L’interesse per gli eventi che animano il presente in un mondo in rapida evoluzione è una costante nel lavoro di Cao Fei, che nel corso degli anni ha affrontato le questioni più pressanti della società dalla sua peculiare prospettiva e con il suo linguaggio. Un linguaggio in continua evoluzione, che si confronta e adotta le potenzialità più avanzate offerte dalle nuove tecnologie per creare e comunicare immagini.

63min 21sec. Commissioned by the Solomon R. Guggenheim Museum, New York, for The Robert H. N. Ho Family Foundation Chinese Art Initiative
Cao Fei cresce a cavallo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta – un’epoca di drastici cambiamenti per una Cina che inizia ad aprirsi al resto del mondo – a Guangzhou, il laboratorio della modernizzazione cinese nel cuore del Delta del Fiume delle Perle. Si muove in un contesto urbano caratterizzato da una cultura liberale e alternativa, utilizza tutti gli strumenti che ha a disposizione per esplorare il mondo esterno appena scoperto, abbracciando un sistema di valori che supporta la libertà e l’apertura e sviluppando, nel tempo, un approccio personale per esprimere il desiderio e la fantasia.
La cultura pop emergente, fortemente influenzata dall’industria dell’entertainment di Hong Kong (soprattutto dalle canzoni Cantopop) ha un forte impatto sul modo in cui Cao Fei dà voce e forma alla sua immaginazione, insieme alla fascinazione per il linguaggio trendy imposto dalla nuova economia di mercato: le pubblicità con immagini e suoni elettronici (e poi digitali), l’intrattenimento audiovisivo e i videogiochi. Ma è anche profondamente attratta dalla fotografia, dal teatro e dal cinema d’avanguardia e riesce a trasformare tutte queste fonti di ispirazione in un sistema espressivo personale e straordinariamente eclettico che restituisce i sogni, i piaceri, le paure e i bisogni della sua generazione. Le opere che produce sono spesso oltraggiose e stravaganti, ma allo stesso tempo romantiche e poetiche, con una forte componente di serietà e di critica, sempre accompagnate dall’ironia, dalla satira e, soprattutto, dall’umorismo.
La tecnologia può essere tanto un acceleratore della storia quanto uno specchio che la riflette, proprio come la storia, a sua volta, condiziona e orienta l’evoluzione tecnologica
È un’attitudine che esprime un senso del realismo profondamente cantonese. Come recita il titolo di una delle canzoni più famose del maestro del Cantopop di Hong Kong Sam Hui, «La cosa più importante è il divertimento». Gli abitanti della regione del Delta del Fiume delle Perle sono bon vivants. Da sempre si godono la vita a modo loro, mantenendo le distanze dall’influenza dei poteri centrali. Sono aperti a tutto l’immaginabile, e sono riusciti a fare della propria regione una porta d’accesso del paese al mondo esterno e un laboratorio per le rivoluzioni moderne. Il vivace processo storico di negoziazione delle tensioni tra la Cina e il resto del pianeta ha reso gli abitanti di questa regione i difensori naturali di una cultura che celebra e sostiene la diversità e l’ibridazione. Sono al tempo stesso risoluti cosmopoliti e tenaci conservatori: proteggono le tradizioni locali (tra cui lingue, religioni e stili di vita) dalle pretese di omologazione ideologica, culturale e politica.
Divertirsi è il modo più pragmatico ed efficiente per resistere e distaccarsi dalla strumentalizzazione messa in atto dalle autorità che impongono il progresso e l’ascetismo politico come obiettivi ufficiali; cercare il divertimento nella vita di tutti i giorni significa avere la libertà di essere indifferenti ai giudizi politici e morali.
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La gioia e la risata hanno il potere di far esplodere la brama di emancipazione e di scuotere le fondamenta di una sovrastruttura basata sull’oppressione e sulla violenza. Questa attitudine ha portato alla formazione di una cultura indipendente e ottimista del quotidiano che spazia dal cibo alla musica, dai film alle serie televisive, fino alle opere audiovisive alternative. E ha generato l’esplosione di un mercato delle copie pirata – di audiocassette, videocassette, CD, VCD e DVD – che tra gli anni Novanta e gli anni Duemila ha dato impulso alla diffusione di modi di vivere e pensare indipendenti in tutta la regione del Delta del Fiume delle Perle.
È da questo humus che ha preso vita una scena dinamica e indipendente di arte sperimentale. Dagli anni Ottanta fino agli anni Duemila, collettivi come i Southern Art Salon, i Big Tail Elephant Working Group (Chen Shaoxiong, Liang Juhui, Lin Yilin e Xu Tan), il Borger Liberia/Institute (fondato da Chen Tong), lo Yangjiang Group (Zheng Guogu, Chen Zaiyan e Sun Qinglin) e altri artisti sono state le figure di riferimento della comunità. Realizzavano alcuni dei loro progetti in strada con improvvisazioni, installazioni e mostre che sfidavano il modello ufficiale di urbanizzazione, commercializzazione e ordine prestabilito. Le loro opere erano spesso effimere e in continuo cambiamento, evocavano umorismo e inquietudine, condividendo con il pubblico o con i passanti momenti di ilarità. Questi artisti riuscivano a sfuggire ai sistemi di sorveglianza e di controllo, creando di fatto una sorta di zona autonoma temporanea, una modalità alternativa di esistenza ed espressione in un momento critico di transizione storica. Uno stato di «straniamento», che continua a diffondersi nella regione come una possibilità di fuga, di emancipazione e liberazione ogniqualvolta la libertà individuale, sociale, culturale, economica e politica è a rischio.
Cao Fei, coinvolta nella formazione di questa cultura come una sorta di «sorella minore», non solo segue le orme dei fratelli maggiori nella ricerca di questo «straniamento» ma stabilisce anche una sua personale prospettiva, un suo modus operandi e un suo linguaggio narrativo. Mostra subito una profonda sensibilità nei confronti di tutto ciò che vincola la libertà, personale o collettiva, sessuale o sociale, culturale o politica, e tenta di smascherare e deridere ogni forma di alienazione umana. Ispirandosi sia alla cultura popolare «locale» che alla produzione artistica «globale», si immerge nelle immagini, nei suoni e nelle modalità performative dei video musicali, delle serie tv, dell’opera e, soprattutto, dei lavori di Cindy Sherman, Terayama Shuji e Wong Kar-Wai, inventando un linguaggio espressivo personale, fresco, energico ed «eccentrico».
Nelle sue prime produzioni, come Imbalance 257, Chain Reaction (2000), Rabid Dogs (2002), e la serie «Cosplayers», è già evidente il suo gusto per il bizzarro e il fantastico. Un aspetto che matura, fino a trasformarsi in uno strumento di narrazione cinematografica più complesso, intenso e profondo, come mostrano i suoi ultimi lavori, tra cui Haze and Fog (2013), La Town (2014), Asia One (2018) e Nova (2019). Questi lungometraggi, però, restano fermamente ancorati al reale. Con una parvenza surreale e sardonica, rivelano l’assurdità della vita e il suo impatto sull’interiorità degli esseri umani e sottolineano come ognuno possa sviluppare un’immaginazione propria per trovare modi di sopravvivere in una nuova era mostruosa, che unisce tutti i «vantaggi» dell’economia di mercato al totalitarismo.
La vita è intensa, ma anche paradossale. Questa intensità ha nutrito una nuova generazione, che si fa chiamare New Type, o New Human (新人類). Completamente diversi dai loro padri e fratelli maggiori, questi giovani affrontano una realtà in rapida evoluzione a modo proprio. Utilizzando i nuovi gadget elettronici, dai videogiochi agli smartphone, da internet a modalità innovative di immaginare il mondo, come l’animazione in 3D, realtà aumentata e realtà virtuale, inventano delle identità fittizie per sfuggire al controllo e alle imposizioni del potere. Si travestono da «cosplayers» e si chiudono in casa (come nel caso degli otakus) o trasgrediscono virtualmente le norme del politicamente corretto (come i «cyber warriors»). Eppure, una volta tornati alla vita reale, devono necessariamente confrontarsi con lo sfruttamento e l’alienazione. Il surreale è, per loro, una porta sul retro che dà accesso alla società e al mondo che li circonda. Il sogno a occhi aperti, perfino la trance, sono forme normali della loro esistenza, poiché la libertà assoluta che sognano non esiste e prima o poi dovranno inevitabilmente fare i conti con il peso di vivere in «tempi interessanti».
[Questo testo introduttivo è un estratto dal saggio di Hou Hanru “Quanto ancora possiamo divertirci? Sull’opera di Cao Fei” contenuto in Cao Fei. Supernova pubblicato da Nero Editions]

Hou Hanru: Hai iniziato a sperimentare con nuovi media come la fotografia e il video per fare arte già prima del 2000, entrando così a far parte della seconda generazione di artisti multimediali in Cina. Più tardi sei stata tra i primi a esplorare Internet non solo come strumento creativo, ma anche come spazio espositivo per il tuo lavoro. Hai utilizzato immagini in realtà virtuale, collaborato direttamente con amici e persone in tutto il mondo, trasformando la rete in un modo autentico di vivere e fare arte. Guardando a tutto questo dalla prospettiva della Cina, qual è la consapevolezza più significativa che hai maturato negli ultimi venti o trent’anni?
Cao Fei: La Cina è un Paese che non ha paura di sperimentare. Dalla famosa frase di Deng Xiaoping “Non importa che il gatto sia bianco o nero, finché cattura i topi” fino all’invito di Xi Jinping a “rimboccarsi le maniche e lavorare sodo”, si è sempre promosso uno spirito di sperimentazione e di pragmatismo concreto. Questo approccio, anche se a tratti rozzo, ha dato grande slancio a tanti settori, ma ha anche generato inevitabili tensioni sociali lungo il percorso.
Sia nelle fasi iniziali della diffusione di Internet in Cina sia oggi, nel discorso sull’intelligenza artificiale, emerge un senso di urgenza, una convinzione profondamente radicata, che risuona nelle parole di Mao Zedong secondo cui “restare indietro è un invito all’aggressione”. Questo senso di crisi pervade non solo il racconto nazionale, ma anche l’immaginario collettivo e individuale.
il progresso tecnologico non è lineare. È plasmato da una miriade di variabili che si incrociano, che generano percorsi di sviluppo divergenti. L’IA ci sta già trasformando — non solo come artisti, ma anche come persone comuni
Credo sia difficile, per chi fa arte, parlare di qualcosa senza condividerne il contesto. Se consideriamo la Cina come sfondo costante del mio lavoro, allora penso che alcune delle esperienze che viviamo qui possano raccontare anche qualcosa al resto del mondo. Non sono esperienze universali, ma rappresentano frammenti di una condizione globale. Penso, ad esempio, al passaggio dalla globalizzazione all’espansione del mercato interno, dal lavoro intensivo alla nuova alienazione prodotta dall’intelligenza artificiale, o ancora dalla visione utopica della tecnologia alle piattaforme digitali dominate dalle corporate, con tutte le questioni etiche che ne derivano.
In questo senso, ciò che accade in Cina non riguarda solo la Cina: fa parte di un mosaico globale frammentato ma connesso. E credo che gli artisti abbiano un ruolo importante nel provare a ricomporlo.

2007. Machinima, Single channel video, 4:3, colour with sound 5min 57sec. Per gentile concessione dell’artista, Vitamin Creative Space and Sprüth Magers
Hou Hanru: In questi anni, il tuo lavoro si è incentrato sull’impatto che hanno internet e l’intelligenza artificiale sulla vita quotidiana. Hai creato opere che mescolano realismo e fantascienza, riflettendo sul ruolo centrale che la nuova tecnologia ha avuto nella storia della modernizzazione socialista. Come vedi il rapporto tra tecnologia e storia? E quale pensi sia il ruolo specifico dell’arte in questo contesto?
Cao Fei: Nel corso della mia pratica artistica, ho attraversato diversi momenti storici del rapporto tra la Cina e la tecnologia: dal tecnocomunismo dei primi anni della Repubblica Popolare, nato dalla cooperazione sino-sovietica, al tecno-socialismo durante la Rivoluzione Culturale, fino all’ottimismo tecnologico e alle visioni utopiche attorno al 2000, e infine all’ascesa attuale del tecno-capitalismo — se non addirittura di un tecno-feudalesimo.
Credo che la relazione tra storia e tecnologia sia tutt’altro che lineare. La storia della scienza e della tecnologia non può essere ridotta a una narrazione unica e lineare di “progresso”. È invece attraversata da contraddizioni, tensioni, ambivalenze. La tecnologia può essere tanto un acceleratore della storia quanto uno specchio che la riflette, proprio come la storia, a sua volta, condiziona e orienta l’evoluzione tecnologica.
Nel film Asia One (2018), ho cercato di raccontare la crisi della soggettività umana e l’alienazione del lavoro all’interno dei sistemi automatizzati. La piovra gigantesca e spettrale che appare nel film diventa un simbolo anti-algoritmico, una creatura mostruosa che resiste alla meccanizzazione. In Nova (2019), invece, ho adottato un’estetica fantascientifica socialista per immaginare un passato fittizio visto dal futuro: un modo per riflettere su come, in passato, la corsa al progresso tecnologico sia spesso avvenuta a discapito del futuro stesso.

Hou Hanru: Oggi sempre più artisti usano l’intelligenza artificiale nei propri processi creativi. Secondo te, in che modo l’IA potrebbe cambiare la nostra idea di arte?
Cao Fei: Porsi questa domanda mi ricorda altri momenti in cui nuovi media hanno fatto il loro ingresso nella pratica artistica: la fotografia, il video, internet, gli NFT. Nella breve storia dell’evoluzione dei media, ci troviamo continuamente a dover rivedere, correggere e riattivare le nostre pratiche, inseguiti da un senso costante di urgenza.
Ma il progresso tecnologico non è lineare. È plasmato da una miriade di variabili che si incrociano, che generano percorsi di sviluppo divergenti. L’IA ci sta già trasformando — non solo come artisti, ma anche come persone comuni — ma non siamo ancora arrivati a un punto di svolta chiaro. Quel che ci attende è ancora incerto.
Quello che possiamo osservare, però, è la risposta emotiva intensa e polarizzata che l’IA suscita negli esseri umani: da un lato entusiasmo sfrenato, dall’altro un senso di disperazione. Questa corsa a definirla, a darle un senso, somiglia più a un tentativo di autoconforto temporaneo che a una riflessione reale e approfondita.
Forse un approccio più aperto e realistico consiste nel restare in contatto con la tecnologia, usarla, esplorarla man mano che si sviluppa, per togliere il velo di mistero che la avvolge. Se non si è mai usata l’IA in prima persona, forse è troppo presto per darle una definizione netta. A volte è meglio camminare al fianco dell’ignoto, invece di cercare di dominarlo frettolosamente.

Hou Hanru: Molti artisti attorno a te — soprattutto tra le nuove generazioni — ti considerano un modello da seguire, oppure un punto di riferimento da mettere in discussione. Come guardi al loro lavoro? Puoi citare qualche esempio che segui con particolare attenzione?
Cao Fei: Quando ero giovane anch’io avevo figure che ammiravo e altre che criticavo. Con il passare del tempo, le generazioni nel mondo dell’arte si alternano: cambiano le estetiche, cambiano i curatori, mutano le condizioni geopolitiche e il panorama internazionale dell’arte. Ora che sono entrata, per così dire, nella “generazione di mezzo” (tra i 40 e i 60 anni), mi chiedo: diventare oggetto di ammirazione o di critica è forse un passaggio inevitabile? O si può anche sfuggire a questo schema?
Negli ultimi tempi ho osservato il lavoro di alcuni giovani artisti che mi circondano (naturalmente non posso darne un quadro esaustivo). Alcuni seguono i linguaggi dell’arte più alla moda, in stretta sintonia con il mercato, il capitale e il consumo di massa. Altri, che un tempo lavoravano con la fotografia o il video, si sono spostati sulla pittura — spesso più per necessità che per scelta, spinti da pressioni economiche o dalle richieste del mercato dell’arte. Ci sono poi artisti che riescono a portare avanti la propria pratica grazie a programmi di residenza che offrono fondi e spazi, ma che devono comunque trovare altri modi per sostenersi nella vita quotidiana.
Il rallentamento economico globale ha avuto un impatto profondo anche sul sistema dell’arte, in Cina come altrove. Dai musei privati alle gallerie, dalle fiere agli artisti indipendenti, tutti ne hanno risentito. I giovani artisti, in particolare, devono fare i conti con la mancanza di fondi e di spazi espositivi. Senza un ecosistema sano e di supporto, la loro produzione riceve poco riscontro, e manca un vero sostegno dopo il momento della creazione. Col tempo, questo genera stanchezza, persino un senso di impotenza. Rispetto al periodo prima del 2020, il mondo dell’arte oggi appare decisamente meno vitale e dinamico.
A tutto questo si aggiunge il fatto che smartphone e tablet occupano ormai gran parte del tempo libero delle persone. L’ondata dell’intelligenza artificiale ha ulteriormente diluito l’attenzione nei confronti dell’arte contemporanea. In questo contesto, forse è il momento per gli artisti e per il sistema dell’arte di chiedersi seriamente: come possiamo aprire una nuova strada?