Meme, falene e Schopenhauer
A serious and good philosophical work
could be written consisting entirely of jokes.
Ludwig Wittgenstein
Lo daremo per assunto: i meme possono evocare cambiamenti nel nostro modo di rapportarci alla vita, possono insufflarci ideologie, possono alludere a dimensioni metafisiche, guidare e consolidare ideologie politiche.
Per una sorta di legge di selezione naturale dell’internet, la loro presa umoristica coincide con la loro potenza di diffusione, ed è tanto più virulenta quanto più il suo senso umoristico è universale, vale a dire: quanto più viene toccato un qualche senso profondo che risponda alla domanda «chi siamo?».
Anche se questo senso, ironicamente, viaggia travestito da nonsense. Ma bisogna fare attenzione: non è che lo spasso vero di un buon meme sia quello del «fa ridere perché fa anche pensare». Quanto piuttosto: «fa ridere proprio perché mi ritrovo a desiderare profondamente certe cose in un certo modo».

Tranquilli, è dentro lo schermo, sebbene una identica in questo esatto momento vi stia scrutando dalla finestra.
Questo meme, MOTH/LAMP, mostra una falena, apparentemente abnorme e fluffy, che si sporge verso l’interno di una abitazione, con gli occhi accesi di una luce bramosa. Cosa vuole? Superata una nostra innegabile squisita inquietudine, questo meme – come ogni meme – diventa più divertente ad ogni rielaborazione, e alla fine ne intuiamo trasversalmente il dispositivo comico:
È chiaro: questa falena vuole proprio la lampada. Che c’è di divertente? Passeremo oltre la trappola insensata del «perchè è nonsense». Sostiene un pensatore di internet: «Tutti sanno quanto le falene possano essere idiote. Sbattono la testa sulle lampade fino a quando letteralmente non muoiono». Lo trovo corretto. Possiamo però azzardare una risposta molto più profonda e interessante. Seppur nell’ambito della ridicola, idiota, piccola semplicità del senso umoristico del meme MOTH/LAMP, chiediamoci seriamente: e se la sua portata ironica fosse in realtà esistenziale?
Sono profondamente persuaso dall’idea che il motivo per cui questo meme ci fa ridere riguardi esattamente cose che toccano il modo profondo in cui noi siamo al mondo. Suona ridicolo, vero? Ebbene il punto è proprio questo: il senso del ridicolo.
Il desiderio della falena/moth per la lampada/lamp è ridicolo. È gratuito, ossessivo. La lampada è per lei inutile, eppure in questo desiderio cieco, in quanto potenzialmente letale, la povera MOTH non è libera. Non è libera di volere o meno la lampada. È schiava del suo stesso desiderio. La sua volontà si rivela irrazionale perché non ha una causa ragionevole né alcun principio che le dia un senso. In questa rappresentazione memetica, la LAMP è l’oggetto disperato della Volontà esistenziale della MOTH, è il senso ultimo della sua vita, è la sua Final Destination.
È fondamentale notare che il meme non ha il suo baricentro nella falena, né nella lampada: c’è bisogno di entrambi per farlo detonare. Il dispositivo comico si dischiude esattamente nella relazione tra creatura desiderante e oggetto del desiderio: l’oggetto ironico del meme è quell’assurdo desiderio stesso. Nel contesto semiotico dei significanti che vi compartecipano, dire che la falena vuole la lampada, alla fine, si rivela tautologico.
Insomma, la portata di questo meme è universale ed esistenziale e fa abbastanza ridere tutti in generale, io credo, non perché rappresenti un qualche particolare desiderio contingente, ma perchè rappresenta quanto assurdo il (concetto di) desiderio in sé possa essere. In questi termini, il meme di MOTH è la rappresentazione della Volontà in sé.
Ebbene, un filosofo si è occupato di questa roba, della Volontà in sè: Arthur Schopenhauer.
Il Mondo come Volontà e Rappresentazione si sa, è un caposaldo della filosofia e un capolavoro di architettura letteraria eppure perlopiù ignorato alla sua prima pubblicazione. Dopo però si è rifatto. Attingendo a Kant e alle filosofie orientali dei Veda e del buddhismo ha reinventato l’occidente che conosciamo oggi: ha ispirato la musica di Wagner, Strauss, tutto Nietzsche (quindi ha ispirato direttamente i tatuaggi e le magliette sulle stelle danzanti e il c. dentro di sé). Ha cambiato le vite di migliaia di personaggi letterari: Fernandez, Borges, Mann, Spengler, Houellebecq, Wittgenstein.
Last, but not the least, potrebbe incarnare e spiegare il meme MOTH/LAMP.
Schopenhauer si è occupato del desiderio in quanto tale, e l’ha definito Volontà, parlandone in questi termini:
«l’essenza in sé di ogni cosa nel mondo
e la sostanza unica di tutti i fenomeni»
Per il filosofo la Volontà è una forza cieca e universale, inconscia, incausata, eterna, irrazionale che domina il mondo e le creature, che esse possano esserne consapevoli come l’Uomo, oppure no: proprio come la nostra sorella falena. In questa condizione totalizzante quella stupida MOTH sì, è nostra sorella, esattamente come Montale ci scrive parlandoci però dell’anguilla.
«l’iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?»
Infatti. Tornando al Mondo come Volontà e Rappresentazione, il filosofo tiene a giustificare rigorosamente la natura intrinsecamente incosciente della Volontà e prende in esame gli animali, in un passaggio molto lucido: «che la volontà agisca anche là dove nessuna conoscenza la guida, vediamo subito dall’istinto e dalle tendenze meccaniche degli animali. […] lo scopo, al quale essi dirigono la loro azione quasi fosse un motivo conosciuto, rimane ad essi del tutto ignoto. […] ci mostra immediatamente e chiarissimamente, che la volontà agisce anche senz’alcuna conoscenza.»
Ancora: «L’uccello di un anno non ha nessuna rappresentazione delle uova, per le quali costruisce un nido; un giovine ragno non ne ha della preda, per la quale tesse una rete […] In tali atti di codesti animali è pur palesemente in gioco la volontà, come nelle altre loro azioni; ma essa agisce in un’attività cieca, la quale è bensì accompagnata dalla conoscenza, ma non ne è guidata.»
Per Arthur Schopenhauer, fossimo anche coscienti del principio di volontà, non potremmo guidarla. È a questo proposito, che ci sorge allora una domanda esistenziale: che ne è della libertà del Volere? La falena non può davvero fare a meno di desiderare la lamp? E l’essere Umano, essendo almeno dotato di ragione, non può sottrarsi a questo stesso tragico scacco? Più in generale: abbiamo noi uomini un libero arbitrio sul nostro volere?
Schopenhauer giustamente se l’è chiesto e si è anche risposto. In uno scritto non mainstream di Schopenhauer, intitolato La libertà del volere umano, dice: «È libera la volontà stessa? […] Quando domandiamo se la volontà stessa sia libera, chiediamo se essa sia conforme a sé stessa: la qual cosa è ovvia ma non dice nulla. […] Dato che cerchiamo la libertà del volere, la domanda andrebbe formulata così: “Puoi anche volere ciò che vuoi?” Ed è come se il volere dipendesse da un altro volere retrostante».
La risposta che Schopenhauer dà a questa domanda è: «Non possiamo non volere ciò che vogliamo».

«Purtroppo non posso non voler volere la lampada, figuriamoci voler non voler volerla.»
Per quanto una negazione del Libero Arbitrio operata solo a livello logico e concettuale, la prospettiva della mancanza di un «libero arbitrio» ha interessato anche persone armate di strumenti più potenti del puro ragionamento: gli scienziati (armati di dati).
In questa prospettiva, la Volontà, per così dire, ci precede. Anzi: la nostra libertà si fonda esattamente sulla base di essa. Nel pratico: possiamo aver voglia di uscire o restare a casa il sabato sera, possiamo preferire o meno un posto di lavoro o volere il gelato alla nocciola, non quello alla frutta (e a ragione), ma è solo perché vogliamo qualcosa più di un’altra. Ma proprio logicamente, non possiamo Voler Volere.
La voglia di Lampada precede ogni libertà dal non volerlo della falena. Il tragico costituente di questa condizione universale è lampante. Che ne è dunque dell’autodeterminazione libera verso la felicità, che crediamo in fondo propria di ogni individuo pensante? Il pericolo è infatti che questa Volontà impersonale decida «al posto nostro» di volere qualcosa che ci porti all’infelicità, che finisca per farci del male. Allegoricamente, significherebbe che anche noi «abbiamo la nostra laaamp». Che soluzioni propone Schopenhauer per liberarci dalle maglie cieche e distruttive del principio metafisico di Volontà? Gne gne gne non ve lo dico.
Anche Nietzsche, che un pochino pochino Schopenhauer l’aveva letto, si chiede questo, e realizza che:
«La felicità non è fare tutto ciò che si vuole,
ma volere tutto ciò che si fa.»
La forza di questo aforisma, come ogni aforisma nascosto dalle macchie di cioccolato dei baci Perugina, sta nella sua portata e nella ambiguità. Io ho sempre pensato che sarebbe più bello e comprensibile modificato così:
«La felicità non è fare tutto ciò che si vuole,
ma volere tutto ciò che si Vuole.»
Come a suggerire: la possibilità di essere felici sta nel meta-volere, nell’armonia ecologica interiore delle volontà con la Volontà, nel volere liberamente, coscientemente, ciò che si deve Volere, per quanto assurdo possa essere.

Per la über-falena Nietzscheana, la domanda non è se la falena sia libera di innamorarsi Edison all’istante o meno – è fatalmente inevitabile – quanto piuttosto se l’amare Edison lei lo voglia con tutte le parti di sé, ossia se ciò possa renderla felice.
L’immotivata volontà della falena di perseguire la luce è assurda, è privata del Senso, non ha un disegno esistenziale che le dia senso. La lampada LAMP è chiaramente questo oggetto del desiderio assurdo. Come la LAMP, anche il masso del mito di Sisifo, che egli spinge senza sosta, è archetipicamente l’oggetto una Volontà assurda.
«Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.»
In effetti il passo filosofico successivo è stato fatto dagli esistenzialisti come Camus, Sartre, Heidegger e altri, più che da chiunque altro: stabilire l’importanza dell’autodeterminazione creativa rispetto alla felicità e al senso della vita.
Gli esistenzialisti fortunatamente hanno questo punto di partenza tragico: è proprio questa forte mancanza di Senso-della-vita-con-la-S-maiuscola, oltre che di sigarette. Ritrovandoci noi esseri umani gettati nel mondo senza neanche averlo chiesto, con queste voglie assurde che ci precedono, e privati di un Senso, per gli esistenzialisti il ruolo della filosofia è urgente e salvifico: è la presa di coscienza nei confronti dell’esistenza. Da dove prenderlo, il Senso?
Per combattere meglio per la nostra felicità come specie, come individui e come società, e quindi non vivere a caso, ossia come quella stupida ridicola falena persa nei suoi desiderii indemoniata fissata con la luce, ci siamo inventati miti, ideologie, etica, princìpi, valori. Dai, quello che Freud chiama super-io.
Eppure, in questi princìpi ci cresciamo dentro e ci formiamo. Così le ideologie e i valori e il senso, come la Volontà, potrebbero essere un qualcosa che semplicemente ci ritroviamo ad avere ciecamente: attraverso l’educazione e le nostre esperienze ci troviamo ad avere una ideologia, con i suoi simboli, i suoi feticismi, le sue battaglie, la sua etica. Questa prospettiva non suona proprio per niente come l’autodeterminazione libera che cercavamo, vero?
Il problema è proprio questo. Guardate lui, NPC.
NPC sta per non-player character, e il meme allude a quei personaggi con cui interagiamo nei videogiochi, quelli dietro ai quali non c’è un giocatore senziente come noi, ma sono programmati e hanno un ruolo limitato, con risposte predefinite.
NPC nasce, inutile dirlo, nella famosa culla memetica dell’alt-right che è 4-chan, ideato e messo a punto per deridere le ideologie progressiste di sinistra. Gratuitamente, aggiungerei: il format-meme si presta infatti facilmente al suo contrario e si è presto rivoltato contro la stessa ideologia da cui nasceva, quasi persino contro se stesso:

A quanto pare, viviamo in una società.
Il meme in sé è quindi fuori da specifiche posizioni politiche, non appartiene alla destra, né alla sinistra, ma alla condizione umana, in quanto è la rappresentazione memetica di cosa ci accade quando non solo il nostro modo di pensare, ma persino l’oggetto del desiderio e (cosa assai più grave) la nostra struttura del desiderio e di senso è programmata da altri al posto nostro.
Così possiamo definire NPC come un finto personaggio, proprio perché perde la sua vera voce interiore, e i suoi feels vengono rimpiazzati da un «senso comune». La finzione è qui un concetto chiave. Egli non ha una guida reale sulla sua esistenza, si passa al pilota automatico – anzi automatizzato – e quindi si diviene meri latori di una inautentica condotta più o meno standardizzata.
Heidegger, nella sua vena più esistenzialista, ci parlava esattamente di ciò: dell’inautenticità e del vivere autentico, nei confronti dell’esistenza. Proprio negli stessi termini. Per lui, il vivere inautentico è incarnato dalla formula «si dice», «si fa», «si deve» impersonale. È l’accettazione passiva di un modo di rapportarsi al mondo che altri, al posto nostro, hanno scelto per noi. Una comfort-zone esistenziale, perché ci sgrava di una grossa responsabilità. E spesso può essere utile, persino essenziale, per carità di Dio santissimo anzi figurati ma scherzi. Il Grande Problema effettivamente sorge quando ne facciamo regola imprescindibile e incosciente, ossia quando siamo completamente, si dice, eterodiretti.
Vivere in maniera autentica è il non soccombere alla dimensione della chiacchiera, e far risuonare la nostra vera voce interiore tradotta in Senso. Vivere davvero, quindi, è l’auspicabile condizione in cui ci assumiamo la piena responsabilità del nostro Senso originale nei confronti della vita, o quantomeno della sua ricerca.
NPC incarna perfettamente l’Uomo Inautentico™, l’assenza di una presa di posizione autopoietica (creativa) nei confronti del senso della vita, è il soccombente della programmazione ideologica del Grande Altro.
Se la Volontà Schopenhaueriana è una sorta di programmazione immodificabile dal nostro dentro più profondo – nostro di tutti – l’NPC esprime esattamente il concetto di programmazione dall’esterno – nostro da parte di tutti gli altri. Per questo la vignetta è spesso accompagnata da un codice e degli algoritmi che ne esprimono il carattere automatico.
Se il pericolo espresso dalla falena è duplice, non accettare ciò che vogliamo davvero, o soccombere a ciò che vogliamo davvero, il pericolo espresso dall’NPC è far sì che altri, per noi, strutturino il nostro desiderio, l’oggetto del nostro desiderio, il nostro modo unico di guardare all’esistenza. Che si sostituiscano alla nostra responsabilità sui nostri valori, sul senso della nostra vita sulla terra.
Non è quello che vogliamo, no?


