Note sul surrealismo capitalista
“Il surrealismo, rifiutando qualsiasi aldilà distinto da questo mondo e professando una dottrina dell’immanenza, resta sempre e comunque, in quanto squalifica del Mondo oggettivo, il messaggero di una certa trascendenza.”
Ferdinand Alquié, Filosofia del Surrealismo
Nella sua Filosofia del Surrealismo, Ferdinand Alquié ha messo in luce una particolare tensione che ho sempre cercato di chiarire nell’opera di Mark Fisher: il contrasto tra l’immanenza e la trascendenza.
È un problema che attraversa l’intera opera di Fisher. Eppure è soltanto davanti alle promesse inadempiute di Comunismo Acido che le persone sembrano iniziare a prendere sul serio il lato psichedelico del suo lavoro, il suo viaggio liberatorio; è soltanto pronunciando ad alta voce questa parte, generalmente sottaciuta, che la gente pare prenderne nota. E anche in questo caso, soltanto alla fine.
Tuttavia, è erroneo pensare che l’opera di Fisher non prefiguri la promessa di Comunismo Acido, come lo è anche credere che niente prima di quella introduzione (tra l’altro incompleta) avesse suggerito un programma simile.
Ho provato a esplorare questo nel mio libro Egress, ma dopo un po’ ho cominciato a pensare di essermi sbagliato. Dopo tutto quel tempo passato a studiare la concezione fisheriana dell’Esterno, ecco che la forma più accelerazionista del suo progetto afferma con insistenza che l’unica via d’uscita è attraverso: non c’è niente all’infuori del capitalismo. Allo stesso tempo, quello che chiamiamo interno, come afferma in The Weird and the Eerie, non è altro che un ripiegamento dell’esterno… È facile soffrire di vertigini cercando di capire da quale parte siamo…
Ma proprio come i surrealisti, Fisher sembra lottare con la contraddizione tra questo mondo e quello dell’immaginazione, il contrasto tra idea e materia. Attenzione, però. È fin troppo facile risolvere questi contrasti superficialmente guardando verso la produzione estetica di questo modo di ragionare; il surrealismo è troppo spesso ridotto a una evasione assoluta dalla realtà oggettiva piuttosto che la costituzione della sua immagine speculare, se non addirittura dell’inconscio, sempre e comunque proiettata verso l’esterno dal prefisso sur-. Ma come nel caso della grammatica del post- (analizzato tra l’altro da Mark Fisher nelle lezioni raccolte in Desiderio Postcapitalista), il surrealismo resta comunque legato a quello contro cui si oppone: è definito da questa contrapposizione, cioè dalla sua stessa relazione con il concetto di realismo.
Proprio come i surrealisti, Fisher sembra lottare con la contraddizione tra questo mondo e quello dell’immaginazione.
Adesso, questo particolare rapporto generalmente conduce le persone a ritenere questi progetti come intrinsecamente deprimenti o pessimisti, come se qualsiasi accettazione della realtà capitalista, insieme agli orrori giornalieri che la descrivono, fosse utile soltanto per ricordarsi del triste peso della nostra prigionia, disturbando così le fantasie di un prigioniero altrimenti desideroso di dimenticare sé stesso e la propria condanna. La questione del surrealismo, almeno per come Alquié l’ha inquadrata, è che questo “desiderio di felicità tinge ogni movimento dello spirito e, per di più, precede le attitudini di negazione e rivolta che ne formano soltanto la sua seconda faccia.” (Non è affatto sorprendente che gran parte dell’opera di Alquié, purtroppo non tradotta in inglese, si occupi di Spinoza.)
È proprio questa manovra che rende il desiderio postcapitalista di Mark Fisher non una svolta verso un altro progetto ma il prossimo (il)logico passo del suo lavoro — un surrealismo capitalista.
La negazione, fraintesa come pessimismo, è spesso tutto quello che il lettore medio intravede nell’opera di Mark Fisher. Così, lettori di questo calibro idolatrano le opere “principali” — Realismo Capitalista e Spettri della Mia Vita — ma spesso ignorano o sorvolano quello che le circonda. Per esempio, la CCRU (Cybernetic Culture Research Unit) è vista da molti come una sorta di stravaganza adolescenziale piuttosto che la modalità d’espressione anteriore che permette la negazione successiva. Proprio come per André Breton che, secondo la tesi di Alquié, “non trovò mai nella rivoluzione [dadaista] e nella sua negazione nient’altro che un mezzo necessario per la realizzazione concreta dell’uomo”, così Mark Fisher ha congiurato il negativo dagli scritti cyberpunk per raggiungere il medesimo fine.
Ecco allora che il cerchio si chiude, la negazione fa spazio a una nuova positività, alimentando e alimentandosi di una nuova era di speranza; troppo tardi o troppo in fretta però e il mondo non è più pronto per adottare la negazione. Per tante persone e per tante ragioni, la speranza è infine cancellata nel 2017. Ma il processo inizia di nuovo. Comunismo Acido di Fisher diventa ancora una volta terreno fertile per amore e ottimismo, senza per questo diventare fine a se stesso (ecco verosimilmente la ragione per cui Fisher ha sempre avuto così tanta avversione per la cultura hippy).
Contrariamente alle aspettative, amore e speranza sono la sorgente della rabbia e della rivolta. In realtà non c’è niente di cui meravigliarsi. “Love Will Tear Us Apart” è un inno post-punk e un mantra non tanto per la sua tragicità ma per la promessa che l’amore stesso richieda, non importa in quale situazione lo incontriamo, che facciamo il mondo a pezzi e ricominciamo daccapo.
Alquié descrive come Claude-André Puget, nel testo scritto per La Révolution Surréaliste, faccia riferimento ad amore e speranza praticamente allo stesso modo. Così, scrive che “avendo invocato un amore crocifisso al momento di un’estasi, [Puget] finisce il suo testo ricadendo in un inganno amoroso che mi pare inseparabile da un movimento di riflessione critica e un certo senso di colpevolezza”. Secondo Alquié, è proprio questo il motivo per cui così tanti testi surrealisti sono racconti erotici o storie d’amore dall’epilogo drammatico: dopo aver preso coscienza dell’intero processo (dall’eccitazione iniziale a una sorta di disforia postcoitale), l’amore non può che diventare ridicolo. Tuttavia, Alquié rileva come i testi di Breton, in contrasto con quelli di Puget, non scadano mai del tutto nel risentimento. La brama di Breton per la bellezza e l’erotico non è mai soddisfatta totalmente, forse perché non è mai davvero diretta verso la reificazione di una donna nel mondo reale — diversamente da quanto possa sembrare a prima vista. La “donna” non è in tal caso una rappresentazione del desiderio maschile ma simboleggia molto di più. È anche per questo motivo che, secondo Alquié, le donne nei testi di Breton non sono affatto “le lascive amanti dei romanzi libertini” ma i “segni di una nuova Eva, sempre posta al di là dei nostri desideri. Sono il legame, come un ponte, tra il sonno e la veglia, e sembrerebbero offrire la promessa di una riconciliazione tra i due.”
Mark Fisher non cede a un erotismo fin troppo francese e a equivalenze di genere antiquate, ma al contrario ripiega l’intero progetto su se stesso. Se Fisher non è annoverato tra i surrealisti, forse è anche perché il suo pensiero supera le cattive abitudini di quel progetto, arrivando alla fine di una traiettoria ben più lunga: in risposta non soltanto a Dada e surrealismo ma anche a situazionisti e diversi eredi del punk. Senza mai accontentarsi, è alla ricerca di quel qualcosa di nuovo e senza nome, che nonostante tutto chiama per noi attraverso intelligenti neologismi, almeno finché anche questi termini non fanno il loro corso attraverso il loro ciclo di popolarità.
Ha continuato a trovare nuove armi.
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su Xenogothic. La traduzione dall’inglese è di Alessandro Sbordoni: autore di The Shadow of Being: Symbolic / Diabolic (2022), collabora con la rivista inglese Blue Labyrinths e la rivista italiana Charta Sporca per cui ha pubblicato estratti del suo lavoro più recente, Semiotica della Fine. Vive e lavora a Londra.