Viaggio nel rovescio del mondo in modalità Noclip
If you’re not careful and you noclip out of reality in the wrong areas, you’ll end up in the Backrooms.
– Anonymous, post di 4chan, 2019
Un labirinto di stanze tutte uguali che si estende per circa seicento milioni di miglia quadrate, ossia più del triplo della superficie terrestre. I muri sono ricoperti di carta da parati ingiallita e il pavimento è una distesa di moquette umida maleodorante. Le luci a neon ronzano ininterrottamente.
Sembra deserto, ma di sicuro qualcosa vaga al suo interno. Sono le Backrooms, luogo misterioso in cui, secondo uno dei creepypasta più popolari di internet, rischi di finire se “scivoli” accidentalmente fuori dalla realtà. Non è soltanto una delle tante storie del terrore partorite dalla mente collettiva della rete – come The Slender Man o The Russian Sleep Experiment – è un’immagine simbolica dal potere ammaliante, in grado di evocare antiche paure e incubi contemporanei, mettendo insieme esoterismo, horror, fisica quantistica, filosofia e gaming.
Imagine taking a photo of some old office building about to be renovated and it turns into a massive conspiracy on the internet.
– Aussie Boi, commento di YouTube, 2021
Tutto ha inizio il 14 maggio 2019, quando un utente anonimo di 4chan posta una foto storta e sgranata, probabilmente scattata in un vecchio ufficio abbandonato, accompagnata da una didascalia che inizia così: “If you’re not careful and you noclip out of reality in the wrong areas, you’ll end up in the Backrooms.” La scelta del verbo “to noclip” non è casuale. Nei videogame si usa per descrivere una modalità di gioco che, se attivata, permette di rimuovere gli ostacoli e muoversi in qualsiasi direzione, anche attraverso i muri, gli oggetti e gli altri giocatori. Come conseguenza, il motore del gioco genera delle anomalie, allungando, distorcendo e moltiplicando le immagini, un effetto chiamato “Hall of mirrors”, la stanza degli specchi. Talvolta, se ci si avventura troppo oltre, può anche capitare di superare i confini dell’ambiente virtuale, trovandosi sospesi in una specie di limbo elettronico. Fuori dal mondo, nel rovescio del gioco.
“Glitching” is when your wave function alternates and quantum tunnels. It’s extremely rare, even for particles. We’re fundamentally only the sum total of particles though. When their whole wave function tunnels (again it takes billions of them to do so at once, and it’s extremely improbable for even one of them to do so, let alone all of them that constitute a human being. But improbable is not the same as impossible), you have successfully glitched.
– Raj Bhattacharya, commento di YouTube, 2021
Accedere alle Backrooms, quindi, non è un atto volontario, ma un errore, l’effetto collaterale di un glitch. Tuttavia, il post originario lascia intendere che non sia del tutto accidentale, perché succede “se non si sta attenti”. Anche se non viene spiegato in cosa consista questa mancanza di attenzione, ossia quali siano i comportamenti da evitare, è ragionevole pensare che accada quando la nostra presa sulla realtà si allenta; quando siamo dissociati, disallineati, scollegati. Secondo un’altra teoria, non sarebbe la nostra coscienza a disconnettersi, ma la trama della realtà a contenere dei buchi, delle aree porose che, se attraversate, ci fanno precipitare dall’altro lato. Oppure, ancora, l’accesso al retro del mondo avverrebbe tramite un salto quantico, un cambiamento nelle vibrazioni a livello subatomico che ci permette di scivolare, in maniera istantanea, da una dimensione all’altra.
The backrooms is just a hidden debug room for earth.
– Александар Миловић, commento di YouTube, 2021
Alle Backrooms sono dedicati siti web, racconti, film, giochi, un vasto esperimento di scrittura collettiva – il wiki Backrooms Database – e una collezione sterminata di video su YouTube. Uno di questi video, in particolare, ha catturato l’attenzione di molti su internet nelle scorse settimane, riaccendendo i riflettori sul fenomeno. Si tratta di un cortometraggio dal titolo The Backrooms (Found Footage) diretto dal sedicenne Kane Parsons – a.k.a. Kane Pixels – e pubblicato sul suo canale YouTube il 7 gennaio 2022. Il video, che si colloca a pieno titolo nel filone del cosiddetto “analog horror” – sottogenere del più conosciuto “found footage” e incentrato sull’estetica analogica di televisori, VHS e nastri audio – condensa in soli sette minuti la mitologia delle Backrooms, tanto da aver accumulato oltre 16 milioni di visualizzazioni in poco più di un mese. Questa la trama: durante le riprese di un film, il cameraman improvvisamente si accascia a terra; quando la telecamera si riaccende, si trova solo nel labirinto giallino, in compagnia dello snervante ronzio delle luci a neon. Da qui in poi, è tutto un affannato vagare in cerca di una via d’uscita, fino a quando la comparsa di una creatura mostruosa non trasforma l’ansia in terrore manifesto. Sul canale di Kane Pixels ci sono anche altri corti dedicati alle Backrooms: una serie in progress che si propone di costruire il mito fondativo delle “stanze sul retro”: cosa sono esattamente? Sono state create oppure scoperte? E come ci si arriva?
This, the backrooms are shapeless beings of chaos, they take the form of our collective unconsciousness.
– Anonymous, post di 4chan, 2019
La foto inserita nel post del 14 maggio 2019 era in realtà già comparsa, senza didascalia, in un thread precedente, sempre su 4chan, iniziato il 12 maggio sulla bacheca /x/paranormal. La richiesta, a cui centinaia di user risposero nel giro di poche ore, era: “post disquieting images that just feel ‘off’”. Di seguito, una lunga serie di immagini che spaziano tra il misterioso, il disturbante e l’assurdo. Molte delle risposte contenevano foto di edifici deserti, stanze male illuminate, strade notturne e interni dalle forme labirintiche o claustrofobiche. Sono contenuti riconducibili all’estetica dei cosiddetti liminal spaces, gli spazi liminali, un genere molto amato su internet di cui troviamo testimonianze antecedenti rispetto all’apparizione del meme delle Backrooms. Secondo la definizione di Aesthetics Wiki, gli spazi liminali sono “luoghi di transizione tra due altri luoghi, o tra due stati dell’essere. Di solito sono abbandonati, e spesso vuoti – un centro commerciale alle quattro del mattino, oppure l’atrio di una scuola durante il periodo estivo, ad esempio. Per questo appaiono come congelati e lievemente inquietanti, ma anche familiari per la nostra mente.”
I feel like they are like corpses. They used to be filled with life, movement, and potential. Now they are just a dead body left behind as the life moves on.
– Jass Lang, commento di YouTube, 2021
Uno scroll veloce nel subreddit /r/LiminalSpace permette di farsi un’idea precisa di questa estetica: corridoi vuoti, sale d’attesa, scale e sottopassaggi; ma anche parchi giochi, piscine e parcheggi. L’atmosfera può oscillare tra un vago senso di desolazione, una forte inquietudine e una generica nostalgia. La nostalgia gioca un ruolo centrale soprattutto quando le foto ritraggono aule scolastiche, cortili, ristoranti vuoti e case arredate con un gusto retrò, immagini in grado di evocare memorie lontane e semisepolte, flash dell’infanzia, oppure luoghi visti in sogno. Le compilation di YouTube dedicate al genere liminal hanno titoli come “images with elegiac auras”, “places that feel strangely familiar”, “places you’ve been to in your dreams” e “strangely familiar places with unnerving music”. In tanti casi, il genere si intreccia con altre estetiche molto popolari, come la vaporwave, con la sua ossessione per il passato, il traumacore, che esorcizza e rievoca le esperienze traumatiche, e il dreamcore, che riporta alla coscienza il mondo onirico: le immagini possono diventare più eteree e minimali, anche grazie a un editing intenso, oppure sgranate e appannate, sommerse di scritte e sticker. Il filo conduttore più evidente, percepibile nonostante le contaminazioni, è la totale assenza di esseri umani.
I’ve heard people say vaporwave tends to sound like an empty mall.
– Whoissnake, post su Reddit, 2021
Secondo il Dictionary of Obscure Sorrows di John Koening, libro che raccoglie una serie di termini inventati che descrivono emozioni e sensazioni complesse, la parola giusta da associare ai liminal spaces è kenopsia. Questa la sua definizione: “l’atmosfera inquietante e desolata di un luogo che di solito è pieno di gente ma che ora è abbandonato e silenzioso – il corridoio di una scuola di sera, un ufficio non illuminato nel fine settimana, un luna park vuoto – un’immagine emotiva postuma che lo fa sembrare non solo vuoto ma iper-vuoto, con una popolazione totale in negativo, che è così vistosamente assente da brillare come un’insegna al neon”.
Come scrive Mark Fisher in The Weird and the Eerie, l’effetto di straniamento è innescato da un “fallimento di presenza”: luoghi normalmente affollati appaiono innaturalmente vuoti. E più gli spazi sono vasti, le architetture imponenti, le strutture complesse, maggiore sarà il nostro disagio nell’attraversarli, anche solo con lo sguardo. Gli spazi liminali sono deserti artificiali, monumenti alla rovescia, macchine dell’alienazione. La loro esistenza innesca inconsciamente una serie di domande. Dove sono andati tutti? Cosa ha causato la loro scomparsa? È questo l’aspetto che assumerà il mondo dopo la nostra estinzione?
I practice a lot of lucid dreams, as do some of my friends. We’ve all been in this place during dreams gone wrong. It feels like weeks or months while in it but then we’d week up after a normal 6-8 hour sleep. This thread glows.
– Anonymous, post di 4chan, 2019
Talvolta il senso di straniamento può essere potenziato dall’aspetto sintetico dell’immagine; alcuni edifici, se fotografati in determinate condizioni di luce, appaiono ai nostri occhi come dei render, delle riproduzioni in grafica tridimensionale. È il caso ad esempio di una delle fotografie più diffuse del genere liminal, che è stata scattata nel cortile di un Holiday Inn all’interno dell’aeroporto di Londra Heathrow, Terminal 4. L’albergo, un edificio imponente e minimale, è dotato di una corte interna su cui affacciano le finestre delle stanze, tutte uguali e ordinate in file regolari. Il cortile ha la strana caratteristica di essere coperto da un soffitto, con l’obiettivo di attutire il rumore degli arei in partenza. La foto, scattata e postata su Twitter da un viaggiatore di passaggio, è diventata l’ispirazione per uno dei livelli del gioco ispirato alle Backrooms dove ha preso il nome di The Courtyard of Windows, il cortile delle finestre. Nonostante alcuni video su YouTube documentino la cosa, molti fan delle Backrooms tuttora non sanno che quel posto esiste davvero, e ci giocano dentro come fosse un render qualsiasi.
I like the idea that the backrooms are in fact made of a mash-up of real places on Earth.
– Samuel Shelton, commento di YouTube, 2022
In un certo senso, i liminal spaces possono essere considerati un sotto-genere delle cursed images: foto di provenienza incerta e dal contenuto disturbante che sembrano possedere una specie di carica demoniaca, come se fossero infuse di una qualche forma di negatività che si trasmette semplicemente guardandole. Tuttavia, in questo caso l’accento è posto in maniera specifica sull’idea della soglia. Il concetto di liminalità (dal latino limen: soglia) è stato introdotto per la prima volta nel 1909 dall’antropologo belga Arnold Van Gennep nel contesto di una ricerca sui riti di passaggio e poi ripreso negli anni Sessanta dallo scozzese Victor Turner. Originariamente, si tratta di uno stato mentale e/o sociale, più che fisico: è il momento esatto in cui stiamo per diventare ma ancora non siamo, è il limbo tra la l’adolescenza e la vita adulta, tra la vita scolastica e quella lavorativa, tra uno stato psicologico e un altro. Talvolta la sensazione di abitare uno spazio liminale può protrarsi per anni, dando la sensazione di non riuscire a raggiungere un ipotetico “stadio successivo”, di cui tuttavia non si conosce l’esatta fisionomia e collocazione.
Quando il concetto di soglia incontra quello di noclip, tuttavia, può succedere che una semplice linea di confine diventi un luogo abitabile. Che la soglia, glitchando, si allunghi fino a generare uno spazio, e che questo spazio, da momento di transito diventi una prigione permanente. Le Backrooms sono il risultato di una soglia che ha glitchato e continua ad autogenerarsi, in un loop che sembra inarrestabile.
When I play a game alone such as gmod, and load into an rp map it just feels very weird. I remember all the memories on the map, but now it is just dead, silent, the only sound is the ambient sounds. It’s somewhat creepy, I feel like I’ll suddenly see someone around a corner, or see text saying that a player has joined. Does anyone else feel this?
– -Speechless, post su Reddit, 2021
Come nota Mark Frauenfelder nell’articolo The quiet horror of procedural generation, il fatto che la mitologia delle Backrooms le descriva come uno spazio vastissimo composto di stanze tutte uguali, fa pensare che questo luogo possa essere frutto di un processo di simulazione informatica. In particolare, l’autore fa riferimento alla “generazione procedurale”, una tecnica molto usata nei videogiochi che permette di creare in modalità automatica architetture virtuali potenzialmente infinite a partire da un input iniziale, sfruttando una specifica funzione ispirata alla meccanica quantistica che si chiama “wave function collapse algorithm”. Scrive Frauenfelder: “non è sorprendente che gli spazi kenopsici siano diventati un fenomeno nell’era di COVID-19. Rappresentano i milioni di scuole, teatri, uffici, musei e biblioteche inutilizzati in tutto il mondo. Il solo pensare questi luoghi scatena un senso di terrore ballardiano”.
Il terrore e lo straniamento, infine, raggiungono vette vertiginose quando a generare gli spazi liminali sono gli algoritmi di intelligenza artificiale, come accade nelle immagini postate dall’account AI-Generated Artworks su Twitter. Atrii, corridoi, parcheggi e sotterranei si deformano e assumono sembianze aliene; le linee si incurvano, i colori si impastano, il mondo smette di somigliare a se stesso.
I love how genz is the only generation that gets bored to the point they want to go to a different reality
– princessfairouz1 Tm, commento di YouTube, 2022
L’idea di “glitchare fuori dalla realtà”, e più in generale il tema delle soglie tra mondi è un classico della letteratura e del cinema sci-fi e horror, da La Porta nel muro di H. G. Wells a Stranger Things, passando per The Twilight Zone e The Matrix. Negli ultimi anni, tuttavia, questa suggestione ha ampiamente travalicato i confini della fiction, dando vita a una serie di tendenze culturali incentrate sulla malleabilità del reale. Ne è un esempio evidente il reality shifting, trend apparso nel 2020 su TikTok e YouTube che vede protagoniste giovani ragazze impegnate nell’invenzione e nella sperimentazione di tecniche di meditazione, proiezione astrale e sogno lucido. A questo si aggiungono pratiche adiacenti come il manifesting e il quantum jumping, entrambe basate sulla convinzione che la nostra mente, adeguatamente allenata, sia in grado di cambiare la realtà.
Questo vasto e sfaccettato corpus di tendenze magiche che osserviamo online – a cui appartiene anche la cosiddetta meme magick – viene generalmente interpretato in chiave escapista, riconoscendo l’emergere, soprattutto nelle generazioni più giovani, di strategie di fuga dalla realtà sempre più estreme: una forma di difesa nei confronti di un mondo giunto al collasso.
Questa spiegazione, pur sensata, non basta: quello a cui stiamo assistendo, infatti, appare come uno slittamento concettuale assai più profondo, che riguarda la percezione della realtà come tale. Non si tratta semplicemente di evadere in un mondo fantastico, quanto di mettersi alla ricerca – seppur con modalità che a volte possono apparire ingenue o improbabili – di nuovi strumenti per rapportarsi con una realtà che sembra non possedere più caratteri di stabilità e permanenza. Una realtà che fatichiamo sempre più a distinguere dalla finzione; che spesso nasce già finzionale, e che ci appare ogni giorno più incontrollabile.