi in terreni poco solcati, a volte sotto casa, per trovare collettivi o artisti che faticano ancora ad avere una loro posizione, e che esprimono esigenze emotive nuove.

La New Weird Italia è qualcosa di significativo sotto questo punto di vista: un collettivo di “pasta-performer” (sic) partito da Roma che nella sua marginalità prova in un qualche modo a “mettere nel frullatore” una parte dei cliché della musica italiana (e non solo) tramite un legame elettronico “strano” e reinterpretazioni pop detournate. Per intervistare i fautori di questo progetto, e nella fattispecie per intervistare i membri del collettivo Misto Mame e Frank Brait che di questo descriptor sono i creatori, ho dovuto sdoppiare le mie interviste – una a San Lorenzo insieme a Misto Mame ed una con Frank via Telegram, dato che quest’ultimo vive a Torino, dove si è stabilito in un nuovo collettivo/appartamento e pubblica musica a nome di Dori Sorride, Lapo Sorride e Kinked.

Per evitare di risultare eccessivamente oscuro al lettore, anteporrò l’intervista di Frank/Dori – più “programmatica” – a cui seguirà quella romana.

Flavio: Com’è nata l’idea della New Weird Italia?

Frank: Inizio a utilizzare il termine New Weird Italia quasi dagli albori del collettivo Misto Mame, ma la prima volta che viene pubblicato è con la prima compilation (omonima). Ho vissuto in tanti posti a Roma e ad un certo punto m’ero rotto il cazzo di cadere in dinamiche repressive tipo convivere a tutti i costi con persone intolleranti e su lunghezze d’onda divergenti; volevo un posto dove poter scegliere sia con chi vivere che come trasformare l’ambiente, farlo vivere con me, e quindi ho trovato l’appartamento che poi è diventato l’headquarter del collettivo. Appena migrato ho iniziato a suonare subito dal vivo con vari progetti (Crimen, Babalot, OV Temple), quindi mi si è aperto un mondo che in Calabria non mi sembrava possibile (anche se già intuivo che ci doveva essere molto di più) e volevo condividerlo con le persone con cui facevo musica quando ero ragazzino, come per dirgli “regà, funziona così: fai musica e la pubblichi e puoi farla ascoltare alle persone, porcoddio!”

Quindi Misto Mame nasce in primis come semi-etichetta per dare la possibilità ad amiche e amici di fare cose. È diventato un collettivo quando poi ci siam trovati in più persone a condividere questa mia necessità, e successivamente dalla porta dell’appartamento è entrata anche l’arte ma soprattutto la “politica”. Ho iniziato quindi a definire “New Weird Italia” la roba che facevamo: aveva connotazioni pop ma vestiva abiti diversi, privilegiava la comunicabilità ma con metodi discutibili; insomma, “ambiguava” qualsiasi aspetto, musicale e non, e lo faceva in un contesto distratto.

Questo del contesto distratto è il punto principale di questa storia: se ho iniziato a fare tutto quello che ho fatto è per definire uno spazio per la mia persona, e quella di altre, in cui poter vivere, agire, e concentrare energie, intellettuali e fisiche, cosa che per il luogo da cui proviene il mio corpo è impossibile. All’epoca erano anche i tempi di una musica di tendenza che si camuffava sotto termini come “indipendente” che per me definiva gran parte del panorama musicale cantato come un panorama, appunto, distratto (sia dal punto di vista di chi faceva musica, sia da quello di chi ne fruiva). La sequenza “NEW WEIRD” è ispirata alla New Weird America. Avevo letto storie su dei festival in cui negli anni Sessanta si suonava il folk in modo strano, quindi mi ha triggerato e via, la “struttura” che si è costruita si è consolidata abbastanza autonomamente.

Flavio: Che peso ha l’aspetto pop secondo te? Te lo chiedo perché è un argomento che mi sta a cuore, ma mi pare sia un aspetto rilevante nella traiettoria della NWI.

Frank: È sicuramente presente, se per pop intendi aspetti comunicativi decifrabili da più soggetti. Ma di sicuro NWI ha un’estetica propria, data soprattutto da una forte attitudine DIY. Ti basta pensare che ad ora ci curiamo delle grafiche quasi tutti, e io che ero il primo non avevo nessunissima base, manco disegnavo! Quindi si, parole chiave sono Weird, DIY e Pop, non come emblema, ripeto, ma come metodo/strumento, che è facile fraintendere. Questa differenza è molto importante perché ricade anche nell’aspetto di agire in un panorama distratto: base di questa distrazione appunto è la massificazione, assoggettamenti ad emblemi che non hanno niente a che vedere con quello che vorrebbero rappresentare, accettare questo soggiogamento trasforma in quelle Persone Fragili di cui parlo in un mio brano.

Flavio: Quando inizia tutto questo?

Frank: 2016, rapidissimo.

Flavio: Che peso ha lo spazio interiore ed esteriore della New Weird Italia? Per esempio, a me ha sempre colpito che in Persone Fragili tu scrivevi: “Roma è solo un posto, muore solo”.

Frank: Sullo spazio interiore ci ritorniamo. Parliamo di quello esterno. NWI, come Misto Mame, nasce dentro un appartamento in un quartiere di Roma, San Lorenzo (da cui 00185, il codice postale del quartiere, NdR). Tutto quello che abbiamo fatto concerne quel luogo e quel quartiere. Allo stesso tempo che consolidavamo la nostra responsabilità nei confronti di un luogo abitato, ospitavamo gente da ovunque ed il nostro modo di concepire questa responsabilità si è naturalmente esteso a dismisura. C’è ovviamente una logica territoriale per quanto riguarda i corpi, come dicevo prima, che vivono la NWI e Misto Mame, e ci sono anche dei confini, vale a dire “qui esiste questa cosa, e la tua dinamica repressiva non può farne parte”, ma niente più. Penso al momento molti collettivi e scene affrontino questo discorso. Lo spazio interiore: queste (NWI e MM) sono dinamiche che partono ovviamente da un dentro, ed è essenziale averlo riconosciuto per me e per noi (e averci anche fatto i conti, per esempio sono qui a Torino, in uno spazio che gestisco da solo, per questo).

Flavio: Pensando al tema della distrazione, come ti relazioni con le cose che escono in Italia e fuori dall’Italia? C’è una filologia nel tuo approccio rispetto alla NWI?

Frank: NWI è influenzata di sicuro dalla scena europea e dall’attitudine belga e francese di fare cose (un riassunto di questo a Roma è il Fanfulla, prima fonte di influenze mia e di tutti noi), poi una grossa attrattiva iniziale l’abbiamo avuta nei confronti del collettivo di Shlohmo, We Did It, e di un posto a Berlino di nome Cashmere Radio (che è soprattutto una radio): ci andai quando abitavo e Lichtenberg, e da lì ho capito che dovevamo fare cose nell’appartamento e sviluppare concetti.

La musica che esce in Italia mi interessa molto (la seguiamo tutti, un botto), soprattutto nell’ambito sperimentale che da un po’ di tempo ha sfondato la barriera dell’accessibilità diventando (finalmente) un mondo come altri (senza perdere di spessore, nel più dei casi, poi ci sono certe tendenze che sono diventate preponderanti, ma vabbè… “Milano way”). Personalmente sono stimolato molto di più da Bristol, l’Est Europa, Russia e Francia/Belgio (cioè, le cassette e la musica che compro vengono da questi posti). Ma di sicuro le cose più importanti che ascoltiamo sono le radio; ci sono così tante radio in Europa… Quanta cazzo di musica facciamo?

Flavio: Che cos’è Riforma? Da poco è uscito il tuo nuovo singolo a nome Dori Sorride, “Bestia Rara”, e prossimamente uscirà una tua nuova release a nome Kinked, entrambe per Riforma.

Frank: Riforma è l’etichetta riformista di Misto Mame e della New Weird Italia. Ad un certo punto abbiamo avuto necessità di indirizzare il nostro gusto elettronico-weird verso un qualcosa di più catalogabile (che è tutto da dire). Poi ci siamo inventati questo genere che accomuna noi tre (Altrimenti, Not399093 e me come Kinked/Dori Sorride): Screw-Wave Italia (ovviamente ne abbiamo inventati molti altri prima, tutti sottogeneri della NWI); questa cosa ci dà molto più piacere che realizzare progetti, perché è il gioco della lingua e dell’immaginazione che ti stimola così tanto i neuroni che finisci davvero a fare QUELLA musica. Insomma, inventare mondi nuovi partendo dalle parole. E sì, abbiamo inaugurato con Bestia Rara, un brano che avevo composto come FRNKBRT ma che ho poi, come hai detto, inserito nello storico di Dori Sorride, che attualmente è il progetto principale in cui canto e perseguo la NWI delle origini, quella più autoriale.

Passando all’intervista ai membri di Misto Mame, che si è svolta a San Lorenzo, all’esterno di due bar nei pressi di Piazza dell’Immacolata, ho cercato di mantenere un tono meno lineare; è stata più che altro una divagazione su dei punti.

Flavio: Partiamo dalle compilation di Misto Mame. Perché questo formato? Si può parlare della New Weird Italia come una forma di pop distorto, e ovviamente anche di Misto Mame che ne è la prima creatura?

Adriano: Dal 2016 ogni primavera mettiamo insieme una compilation con vari inediti dei membri del “collettivo espanso” e sicuramente la proposta musicale in questo caso è più omogenea. C’è l’idea di fare pezzi pop riprendendo degli stereotipi e stilizzandoli, o anche decontestualizzandoli. Però non è nulla di programmatico, piuttosto rispecchia ciò che è successo durante l’anno, nasce per mettere insieme progetti nati nell’appartamento o artisti venuti a suonare da noi (come è stato per i Balladur o Pufuleti).

Giulia: In generale New Weird Italia non indica un genere o un sound omogeneo, anzi. Noi diciamo che si tratta di “una espressione artistica eterogenea”, niente di preciso. Sicuramente ha a che fare con l’usare e giocare con il linguaggio pop, ma non esiste solo in relazione a questioni musicali (o di generi, etichette e quant’altro), e questo è valso anche e soprattutto per Misto Mame.

Flavio: Che definizione daresti a Misto Mame?

Adriano: Penso che ognuno di noi abbia una definizione soggettiva di Misto Mame, per me è stato innanzitutto un appartamento e un luogo in cui stringere relazioni forti. Dare un nome a questo collettivo, rete di persone e al loro modo di incontrarsi ed esprimersi è stato forse un modo per dare una spinta alla volontà e all’intenzionalità di tutti, un modo per definirsi. Non è solamente una questione di proposta musicale, sicuramente si organizzano situazioni, happenings e concerti, si pubblicano dischi, zines e ci si scambia musica. Infatti per questo abbiamo deciso di formalizzare alcune di queste tensioni in due progetti più precisi come la radio 00185fm e la label Riforma. Ma non mi sentirei di ridurre Misto Mame a un progetto e a delle finalità precise, è un modo di condivisione, che è stato alla base di tutto quel che facciamo ora, eterogeneo e in mutamento (spero!).

Flavio: All’interno del calderone di spinte rappresentate dalla NWI, Mossa Records è emersa come piccola realtà nel mondo dell’elettronica italiana. Pensate che ci sia una continuità tra le cose pubblicate da Mossa in quest’ultimo anno e la New Weird Italia in genere?

Riccardo: L’idea mia di creare un’etichetta è nata in un periodo in cui io e Francesco frequentavamo molto Misto Mame; osservandone il modus operandi abbiamo riconosciuto l’importanza dell’autoproduzione, anche se sin da subito abbiamo avuto un approccio musicale più formalizzato e totalmente incentrato sull’elettronica. In un certo senso la nostra affinità con la NWI sta più nelle relazioni umane e nello scambio d’idee con gli altri che in una vera e propria convergenza di stile o di attitudine.

Flavio: Quindi la New Weird Italia può essere pensata come il prodotto di una serie di relazioni tra persone diverse in un luogo specifico?

Giulia: Diciamola un po’ al contrario: sicuramente tutti noi, in un modo o nell’altro, condividiamo una certa relazione con la vita, una certa attitudine, e questo vale anche se nella quotidianità facciamo cose a volte anche molto diverse. Forse il nucleo che sta alla base e che ci unisce al di là dei luoghi in cui viviamo e delle vite che facciamo, sta nell’idea di autoproduzione, come diceva Riccardo, che poi puoi estendere a tutti i campi che vuoi; è un certo modo di scambiare idee con gli altri e creare relazioni, la spinta a fare quando ne sentiamo il bisogno e a imparare qualsiasi cosa serva per dare concretezza ai pensieri e alle urgenze, essere fluidi ma concentrati, non disperdere le energie. C’è qualcosa che dovrebbe distinguerci allora da un qualsiasi altro individuo dei nostri tempi liquidi, tutto incentrato sul fare-produrre-comunicare? Forse weird in questo caso diventa l’aggettivo chiave per definire in un certo senso un aspetto di resistenza. Penso che ognuno di noi si sia specchiato in questo riferimento “new weird”, chiedendosi che cosa significasse per lui o per lei. Personalmente ho trovato liberatoria la potenza di questa definizione che non definisce del tutto, che contiene e dà forza propulsiva ma che non inquadra. Funziona anche come un senso di appartenenza che può farmi sentire a casa nell’essere weird, cioè nel non sentirmi mai pienamente “a casa”, sempre un po’ in bilico tra diversi mondi, diversi linguaggi. Insomma, vedendola con la lente della NWI, è più che giusto non essere incasellabili, al contrario di come siamo invitati a presentarci, “io sono questo e faccio quest’altro, sai”. Si tratta di musica, di grafica, di cucito? Di un modo di leggere la realtà o di un modo di sentirsi o di stare al mondo? Chi può dirlo? Tutti abbiamo una prospettiva diversa di che cos’è la New Weird Italia e una definizione univoca non è importante, probabilmente non centrerebbe nemmeno il punto, perché i punti e i centri sono (e devono essere!) molteplici. Infatti continuiamo a incontrare persone “New Weird Italia”, anche fuori dall’Italia, perché la cosa è appunto espansa ed espandibile. Alla fine il luogo è stato specifico all’inizio (era l’appartamento), ma NWI è diventata una roba più cinetica, fusa, diffusa, anzi alle volte io la penso quasi più come fosse un sentimento.

Riccardo: Ma anche se vedi la descrizione di Bestia Rara, il singolo uscito adesso per Riforma, c’è una sorta di proliferazione di neologismi ironici tipo “tenco-grime” o “screw-wave” che tentano di produrre un immaginario però con dei termini artificiali, e New Weird Italia può darsi sia uno di questi. In un qualche modo è diventato quello che vedi su Bandcamp, ossia un descriptor di esperienze però diversissime.

Adriano: Direi che è un logo che non funziona da logo, un brand disfunzionale. Per esempio, ora con la radio online 00185fm abbiamo una trasmissione che si chiama “Such a Weird Italia”, e dovevamo fare un primo mix su quello che rappresenta il “gusto” musicale della New Weird Italia, appunto. Eppure, le tracce che avevamo messo insieme avevano poco a che vedere tra di loro, alcune erano addirittura francesi, nemmeno italiane (ride).

Flavio: A me faceva ridere che su uno di questi mix ci fosse scritto “post-alpe” invece di transalpino, cisalpino etc.

Giulia: Beh, ma qui prendiamo in giro anche le parole d’ordine dei nostri tempi, i post-dappertutto etc. – e se non prendi in giro le parole dopo averle comprese, alla fine ci rimani intrappolato, noi cerchiamo di forzare le parole anche se capisco che talvolta possa sembrare che non diciamo davvero nulla. Il che però è proprio divertente.

Adriano: Un modo di forzare le parole è anche nell’invenzione dei sottogeneri, è il nostro modo di essere contro l’idea del genere musicale, facendo proliferare all’infinito i possibili generi dentro cui incasellare le nostre produzioni.

Flavio: Una partenogenesi di generi.

Adriano: Un altro lemma della NWI è “l’appropriazione illecita”, che è una parola d’ordine prepotente per esplicitare il nostro rapporto con la tradizione e la storia italiana, la cultura folkloristica, il Mezzogiorno etc. Un filo conduttore che emerge sia dalle proposte musicali sia dai nostri interessi, studi, discorsi. È come se ci fossero un passato ed un presente da processare, rielaborandoli o prendendoli in giro: Pufuleti canta in siciliano, pur vivendo in Germania da quando è piccolo, e rivede l’Italia in maniera distorta attraverso gli scarti della cultura televisiva e i filmini della sua infanzia; con i São, al Fanfulla per la Primavera Misto Mame 2019, abbiamo rimesso in scena la processione della Madonna dell’Arco di Pomigliano trasformandola nella Madonna di Polietilene (della plastica e della monnezza). Sicuramente le espressioni artistiche che vanno in questa direzione ci accendono qualcosa e ci piacciono l’iconoclastia, l’ambiguità, l’ironia schietta… per capirci, dobbiamo di più a Ciprì e Maresco o Blob che ad altro.

Flavio: Che relazione c’è tra Misto Mame, la New Weird Italia e il territorio che viene abitato, visto che siamo qui a Roma?

Riccardo: Va detto che tutto questo discorso che viene fatto sull’attitudine, sulla condivisione etc. ha indubbiamente molto a che vedere con tanta musica di Roma, ovvero quella che scherzosamente io e Flavio definiamo la Bolla; c’è una genealogia di quell’attitudine perché penso che tutti noi alla fine ci siamo in parte formati andando alle serate del Fanfulla, del Dal Verme o del 30 Formiche – è quell’approccio naif che ti fa dire: “facciamo qualcosa, non importa come ma c’è l’urgenza di farlo e non mi interessa di aderire a un canone o ad un qualcosa” e penso che a tutti noi abbia dato un certo imprinting. Per quanto adesso io abbia un approccio più tecnico per via dei miei studi, è innegabile che abbia avuto questo percorso perché ho cominciato a fare concerti al Dal Verme ed ero fomentato, lo facevo in maniera del tutto spontanea. Tutti noi dobbiamo qualcosa a questo.

Flavio: Mi viene da pensare ad un’idea che ho come auto-descrizione da qualche mese, ovvero quello che definisco “taoismo bubblegum”. Quando ho cominciato a scoprire Arthur Russell ho come tanti fatto caso ad un articolo di Matthew Marble a proposito della sua musica, in cui veniva definito il “Buddista Bubblegum”. Nel mio caso, dato l’interesse che nutro per il taoismo nella sua teoria della spontaneità cosmica, ho preferito definire il mio approccio “taoista bubblegum”: credo che si possa associare anche a questa genealogia di cui parliamo.

Riccardo: Assolutamente. Immagino che qualcuno potrebbe metterla sul piano del dilettantismo ma in realtà in questo caso c’è un po’ un superamento dell’antitesi professionalismo/dilettantismo.

Adriano: Magari per Mossa e in un breve futuro spero anche per Riforma, l’oggetto musicale vorrebbe assumere un valore preciso, più definito da scelte di sonorità, ma anche in questo caso non deve essere fine a sé stesso.

Flavio: Che differenza c’è tra Misto Mame e Riforma, a parole tue?

Adriano: Come ho detto prima, Misto Mame non aveva la pretesa di essere un’etichetta o di distribuire musica, era piuttosto la contingenza di trovarsi insieme e produrre musica e zines DIY. Riforma vorrebbe essere un progetto più preciso. In ogni caso la immagino come un oggetto esploso, cioè uno strumento per creare luoghi, incontri e scambi ma svincolato da un solo territorio o una sola città, anzi vorrei che ci muovessimo il più possibile per suonare (appena ci sarà modo), invitare a suonare chi ci piace organizzando serate in più parti d’Italia, stampare (cassette, 7 pollici, ma anche stampe cartacee e su tessuti) e distribuire il più fisicamente possibile. Penso ci concentreremo su sonorità più elettroniche, tralasciando le chitarre ed il pop che invece giravano dentro Misto Mame.

Flavio: Ma l’ultimo singolo di Dori Sorride mi sembra un pezzo del tutto pop.

Riccardo: Sì perché è la sua cifra, ma il trait d’union è più la parte elettronica che quella cantautorale, per così dire. Cioè, anche se il suo pezzo è un pezzo anche R&B per quanto obliquo, è significativo che abbia pensato a dei rework nostri, che vanno tutti in una certa direzione elettronica.

Adriano: Sì, abbiamo pensato di presentare l’etichetta con un gruppo (BATCH1) di 4 releases digitali, che comprendono dei nostri inediti e i rework di Rainbow Island, Equohm di Since Crew, Steve Pepe e altri

Flavio: Tutta gente in area-Bolla.

Antonio: Penso che Riforma, per l’anima con cui sta nascendo, non abbia a che fare con la “bolla” o con limiti territoriali in generale, anzi, è una necessità che abbiamo percepito proprio riguardo a non avere pretese di “rappresentare”, ma al massimo di trasformare. In questi primi remix iniziamo da musicisti che conosciamo, stimiamo e sentiamo vicini (non solo geograficamente) perché lo percepiamo naturale, ma senza sentirci chiusi in città o villaggi. Anzi nelle prossime release ci saranno più che altro artisti internazionali e (senza fare spoiler) stiamo esplorando “altre” forme di fruizione musicale, digitali e soprattutto fisiche, che rendano i formati, i riproduttori ecc. coerenti con le uscite musicali, evitando di relegarci solo a stampare su un vinile o una cassetta standard o pubblicare dischi su Bandcamp.

Allo stesso modo in cui non ci saranno solamente uscite musicali ma anche pubblicazioni di grafica o vestiti o altro (…). In questo senso la SCREW WAVE di Riforma è il filo invisibile che lega le produzioni, musicali o come non musicali, delle persone che virtualmente gravitano all’interno di essa. Ad esempio la mia produzione come NOT399093 per quanto tenda ad un’elettronica più danzereccia e “ritmata” (anche se decostruita e rimasticata) è coerente con l’esplorazione sonora delle altre release di Riforma….

Adriano: Esatto! Fare cose insieme a chi fa parte dello stesso tessuto culturale non vuol dire necessariamente essere chiusi o autoreferenziali, anzi sono posti come il Fanfulla o il Dal Verme che fanno scoppiare la Bolla di una generica e provinciale Italia. Come dicevamo prima a proposito delle Alpi personalmente non me ne frega niente di bolle, scene, Stati Nazione e appunto di catene montuose: #noborders etc.

Flavio: Bisognerà aspettare un Aufhebung della Bolla.

Adriano: Se il discorso di Misto Mame è localizzato e nasce da un appartamento a San Lorenzo, per questioni di contingenza ci siamo ritrovati sempre più liquefatti e in movimento, e quindi ci siamo inventati progetti come la web radio su Mixcloud. Riforma è un progetto che ci permette di espandere questa rete che non è finalizzata a qualcosa di cumulativo ma a trovare nuove esperienze, persone o idee e rimanere in contatto tra di noi. Dato che Frank si è spostato a Torino e altri sono in procinto di spostarsi altrove, ultimamente diamo meno peso all’idea di un unico spazio da abitare.

Flavio: Però mi sembra un po’ una capitolazione, cioè penso che la dimensione psicologica dello spazio da abitare o nel quale trovarsi sia fondamentale a livello creativo. Non vorrei un futuro simile alle sciocchezze di Grimes sulla sparizione dei concerti, insomma, lo troverei terrificante.

Adriano: Beh no, ma per noi paradossalmente non avere un (solo) appartamento può voler dire qualcosa di più, uscire fuori da Roma, moltiplicare lo spazio e le relazioni…

Giulia: Frank, ad esempio, si è ricreato uno spazio a Torino, Asile185. Un luogo è sempre necessario per dare il via o portare avanti realtà simili alla nostra. Ma noi viviamo in questa contingenza per cui non abbiamo la certezza di dove saremo tra un anno, o anche tra un mese. Questo è un elemento importante: i nostri discorsi sull’essere dislocati non li facciamo per partito preso ma perché, nel concreto, siamo tutti su questo terreno mobile, friabile, che è il comune spazio-tempo sociale ed economico che abitiamo. Tuttavia, c’è sempre l’aspirazione a trovare un unico posto capace di contenere tutti i nostri i progetti: è come se fosse all’orizzonte ed è un punto continuo di tensione.

Flavio: Un caveat che avrei dovuto aggiungere alla questione dello spazio è il legame affettivo che ho (e che ha anche Riccardo) nei confronti del nostro passato al Dal Verme. Da pischelli, io un po’ meno ma in fondo ho tre anni più di lui, sapere di avere un posto dove andare regolarmente e sentirsi quasi rincuorati per l’esistenza di quel posto è stato un momento molto importante per lo sviluppo della nostra sensibilità.

Riccardo: Tre volte a settimana tornando a casa con i notturni (ride). Comunque, il Dal Verme ti spingeva a stare o immerso dentro o fuori nella calca, e quindi c’era questa dimensione interno/esterno porosa ma anche molto netta a livello fisico.

Flavio: Alla fine pensandoci abbiamo seguito tutte cose fatte dalla generazione che adesso ha tra i 35 e i 45 anni.

Riccardo: Si, ed è da quella generazione che abbiamo ripreso questa tendenza allo spontaneismo naif, pur cercando di smarcarcene in parte. A me, comunque, la cosa che stupisce è che c’è un salto fra la nostra generazione e i 35/45enni, c’è un po’ un buco se vuoi. Non so, chi sta in mezzo lo vedo un po’ come tendenzialmente parte della generazione del Circolo degli Artisti, dei cantautori del primo indie di un certo tipo.

Flavio: Forse è un’idea campata in aria ma a volte mi viene da pensare che ci sia un lungo continuum che va dalla metà degli anni ’90 a circa il 2010. Un lungo periodo in cui il modo di produrre e di fruire musica, specie in Italia, è rimasto più o meno lo stesso e si è spezzato solo dopo quasi vent’anni…

Antonio: Quindi il continuum è finito più o meno quando io e Frank abbiamo suonato al Circolo degli Artisti (ride).

Flavio: No ma quello che voglio dire è che certe rigidità del mondo “alternativo” sono finite in parte solo nell’ultimo decennio.

Riccardo: Sì poi il veicolo è stato prima la riscoperta del Noise e poi ad un certo punto quella dell’elettronica glitch, almeno a Roma. Adesso non saprei a che punto siamo ma è un momento molto poco lineare. In fondo cerchiamo un po’ di crearci degli stimoli dove non ci sono, e indubbiamente a Roma adesso ce ne sono molto pochi.

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