Peter Kolosimo non era terrestre
Il successo dei libri di Pier Domenico Colosimo, secondo il personale pensiero magico del loro autore, fu merito anche di un preciso incantesimo. Per formularlo fu necessario prima di tutto deformare il suo nome, d’origine calabrese, in un più esotico Peter Kolosimo, dal suono vagamente germanofono, straniante. Il secondo passo fu l’attenta scelta dei titoli. Il trucco era nel ritmo, nella cadenza delle lettere. Avevano una particolare presa sul pubblico quelli composti da tre parole. Astronavi sulla preistoria, Terra senza tempo, Cittadini delle tenebre. Infine l’ultimo amuleto, da nascondere tra le pagine: iniziare ogni libro con una citazione di Pablo Neruda.
Alla fine degli anni cinquanta Peter Kolosimo si mise a scrivere di scienza per il grande pubblico. Unì in un solo calderone astronomia, archeologia, psicologia e ingegneria, e usò quel miscuglio per dar forma alle storie dell’occulto: ufologia, mistero, storia esoterica. In Italia fu il primo.
Uno dei cavalli di battaglia di Kolosimo era la cosiddetta teoria degli antichi astronauti. Nel pozzo della civiltà umana, nelle sue profondità ormai dimenticate, ancora prima del nostro tempo – scriveva – si nasconde una fonte di conoscenza arcaica, detrito di una cultura superiore, magari extraterrestre. La perizia costruttiva delle popolazioni antiche, per esempio, potrebbe essere proprio la conseguenza dell’uso di tecnologie aliene, trasmesse agli esseri umani da qualche civiltà proveniente da altri mondi. Le prove? Da ricercare nei misteri delle piramidi di Giza e delle linee di Nazca, tra i massi di Stonehenge, nei fili rossi che uniscono le civiltà precolombiane. Vi sono particolari propri ai miti delle più antiche e lontane civiltà, che non permettono di dubitare della loro origine comune.
Il primo libro di Kolosimo, Il pianeta sconosciuto, venne pubblicato nel 1959 dalla salesiana Società editrice internazionale di Torino. Ebbe subito una buona diffusione, e sulla spinta del primo successo ne iniziò a scrivere altri con la neonata casa editrice Sugar, di Piero Sugar, figlio di Ladislao Sugar, fondatore dell’omonima etichetta discografica, una delle più grandi di sempre, in Italia. Kolosimo venne tradotto in tutto il mondo, nel 1969 vinse il Premio Bancarella con il suo quinto libro, Non è terrestre: quell’anno fu lo scrittore più venduto d’Italia.
Oggi Kolosimo è per lo più dimenticato, superato dal tempo, reso obsoleto. Di lui si trovano poche tracce: appare in un recente e accurato volume di storia della teosofia e delle pseudo-scienze firmato da Marco Ciardi, Il mistero degli antichi astronauti (Carocci editore, 2017) e viene ricordato ogni tanto in qualche articolo di giornale: online si trova un lungo pezzo su fantascienza.com a firma di Massimo Pietroselli e diversi articoli della galassia Wu Ming, che gli hanno dedicato anche una canzone. Dalla sua morte (1984) a oggi, però, gran parte della produzione di Kolosimo è finita fuori catalogo.
Kolosimo mistero cosmico
Pier Domenico Colosimo nacque a Modena, nel 1922, da madre americana e padre italiano, e crebbe a Bolzano parlando tedesco come prima lingua. Ebbe un pessimo rapporto con i genitori. Studiò filologia moderna a Lipsia, dove si laureò. Dei suoi vent’anni si hanno ricostruzioni confuse. «Si ritrovò a un certo punto coinvolto nella Seconda guerra mondiale, arruolato nella Wehrmacht», mi racconta Piero Bianucci, oggi uno dei padri nobili del giornalismo scientifico italiano, nei primi anni Sessanta amico e collega di Kolosimo. «Gli abitanti dell’Alto Adige potevano optare per la Germania e lui scelse di arruolarsi coi tedeschi perché gli parvero meglio attrezzati. Nel Terzo Reich sentì parlare dei misteri a cui i nazisti si interessavano, dall’occultismo alle civiltà ignote», ha raccontato invece la moglie di Kolosimo, Caterina, in una rara intervista a Libero.
Anni dopo, nel suo appartamento di via Michelangelo, a Torino, Kolosimo avrebbe esibito l’elmetto d’acciaio della Wehrmacht, appoggiato all’appendiabiti d’ingresso come un cappello borsalino qualsiasi, per spiazzare gli ospiti. La militanza tedesca avvenne in una regione non meglio identificata, nel nord della Iugoslavia. «E poi raccontava che a un certo punto, forse a seguito di una improvvisa resipiscenza politica, era passato tra i partigiani, a combattere i nazisti».
Proprio in quelle zone iniziò la sua carriera giornalistica. Lavorò a Radio Capodistria per un certo numero di anni e iniziò a collaborare con L’Unità. Partecipò alla cerimonia di proclamazione della Deutsche Demokratische Republik – l’unico italiano presente, si dice. Si appassionò e si interessò di sessuologia e di psicologia, ma scrisse in quegli anni soprattutto di astronautica. «È a quel punto che cominciò a collaborare con diversi quotidiani italiani, molte testate che oggi non ci sono più, collaborò con la rivista di divulgazione Oltre il cielo. E da grande appassionato di fantascienza, iniziò a pubblicare racconti con lo pseudonimo di Omega Jim».
Kolosimo aveva una vaga pronuncia estera, una r un po’ arrotata, conosceva perfettamente il tedesco, «cosa che forse gli era servita nell’epoca della militanza nazista e poi partigiana», secondo Bianucci, «e aveva imparato anche il russo, raccontava di essere stato in Russia, con i nazisti». Questo gli diede un enorme vantaggio in termini di concorrenza: poteva attingere da autori che da noi non erano ancora tradotti. «Aveva un armadio pieno di ritagli di giornali che in Italia non avevano circolazione. Gran parte delle notizie le prendeva da quelle riviste».
Leggeva con passione i racconti di Lovecraft, le ucronie di Lyon Sprague de Camp, i saggi tra finzione e realtà di Martin Gardner, Willy Ley e poi quelli di Louis Pauwels e Jacques Bergier, che in quegli anni avrebbero dato il via proprio a quella narrazione ibrida tra scienza e occulto che da noi sarebbe diventata alla Kolosimo. Citava a memoria i libri divulgativi di Wernher von Braun, l’ingegnere NASA che qualche decennio prima era stato uno dei più grandi scienziati della Germania nazista (si consegnò agli Stati Uniti alla fine della guerra). Proprio von Braun è ringraziato per primo, all’inizio del Pianeta sconosciuto, per i «preziosi consigli e il materiale tanto cortesemente messo a disposizione».
Dopo qualche anno Kolosimo si trovò dall’altra parte della staccionata: decine di epigoni cercavano di riprodurre la formula del suo successo, e qualcuno calcò troppo la mano. Lo svizzero Erich von Däniken in particolare costruì il proprio impero editoriale appropriandosi della teoria degli antichi astronauti. In più, von Däniken giocava sporco. Faceva sfacciatamente, senza precauzioni, i movimenti che Kolosimo riusciva invece a eseguire in punta di fioretto. Kolosimo apriva spiragli alla storia alternativa, ma prima di arrivare ad accarezzare il mistero si premurava di fornire almeno un paio di spiegazioni divulgative ragionate. Flirtava con l’esoterico, senza mai erompere nel complottismo. Citava, appena poteva, scienziati, ricerche, studi. I primi libri erano molto cauti, quasi cronachistici. Dopo un po’ si lasciò andare, «ma comunque non si sbilanciava mai troppo: lasciava intuire», secondo Bianucci.
Von Däniken non si preoccupò mai, invece, di dare un minimo sapore fattuale alle sue storie, né di riconoscere o segnalare le ispirazioni letterarie e le eventuali fonti delle sue opere – tra cui c’era senza dubbio lo stesso Kolosimo, che non la prese bene: «Diciamo anzitutto che il primo libro del Däniken è uscito in edizione tedesca nel 1968 e il secondo nel 1969. Veniamo alle date di stampa dei miei volumi: Il pianeta sconosciuto, 1959; Terra senza tempo, 1964; Ombre sulle stelle, 1966; Non è terrestre, 1968. Con questo il problema delle scopiazzature mi pare esaurito. Il fatto che io abbia attinto a numerosi autori per esporne, commentarne e discuterne le idee è verissimo e mi sembra del tutto ovvio: non posso certo dialogare con me stesso. Ma un conto è richiamarsi ad altri studiosi, citandoli scrupolosamente, e un conto pescare a piene mani da volumi editi in precedenza, appropriandosi delle scoperte e delle teorie altrui».
Altre cose da ricordare. Nel 1961 conobbe Caterina che diventò sua moglie e che firmò a sua volta una manciata di libri, tra cui Sopravviveremo al 1982? e I poteri segreti della mente. «Il picco del successo durò solo una decina d’anni, ma furono anni vissuti intensamente», ricorda Bianucci. «Peter si alzava alle otto di sera e pranzava alle due di notte. La sua notte era la mattina, dormiva di giorno fino a tarda sera. Ma non eravamo dei bohemien, la cosa più strana che avevamo erano gli orari. Andavamo spesso in un locale che si chiamava Swing, in via Tortona, dove suonavano jazz di New Orleans. Dopo i concerti io andavo a dormire e lui andava a casa a scrivere».
Secondo la rilettura che ne hanno fatto i Wu Ming, Kolosimo è stato un «comunista di quelli duri», «tra UFO e rivoluzione». Negli anni del successo editoriale Kolosimo fu effettivamente simpatizzante di Lotta Continua ma, stando ai ricordi di Bianucci, «si lamentava di non avere neanche il tempo di seguire la vita politica. Diceva di essere maoista, faceva pagare ‘una tassa di beneficienza’ da devolvere a Soccorso Rosso ogni volta che si andava a cena da lui, ma nulla di più». Nelle notti silenziose e buie di Torino, passate a scrivere dei misteri delle civiltà umane mentre tutti dormivano, Kolosimo costruì anche la propria mitologia personale di uomo di estrema sinistra che lotta affianco al popolo. «Iniziò persino a vivere l’illusione di essere bersaglio della destra, e quegli erano anni difficili, anni del golpe Borghese. Ma il fatto che fosse di sinistra lo sapevano in quattro gatti, e poi era di sinistra in quel modo lì, un po’ folkloristico».
La biografia di Kolosimo è enigmatica. «Non tutto era chiaro, della vita di Peter», mi confessa Bianucci. «Molte delle storie che narrava forse avevano qualche lontana parentela con la verità, ma era molto difficile distinguere, il confine era piuttosto nebbioso, sempre».
Kolosimo raccontava per esempio che i suoi parenti calabresi, o i suoi lontani ascendenti, o forse i nonni, chi lo sa, fossero emigrati in America e lì avessero costituito un fiorente commercio di casse da morto. Con l’occasione, dopo qualche anno, avevano poi allargato il business, buttandosi anche nell’immigrazione illegale: all’interno di una bara, ogni tanto, chiudevano un messicano vivo che, nascosto lì dentro, riusciva a passare la frontiera statunitense. Beveva molto, «soprattutto degli amari, solo degli amari». Amava gli scherzi. «Una sera, a casa sua, a via Michelangelo, tirò fuori una pistola e mi sparò alla testa, per gioco», racconta Bianucci. «Mi sfiorò, non sparò per colpirmi, voleva solo spaventarmi. Caterina, la moglie, aprì la finestra e buttò la pistola per strada, dal terzo piano. Ogni tanto esagerava, ma era una persona dolcissima. E a lui devo molto, anche dal punto di vista professionale».
In quegli anni Kolosimo riuscì a intercettare un pubblico che in Italia creò lui stesso, inventandosi un genere. «Eravamo un paese meno colto, meno scolarizzato, sulla spinta del miracolo economico c’era anche più spazio per l’improvvisazione. E c’era un nuovo bisogno di lettura popolare, che sembrasse una promozione culturale ma che non fosse impegnativa. Kolosimo lo leggevano tutti e tutti potevano commentarlo. A lavoro, a casa, con gli amici», ricorda Bianucci.
Kolosimo covò a lungo l’idea di pubblicare una rivista, e quando finalmente, a metà del 1972, decise di realizzarla, chiese una mano proprio a sua moglie Caterina, e ai coniugi Bianucci, Piero ed Elena. Nacque così il mensile Pi Kappa, dalle iniziali del suo nome d’arte, che rielaborava in chiave più libera e scanzonata, meno rigorosa e più pop, gli stessi temi dei libri. Quasi tutti scrivevano su Pi Kappa sotto pseudonimo.
La rivista ebbe un buon successo per circa un anno, poi chiuse. I libri iniziarono a vendere sempre di meno. A un certo punto Kolosimo si trasferì a Milano. «Voglio tenere sotto controllo l’editore perché mi frega sulle copie», scherzava. A Milano morì qualche anno dopo, nel 1984.
Ombre sulle stelle
Oggi che le narrazioni dell’occulto e del mistero sono diventate definitivamente una bracconata di disinformazione e cialtroneria – da Giacobbo ai documentari da quattro soldi che invadono i palinsesti dei canali satellitari – sembra inevitabile chiedersi se Kolosimo fosse un illusionista o truffatore.
I racconti e i trattati divulgativi che, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, mescolarono in tutta Europa misticismo, storia e scienze varie vengono oggi raccolti sotto l’etichetta di realismo fantastico. «Kolosimo la chiamava archeologia misteriosa», mi racconta Bianucci, «ma se poi qualcuno gli chiedeva ‘scusi, ma lei è uno scrittore di archeologia misteriosa?’ lui rispondeva sdegnato ‘no, assolutamente no’. E aggiungeva: ‘Io studio le cose di cui scrivo. Non sempre sono chiare le conclusioni, ma io da cronista le espongo con la massima obiettività’». Giocava con idee suggestive e cercava di farlo come un divulgatore serio, si considerava uno studioso, un ricercatore. «Adottava le sue cautele scientifiche, ma la realtà è che l’ambiguità nei suoi libri c’era, e ogni tanto lo riconosceva anche lui. Il che non toglie che lo facesse con grande classe, perché scriveva anche bene. Una penna agile, nitida».
Nel Pianeta sconosciuto Kolosimo spiega: «Come Jules Verne giunse a precorrere la nostra epoca, come Alex Raymond popolò le sue tavole di dischi volanti almeno dieci anni prima che se ne incominciasse a parlare, così proprio le deduzioni e le fantasie scientifiche degli scrittori utopici nostri contemporanei potrebbero averci descritto con notevole approssimazione gli abitanti di remotissimi mondi inter ed extra-galattici». L’immaginazione anticipa il reale, la speculazione fantascientifica può essere una guida possibile per la ricerca scientifica.
Tutto bene quindi? Fino a un certo punto. Come ricorda Roberto Paura in Quaderni d’altri tempi, l’eredità dei libri di realismo fantastico è oggi piuttosto cupa: diversi studiosi hanno evidenziato, per dirne una, il legame tra la teoria degli antichi astronauti e il creazionismo di stampo evangelico fondamentalista. In più, secondo molti, in quelle teorie c’è un seme di pregiudizio razzista ed etnocentrico. Come altro chiamare la convinzione che le antiche civiltà, non europee, non potessero essere in grado di edificare imponenti costruzioni, di orientarle rispetto alle stelle sulla base di nozioni matematiche avanzate – come hanno fatto – e che invece avessero avuto bisogno dell’aiuto di extraterrestri?
In un articolo pubblicato su GQ, i Wu Ming chiedono di non confondere Kolosimo «coi vari Voyager e Kazzenger odierni, coi pataccari che ce la smenazzano a colpi di piramidi magiche e Priorati di Sion, con le vagonate di ricostruzioni paranoidi e complottiste disponibili in rete». Ma è davvero possibile questa distinzione? Non ne sembra così convinta la moglie Caterina che, sempre a Libero, ha dichiarato: «Hanno ricordato [Peter] a Voyager, che s’ispira tuttora al lavoro di mio marito. Il revival non mi stupisce, ne sono contenta perché rivaluta le fatiche di Peter. A quei tempi subì l’ostilità della cultura ufficiale. Tuttavia, reperti inspiegabili possono essere stati prodotti da civiltà dimenticate giunte a livelli pari al nostro e poi cancellate da cataclismi. Oppure da visitatori di altri mondi. Perché no?»
Nelle note della pagina Wikipedia dedicata a Kolosimo, nella versione in lingua inglese, è riportato il link a una lunga e minuziosa verifica dei fatti esposti in Non è terrestre. È un’analisi in tre parti realizzata da Jason Colavito, debunker e saggista americano, che nel suo sito personale si definisce studioso di storia e scettico. Il giudizio di Colavito sul bestseller di Kolosimo è impietoso. In breve: è un libro malamente organizzato, disconnesso, incoerente, che presenta citazioni apocrife, prove inventate, fonti tradotte in modo errato e un miscuglio caotico di fantascienza e realtà. «Nel libro, Kolosimo sostiene che alcune delle idee narrative dei romanzi di H.P. Lovecraft siano reali. A quanto pare lo considera una fonte segreta della storia occulta». Per usare ancora le parole di Colavito: «Holy crap».
Kolosimo è oggi un autore perlopiù dimenticato. Il suo nome sembra generare qualche scossa di nostalgia alla nuca di chi è cresciuto con i suoi saggi – e poco più. A partire dal 2004 Mursia ha ripubblicato parte delle sue opere, ma le nuove copertine non hanno lo stesso fascino di quelle degli anni Sessanta e Settanta, che invece sembravano illustrazioni di dischi krautrock, e oggi i volumi di Kolosimo si confondono tra i paperback sciatti e cospirazionisti, dozzinali, scritti da decine di suoi eredi. Difficilmente rivedremo Kolosimo tornare in classifica. Eppure attorno a lui si è solidificato un piccolo culto di affezionati consapevoli, che a distanza di anni leggono i suoi libri senza per forza prenderli alla lettera, che accettano l’inganno complice e ambiguo di quelle righe e decidono che tutto sommato va bene così. Forse Kolosimo continua a soddisfare il nostro primordiale desiderio di essere ingannati. O forse invece siamo gli ultimi prigionieri di quell’incantesimo che Kolosimo formulò cinquant’anni fa e che gli assicurò il successo, una stregoneria che ci tiene legati a quelle pagine, al loro finto rigore, alla loro immaginazione rabberciata ma ammaliante: sognante.