Una donna che conta

Dopo il caso Argento chiediamoci: perché i maschilisti sono terrorizzati dalle donne di potere? Forse perché è lo stesso potere creato dagli uomini (e perlopiù gestito ancora da loro)

Si chiamava Miguel
E guidava una Mustang
Io gli ho dato il mio cuore
Lui mi ha offerto una pasta

Mi chiedo quanto faccia paura ai maschilisti, più che alle femministe, l’idea che una donna (cisgenere ed eterosessuale) possa prendere il potere ed esercitarlo esattamente come ne dispone un uomo. Parliamoci chiaro: mi pare del tutto ovvio che soltanto stantii esempi di femminismo liberale tradotto in letteratura edificante per l’infanzia possono pensare di trasformare Margaret Thatcher in buon modello comportamentale per l’empowering femminile, e  – come tutte le brave persone tutti i disgustosi devianti che combattono le molteplici oppressioni sistemiche di questo mondo – abbiamo fatto festa quando Thatcher è morta (sì, siamo gli stessi disgustosi devianti che hanno brindato alla morte di Marchionne).

Ma la domanda non è se l’imperialismo intersezionale possa essere una prospettiva politica accettabile, quanto più se davvero l’idea della donna di potere faccia più paura ai maschilisti o a noi femministe e transfemministe rompicazzo. Sono le domande oziose che mi salgono in testa a fine estate, il momento dell’anno in cui i quotidiani nazionali cercano disperatamente di puntellare ancora l’idea di essere in qualche modo utili alla pubblica opinione nell’era dell’internèt e cercano di creare o di cavalcare la polemica del momento. La cronaca è servita, le noccioline sono nell’altra ciotola. Prendo uno spritz.

Una donna che conta: Vabboh, ciao va’

E poi c’era Donald
L’ho conosciuto a una festa
Pensava solo ai suoi soldi
E io ho perso la testa

Sì, non sono una santa
Ma erano altri tempi: erano gli anni Ottanta
Quando il tempo era poco
Ma la bamba era tanta
La vita oggi è dura per una donna che conta

Asia Argento accusata di molestie sessuali ai danni dell’attore e musicista Jimmy Bennett, minorenne all’epoca dei fatti: ennesimo squarcio nella polemichetta agostana del nostro baretto preferito, Facebook; squarcio comprensibilmente più largo rispetto a quello prodotto dalla notizia di molestie sessuali subite da Nimrod Reitman da parte della sua relatrice, Avital Ronell. La precisazione del giorno dopo: Argento accusata ma non indagata, la polizia condurrà degli accertamenti. Colpo di scena, uno: saltano fuori degli SMS che complicano la posizione di Argento, che aveva dichiarato di non essere mai stata a letto con Bennett. Colpo di scena, due: Jimmy rompe il silenzio con un comunicato in cui spiega per quale motivo aveva inizialmente voluto evitare di trasformare il patteggiamento in una denuncia pubblica, dichiarandosi per di più ispirato dal movimento #metoo. I colpi di scena si susseguono implacabili nelle settimane successive, e si fatica a star dietro a una vicenda che ha tratti decisamente intrecciati. Nemmeno a dirlo, la vicenda Ronell (che ha meno visibilità perché dai, diciamocelo chiaramente, a chi è che frega qualcosa degli ambienti universitari) ha contorni che sembrano più definiti e chiari rispetto al meno comprensibile gioco delle parti tra Bennett e Argento. Sarebbe più facile partire da lì, ma è un mondo difficile quello dell’aperitivo polemico nella rete estesa.

E nonostante i confini poco chiari della vicenda Argento, la notizia ha già dato la stura a tutta la maschiosfera dell’internet (perlomeno) italiano: crisi di credibilità del movimento #metoo (come se non fosse già stato bombardato da accuse di giustizialismo forcaiolo dall’inizio alla fine del suo sviluppo, a prescindere da Argento), Argento puttana (grande classico), ragazzino diciassettenne che si spaventa di fronte alla fica (siamo nel 2018 e la mamma di Stifler di American Pie fa ancora strage di cuoricini eteromaschietti ormai quarantenni) e via con l’allegro e consueto repertorio della più kitsch delle vetuste istituzioni culturali resistenti nel XXI secolo: la maschilità. Altro che mettere in discussione la legittimità del movimento #metoo: se volevamo una conferma del terrore maschile rispetto all’eventualità di un potere esercitato da donne, l’abbiamo già avuta così. Peccato che sia già finito lo spritz. Ne ordino un altro.

Una donna che 1, 2, una donna che conta
Una bionda che 3, 4, una bionda che abbonda

Noi femministe rompicazzo abbiamo naturalmente il nostro repertorio di endoxa (no tesoro, non te lo spiego che vuol dire, google it) fatto di confronti con l’atteggiamento riservato ad Argento quando era in posizione di vittima (nessuno ha dubitato della credibilità di Bennett anche se potrebbe essere il caso di farlo, stando a quanto sappiamo dal New York Times prima ancora della nota rilasciata da Argento), di distinguo tra la figura pubblica di Asia Argento e il resto del movimento #metoo a sua volta da distinguere come rivolo parallelo e/o affluente del più largo contenitore Non Una Di Meno/Ni Una Menos, e in effetti i giornali italiani si sono beccati una strigliata dallo stesso New York Times; e tuttavia ci si obietterà non solo che la figura di Argento è tutto meno che perfetta, ma che andrà anche soppesato il timore di Bennett a non essere creduto in quanto maschio

Intendiamoci: è un problema, a prescindere da Bennett e dal controverso «affaire Argento-Bennett». Tra tutte le storture su cui si costruisce l’unico campo di violenze in cui la vittimologia viene usata per mettere sotto i riflettori la vittima e cancellare il carnefice dal campo del giudizio pubblico, c’è anche l’idea che di violenza sessuale può essere vittima soltanto una donna. Che gli uomini (sì, anche cisgenere ed eterosessuali) possano subire violenze o molestie sessuali è un’eventualità che non è contemplata dal dibattito pubblico (ma le cui proporzioni sono decisamente più limitate di quanto voglia ammettere chi solleva il problema), e questo vuoto di solito viene colmato da un interessante assortimento di teorie del complotto ordite da associazioni che dichiarano di occuparsi dei diritti degli uomini per non dire che si occupano di limitare il campo della libertà femminile.

Basterebbe già considerare l’esistenza di un movimento globale delle donne per evitare di cadere nella trappola gramelliniana del «donne e uomini pari sono, la violenza non ha sesso».

Andrebbe tenuto a mente che la maggior parte delle indagini «controverse» che tendono a ribaltare il dominio maschile in oppressione da parte delle donne provengono da questo tipo di associazioni e soggetti, sistematicamente ripresi da Libero e da Il Giornale, e che di solito la loro interpretazione dei dati somiglia a questa cosa che è stata analizzata su Giap. Insomma, quando si sottolinea il problema della violenza di genere subita dagli uomini cisgenere ed eterosessuali (in questo tipo di analisi noi frocie serviamo esclusivamente da argomento strumentale da agitare contro le femministe), di solito quello che succede è che si cerca di introdurre la più deliziosa delle mistificazioni della maschiosfera: il tentativo sistematico di liquidare la violenza sulle donne e l’omissione reiterata del fatto che anche le violenze di genere subite dagli uomini sono, nella maggior parte dei casi, condotte da altri uomini.

Basterebbe già considerare l’esistenza di un movimento globale delle donne per evitare di cadere nella trappola gramelliniana del «donne e uomini pari sono, la violenza non ha sesso». Basterebbe per considerare che l’oppressione operata dal macrosistema del dominio maschile non si limita affatto alle molestie sessuali, ma si esercita in una quantità di campi della vita che queste, in fin dei conti, restano più il sintomo che la totalità delle manifestazioni di un più largo esercizio del potere (del quale, in ogni caso, la violenza resta solo un aspetto). Per dirla con la lettura che Sara L. Maurer, come altre, ha dato del movimento #metoo, «Dopotutto, il movimento #MeToo ha reso visibile la quantità di lavoro che le donne svolgono ogni giorno quando si presentano sul luogo di lavoro e devono deviare la conversazione dalla dimensione del loro reggiseno, togliere gentilmente le mani altrui dal loro corpo o inventare ripetutamente nuovi modi di evitare il superiore che vuole discutere i suoi problemi sessuali. È lavoro. Non veniamo pagate per questo, non otteniamo credito per farlo e non vogliamo svolgerlo». Insomma, la molestia come esercizio della forza per continuare a espropriare il lavoro necessario al mantenimento dell’ordine sociale. Incredibile, vero? Madò, mi annoio da sola, scusate, non ho cenato e ho continuato a bere. Gin lemon, grazie.

Chi è che c’era poi? Fabrizio?
Ah no, Antonio
No scusa ho perso un attimo il conto. Stoppala…

E poi c’era Antonio
Un tipo coi ricci
Aveva sempre una striscia
Se facevo i capricci

Il fatto più interessante è questo tipo di lettura si può applicare, nel caso venissero confermate (ma pare ci sia più margine per leggere in maniera più netta la vicenda rispetto al caso Argento-Bennett), alle molestie di cui Nimrod Reitman, ricercatore di letteratura, ha accusato la sua relatrice Avital Ronell, femminista, lesbica e docente di letteratura tedesca, inglese e comparata alla New York University, nonché allieva e collaboratrice di Jacques Derrida (bang! Pezzo grosso!). In questa interessante lettura della vicenda scritta da Corey Robin, «Ciò che emerge dalla denuncia è quanta energia e attenzione – legata o meno a faccende accademiche – veniva richiesta da Ronell a Reitman, il suo studente. […] È come se Reitman non potesse avere una vita separata da lei. […] La molestia consisteva esattamente in questo: le pretese che lei poteva avanzare su di lui semplicemente per il fatto di essere un suo dottorando». E in questo quadro, come sottolinea Robin, la questione fondamentale resta quella del potere, evidente asimmetria di un rapporto di genere invertito (sovradeterminato?) dalla sua collocazione in una struttura di potere che ne condiziona l’orientamento.

Si chiamava Lele
Mi ha detto: sarai una star
1995
Vinco il Festivalbar

Sì, non sono una santa
Ma erano altri tempi: gli anni Novanta
Di vodka nel cuore ne ho versata tanta
La vita oggi è dura per una donna che conta

Ora, un fatto che mi pare distinguere in maniera chiara la vicenda Argento-Bennett e il caso Ronell-Reitman è che non è tanto la prima, quanto più la seconda ad avere la possibilità di esercitare sistematicamente molestia nei confronti di persone a lei sottoposte. Andrà notata anche la levata di scudi che immediatamente è stata fatta a difesa di Ronell da parte dell’establishment della sinistra accademica, con firme del calibro di Judith Butler (che ha fatto una parziale marcia indietro pochi giorni dopo). Quel che sappiamo finora, inoltre, è che a prescindere dalla verità delle accuse di Reitman, questa eventualità sistemica della posizione di Ronell resta ancora per il momento imparagonabile rispetto alle proporzioni del caso Weinstein o del caso Spacey, che sembrano avere le dimensioni di regimi sessuopolitici funzionanti come un filtro per le carriere cinematografiche.

L’esercizio del potere di quelle poche, pochissime donne che riescono a rompere il cosiddetto «glass ceiling» somiglia terribilmente al potere maschile. Somiglia, certo, e non coincide.

Ma non credo, ancora, che stia lì il punto, per almeno due motivi: primo, che questo sistema funziona su larga scala anche nel caso di Kevin Spacey, in cui la maggior parte dei rapporti estorti, pagati, ricercati, era omosessuale; secondo, che nulla impedirebbe, in teoria, a una donna che raggiungesse quelle posizioni come nel caso di Ronell (e che raggiunge in casi limitati, per quanto di numero maggiore rispetto a qualche anno fa), di mettere in piedi un identico sistema di coercizione e selezione. È vero che la violenza del genere non si esercita in parti uguali, ma è la trama di un rapporto di potere che distribuisce in modo ineguale le proprie intensità; è vero anche che andrà preso atto del fatto che pur persistendo l’oppressione femminile qualcosa è cambiato, e che sia diventato un fatto più comune di prima la possibilità che delle donne «prendano il potere». E il fatto più interessante da notare è che l’esercizio del potere di quelle poche, pochissime donne che riescono a rompere il cosiddetto «glass ceiling», tanto caro alle analisi dei liberali americani, somigli terribilmente al potere maschile (remember Maggie Thatcher?). Somiglia, certo, e non coincide. E per spiegare in che senso e in che modo esista questa somiglianza, dovrò fare un ragionamento un po’ complicato. Potrei biascicare un po’, mi perdonerete.

Una donna che 1, 2, una donna che conta
Una bionda che 3, 4, una bionda che abbonda

Credo che il fatto che le donne e i soggetti femminilizzati siano educate e avviate a dei ruoli di genere che le marginalizzano – ci marginalizzano – rispetto all’esercizio del potere, esattamente al contrario del ruolo di genere assegnato agli uomini cisgenere fin dalla nascita (e dei quali non ci si spoglia forse mai del tutto, nemmeno quando il fatto che ti piaccia il cazzo diventa una questione risaputa e pubblica che nella maggior parte dei casi ti marginalizza), sia da scorporare rispetto al fatto che questi ruoli si compongono di una serie di procedure, acquisite più che imparate, che possono essere assunte a seconda delle condizioni strutturali nelle quali ci si ritrova a operare (di classe, di reddito, di posizione sociale; di etnia, di provenienza geografica; di genere, di orientamento sessuale). Intendo dire – altro gin lemon, grazie – che, tagliando con l’accetta, se c’è un ordine eterosessuale da sovvertire, logicamente precedente alla binarietà dei generi, è perché storicamente si è provveduto da parte di una classe mercantile bianca, maschile, cisgenere, eterosessuale a rinforzare e irrigidire i ruoli di genere nella maniera più funzionale alla riproduzione (sociale, ma anche intesa in senso stretto). Non pensavate mica che la misoginia fosse una questione di antipatie personali, vero? It’s all about the money, honey. E questi rapporti, che sono anche economici, sono ovviamente sbilanciati in favore di quella maschia classe capitalista. Gesù, che mal di testa.

Anni Duemila dico: è quello giusto
Si chiamava Wojtyla
Aveva il corpo di Cristo

E poi c’era Lorenzo
Un musicista
Non abbiamo mai scopato
Lui mi scopava in pista

Credo che questo spieghi in larga parte cos’è che fa paura ai maschilisti delle donne di potere: il fatto che questo potere, nonostante tutte le sue accortezze e astuzie, può collocare altri soggetti nella posizione del dominio maschile. Donne per bene e donne per male, anche nella presa del potere – direi soprattutto nella presa del potere. L’ipotesi che faccio è che un potere così costruito richiede che chi lo esercita, a prescindere dal ruolo di genere che gli o le è stato assegnato, internalizzi delle procedure di potere che sono state stabilite in un campo maschile – che sono state fatte per gli uomini. Ciò che viene acquisito da chi gioca un ruolo di genere maschile, cisgenere ed eterosessuale (e badiamo bene che il fenomeno è tutto sociologico, e non biologico) è un insieme di procedure che serve a gestire il potere e può essere acquisito da chi gestisce il potere. È altrettanto evidente che è avvantaggiato chi ha internalizzato queste procedure perché il suo ruolo di genere le prevede già, il che spiegherebbe per quale motivo continua a essere difficile che ai posti di comando e nelle posizioni più prestigiose dei nostri sistemi economici e politici vi siano soggetti femminilizzati.

Power is Power

Fatto che non esclude in nessun modo che a un certo punto possa emergere il Peter Thiel della situazione, un caso da manuale di rispettabilità gay che non ha alcun problema ad appoggiare contemporaneamente il matrimonio egualitario e la campagna elettorale di Donald Trump mentre gestisce alcune delle aziende attualmente più lucrose sul mercato mondiale. Nel caso qualcun_ avesse ancora da ridire sul fatto che a noi frocie antagoniste non piace che i Pride vengano sponsorizzati da Coca Cola. D’altronde, anche un’altra icona pop del movimento femminista mondiale, Beyoncé, è stata (e mi pare continui a essere) al centro di una controversia relativa allo sfruttamento di lavoratrici e lavoratori da parte dei fornitori della sua linea d’abbigliamento. Come al solito, è il capitalismo, bellezza. Sarebbe interessante indagare in che modo si può dire che il Capitale è maschio non soltanto nella sua storia, ma nel suo funzionamento attuale. E magari iniziare a dirsi che per quanto auspicabile sia una compattezza dei movimenti femministi, non tutti i femminismi hanno gli stessi obiettivi o gli stessi esiti. Ok dai, ultimo gin lemon.

Poi è arrivata Belen
Voleva fare successo
Siamo solo io e te dice
E anche un casting director

C’era uno Stefano
Faceva il designer
Ma il suo amico Domenico
Era un po’ troppo in mezzo alle palle

Sono tempi bizzarri, in cui dopo la bocciatura della legge per la legalizzazione dell’aborto da parte del Senato argentino ci si ritrova a fare i conti non soltanto con un momento di decisione importante per una delle parti più consistenti del movimento globale delle donne (non casualmente sudamericana), ma si iniziano a moltiplicare i dubbi più classici a partire dalle donne che hanno fatto da testimonial alla parte eurostatunitense, nordoccidentale, in breve: alla parte più bianca del movimento globale delle donne. E non c’è dubbio che la risonanza che sta avendo la vicenda Argento travalichi di gran lunga il giudizio sulla sua vicenda personale, diventando in larga parte un giudizio complessivo sul movimento di cui Argento è stata una dei volti pubblici, e che dalle due parti dell’oceano ha messo in campo prima di ogni altra cosa una gigantesca e inedita forma di autocoscienza collettiva online.

Questo è quanto: la caccia alle streghe, il regolamento di conti interno al dominio maschile e al Capitale, sono tutti effetti eventualmente secondari, per quanto talvolta richiesti da parti di questo movimento d’opinione, che non ne costituiscono in nessun modo la ragion prima. Me too significa che anch’io ho subito, e per questo ti credo. Possiamo anche valutare, proprio perché è tanto problematico il ruolo delle donne di potere, quanto sia stato un errore delegare a donne più visibili il ruolo di portavoce di un intero movimento, e tuttavia andrebbe valutato anche quanto queste persone abbiano supplito a insufficienze di prassi e di organizzazione del movimento stesso che a loro ha delegato. Mi ritrovo nelle parole di Benedetta Pintus che, in questo articolo su Pasionaria, ci ricorda che qualunque cosa abbia fatto Argento successivamente, anche eventualmente abusando della propria posizione di potere, non cambia e non cancella quanto ha subito quando era invece in una posizione di debolezza e ricattabilità. Non credo invece, come crede Giulia Muscatelli, che la credibilità di chi denuncia sia irrimediabilmente messa in discussione dal trovarsi coinvolt_ successivamente in una vicenda di molestie; so invece che dalla mia militanza, dall’autocoscienza collettiva, dalla riflessione condivisa e comune sul modo in cui vivo e viviamo la sessualità e le articolazioni sociali che su essa si costruiscono ho imparato a cercare di non molestare e a sottrarmi alla molestia.

E mi piacerebbe raccontarlo con la sicurezza di Paul Preciado nella sua lettera contro l’Ancien Regime sessuale con cui criticava la presa di posizione contro il #metoo resa famosa dalla firma di Catherine Deneuve: «mi disidentifico dalla mascolinità dominante e dalla sua definizione necropolitica. Difendere quel che siamo (uomini o donne) non è la cosa più urgente ma rigettarlo, disidentificarsi dalla coercizione politica che ci forza a desiderare la norma e a riprodurla. Disobbedire alle norme del genere e della sessualità è la nostra praxis politica. […] Non mi eccita “importunare” chicchessia. Non mi interessa sfuggire alla mia miseria sessuale mettendo la mano sul culo di una donna nei mezzi pubblici. Non provo alcun tipo di desiderio per il kitsch erotico-sessuale che voi proponete: dei tizi che approfittano della loro posizione di potere per dare una botta e toccare culi. Mi stomaca l’estetica grottesca e mortifera dell’eterosessualità necropolitica».

Le relazioni resistenti che proviamo a produrre, impostare e stabilire, sostano ancora nel perimetro della mercificazione e del dominio maschile.

E tuttavia non sono sicura del fatto che «nella cultura queer e trans scopiamo meglio e di più» perché «abbiamo sottratto la sessualità al dominio della riproduzione, ma soprattutto perché ci siamo svincolati dalla dominazione di genere». Non è soltanto una questione di ombre più o meno forti sulle relazioni sessuali e sentimentali che impostiamo, ma anche di come siamo immerse in un sistema di oppressioni multiple che ci governa dall’interno e dall’esterno. Dear Paul, it’s me, the Ancien Regime myself. Le relazioni resistenti che proviamo a produrre, impostare e stabilire, sostano ancora nel perimetro della mercificazione e del dominio maschile, per non parlare delle altre strutture di oppressione che vi agiscono contemporaneamente.

Penso che possa essere un buon momento per ripensare come ripensare le prossime mosse che dovremmo fare. Non solo un passo teorico, che è quello che di fatto mi ritrovo a proporre, di cacciata del Maschio dal pensiero, ma anche una conseguente riorganizzazione pratica di cosa può fare un movimento femminista, transfemminista queer per opporsi efficacemente al regime kitsch dell’eterosessualità obbligatoria. Quali rifiuti possiamo ancora articolare? E quali corpi, piaceri e relazioni contrapporre, invece? Quanto, ancora, in esse è ancora irrimediabilmente legato a ciò che vorremmo rifiutare? Lo vedi tu com’è, bisogna fare e disfare… Basta raga, è il terzo gin lemon, anche stop.

Sì, non sono una santa
Ma una donna che conta
Una bionda che abbonda
Una donna che 1, 2 una donna che conta
Una bionda che 3, 4 una bionda che abbonda

Un saluto speciale a tutti quelli a cui ho dato il mio cuore e anche qualcosina di più: Miguel, Donald, Silvio, Amanda, Antonio, Lele… Donatella ti vedo, Ezio, Enzino, Karol, Lorenzo, Belen, Stefano… anche tu Miuccia so che mi stai ascoltando, Maddalena, Elisabetta, dai che prima o poi ci ribecchiamo regaz, Brundo, Emilio, Magda, Roberto – mi devi ancora 40 euro fratello, quand’è che ci vediamo?

Beh, non posso farci niente. Mio malgrado l’infinito mi tormenta…

Vabboh, ciao va’.

[Nota: tutte le strofe riportate all’interno del pezzo provengono da Una donna che conta di M¥SS KETA, che ringraziamo]