Le nostre idee sul futuro sono oggi intimamente legate a un senso di inquietudine nei confronti dell’intreccio profondo tra l’ascesa della Cina e l’onnipresenza dei media wireless. Uso il termine “wireless” come sintesi di un insieme di tecnologie emergenti che definiscono il nostro tempo: computazione planetaria, media digitali, intelligenza artificiale e così via. Per comprendere l’ambiente contemporaneo dei media, specialmente nel suo legame profondo con la Cina, dobbiamo prima imparare a pensare in termini di onde.
È questo il nucleo del mio recente libro, China and the Wireless Undertow: Media as Wave Philosophy. Durante i sei o sette anni necessari per la ricerca e la scrittura di questo testo, il legame tra la Cina e le tecnologie del XXI secolo è diventato sempre più evidente, ma anche più controverso. In questo periodo ho anche lavorato come direttrice del Center for AI and Culture, con colleghi della NYU Shanghai e di altre istituzioni. Il nostro punto di partenza è semplice e chiaro non è possibile cogliere appieno le correnti dell’intelligenza artificiale globale se si resta ancorati a una sola prospettiva geografica. Comprendere l’ecosistema odierno dei media implica un confronto con il pensiero e la cultura cinesi.
Oggi, il rapporto tra la Cina e i media emergenti è spesso definito in termini di “tecnoautoritarismo”: una convergenza tra cultura tecnologica e politica, segnata da un controllo centralizzato portato all’estremo. Questo allineamento, che intreccia il timore per l’ascesa della Cina con la crescente percezione dell’efficacia del potere tecno-autocratico, ha reso i termini sinofobia e tecnofobia quasi indistinguibili. La lunga storia del rapporto della Cina con la modernità tecno-capitalista è complessa e tormentata. La dinamica di questo rapporto sembra seguire un’oscillazione continua, in cui a un tecno-autoritarismo distopico si contrappone una forza opposta, spesso descritta come una spinta verso una liberazione tecnologica dalle tinte utopiche. Forze di chiusura, restrizione e centralizzazione si confrontano continuamente con spinte verso l’apertura, l’espansione e la decentralizzazione.
Un modo per pensare a questa convergenza tra la Cina e l’infrastruttura macchinica che la sostiene è considerare entrambi come eventi all’interno di una struttura temporale più profonda, o di uno schema, che regola i ritmi ondulatori del tempo tecno-capitalista
Lo si può osservare perfino nei momenti di controllo centralizzato più estremo: durante il lockdown per la pandemia, ad esempio, si è acceso un vivace dissenso online, che ha fatto da preludio alle “proteste dei fogli bianchi” contro le misure anti-COVID. Proteste che hanno portato alla fine della politica zero-COVID e al lockdown di Shanghai. Sistemi di tracciamento dati che sembravano destinati a durare sono stati smantellati da un giorno all’altro. Concentrarsi su un solo lato di questa polarità — autoritarismo o utopia — restituisce una visione parziale, e quindi insufficiente. La tesi del mio libro è che il problema sta nel fatto che queste letture non riescono a cogliere l’onda nella sua totalità.
Per ripensare il legame tra Cina e wireless, propongo di adottare la figura dell’onda. Concentrandomi su onde di varie scale – dai lenti ritmi della storia tecno-culturale alle altissime frequenze delle macchine elettromagnetiche – sviluppo questo concetto attingendo al pensiero di importanti filosofi cinesi attivi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, un periodo intellettualmente ricchissimo in cui si discuteva intensamente il rapporto tra cultura cinese e modernità tecnologica. L’obiettivo è offrire nuove e più complesse chiavi di lettura per comprendere la Cina contemporanea e il suo impatto nella configurazione delle tecnologie del XXI secolo.
Per iniziare ad articolare questa prospettiva, parto da un evento spartiacque avvenuto il 1° dicembre 2018: Meng Wanzhou 孟晚舟, direttrice finanziaria e vicepresidente di Huawei—una delle più grandi e influenti aziende di telecomunicazioni al mondo—viene arrestata all’aeroporto di Vancouver, in Canada, su richiesta degli Stati Uniti, che ne chiedono l’estradizione. Meng, figlia del fondatore di Huawei Ren Zhengfei 任正非 e considerata erede designata di quella che è una delle più potenti imprese informatiche cinesi, viene accusata di frode bancaria per aver utilizzato una shell company (società di comodo) coinvolta nella violazione dell’embargo statunitense contro l’Iran.

Sul fondo di questa vicenda si staglia il ruolo sempre più centrale della Cina nell’infrastruttura globale dei media wireless di quinta generazione. Il tecno-capitalismo si propaga per onde, come lascia intendere lo stesso termine 5G. La prima generazione della telefonia mobile – limitata a chiamate vocali – viene lanciata a Tokyo nel 1979. Da allora, ogni decennio ha visto l’introduzione di una nuova generazione di reti cellulari, ciascuna capace di sfruttare frequenze più alte dello spettro elettromagnetico e di aprire nuovi canali di comunicazione. Il 2G ha reso possibile l’invio di messaggi di testo oltre alle chiamate vocali. Il 3G, introdotto a cavallo del nuovo millennio, ha rappresentato un’innovazione ancora più radicale. Consentendo la trasmissione di dati mobili, le reti 3G hanno alimentato la diffusione globale degli smartphone, trasformando rapidamente anche gli aspetti più intimi della vita quotidiana. Il 4G, in uso per tutto il decennio 2010, ha modificato l’esperienza dell’utente rendendo possibile lo streaming di contenuti. Il dispiegamento del 5G, in corso lungo gli anni 2020, è legato all’Internet delle Cose, alla robotica in rete e all’intelligenza artificiale.
Huawei ha avuto un ruolo enorme nella creazione dell’infrastruttura del 5G: è stata la prima volta che un’azienda non nordamericana né europea ha partecipato a questo livello alla costruzione di infrastrutture per le telecomunicazioni. Al momento dell’arresto di Meng, Huawei era l’unica azienda al mondo in grado di produrre, a costi accessibili, tutti gli elementi di una rete 5G. L’incriminazione di Meng – seguita da boicottaggi contro Huawei – ha rappresentato a livello globale una sorta di punto di svolta: il segno improvviso di una presa di coscienza, ovvero che l’ascesa della Cina e l’avanzamento dei media wireless erano ormai indissolubilmente legati.
Un modo per pensare a questa convergenza tra la Cina e l’infrastruttura macchinica che la sostiene è considerare entrambi come eventi all’interno di una struttura temporale più profonda, o di uno schema, che regola i ritmi ondulatori del tempo tecno-capitalista.
Onde K
Le onde K, o onde di Kondratiev, prendono il nome da un saggio del 1935 intitolato Le lunghe onde nella vita economica dell’economista russo Nikolai Kondratiev (1892–1938), il quale ipotizzava l’esistenza di cicli lunghi di 50 anni che generano una sorta di ritmo ondulatorio nel funzionamento del capitalismo. Questa idea fu ripresa in modo celebre dall’economista Joseph Schumpeter, che sviluppò quella che definiva “economia evolutiva”. Ed è questo il punto essenziale: il capitalismo non viene concepito come una struttura statica, ma come un processo. “I cicli sono come il battito del cuore”, scriveva, “sono l’essenza dell’organismo che li manifesta”.
Come tutti gli organismi, anche l’evoluzione del capitalismo procede attraverso mutazioni che “rompono” regolarmente l’equilibrio del sistema. Sono queste rotture a produrre un andamento ondulatorio. In sostanza, le onde descrivono i cambiamenti nelle innovazioni tecnologiche — le mutazioni — e i modi in cui queste si diffondono e trasformano la società. La teoria delle onde fornisce due osservazioni fondamentali. Primo: le innovazioni tecnologiche non si distribuiscono in modo uniforme, ma tendono a concentrarsi nella parte bassa dell’onda. Secondo: queste onde si propagano sulla Terra in modo tale da avere una componente non solo temporale, ma anche spaziale.

La prima onda di Kondratiev, che ebbe il suo centro in Gran Bretagna, si basava sulle fondamentali tecnologie del carbone, del ferro e del vapore. Durante la sua fase discendente, che durò fino alla metà degli anni 1840, furono poste le basi di una nuova infrastruttura planetaria: ferrovie in acciaio, navi a vapore e il telegrafo. Queste piattaforme alimentarono la seconda onda, generalmente datata dalla fine degli anni 1840 alla fine degli anni 1890. In questo periodo, il cuore dell’innovazione tecnologica cominciò a spostarsi dalla Gran Bretagna alla Germania e agli Stati Uniti. Tecnologie rivoluzionarie emersero negli ultimi decenni del ciclo discendente: nel 1876, Alexander Graham Bell ottenne il brevetto per il telefono; nel 1879, Thomas Edison illuminò il suo laboratorio a Menlo Park con la lampadina a incandescenza; nel 1886, Karl Benz ricevette il brevetto per l’automobile moderna; nel 1896, nel punto più basso dell’onda, Marconi ottenne il brevetto per la radio – il primo mai rilasciato per un’onda hertziana.
La diffusione di queste tecnologie rivoluzionarie (e delle mutazioni socio-economiche e macchiniche che ne seguirono) alimentò la terza onda: l’era dell’elettricità. Quest’onda viene solitamente datata dalla metà degli anni 1890 fino a poco dopo la Seconda guerra mondiale, con un picco appena prima del crollo del 1929. Il declino della terza onda di Kondratiev portò con sé l’industrializzazione di massa dell’elettronica e gli inizi dell’informatica digitale. Il transistor, inventato nei laboratori Bell nel 1947, fu una delle chiavi tecnologiche che aprirono la quarta onda. Le crisi petrolifere e la fine del sistema aureo nei primi anni Settanta innescarono la fase discendente che chiuse il lungo boom della quarta onda di Kondratiev. In questa fase discendente, negli ultimi decenni del XX secolo, telefono e computer iniziarono a convergere. Fu anche il periodo della deindustrializzazione degli Stati Uniti, con il trasferimento della produzione elettronica verso l’Asia.
Sotto gli intrecci di hardware e politica — aste per le frequenze, installazioni di satelliti e antenne, boicottaggi contro Huawei — si cela una forza terrestre e cosmica che è al tempo stesso altamente tecnologica e pienamente naturale
A partire da questo punto, la cronologia dei cicli diventa più speculativa. È plausibile collocare la fine della quarta onda attorno alla fine del millennio, con lo scoppio della bolla dot-com. Secondo questa lettura, siamo ora entrati nella quinta onda di Kondratiev: l’onda wireless, con cui la Cina è profondamente intrecciata. I primi anni 2020 – quando ha avuto inizio il dispiegamento delle infrastrutture 5G – segnano il culmine di quest’onda. Se lo schema regge, la nuova piattaforma tecnologica — basata su un campo di vibrazioni elettromagnetiche ad alta frequenza — darà luogo a mutazioni evolutive che solitamente accompagnano una fase discendente, che si prevede durerà fino alla metà del XXI secolo. La domanda diventa allora: come conciliare questi cicli storici lunghi e lenti con quella che appare come un’intensificazione, o per meglio dire un’accelerazione del cambiamento, soprattutto attorno all’intelligenza artificiale?
Onde elettromagnetiche
Passiamo ora a un altro tipo di onda: l’onda elettromagnetica. C’è una convergenza tra la quinta onda di Kondratiev e il dispiegamento del 5G. Questa concordanza riguarda l’incontro tra due tipi di onde, che si manifestano su scale radicalmente diverse. Le onde K modellano il tempo storico: i loro cicli lenti e lunghi richiedono più di metà di una vita per compiersi. Le vibrazioni elettromagnetiche ad alta frequenza generate dal 5G, invece, costituiscono un campo immersivo di energia vibrante, che opera in frammenti di tempo troppo brevi per essere percepiti. All’interno di questo quinto ciclo lungo del tempo tecno-capitalista, con l’implementazione delle reti cellulari di quinta generazione, questi due tipi di onde — che occupano frequenze radicalmente diverse — convergono. È in questa sovrapposizione della quinta onda che l’ascesa geopolitica della Cina si intreccia sempre più profondamente con l’infrastruttura del nostro mondo wireless.
Nei critical infracture studies, in particolare nella teoria dei media, si è spesso sostenuto la necessità di rendere visibile la “materia” invisibile delle infrastrutture dei media: cavi sottomarini, fili sospesi, antenne camuffate da alberi, data center. Ma le onde elettromagnetiche, in quanto infrastruttura ambientale dei media wireless, rendono questo compito più difficile. Per loro stessa natura, queste frequenze non sono accessibili agli organi sensoriali umani. In risposta, una serie di artisti e di app hanno elaborato strumenti per visualizzare queste onde invisibili. App come The Architecture of Radio permettono di visualizzare e sonorizzare i segnali Wi-Fi captati dal proprio telefono. L’artista Christina Kubisch conduce passeggiate sonore con cuffie appositamente progettate per amplificare la percezione acustica delle onde elettromagnetiche latenti nell’ambiente urbano. Il collettivo Semiconductor ha realizzato video che svolgono un lavoro simile.
Tali progetti non solo rendono visibili le reti di telecomunicazione nascoste della città moderna, ma decifrano – attraverso l’esperienza sensoriale – le forze elementari e cosmiche celate nel quotidiano. L’infrastruttura wireless – il nostro ambiente mediale immersivo – è costituita da onde elettromagnetiche impercettibili. Sotto gli intrecci di hardware e politica — aste per le frequenze, installazioni di satelliti e antenne, boicottaggi contro Huawei — si cela una forza terrestre e cosmica che è al tempo stesso altamente tecnologica e pienamente naturale.
Le vibrazioni elettriche sono increspature generate dal nucleo ferroso della Terra. A circa 3.000 chilometri sotto la superficie si trova un mare metallico semifluido. Il nucleo interno solido del pianeta è avvolto da uno strato di metallo liquido spesso 2.000 chilometri, le cui correnti e vortici immergono la Terra in vasti campi energetici. Per gran parte della storia umana, questo regno vibrante, immersivo e impercettibile è rimasto poco compreso. Il percorso della modernità è stato in larga misura un processo di scoperta e di apprendimento nell’uso di questo campo energetico invisibile.
Alla fine del XIX secolo, quando Heinrich Hertz dimostrò per la prima volta l’esistenza delle frequenze elettromagnetiche, non riusciva a vederne alcuna applicazione pratica. “Non serve assolutamente a nulla”, pare abbia detto. “È solo un esperimento che dimostra che il Maestro Maxwell aveva ragione. Abbiamo semplicemente queste misteriose onde elettromagnetiche che non possiamo vedere a occhio nudo. Ma esistono”. Oggi, quelle stesse vibrazioni invisibili costituiscono il canale di comunicazione occupato da un numero sempre crescente di dispositivi intelligenti, integrati in quasi ogni ambito della vita. Nel corso del XX secolo, la nostra atmosfera elettromagnetica si è intensificata, alimentando un regno macchinico sempre più onnipresente, autonomo e senziente.
Non c’è luogo dove questo sia più evidente che nella Cina urbana, dove una rete iper-densa di dispositivi mobili ha trasformato l’esistenza quotidiana. I telefoni cellulari vengono utilizzati per accedere alle più grandi piattaforme di e-commerce del mondo. I QR code sono onnipresenti: costituiscono la semiotica di un’enorme sharing economy che comprende biciclette, ombrelli e caricatori per telefoni. WeChat, la popolarissima app di messaggistica presente su ogni cellulare, viene usata per comunicare con amici, colleghi e business partners. Le piattaforme di pagamento digitale, sviluppate dai colossi tecnologici Alibaba e Tencent, sono diventate così dominanti che persino i venditori di frutta e i mendicanti per strada non accettano più contanti. Durante la pandemia da coronavirus, le grandi piattaforme digitali hanno collaborato con i servizi governativi per creare un “layer sensoriale” fatto di QR codes e segnali provenienti dai telefoni cellulari, utilizzato come strumento epidemiologico per tracciare e controllare la diffusione del virus.
Filosofia delle onde
Questi due tipi di onde – i pattern ondulatori della storia tecno-capitalista e l’infrastruttura astratta delle vibrazioni elettromagnetiche – sono espressioni materiali di ciò che chiamo una filosofia delle onde. Sviluppo questa idea attingendo ad alcune figure del pensiero cinese moderno. Nel mio libro mi concentro in particolare sul pensiero cinese emerso tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, tra la caduta dell’impero Qing e l’alba dello stato moderno. Fu un periodo intellettuale straordinariamente fertile, attraversato da una molteplicità di idee ricche e articolate sul paese, sulla sua cultura e sul loro rapporto con la modernità tecnologica. I pensatori di quell’epoca si confrontavano con la sfida di integrare i saperi e le pratiche consolidati nei secoli con un mondo globale emergente, sempre più plasmato dalle macchine elettriche.
Mi interessano le diverse traiettorie convergenti che hanno plasmato questa storia intellettuale, comprese le prime ondate della filosofia neoconfuciana, il revival del buddismo Yogācāra e un confronto serio e duraturo con le idee e le tecnologie della modernità. Il mio intento è sviluppare ciò che definisco una filosofia delle onde, o più precisamente una cosmo-ontologia delle onde.
Per illustrare in modo più approfondito questa idea di filosofia delle onde, mi concentrerò sulla figura di Tan Sitong 譚嗣同 (1865–1898), un rivoluzionario noto soprattutto per il suo ruolo nella Riforma dei Cento Giorni del 1898, che gli costò l’esecuzione. Ma oltre alla sua eredità politica, Tan elaborò un insieme di idee religioso-filosofiche straordinariamente risonanti con un’atmosfera elettromagnetica che all’epoca stava pervadendo ogni cosa. La sua opera principale, Ren Xue (Esposizione della Benevolenza), fu elaborata in forma manoscritta e affidata a Liang Qichao, che la pubblicò postuma. Il libro offre un’affascinante combinazione di neoconfucianesimo intriso di buddismo e intrecciato con concetti tratti dalla scienza nascente della comunicazione elettromagnetica.
Tan era particolarmente affascinato dall’etere (yitai), che all’epoca si riteneva essere il mezzo attraverso cui si propagassero le onde elettromagnetiche, dato che si credeva che tutte le onde dovessero attraversare una sostanza. Sebbene oggi si sappia che la radiazione elettromagnetica non richiede alcun mezzo, nel periodo di Tan l’etere veniva immaginato come un campo vibrazionale sottile e onnipresente. Tan teorizzava l’etere come un substrato immersivo ma invisibile di interconnessione – un piano vibrazionale in cui la filosofia cinese e la scienza moderna potevano incontrarsi. In un passaggio straordinario, scrive:
“Il regno dei fenomeni, il regno del vuoto e il regno degli esseri senzienti sono permeati da una cosa supremamente vasta e supremamente sottile, che aderisce, penetra, connette e riempie ogni cosa. L’occhio non può vederne il colore, l’orecchio non può udirne il suono, la bocca e il naso non ne possono percepire l’odore o il sapore. Non esiste un nome [adeguato] per essa, ma possiamo chiamarla yitai. Le sue manifestazioni funzionali sono onde, energia, elementi [chimici] e nervi. Il regno dei fenomeni proviene da essa, il regno del vuoto si fonda su di essa, e il regno degli esseri senzienti ne deriva. Non ha forma, ma tutte le forme dipendono da essa; non ha mente-cuore, ma è avvertita da tutte le menti-cuori. In verità, possiamo semplicemente chiamarla ren.”
La visione di Tan risuona con ciò che è stato definito vibratory modernism o materialismo occulto: correnti di pensiero che circolavano tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo in Europa e Nord America. Queste formazioni intellettuali scaturirono dalla scoperta del dominio dell’energia elettromagnetica e si diffusero nei circoli artistici e filosofici d’avanguardia. “Al cuore di queste correnti c’era l’intento di coltivare connessioni incarnate con mondi invisibili – desiderio che gli scritti di Tan Sitong esemplificano con sorprendente chiarezza filosofica.
Le idee di Tan prefigurano anche un momento della Cina degli anni Ottanta, in cui il qigong, le pratiche somatiche e le scienze del corpo si fusero con la cibernetica delle origini. Queste forme ibride di pensiero tecnoscientifico furono articolate in modo emblematico dallo scienziato missilistico Qian Xuesen, e vengono analizzate più a fondo in Machine Decision is Not Final, una raccolta di saggi su IA e Cina di prossima pubblicazione che ho curato insieme a Bogna Konior, riunendo storici, teorici dei media, scrittori di fantascienza, filosofi e artisti. L’epoca di Qian immaginava una scienza tecno-somatica fondata non sul razionalismo occidentale, ma su pratiche corporee modellate dalla cosmologia e dalla metafisica cinesi.

Oggi, l’etere è stato in gran parte sostituito dal concetto di spettro elettromagnetico. Invece di considerare le onde come parte di un mezzo misterioso e invisibile, lo spettro ordina tutte le radiazioni elettromagnetiche in una sequenza misurabile, dalla frequenza più bassa alla più alta, o dalla lunghezza d’onda più lunga alla più corta. Come osserva Zita Joyce, lo spettro “ha imposto un ordine al flusso continuo”. Questo ordinamento, tuttavia, non è soltanto concettuale; è legato anche a istituzioni: agenzie governative, apparati aziendali, trattati e convenzioni internazionali. Tutte istituzioni mobilitate per regolare e suddividere questa risorsa sempre più preziosa. Lo spettro delimita anche i confini percettivi del corpo umano, distinguendo tra ciò che può e ciò che non può essere percepito.
Il pensiero di Tan Sitong indica un’immaginario infrastrutturale alternativo. Invece di insistere su nette separazioni tra frequenze visibili e invisibili, questo immaginario intreccia fonti multiple per concettualizzare il corpo elettrico: gli esercizi rituali degli alchimisti taoisti e dei praticanti di qigong, la filosofia eterica dello stesso Tan, il materialismo occulto ottocentesco, le esplorazioni vibratorie degli artisti d’avanguardia e gli esperimenti tecno-somatici che continuano ancora oggi. Ciò che accomuna queste prospettive è l’enfasi condivisa su pratiche corporee che coltivano un’intimità incarnata tra il corpo umano e il campo elettromagnetico della Terra.
Questo articolo riprende una talk svoltasi al Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea dell’Università Ca’ Foscari di Venezia il 13 Maggio 2025 organizzata nel contesto di uno scambio Erasmus+