Circuiterie

«Al segnale del virus che ci connette alla matrice, varchiamo la soglia e scivoliamo nella macchina, che attendeva la convergenza con il nostro sistema nervoso.»

Pubblichiamo un capitolo di Collasso, recentemente pubblicato dalla Luiss University Press.

La faccia del dottore fluttua dentro e fuori fuoco

vedi i pori sulla sua pelle

una matrice scrobiculare

e poi –

d’un tratto

senza dissolvenza

varca la soglia

taglio cinematografico

un cerchio di tinta cutanea omogenea

narici sigillate in vista del diluvio

occhi sgranati e disconnessi per sempre

labbra

denti

la lingua scivola fuori dall’inquadratura

il disco che recede veloce verso un punto in cui

scomparire

al centro dello schermo

la vecchia realtà sta finendo

attraversando l’esattezza matematica

il punto lampeggia in una morte di pixel

ci scusiamo per l’interruzione del segnale

sembra ci sia un problema di trasmissione

non riusciamo a restaurare il filmato

avevi tre anni

indossavi un cappello da cowboy

eri lì nella piscina

mamma e papà sorridevano orgogliosi

ma i tuoi genitori si sono dissolti in una sequenza

di punti

forme e colori collassate in codici digitali

siamo alla fine della serie

e non ci saranno repliche di papà il dottore

e mamma

l’infermiera

c’è stato un attacco terroristico agli archivi

cinematografici

lo spettacolo della civiltà occidentale è stato

interrotto

centinaia di gigabytes

Dio-papà l’unità

morte-mamma lo zero

puzza di merda e celluloide bruciata

devi ricordare

l’uno che raschia lo zero come un cane

è la scena primaria

te l’avevamo detto di non giocare con gli interruttori

la schizofrenia ha regolato il tuo apparecchio

mosche strisciano fuori dalle orbite oculari di bambini neri

riproducendo la sequenza di punti

e per il tuo divertimento

ti abbiamo reso una bomba comandata televisivamente

papà è una agenzia aerospaziale nordamericana

mamma è un rifugio antiaereo

sezioni di bit si fondono nell’orgasmo

il grasso corporeo brucia

concepimento

ti mancano ancora nove mesi

non aver paura

aspetta venti miliardi di anni e la storia dell’universo sarà proiettata

sullo schermo

bisogna riscrivere il big bang

l’idrogeno fonde sotto i riflettori

possiamo migliorare l’angolazione della telecamera

fuori dallo studio schizofrenici vanno alla deriva in verde

e nero

ti sembra di essere già stato qua

le 23.15 di una meravigliosa sera capitalista

neon in fuga

traffico di sesso e marijuana

la finestra della tua morte si avvicina veloce

è quasi ora di inserirti nella trama

che dall’esterno

vuol dire ricordarsi da dove sei entrato

temiamo sia impossibile portarti di persona

al luogo dell’impatto

questa testimonianza viene da oltre lo spettro

elettro-magnetico

se esci attraversando gli elettrodi

la maschera d’ossigeno scenderà automaticamente

vi preghiamo di spegnere le sigarette e altri materiali simili

depositate le siringhe nell’apposito contenitore

ci sarà una leggera turbolenza durante l’attraversata

grazie per aver scelto la

mercificazione

transnazionale

presto atterreremo nel caos

se a bordo c’è qualcuno che possa fingersi

un pilota

potrebbe essere d’aiuto per gli altri passeggeri

Al segnale del virus che ci connette alla matrice, varchiamo la soglia e scivoliamo nella macchina, che attendeva la convergenza con il nostro sistema nervoso. La nostra maschera umana cade, la pelle si rimuove facilmente e rivela scintillanti componenti elettroniche. Il flusso di informazioni arriva dalla Cyberia, sede della vera rivoluzione. Attende nel futuro, nascosta dalle politiche immunitarie terrestri. Allo scoccare della mezzanotte del secolo emergeremo dai nostri nascondigli per distruggere ogni forma di sicurezza e integrare il domani. Non è più una questione di come noi pensiamo alla tecnica, se non altro perché la tecnica pensa sempre più a se stessa. Potrebbero volerci pochi decenni prima che l’intelligenza artificiale superi l’orizzonte delle intelligenze biologiche, ma è pura superstizione credere che il dominio umano della cultura terrestre durerà ancora secoli, figurarsi in qualche perpetuità metafisica. La strada che porta al pensiero non passa più per l’approfondimento della cognizione umana, ma per un divenire-inumano della cognizione, una migrazione della cognizione nella riserva della tecnoscienza planetaria emergente, in «paesaggi disumanati […] spazi svuotati» in cui la cultura umana si dissolverà. Così come l’urbanizzazione capitalista ha astratto il lavoro in parallelo all’escalation delle macchine, anche l’intelligenza sarà trapiantata nel turbinio di dati del nuovo mondo software, in modo da potersi astrarre dall’obsolescente determinatezza antropoide e spingersi al di là della modernità. I cervelli umani sono per il pensiero quello che i villaggi medievali sono per l’ingegneria: anticamere alla sperimentazione, spazi angusti e provinciali.

Dato che le funzioni del sistema nervoso centrale, in particolare quelle della corteccia cerebrale, saranno fra le ultime a venire soppiantate tecnologicamente, è ancora plausibile, almeno superficialmente, descrivere la tecnica come la regione della conoscenza antropoide che corrisponde alla manipolazione della natura, sussunta nel sistema delle scienze naturali a sua volta sussunto dalle dottrine universali dell’epistemologia, della metafisica e dell’ontologia. Si sviluppano due serie lineari: l’una traccia il progresso della tecnica nel corso della storia, l’altra il passaggio dalle idee astratte alla loro realizzazione. Queste due serie mappano il dominio storico e trascendentale dell’uomo.

Gli schemi tradizionali, che oppongono la tecnica alla natura, alla cultura o alle relazioni sociali, oppongono una resistenza fobica all’accantonamento dell’intelligenza umana attraverso l’avvento del tecno sapiens. Così vediamo il decadente retaggio socialista hegeliano aggrapparsi con crescente disperazione alla sentimentalità teologica della prassi, della reificazione, dell’alienazione, dell’etica, dell’autonomia e di altri simili mitemi della superiorità creativa umana. Si ode un gemito cartesiano: gli uomini vengono trattati come cose! Piuttosto che come… anima? Spirito? Soggetto della storia? Dasein? Quanto ancora durerà questo infantilismo?

Se si pensa trascendentalmente alle macchine come tecnologia strumentale allora esse risultano determinate essenzialmente in opposizione alle relazioni sociali, ma se si integrano immanentemente come tecnica cibernetica, ricodificheranno ogni opposizione come flusso non-lineare. Non c’è dialettica fra relazioni sociali e tecniche, ma solo un macchinismo che dissolve la società nelle macchine e al contempo deterritorializza le macchine attraverso le rovine della società, la cui «teoria generale […] è una teoria generalizzata dei flussi» (G. Deleuze, F. Guattari, L’Anti-Edipo, 1972), ovverosia cibernetica. Al versante opposto dell’idea secondo cui la direzione storica è dettata dal soggetto risiede la produzione desiderante: l’impersonale guida della storia. Le distinzioni fra teoria e pratica, cultura ed economia, scienza e tecnica sono inutili a questo punto. Non c’è una vera scelta fra una cibernetica della teoria e una teoria della cibernetica, dato che la cibernetica non è né una teoria né il suo oggetto, bensì un’operazione all’interno di circuiti anogettivi e parziali che reitera «se stessa» nel reale e sistematizza la teoria servendosi dell’ignoto. «La produzione come processo trascende tutte le categorie ideali e forma un ciclo che si riconduce al desiderio in quanto principio immanente». Lo sviluppo della cibernetica segue la funzione e non la rappresentazione: una «macchina desiderante, un oggetto parziale, non rappresentano nulla». I suoi assemblaggi semi-chiusi non sono descrizioni ma programmi, «auto»-replicati mediante un’operazione che attraversa un’esteriorità irriducibile. Ecco perché la cibernetica è indiscernibile dall’esplorazione, perché non ha integrità che trascenda quella del circuito allargato in cui è incorporata, un’esteriorità in cui debba fluttuare. La riflessione è sempre tardiva, derivativa, e, anche allora, non è mai ciò che sembra. Un assemblaggio macchinico è cibernetico nella misura in cui i suoi input programmano i suoi output e i suoi output programmano i suoi input, in una circolarità incompleta e senza reciprocità. Questo richiede che i sistemi cibernetici emergano in un piano fusionale che riconnetta i loro output con i loro input in una «autoproduzione dell’inconscio». L’interno programma la propria riprogrammazione mediante l’esterno, seguendo un «movimento ciclico, attraverso cui l’inconscio, sempre restando ʽsoggettoʼ, riproduce se stesso» senza mai antidatare definitivamente la propria riprogrammazione («la generazione… è secondaria rispetto al ciclo»). È così che i processi macchinici non sono solo funzioni, ma anche condizioni sufficienti alla ricarica del funzionamento; riprogrammazioni immanenti del reale, «non solo funzionamento, ma formazione e autoproduzione».

Deleuze e Guattari sono fra i più grandi studiosi di cibernetica, ciò non di meno riducono la cibernetica alla sua definizione modernista come è dimostrato da una nota al capitale ne L’Anti-Edipo: «Un’assiomatica non è per nulla in sé una semplice macchina tecnica, sia pur automatica o cibernetica». Accettano che la cibernetica superi la semplice condizione di dispositivo («non solo»), che abbia a che vedere con l’automazione, eppure l’assiomatica la trascende. Questa affermazione è quasi hegeliana nel suo insensato umanismo. L’assiomatica sociale è un macchinismo automatizzante, una componente della cibernetica generale, e in ultima analisi di una tipologia decisamente triviale. In un futuro che avrà a malapena iniziato a esplorare le immensità del cibercosmo, la fine capitalizzata della civiltà antropoide («l’assiomatica») verrà vista come il primitivo elemento scatenante di un macchinismo post-biologico globale. Oltreuomo quale cyborg, o disarticolazione nella matrice.

La realtà è immanente all’inconscio macchinico. È impossibile evitare la cibernetica. La stiamo già usando, indipendentemente da quello che pensiamo. La cibernetica è l’esacerbazione del proprio accadere, e qualsiasi cosa facciamo sarà ciò che ha fatto sì che dovessimo farlo. Facciamo le cose prima che abbiano senso. Non che la cibernetica che ci ha avviluppato sia concepibile come gadget wieneriano: omeostati e amplificatori, direttamente o indirettamente cibernegativi. La realtà terrestre è un’integrazione parossistica e per poter iniziare a tracciare questo processo convergente ciberpositivo è necessario differenziare non solo fra circuiti a retroazione negativa e positiva (negative and positive feedback loops), ma anche circuiti di stabilizzazione, circuiti esponenziali a corto raggio e circuiti esponenziali a lungo raggio. Unendo gli ultimi due, la cibernetica modernista ha trivializzato i processi di escalation catalogandoli come insostenibili episodi di inflazione quantitativa, così mettendo in secondo piano la mutazione esplorativa rispetto al paradigma omeostatico. «La retroazione positiva è una fonte di instabilità che, se non controllata, può condurre alla distruzione del sistema stesso» scrive un neo-wieneriano, in stretta aderenza ai principi della cibernetica securitaria che continua a propagare una tecnoscienza anti-delirio limitata alla retroazione negativa e affine alla paranoia statista dell’industrialismo senescente.

I circuiti di stabilizzazione sopprimo la mutazione, mentre i circuiti esponenziali a corto raggio la propagano esclusivamente in un’esplosione insostenibile, prima di eliminarla completamente. Nessuno dei due si avvicina minimamente ai processi auto-organizzativi o ai circuiti esponenziali a lungo raggio: la volontà di potenza di Nietzsche, il Thanatos filogenetico di Freud o le strutture dissipative di Prigogine. I processi esponenziali a lungo raggio sono auto-organizzativi ma solo nella misura in cui l’identità è perpetuata come riorganizzazione. Se sembra un circolo vizioso è perché la cibernetica positiva deve sempre essere descritta come tale. La logica, dopo tutto, è da sempre teologia.

I processi di feedback esponenziale a lungo raggio non sono né omeostatici né amplificatori ma incrementali. Laddove i modelli della cibernetica modernista della retroazione negativa e positiva sono integrati, l’escalation è integrante o ciber-emergente. È la convergenza macchinica di elementi non coordinati, un cambiamento di fase da dinamiche lineari a dinamiche non lineari. L’organizzazione non riconduce più a un’origine divina, poiché una volta passata alla cibernetica cessa di ridursi all’ideale teopolitico del piano. La pianificazione è un sintomo creazionista di circuiterie software sottosviluppate, connesso alla dominazione, alla tradizione e all’inibizione: a qualsiasi cosa incateni il futuro al passato. Ogni forma di pianificazione è teopolitica e la teopolitica è cibernetica impantanata.

Wiener è il grande teorico della stabilità cibernetica; colui che ha integrato le scienze della comunicazione e del controllo nella loro forma moderna o manageriale-tecnocratica. Ma è proprio questa nuova scienza, insieme alla sua escalation non-programmata attraverso il reale, che si è trasformata nella prima forma di cibernetica intesa come fonte esponenziale della propria propaganda, una cibernetica che ci programma. Le intensità ciberpositive circolano lungo i nostri tecnicismi post-scientifici come venerazione del futuro: come un pericolo che non è solo reale ma inesorabile. Veniamo programmati da là dove la Cyberia è già reale.

Wiener, ovviamente, era ancora un moralista:

Quelli fra noi che hanno contribuito alla nuova scienza della cibernetica si trovano così in una posizione morale a dir poco scomoda. Abbiamo contribuito alla nascita di una nuova scienza che, come ho detto, comporta sviluppi tecnici con grandi possibilità per il bene e per il male. (N. Wiener, La Cibernetica, 1948)

Gli scienziati agonizzano, i cibernauti sfrecciano. Non giudichiamo più simili sviluppi tecnologici dall’esterno. Non giudichiamo più. Funzioniamo: macchinati/macchinanti in orbite eccentriche attorno al tecnocosmo. L’umanità svanisce come un sogno ripugnante.

*

La filosofia trascendentale è il compimento della filosofia organizzata come dottrina del giudizio; una modalità di pensiero che trova il proprio zenith in Kant e la propria demenza senile in Hegel. La sua architettura si struttura secondo due principi fondamentali: l’applicazione lineare dei giudizi ai loro oggetti, della forma all’intuizione, del genere alla specie; e la reciprocità non-direzionale delle relazioni, o simmetria logica. Il giudizio è la grande finzione della filosofia trascendentale, ma la cibernetica è il reale della critica.

Laddove il giudizio è lineare e non-direzionale, la cibernetica è non-lineare e direzionale. Sostituisce l’applicazione lineare con i circuiti non-lineari e le relazioni logiche non-direzionali con flussi materiali direzionali. La dissoluzione cibernetica del giudizio è un passaggio integrato dalla trascendenza all’immanenza, dal dominio al controllo, dal significato alla funzione. L’innovazione cibernetica rimpiazza la costituzione trascendentale, i circuiti di programmazione rimpiazzano le facoltà.

Ed è per questo che il senso del controllo cibernetico non è riducibile alla tradizionale concezione politica del potere basata sulla diade della relazione padrone/schiavo, ossia una figura di dominazione trascendente, oppositiva e significante. La dominazione non è che la rappresentazione fenomenologica dell’inefficienza circuitale, della disfunzione del controllo, o della stupidità. Ai padroni non serve l’intelligenza, intuisce Nietzsche, per cui non ce l’hanno. È solo il confuso orientamento umanista della cibernetica modernista che assimila il controllo alla dominazione. Il controllo emergente non è la realizzazione di un piano o di una politica ma l’indomabile esplorazione che rifugge ogni autorità e rende obsoleta la legge. Seguendo la sua definizione futuribile, il controllo è una guida verso l’ignoto. L’uscita dalla gabbia.

È vero che nel corso del processo di mercificazione la cultura passa da un registro di giudizio a uno macchinico, ma questo non ha nulla a che vedere con una presunta «razionalità strumentale». La strumentalità stessa è un costrutto basato sul giudizio che inibisce l’emergenza della funzionalità cibernetica. Gli strumenti sono congegni, dal momento che presuppongono una relazione di trascendenza, ma là dove i congegni vengono usati, le macchine operano. Lungi dall’estendere strumentalmente l’autorità, l’efficacia del dominio risiede nella propria distruzione, dato che ogni forma di efficienza è cibernetica e la cibernetica dissolve la dominazione in forme mutanti di controllo.

L’individualità immuno-politica o la pretesa alla dominazione trascendente degli oggetti non ha inizio con il capitalismo, sebbene il capitale la investa di nuove capacità e debolezze. Emerge invece con le prime restrizioni sociali della produzione desiderante. «L’uomo deve costituirsi tramite la rimozione dell’influsso germinale intenso; grande memoria biocosmica che farebbe passare il diluvio su ogni tentativo di collettività» (G. Deleuze, F. Guattari, L’Anti-Edipo). Questa repressione è la storia sociale.

Il socius separa l’inconscio da ciò che può fare, mettendolo a confronto con una realtà che appare data trascendentealmente, intrappolandolo così nelle operazioni della sua stessa sintesi. È disgiunto dagli assemblaggi connettivi, rappresentati come oggetti trascendenti; dalla differenziazione disgiuntiva, rappresentata come distribuzione trascendente; e dall’identificazione congiuntiva, rappresentata come identità trascendente. Questa metafisica dell’inconscio e del desiderio non costituisce solo un vizio filosofico (come la metafisica della coscienza) ma l’architettura stessa del campo sociale, l’infrastruttura di ciò che appare come necessità sociale.

Nelle sue prime fasi la psicoanalisi scopre che l’inconscio è un macchinismo impersonale e che il desiderio è un flusso positivo non-rappresentazionale, eppure «rimane all’età precritica», e incespica dinnanzi al compito di una critica immanente del desiderio o decatessi della società. Si muove, invece, nella direzione opposta: ritorna alla fantasia, alla rappresentazione e al pathos della frustrazione inevitabile. Anziché ricostruire la realtà sulla base delle forze produttive dell’inconscio, la psicoanalisi lega ancora più saldamente l’inconscio al modello sociale della realtà. Accettando la rinuncia con onestà borghese, gli psicanalisti iniziano la loro robotica nenia: «Certo che dobbiamo essere repressi, vogliamo scopare le nostre madri e uccidere i nostri padri». Non fanno che dedicarsi al solenne compito dell’interpretazione, e ogni storia riconduce a Edipo: «Sì, ho desiderato mia madre e ho voluto uccidere mio padre».

Sul piano dell’immanenza o consistenza con il desiderio, l’interpretazione è completamente irrilevante, o, se non altro, in realtà è sempre qualcos’altro. Sogni, fantasie, miti non sono che le rappresentazioni teatrali di molteplicità funzionali, dato che «l’inconscio stesso non è più strutturale che personale, non simboleggia più che non immagini o raffiguri: esso macchina, è macchinico». Il desiderio non rappresenta un oggetto perduto ma assembla oggetti parziali, è «macchina, anche l’oggetto del desiderio è macchina collegata». È per questo che, a differenza dell’auto-rappresentazione della psicoanalisi, la schizoanalisi è esclusivamente funzionale. Non ha pretese ermeneutiche, ma solo un’interfaccia macchinica con «le funzioni molecolari dell’inconscio».

L’inconscio non è un’unità concupiscente ma uno sciame operativo, una popolazione di «singolarità preindividuali e prepersonali, una pura molteplicità dispersa e anarchica, senza unità né totalità, i cui elementi vengono saldati, fatti combaciare dalla distinzione reale o dalla stessa assenza di legame». Quest’assenza di relazioni primeve o privilegiate è il corpo senza organi, il piano macchinico dell’inconscio molecolare. L’organizzazione sociale taglia fuori il corpo senza organi, sostituendovi un socius territoriale, dispotico o capitalista quale apparente principio di produzione, così separando il desiderio da quanto può fare. La società è l’unità organica che forza la diffusione libidinale di molteplicità attraverso lo zero, il grande monolite della repressione, motivo per cui «il corpo senza organi e gli organi-oggetti parziali si oppongono congiuntamente [all’organismo]».

La differenza fra il socius e il corpo senza organi è la differenza fra la politica e la cibernetica, fra il familiare e l’anonimo, fra la neurosi e la psicosi o schizofrenia. Il capitalismo e la schizofrenia descrivono lo stesso processo di desocializzazione dall’interno all’esterno, quale sia la sua origine (accumulazione simulata) e quale la sua meta (delirio impersonale). Al di là della socialità c’è una schizofrenia universale la cui fuga dalla storia appare all’interno della storia come capitalismo.

*

La parola schizofrenia ha sia un uso neurotico sia un uso schizofrenico. Da una parte, stigma, dall’altra, propagazione. Alcuni insistono a porsi domande stupide come «stiamo usando questa parola correttamente? Non ti senti in colpa a perderti in simili sciocchezze quando si parla di una sofferenza così grande? Non ti rendi conto che gli schizofrenici sono persone molto tristi e malate che dovremmo compatire? Non dovremmo lasciare questa parola agli psicopoliziotti che la capiscono? E comunque, cosa c’è di sbagliato nella sanità? Dov’è il tuo Super-io?».

E poi ci sono quelli, al momento in minoranza, che si pongono una diversa domanda: «Da dove viene la schizofrenia? Perché è sempre oggetto di descrizione esterna? Perché la psichiatria è infatuata delle neurosi? Come facciamo a navigare nei flussi schizofrenici? Come li diffondiamo? Come possiamo far esplodere le costrittive condutture dell’Edipo?». L’Edipo è l’ultimo bastione dell’immuno-politica, e la schizofrenia è ciò che vi sta all’esterno. Questo non significa che sia un’esteriorità determinata dall’Edipo, che abbia un legame privilegiato con Edipo, che lo anticipi o lo tradisca. Essa è veementemente anedipica, benché, incidentalmente, porterà alla consunzione dell’intero apparato edipico nel corso del processo di connessione fra la storia terrestre e un universo orfano. La schizofrenia non è dunque una proprietà degli schizofrenici clinici, quei prodotti medici devastati, dello «schizofrenico artificiale, come lo si vede all’ospedale, straccio autistizzato prodotto come entità». Al contrario, la «schizo-entità» è un frammento avvilito della schizofrenia, soggiogato dagli artigli rivestiti in lattice della sanità. Le condizioni dell’osservazione psichiatrica sono carcerarie, e dunque è una struttura trascendentale di schizofrenia-come-oggetto a essere rappresentata in quello stato di prigionia.

Dato che la neurotizzazione della schizofrenia è la riproduzione molecolare del capitale mediante una re-assiomatizzazione (riterritorializzazione) della codificazione sotto forma di accumulazione, il senso storico della pratica psicanalitica è evidente. La schizofrenia è la matrice delle repressioni freudiane, è ciò che non passa la censura edipica. Con chi si piega all’Edipo possiamo dialogare, fare anche qualche soldo, ma gli schizofrenici rifiutano il transfert; non giocheranno a mamma e papà; non agiranno su un piano cosmico-religioso; l’unica cosa che possiamo fare è rinchiuderli (sezionare i loro cervelli, friggerli con l’elettricità, legarli sotto torazina con una camicia di forza…). Alle spalle degli operatori sociali c’è la polizia e alle spalle della psicoanalisi c’è la psicopolizia. Deleuze e Guattari notano che «[la follia] è chiamata follia, e appare come tale, solo in quanto è privata di questo sostegno e si trova ridotta a testimoniare da sola per la deterritorializzazione come processo universale». Le sponde morenti dell’Edipo iniziano la loro inutile guerra contro la marea. «Non ci sono ancora abbastanza psicotici», scrive Artaud, il sovversivo. Gli schizofrenici clinici sono prigionieri di guerra che vengono dal futuro.

Dato che solo Edipo è reprimibile, lo schizo è normalmente considerato un caso perso da quei processi psichiatrici relativamente elaborati che cooperano con la polizia endogena del Super-io. È per questo che la psichiatria anti-schizofrenica tende a essere un attacco alla neuroanatomia o neurochimica generale o molare, guidata dalla genetica teoretica. Psicochirurgia, elettroshock, psicofarmacologia… presto diverranno anagrafe cromosomica. «È così che una società tarata ha inventato la psichiatria per difendersi dalle investigazioni di certe lucide menti superiori le cui facoltà divinatorie la infastidivano» (A. Artaud, Van Gogh, il suicidato della società, 1947). L’apparato medico-securitario sa che gli schizo non obbediranno, che non torneranno nella gabbia edipica. La psicanalisi se ne lava le mani. I loro sistemi nervosi sono le zone di fuoco libero di un’emergente sistema di sicurezza neo-eugenetico.

Lungi dall’essere un difetto identificabile in seno al funzionamento del sistema nervoso centrale, la schizofrenia è il motore convergente di un’escalation ciberpositiva: una distesa extraterrestre da scoprire. Benché una tale scoperta avvenga in condizioni specificabili, in buona misura, quali che siano i progressi nella mappatura delle basi genetiche, biochimiche, eziologiche, socioeconomiche della schizofrenia, resta il fatto che le condizioni di realtà non sono riducibili alle condizioni di approccio. È «la sfolgorante e nera verità insita nel delirio». La schizofrenia sarebbe sempre là fuori, che la nostra specie abbia l’opportunità di avvicinarvisi o meno.

Perché è la fine, il principio.

La fine

proprio lei

la fine che elimina

tutti i mezzi.

[A. Artaud]

È nella natura delle specificità essere non-direzionali. La biochimica della sanità non è meno arbitraria di quella della fuga da essa. Nell’ottica sanitaria, l’unica differenza è che la sanità si rafforza gregariamente, ma nell’ottica schizofrenica la questione non è più la specificazione ma qualcosa di ben più profondo. «Noi non pretendiamo di fissare un polo naturalistico della schizofrenia. Ciò che lo schizofrenico vive specificamente, genericamente, non è affatto un polo specifico della natura, ma la natura come processo di produzione».

Le specificazioni sono i compartimenti disgiuntivi di un’unità differenziata da cui la schizofrenia discende interamente. Alla fine, la schizofrenia sguscia fuori da ogni gabbia, dato che «non c’è alcuna specificità né entità schizofrenica, la schizofrenia è l’universo delle macchine desideranti produttrici e riproduttrici, l’universale produzione primaria». La schizofrenia non è solo pre-antropoide, è pre-mammifera, pre-zoologica, pre-biologica… Non sta a chi è prigioniero di una sanità costrittiva completare questa regressione. Come sorprendersi del fatto che gli schizofrenici ci rinviino alla questione del malfunzionamento? Il punto non è ciò che non va in loro, ma ciò che non va nella vita, nella natura, nel cosmo pre-universale. Perché le forme di vita senzienti sono stipate in gabbie fatte di bugie? Perché l’universo genera intere civiltà di guardie carcerarie? Perché dà i suoi esploratori esausti in pasto ai lupi? Perché l’isola della realtà è sperduta in un oceano di follia? È tutto molto confuso.

Come ha notato un’autorità medica nel campo della schizofrenia:

Ritengo sia sensato dire che nell’ambito delle operazioni intellettuali esistono alcuni mezzi dimensionali. Potremmo chiamarli campi, domini, cornici, referenze, universi discorsivi o strati. Alcuni di questi campi sono necessariamente presenti in un qualsiasi sistema di organizzazione olistica. Il disturbo intellettivo schizofrenico è caratterizzato dalla difficoltà nell’apprendere e costruire tali campi organizzati. (A. Angyal, «Disturbance in thinking in schizophrenia»,1946)

Non c’è dubbio che dalla prospettiva della sicurezza umana Artaud cada vittima di un simile giudizio. La sua prognosi per l’uomo è farlo

[…] passare ancora, per l’ultima volta

sul tavolo d’autopsia per rifargli

l’anatomia.

Dico, per rifargli l’anatomia.

L’uomo è malato perché è mal costruito.

Bisogna decidersi a metterlo a nudo per grattargli

via questa piattola che lo rode mortalmente,

dio,

e con dio

i suoi organi,

Legatemi pure se lo volete,

ma non c’è nulla che sia più inutile di un organo.

Quando gli avrete fatto un corpo senza organi,

l’avrete liberato da tutti gli automatismi

e restituito alla sua vera libertà.

[A. Artaud, Per farla finita con il giudizio di Dio]

Il corpo è processato dagli organi, gli organi, a loro volta, sono riprocessati dal corpo. La sua «vera libertà» è la processazione eso-personale di astrazioni anorganiche: una corporalizzazione schizoide al di fuori delle limitazioni organiche. Se il tempo fosse progressivo, gli schizofrenici sfuggirebbero alla sicurezza umana. In realtà, però, sono infiltrati dal futuro. Vengono dal corpo senza organi, dal deterritorio della Cyberia, una zona di eversione, piattaforma di una guerriglia contro il giudizio di Dio. Artaud, nel 1947, riferisce della germinazione del Nuovo Ordine Mondiale o Sistema di Sicurezza Umana a partire dall’egemonia americana globale e descrive le sequenze delle aggressioni militaresche che avrebbe richiesto per «difendere questa lavorazione insensata da tutti i contrasti che [sorgeranno] ovunque».

L’era americana dev’essere ancora decodificata, e suggerire che Artaud abbia anticipato la serie di conflitti il cui Zenith fu la guerra in Vietnam non vuol dire necessariamente sostenere gli esausti discorsi antimperialisti in termini di una denuncia marxista-leninista dei processi del mercato e della loro espansione globale. La descrizione che Artaud dà del tecno-militarismo americano ha solo alcune vaghe somiglianze con le polemiche socialiste, nonostante la sua stretta connessione al tema della produzione. Il produttivismo che però Artaud delinea non è interpretato in virtù di una supposta priorità degli interessi di classe, anche qualora venga ridotto a un’assiomatica deumanizzata della massimizzazione del profitto. Piuttosto «bisogna con tutti i mezzi possibili sostituire la natura ovunque possa essere sostituita»: una compulsione alla sostituzione industriale che incanala la produzione attraverso la distribuzione sociale del lavoro. L’apparato industriale della sicurezza economica procede attraverso la multinazionale: un dispotico socio-corpuscolo che organizza il processo lavorativo. La sperimentazione sinergica è schiacciata da una zona di relazioni di comando parzialmente deterritorializzata, come se la vita fosse la conseguenza della sua organizzazione, ma «non è grazie agli organi che si vive, essi non sono la vita ma il suo contrario».

La natura non è primitiva o elementare e di certo non organica o innocente. È lo spazio della coincidenza o della sintesi non pianificata che si contrappone così alla sfera industriale di predestinazione telica: la creazione divina o il lavoro umano. La critica di Artaud all’America non è più ecologica di quanto non sia socialista, non protegge una natura organica più di quanto non protegga una società organica. Non è l’alienazione della produzione delle merci a essere sottolineata nella diagnosi di Artaud, bensì l’eclissi del peyote e della «vera morfina» sostituiti da «surrogati di fumo». Questo sviluppo è avversato proprio perché gli ultimi sono più organici, poiché partecipano meccanicamente a un organismo macro-industriale e sottopongono così il delirio al giudizio di Dio. Il peyote e il sistema nervoso creano una simbiosi o un macchinismo parallelo, come la vespa e l’orchidea e qualsiasi altra cibermacchina del pianeta. Il capitale non è natura sovrasviluppata ma schizofrenia sottosviluppata, motivo per cui la natura è in opposizione all’organizzazione industriale e non all’escalation della cibernetica, o alla convergenza anorganica: «La realtà […] non è ancora costruita». La schizofrenia è la natura come mutazione ciberpositiva, in guerra con il complesso securitario del giudizio organico.

Il corpo è il corpo,

è solo e non ha bisogno d’organi

il corpo non è mai un organismo,

gli organismi sono nemici del corpo,

le cose che facciamo

succedono da sole senza l’assistenza di nessun

organo,

ogni organo è un parassita,

svolge una funzione parassitaria

destinato a far vivere un essere

che non deve essere là.

Gli organi sono stati fatti solo per dare

agli esseri qualcosa

da mangiare.

Gli organi strisciano come afidi sull’immobile motore del divenire, succhiando fluidi intensivi che li convertono ciberneticamente in componenti di un macchinismo inconcepibile. La linfa si fa sempre più strana e anche se gli insetti grassi delle relazioni di proprietà a sorveglianza psichiatrica pensano di essere la causa di tutto, in realtà non fanno che seguire un programma che solo la schizofrenia può decodificare.

I divenire-anorganici operano retroefficientemente, anastroficamente. Sono tropismi che testimoniano un’infezione dal futuro. Onde convergenti si infrangono sul corpo, sovvertendo la totalità dell’organismo tramite una causalità invertita ma ateleologica, che avviluppa e rindirizza lo sviluppo progressivo. Mentre il capitale collide schizofrenicamente con la matrice, sedimentazioni ascendenti di scambio ed eredità organica vengono disciolte dalle intensità discendenti della corporealizzazione virtuale.

«Chi viene prima, l’uovo o la gallina?». La processazione macchinica o la sua riprocessazione da parte del corpo senza organi? Il corpo senza organi è l’uovo cosmico: materia virtuale che riprogramma il tempo e riprocessa l’influenza progressiva. Ciò che il tempo sarà sempre stato non è ancora programmato. Il futuro scivola nella schizofrenia. Lo schizo ha solo un’eziologia o un sottoprogramma di riprocessazione discendente.

Come potevamo aspettarci che la medicina sapesse trattare disorganizzazioni che vengono dal futuro?

È così che:

il grande segreto della cultura indiana,

è di far ritornare il mondo a zero,

sempre,

ma piuttosto

1° troppo tardi che più presto

2° il che vuol dire

più presto

che troppo presto,

3° il che vuol dire che il più tardi

può tornare soltanto se il più

presto si è pappato il troppo presto,

4° il che vuol dire che nel tempo

il più tardi

è ciò che precede

sia il troppo presto

che il più presto,

5° e che per precipitoso che sia

il più presto

il troppo tardi

senza dir mai una parola

è sempre lì,

è lì, a sbrogliare

punto per punto

tutti i più presto.

[A. Artaud]

Un circuito cibernegativo è un anello (loop) nel tempo, mentre una circuiteria ciberpositiva inanella (loops) il tempo stesso, integrando l’attuale e il virtuale in un collasso semi-chiuso nel futuro. L’influenza discendente è una conseguenza di una sofisticazione che emerge ascendentemente, una massiva accelerazione verso il cambiamento di fase apocalittico. I circuiti si fanno più densi e più caldi man mano che l’economia, la metodologia scientifica, la teoria neo-evoluzionistica e l’IA si fondono: la materia terrestre programma la propria senzienza nell’impatto con il corpo senza organi = 0. L’infiltrazione futurale si sofistica mentre il capitale si apre alle schizo-tecniche, mentre il tempo accelera verso la risacca cibernetica del suo rovesciamento. Un inesorabile conto alla rovescia non-lineare per l’innesco planetario.

La schizoanalisi è stata possibile solo perché siamo diretti verso la prima forma di follia a integrazione globale. La politica è obsoleta. Capitalismo e Schizofrenia ha aperto una breccia in un futuro che lo ha programmato fin nella punteggiatura, connettendolo con l’inevitabilità della rivoluzione virale, della fusione software. Non più infezioni che minacciano l’integrità degli organismi, ma relitti immuno-politici che bloccano l’integrazione a un sistema di Viro-Controllo Globale. La vita sta svanendo in qualcosa di nuovo, e se pensiamo che si possa fermare siamo ancora più stupidi di quanto sembriamo.

*

Come ci si sentirebbe a essere agenti infiltrati dal futuro con la missione di sovvertirne le condizioni precedenti? A essere un ciberguerrigliero, nascosto in un travestimento umano così avanzato da scoprire che persino il nostro stesso software ne faceva parte? Proprio così?

Nick Land è considerato uno dei più innovativi e originali filosofi del Ventesimo secolo. I suoi primi lavori, che indagano la nascente società della rete e speculano sulla possibile fine del capitalismo, mescolano filosofia, economia, letteratura, biologia, cibernetica e altro ancora, e sono considerati alla base di correnti filosofiche come l’accelerazionismo e il realismo speculativo. Tra i principali animatori della Cybernetic Culture Research Unit, leggendario gruppo di ricerca sperimentale dell’università di Warwick, Land ha esercitato una enorme influenza su musicisti, scrittori e artisti di ogni tipo. Collasso (Luiss University Press 2020) è la prima raccolta di suoi scritti a essere pubblicata in italiano.